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Full text of "Lezioni di fonologia comparata del sanscrito, del greco e del latino, date nella Regia Academia scientifico-letteraria di Milano"

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CORSI 


DI 


GLOTTOLOGIA. 


DATI 


NK 


KLLA  REGIA  ACADEMIA  SCIENTIFICO-LETTERARIA  DI  MILANI» 


G.  I.  ASCOLI. 


VOLUME  PRIMO. 

FONOLOGIA  COMPARATA  DEL  SANSCRITO, 
DEL  GRECO  E  DEL  LATINO. 

Puntata  prima:  Pag.  i-xvi,  1-240. -Prezzo:  L.  7. 


WVKRTKXZA.  I  primi  fascicoli  àeWArchivio  (jloltolorjico  italiano  e  il  secondo  vo- 
lume degli  Studj  crìtici,  che  ripetutamente  si  citano  nella  presente  puntata, 
saranno  pubblicati  nel  corso  di  quest'  anno. 


TORINO  E  FIRENZE, 
ERMANNO  LOESOHER,  LIBRAJO-EDITORE. 

1870. 


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PURCHASED   POR  THE 

UNIVERSITY  OF  TORONTO  LIBRARY 

FROM  THE 

CANADA  COUNCIL  SPECIAL  GRANT 


POR 

LINGUISTI CS 


CORSI 


GLOTTOLOGIA, 


DATI 


NELLA  EEGL4  ACADEMIA  SCIENTIFICO-LETTERARIA  DI  MILANO 


DA 


G.    I.   ASCOLI. 


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VOLUME   PRIMO. 


FONOLOGIA  COMPARATA 
DEL  SANSCRITO,  DEL  GRECO  E  DEL  LATINO. 


TORINO  E  FIRENZE, 
ERMANNO  LOESGHER,  LIBRAJO-EDITORE. 


1870. 


LEZIONI 


DI 


FONOLOGIA  COMPARATA 

DEL  SANSCRITO,  DEL  GRECO  E  DEL  LATINO, 


DATE 


NELLA  REGIA  ACADEMIA  SCIENTIFICO-LETTERAEIA  DI  MILANO 


DA 


G.   I.   ASCOLI. 


TORINO  E  FIRENZE, 
ERMANNO  LOESCHER,  LIBRAJO-EDITORE. 

1870. 


Riservato  ogni  diritto  di  proprietà  e  di  traduzione. 


MILANO,  COI   TIPI   DI   GIUSEPPE   BERNARDONI. 


GEROLAMO  PICCHIONI 

TESSERA 
DI  AFFEZIONE  REVERENTE 


PREFAZIONE. 


Lie  lezioni  di  Fonologia  comparata  del  sanscrito,  del 
greco  e  del  latinOf  che  si  conterranno  in  questo  volume, 
formano  il  primo  dei  quattro  Corsi  glottologici  che  ora  mi 
accingo  a  pubblicare.  Saranno  i  tre  altri:  la  Introduzione 
generale  alla  morfologia ,  la  Morfologia  comparata  del 
sanscrito,  del  greco  e  del  latino,  e  la  Fonologia  irana. 
Vincoli  molteplici  stringeranno  naturalmente  fra  di  loro 
questi  diversi  miei  saggi;  ma  ciascun  d'essi  potrà  stare 
tuttavolta  di  per  sé. 

Le  lezioni  di  fonologia  indo-italo-greca  furono  primamente 
tenute  nel  primo  semestre  dell'  anno  academico  1861-62. 
I  diretti  sussidj ,  ai  quali  ip  era  allora  limitato ,  si  ridu- 
cevano, in  parte  per  mia  volontaria  e  pensata  astinenza, 
alla  Grammatica  comparata  del  Bopp,  alla  prima  edizione 


vili 


delle  Indagini  etimologiche  del  Pott,  e  ai  primi  dieci  vo- 
lumi del  giornale  di  Kuhn.  Più  tardi,  com'era  mio  debito, 
tentai  di  far  mio  prò  di  quante  altre  scritture  risguardanti 
la  fonologia  si  sono  pubblicate ,  e  prima  e  poi ,  nell'  in- 
dustre  Allemagna  ed  altrove ,  insieme  continuando  in- 
torno ad  esse  l'opera  mia  propria.  Ma  il  disegno  e  gl'in- 
tendimenti e  il  metodo  delle  mie  lezioni ,  sono  rimasti 
invariati. 

Ricantare  le  lodi  dei  bei  nomi  alemanni  che  rifulgono 
sopra  questo  campo,  ormai  può  parere  omaggio  superfluo. 
Tutti  sanno,  quanto  debba  al  genio  del  Bopp  anche  la  fo- 
nologia comparata,  sebbene  la  creazione  del  grande  mae- 
stro si  abbia  piuttosto  a  dive  morfologica  ;  tutti  ancora  co- 
noscono, come  il  Pott,  r oltrepotenza  del  cui  ingegno  si 
accoppia  ad  un'attività  che  è  miracolosa,  sapesse  estendere 
all'  intiera  famiglia  indo-europea  quell'opera  di  ricostruzione 
fonetica  che  la  mente  sovrana  di  Giacopo  Grimm  ha  com- 
piuto per  le  favelle  dei  Germani.  A  tutti  è  noto,  del  pari, 
come  anche  in  questo  campo  abbia  stampato  profondissime 
orme  quel  robusto  antesignano  di  piìi  schiere  che  è  Teo- 
doro Benfey;  e  anche  tra  noi  ormai  si  ammirano,  a  buon 
dritto ,  r  assetto  dottrinale  di  cui  alla  mano  maestra  di 
Augusto  Schleicher  andrà  perennemente  debitrice  la  no- 
stra disciplina,  e  l'opera  geniale,  sicura,  fecondissima  di 
Giorgio  Curtius,  e  la  dotta  e  cauta  mole  dei  lavori  fon- 
damentali di  Guglielmo  Corssen.  Né  gli  studj  del  Kuhn, 
dì  Leone  Meyer,  e  di  molti  altri  che  non  nomino,  in  ispecie 
tra  i  cultori,  anche  non  alemanni,  di  altre  provincie  che 


IX 


la  indo-italo-greca  non  sia,  hanno  bisogno  pur  essi  degli 
elogi  di  tale,  che  mostra  e  dice  cosi  di  frequente  la  uti- 
lità che  ne  ha  tratto. 

Men  superfluo,  per  avventura,  il  toccar  con  brevità  de- 
gli intendimenti  e  delle  considerazioni,  che  hanno  in  ispe- 
cie  regolato  quella  parte  dell'opera  mia,  alla  quale  metto 
in  fronte  queste  parole. 

L' ideale  era  questo  :  condurre  chi  mi  seguiva,  capo  per 
capo,  dai  primi  elementi  in  sino  alle  ultime  squisitezze  del 
sapere,  senza  fargli  provare  alcuna  scossa,  senza  che  la 
lucidità  venisse  mai  meno,  senza  che  la  esposizione  dis- 
dicesse a  quella  continuità  naturale  che  è  ne'  molteplici 
svolgimenti  dei  germi  primitivi.  Imperocché,  dall' un  canto, 
il  confesso,  io  sento  un  certo  orrore  pei  compendj  di  fo- 
nologia comparata.  Se  in  generale  si  può  dire  che  una 
qualsiasi  disciplina  non  si  raccorci  senza  sformarsi,  della 
nostra  si  può,  mi  sembra,  a  dirittura  affermare,  che  nel 
restringersi  ella  affatto  si  snaturi.  Così  in  ordine  alla  en- 
tità del  suo  subietto,  come  rispetto  alla  quantità  del  suo 
progresso,  la  fonologia  comparata  mal  si  afferma  per  quello 
scarso  numero  di  risultanze  che  si  possano  con  brevi  pa- 
role enunciare;  il  quale,  scarso  come  pur  è,  o  deve,  per 
artificiale  sobrietà,  nascondere  ciò  che  ancora  resti  in  lui 
di  problematico,  oppure,  se  non  si  vuole  scompagnare  da- 
gli scrupoli  della  scienza,  apparisce  chiazzato  di  dubbj, 
per  modo  che  non  dia  un  congruo  concetto  di  quella  vasta 
altezza  che  i  conquisti  sicuri  hanno  ormai  conseguito.  I 
continui  avanzamenti,  dei  quali  il  nostro  studio  si  ralle- 


gra,  potranno  forse,  col  tempo,  render  molto  più  agevole 
la  composizione  di  tali  compendj  che  riflettano  in  giuste 
proporzioni  l'intiero  corpo  della  dottrina;  ma  per  ora  siamo 
a  questo,  che  trattandosi  di  scienza  nuova,  e  da  pochis- 
simi posseduta  per  intiero,  chi  si  arrischia  ai  transunti 
ahbia  le  mosse  tutt' altro  che  sicure,  cosi  che  spesse  volte, 
quando  egli  raccorcia  o  tace,  non  ceda  già  in  questo,  con 
libero  giudizio,  ai  riguardi  della  opportunità  didattica,  ma 
ceda  piuttosto  alla  paura  che  è  in  lui  di  smarrirsi  per  via. 
Dall'altro  canto  a  me  pareva,  che  delle  parti  più  ardue 
della  nostra  indagine,  alcune  già  fossero  mature  per  una 
esposizione  sistematica,  e  più  altre  si  potessero,  con  qual- 
che raggio  di  energia ,  portare  anch'  esse  a  maturanza 
uguale.  Ma  pur  le  nozioni  facili  e  volgari  dovevano,  nel 
mio  concetto,  rassodarsi  ed  esser  poste  in  miglior  luce 
per  virtù  di  quella  maggior  copia  d'  argomenti  che  si  è 
venuta  sparsamente  accumulando.  Quindi  il  proposito  del 
trattato  compiuto,  nella  presunzione  che  le  cose  facili  non 
avessero  a  tediare  i  provetti,  perchè  svecchiate,  né  le  ar- 
due a  stancare  chi  incomincia,  perchè  la  salita  non  fosse 
punto  scoscesa.  L'ampiezza  delle  proporzioni  mi  sembrava 
anche  desiderabile  affin  che  lo  studio  della  cronologia  e 
dell'istoria  naturale  delle  evoluzioni  fonetiche  s'incomin- 
ciasse a  vedere  nella  sua  interezza,  e  affin  che  il  discorso 
intorno  al  sanscrito  si  potesse  finalmente  provare  a  tutto 
quello  sviluppo  ond'  è  capace,  principalmente  per  quanto 
concerne  l'intima  istoria  dell'individuo  indiano  per  sé  me- 
desimo, e  le  sue  attenenze  con  Tirano.  E  una  larga  ven- 


XI 


tilazione  delle  difficoltà  e  dei  dubbj,  ed  una  serie  di  sva- 
riati riassunti,  non  si  potevano,  a  mio  giudizio,  escludere 
da  chi  volesse  porgere  un  quadro  veritiero  dello  stato, 
dell'importanza,  della  mirabile  efficacia  di  questa  disciplina. 
Per  la  qual  via  si  doveva  eziandio  ottenere,  che  non  riu- 
scisse mutilo,  0  dissonante  dal  sapere  complessivo,  il  ra- 
gionamento che  per  necessità  di  scuola  riduce  il  suo  sub- 
ietto principale  a  scarso  numero  di  lingue;  e  insieme  si 
dovevan  fare  di  comun  patrimonio  molte  percezioni  che  si 
stavano  appartate  e  quindi  non  avevano  ancora  sviluppato 
tutta  la  loro  efficacia,  molte  notizie  che  sempre  ancora  si 
andavano  quasi  susurrando  fra  gli  adepti,  anziché  essere 
introdotte  in  un  perspicuo  inventario,  che  rendesse  facile 
a  chi  ci  segue  il  superarci.  E  se,  dall' un  canto,  la  cau- 
tela più  scrupolosa  non  dovea  mai  così  venir  meno,  né  ad 
autorevoli  sentenze  altrui  sostituirsi  mai  tacitamente  quella 
dell'autore;  questi,  dall'altro,  doveva  porre  l'opera  propria 
in  ogni  parte,  non  lasciare  intentata  alcuna  vena,  e  ac- 
cennar senza  paura,  dalle  cime  superbe  dei  colli  ormai 
posseduti,  alle  terre  promesse  dell'avvenire. 

Io  parlo  del  mio  ideale,  come  già  dissi,  e  non  del  mio 
libro,  del  quale  ben  so  quanto  grandemente  rimanga  lon- 
tano da  quello,  comechè  ad  esso  naturalmente  s'informi. 
Ma  lo  stesso  ideale  era  assai  rimoto,  alla  sua  volta,  dal- 
l' assunto  ben  più  cospicuo  che  la  fonologia  comparata  si 
potrà  un  giorno  prefiggere,  tal  che  in  essa  tramontino, 
per  molta  parte,  quegli  ardui  problemi  morfologici,  la  cui 
soluzione  è  da  altri  oggidì  cercata  su  per  le  balze  del  r^-* 


XII 


ziocinio  vago  o  della  fantasia.  La  discussione  de'  quali  pro- 
blemi, che  io  dapprima  contessevo,  prò  virili  parte,  alla 
Morfologia  comparata  del  sanscrito,  del  greco  e  del  la- 
tino, fini  per  fare  corpo  da  sé  in  quella  che  ora  chiamo 
Introduzione  generale  alla  morfologia.  Lo  studio,  all'in- 
contro, delle  evoluzioni  istoriche  delle  singole  favelle,  come 
mi  condusse  a  considerare  gli  idiomi  neo-greci  e  i  neo-la- 
tini, e  con  naturale  predilezione  i  secondi,  così  mi  portò, 
sin  dal  principio  del  mio  insegnamento  (1861-62),  a  trat- 
tare, in  separate  lezioni,  sì  degli  sviluppi  medievali  e  mo- 
derni della  favella  degl'Irani,  e  sì  di  quelli  della  parola 
ariana  dell'  India.  Delle  indagini  intorno  alla  prima,  darà 
saggio  la  Fonologia  irana;  ma  la  scarsità  dei  sussidj  mi 
ha  impedito  di  portare  lo  studio  degl'  idiomi  pracritici  a 
quella  maturità  che  io  sperava.  Poiché  l'Italia  nuova  ha 
bensì  istituito,  con  una  larghezza  che  la  onora,  molti  in- 
segnamenti glottologici  ed  orientali;  ma  i  reggitori  della 
pubblica  istruzione,  distratti  da  cure  più  urgenti,  non  si 
sono  forse  peranco  fermati  al  pensiero,  che  le  nostre  ca- 
tedre,  senza  doviziose  biblioteche  ad  esse  speciali,  sono 
altrettanti  istituti  astronomici  cui  manchino  le  specole  od 
i  telescopj.  E  d'altronde,  siccome  quel  cielo,  a  cui  si  ri- 
volgono i  nostri  sguardi,  non  ha  bisogno  di  essere  con- 
templato da  punti  diversi  della  penisola,  così  si  potrebbe 
forse  ancora  chiedere  perchè  non  si  concentrino  queste 
catedre  ed  insieme  i  loro  sussidj,  sì  che  senza  maggior 
somma  di  sacrifizj  s' accresca  a  molti  doppj  la  stentata  at- 
tività delle  forze  sparte. 


Ma,  senza  più  dire  della  penuria  degli  ajuti,  pur  sulle 
altre  difficoltà  e  sulle  incertezze  onde  io  era  circondato, 
in  parte  attenenti  alla  mia  persona  ed  in  parte  a  cause 
generali,  io  non  mi  sono  per  vero  mai  fatta  illusione.  Il 
doppio  assunto  di  giovare  nello  stesso  scritto,  nella  stessa 
lezione,  nella  stessa  pagina,  agli  incipienti  ed  ai  provetti, 
così  com'è  stato  per  me  una  voluttà  continua  e  il  proprio 
incentivo  d'ogni  mia  attività  letteraria,  cosi  ne  è  stato  per 
avventura  l' inciampo  più  grave.  Se  però  questo  doppio 
assunto  già  per  buona  parte  si  legittima,  com'  ebbi  di  so- 
pra ad  accennare,  dalle  condizioni  nelle  quali  versa  per  sé 
medesima  la  nostra  disciplina,  esso  ancora  si  può  dire,  io 
credo,  naturai  conseguenza  dell'essere  noi  italiani  venuti 
gli  ultimi  su  questo  campo,  e  quindi  sentirci  bramosi  di 
presto  imprimere  qualche  orma  nostra  nel  ricalcare  le  al- 
trui. La  latitudine  insolita,  che  mal  misurando  le  forze  ho 
voluto  dare  alle  mie  indagini,  è  anch'essa  effetto  di  causa 
non  diversa;  poiché  dove  son  pochi  che  lavorano,  e  l'o- 
pera pare  urgente,  la  distribuzione  delle  parti  non  può 
esser  quella  dell'  officina  in  cui  gli  artefici  si  accalcano. 
Alla  avidità  naturale  pur  si  aggiungeva  il  desiderio  di  ri- 
spondere in  modo  condegno  all'  invito  e  al  pensiero  di  Te- 
renzio Mamiani,  iniziando  sopra  larga  base  gli  studj  a  me 
demandati  nella  nostra  Academia.  GÌ'  intendimenti  della 
quale  si  sono  poscia  mutati,  senza  cessare  per  questo  d'es- 
ser nobilissimi;  ma  io,  per  la  mia  parte,  dopo  avere  spie- 
gato troppe  vele,  ho  dovuto  ammainarle  quasi  tutte;  e  così 
la  pubblicazione  de'  miei  Corsi,   che  è   forse   un  simbolo 


XIV 


di  speranze  redivive,  è  insieme  un  testimonio  di  speranze 
mancate. 

Nella  Germania,  che  si  può  dir  madre  e  altrice  di  que- 
sti studj,  essi  incontrano  tuttavolta  una  certa  opposizione 
fra  i  cultori  delle  discipline  classiche ,  e  quindi  tra'  reg- 
gitori delle  scuole.  Della  quale  opposizione  molti  però  par 
che  si  facciano,  fuor  di  Germania,  un'idea  non  poco^ dis- 
forme dal  yero.  Pochi  sono  naturalmente  quei  filologi  te- 
deschi, se  pur  ve  ne  sono,  che  neghino  verità  e  impor- 
tanza alle  discipline  comparative,  le  quali  hanno  ormai 
fatto  rivivere  lingue  e  nazioni,  sepolte  da  lunghi  secoli 
nell'oblio;  oppure  che  si  illudano  per  guisa,  da  stimar  che 
la  micrologia  ermeneutica  abbia  a  pesare  nella  bilancia 
dello  scibile  quanto  l'istoria  scientifica  della  parola,  che 
è  l'istoria  scientifica  della  natura  umana,  delle  nazioni  e 
della  civiltà.  Ma  l'opposizione,  in  quanto  non  derivi  da 
semplice  paura  del  nuovo,  proviene  dall'apprensione,  non 
punto  illegittima,  che  irrompa  nelle  scuole,  con  danno 
della  severità  degli  studj,  la  pericolosa  presunzione  dello 
scoprir  facilmente,  del  potersi  valere  con  facilità  di  tali 
strumenti,  che  non  sono  impunemente  adoperati  da  chi 
non  abbia  lungo  esercizio  e  molto  vigore.  La  efficacia  e 
insieme  la  cautela  dei  buoni  procedimenti  comparativi,  la 
loro  utilità  razionale  e  pratica,  vengono  però  vincendo  le 
spassionate  resistenze,  mano  mano  eh'  essi  rassodansi  in 
libri  dottrinali  e  sieno  principalmente  sperimentati  sopra 
gl'idiomi  ed  i  vernacoli  natii;  né  v'ha,  del  restante,  scuola 
0  paese,  che  non  si  debba  finalmente  inchinare   alla  ve- 


XV 


rità.  Intanto  i  glottologi  italiani,  sia  ventura  o  sia  sven- 
tura loro,  di  simili  opposizioni,  ufficiali  o  didascaliche,  non 
ne  incontrano  affatto.  Le  indagini  che  discorrono  per  am- 
pia distesa  di  tempo  e  di  spazio  e  di  cose,  quali  appunto 
sono  le  comparative,  qui  si  rallegrano  di  favore  grandis- 
simo, e  nelle  alte  e  nelle  basse  sfere,  e  le  porte  della  scuola 
sono  largamente  ad  esse  aperte.  Ma  quanto  e  qual  frutto 
si  vede  di  tanto  favore?  Non  deve  egli  parere  talvolta,  che 
noi  ci  studiamo  di  dare  ragione  a  coloro,  i  quali  insistendo 
sulla  inopportunità  di  ammettere  gli  studj  comparativi  nelle 
scuole,  sui  pericoli  de'  sùbiti  entusiasmi  e  delle  applica- 
zioni temerarie,  accennano  appunto  al  paese  nostro,  e  in- 
sieme aggiungono,  con  restrizione  ancor  più  dolorosa,  che 
del  resto  non  sia  il  caso  fra  noi  di  una  disciplina  che 
disturbi  l'altra,  e  che  pur  fuori  della  scuola  non  si  vegga 
alcun  nobile  rigoglio  degli  studj  che  tanto  ammiriamo?  È 
egli  proprio  tutta  calunnia,  se  dicono  invalsa  tra  di  noi 
la  presunzione  che  il  lavoro  si  abbia  quasi  a  ripartire  fra 
i  popoli  per  modo  che  all'  uno  tocchi  sudare  a  innalzar  la 
piramide  e  all'altro  spetti  la  più  squisita  gloria  di  arzigo- 
golare intorno  ad  essa?  Di  certo,  anche  gli  studj  italiani 
furono  calunniati;  ma  pur  non  ama  la  gioventù  nostra 
chi  non  la  mette  in  guardia  contro  a  quell'  abuso  della 
prontezza  de'  nostri  ingegni,  pel  quale  non  di  rado  noi 
sembriamo  intenti  a  farci  agili  sempre  più ,  anziché  a 
renderci  vie  più  robusti.  Ma  1'  agilità  delle  squadre,  per 
quanto  grande  e  mirabile,  non  basta  di  certo  a  espu- 
gnar le  fortezze:  e  per  chi  non  si  appaga  d'illusioni,  v'ha 


XVI 

nella  regione  in  cui  versiamo,  e  in  più  regioni  attigue, 
una  intiera  serie  di  quadrilateri  da  conquistare,  prima 
che  stia  autorevole  e  rispettata  la  indipendenza  del  pen- 
siero italiano. 

Se  i  miei  libri  potranno,  nella  sfera  in  cui  si  muovono, 
contribuire  pur  in  minima  parte  al  conseguimento  di  que- 
sto scopo  supremo,  io  mi  terrò  ben  pago  della  mia  sorte. 
E  se  ancora  una  parola  mi  è  qui  concessa,  dove  già  me 
ne  son  fatte  lecite  di  troppe,  questa  sia  di  gratitudine 
pei  fidi  amici  e  pei  discepoli,  che  mi  accompagnarono  be- 
nevoli sullo  scabroso  cammino.  Perchè  ad  essi  principal- 
mente io  devo,  che  mi  sia  rimasta  una  qualche  fiducia  in 
me  medesimo  ;  devo  ad  essi  d'  aver  potuto  assistere  con 
animo  impavido,  tuttoché  attristato,  a  qualche  deserzione 
ingenerosa. 

Milano,  27  febbrajo  1870. 

G.  I.  A. 


FONOLOGIA  COMPARATA 

DEL  SANSCRITO,  DEL  GRECO  E  DEL  LATINO. 


LEZIONE  PRIMA. 

Cenni  preliminari/ 

Per  grammatica  comparata  suolsi  intendere  l'analisi  com-  §  1. 
parativa  dell' organismo  di  due  o  di  più  favelle,  che  si   dimo- 
strino derivate  da  una  fonte  comune. 

La  fonologia,  che  è  la  dottrina  de'  suoni  onde  si  costituisce 
la  parola;  la  morfologia,  che  è  la  dottrina  delle  forme  e  quindi 
pur  della  funzione  potenziale  della  singola  parola;  e  la  sin^ 
tassi,  che  è  la  dottrina  della  funzione  che  la  parola  assume  nel 
discorso,  sono  naturalmente  le  parti  costitutive  di  ogni  gram- 
matica comparata,  cosi  come  il  sono  di  ogni  grammatica 
speciale. 

Ma  l'analisi  comparativa  trae  con  sé  di  continuo  anche  lo 
studio  delle  intime  ragioni,  vale  a  dire  dell'intima  istoria,  de- 
gli elementi  ch'essa  viene  sceverando. 

Se  nel  contrapporre  al  sanscrito  àgù-  (veloce)  l'equivalente 
òkii-  (owj-)  de'  Greci,  consultati  molti  altri  riscontri  indo-elle- 
nici e  i  termini  corrispondenti  di  altre  favelle  della  famiglia , 
riusciremo  a  determinare  che  vi  abbia  equivalenza  tra  g  san- 
scrito e  k  greco,  noi  avremo  per  questa  parte  esaurito  lo  stretto 
compito,  che  si  potrebbe  dire  il  compito  etimologico,  di  una  fo- 
nologia comparata.  Ma  noi  saremo  inoltre  condotti  quasi  inevi- 
tabilmente a  scrutare  pur  la  ragione  istorica  e  fisiologica  di 
questa  equazione  {k  ^v.  =  q  sscr. ) ,  la  quale  non  ci  era  affer- 
mata per  identità  fonetica  od  acustica. 

Ascoli,  Fonol.  indo-it.-gr.  1 


2  §   2.    SUBIETTO    DELLO    STUDIO. 

Così,  se  col  soccorso- di  numerose  o  di  continue  analogie 
avremo  trovato,  che  d^ii-  (ojxu-)  consti  di  due  parti,  l' una 
principale  0  radicale  [ag  =  ah,  ok),  l'altra  accessoria-' od  asci- 
tizia {-u),  od  avremo  avvertito,  che  questa  voce,  cosi  nel  san- 
scrito come  nel  greco,  si  munisca,  aflSne  di  esprimere  il  no- 
minativo mascolino  al  singolare,  dell'aggiunzione  finale  che 
suona  5  {àgii-s,  ókù-s),  il  ristretto  compito  di  una  morfologia 
comparata,  cioè  il  compito  che  si  potrebbe  dire  descrittivo, 
sarebbe  per  questa  parte  esaurito.  Ma  noi  saremo  ancora  quasi 
irresistibilmente  portati  a  tentar  l'istoria  di  simili  aggiunzioni, 
anzi  delle  radici  stesse;  imperocché  gli  studj  che  concernono 
la  genesi  della  parola,  se  pur  non  sieno  di  esclusiva  spettanza 
della  grammatica,  comparata,  son  però  sempre  da  questa  effica- 
cemente-promossi- e  grandemente  agevolati. 

Nella  prima  serie  di  queste  Le;sio7ti  esporrò  comparativa- 
mente la  fonologia  del  sanscrito,  del  greco, antico  e  del  latino, 
le  quali  tre  favelle  rappresentano  tre  sezioni  assai  cospicue  di- 
quel  nobilissimo  sistema  di  lingue,  che  variamente  si  addi-, 
manda:  ariano,  indo-europeo ,  sanscritico ,  e  men  corretta- 
mente: indo-germanico.  Questo  sistema  di  lingue  comprende, 
com'è  notorio,  oltre  al  gruppo  indiano,  aìV ellenico  e  adV ita- 
lico, anche  Virano  o  medo-perso,  il  celtico,  il  germanico  e 
^1  liiu-slavo  *.  , 

.  Lungi  però  dal  rinserrarmi  rigorosamente  entro  ai  ristretti 
limiti  delle  tre  favelle  che  ho  indicato,  mirerò  di  continuo,  per 
la  provincia  italica ,  pure  alle  reliquie  diciferate  dell'  osco  e 
dell'umbro,  e  agli  idiomi  neo-latini  o  romanzi;- non  dimenti- 
cherò il  greco  moderno;  e  mi  permetterò  inoltre  di  toccare 
anche  le  altre  regioni  del  mondo  ariano,  quante  volte  ciò  mi 


*  Ulteriori  particolari  intorno  al  sistema  indo-europeo,  si  hanno 
negli  Studj  orientali  e  linguistici,  pag.  263-67.  Del  lituslavo  si  pos- 
sono fare  due  gruppi  distinti,  il  lituano  e  lo  slavo;  rimane  però,  che 
tra  lituano  e  slavo  passi  un'affinità  assai  piìi  stretta,  che  non  tra 
ciascuno  dì  essi  e  un  altro  qualsiasi  dei  gruppi  indo-europei. 


§    2.    SUBIETTO   DELLO   STUDIO.  3 

parrà  utile  ed  opportuno  alla  illustrazione  di  quelle  tre'  che 
più  specialmente  sono  a  noi  assegnate.  Per  greco,  o  per  un 
determinato ^m^^^^o  greco  senz'altro,  intenderemo  l'antico;  e 
diremo  vedico,  o  ò^' indiano  arcaico,  un  fenomeno  peculiare  a 
quell'antico  dialetto  ariano  dell'India,  che  ci  è  conservato  nei 
Vedi,  laddove  diremo  sanscrito,  senz'altro,  un  fenomeno  che 
sia  comune  al  linguaggio  vedico  e  a  quello  della  letteratura 
seriore,  o  un  fenomeno,  che  pure  essendo  peculiare  al  linguag- 
gio della  letteratura  seriore,  il  quale  si  suole  addiraandare 
sanscrito  classico  (e  ammette  alla  sua  volta  la  distinzione  tra 
V epico  e  il  veramente  classico),  non  richiegga  che  di  questa 
particolarità,  la  quale,  a  rigore,  sarebbe  implicita  nello  stesso 
termine  di  sanscrito,  sia  qui  per  noi  fatta  menzione  *. 


*  Io  pronuncio,  come  sempre  per  l'addietro  tutti  hanno  pronunciato 
in  Italia:  sanscrito  (e  pracrito),  coli' accento  sulla  penultima.  Oggi, 
all'incontro,  sembra  prevalere  fra  gli  studiosi  italiani  il  vezzo  di  dire 
sanscrito  {e prdcrito)  coli' accento  sulla,  terzultima;  la  quale  pronuncia 
a  me  pare  stortamente  affettata,  per  le  ragioni  che  ora  mi  permetto 
di  addurre.  1.^  Vero  è  bensì  che  sàskrta,  nel  suo  proprio  significato 
di  ^confectus',  'ornatus',  ha  l'accento  sulla  prima  sillaba,  volendo  la 
regola  generale  che  passi  sul  prefisso  {sàrs)  l'accento  che  nel  parti- 
cipio in  istato  semplice  è  sul  suffisso  (-td',  krtd).  Ma  nell'accezione 
sostantiva  di  'lingua  sanscrita',  il  vocabolo  saskrta  avrebbe  potuto  o 
anzi  dovuto  essere  a  dirittura  ossitene  (sasAr^a),  poiché  il  participio 
in  -td  conserva  il  suo  proprio  accento  pure  unito  a' prefìssi,  quando 
assuma  una  significazione  individualo;  e  così,  restando  al  verbo  che  è 
in  sàskrta^  avremo  niskrta  (disposto,  ecc.)  coU'accento  sulla  terzultima 
nella  mera  significazione  participale,  ma  all'incontro  nelle  funzioni  di 
nome  neutro  (niskrtd,  luogo  determinato,  ecc.)  lo  avremo  coU'accento 
sull'ultima;  ed  anzi  dello  stesso  sàskrta  ricorre  la  pronuncia  ossitona 
in  un  luogo  del  Veda  {rgvaida,Y,  76,  2  =  sdmavaidat.il,  8,  3,  15,  2), 
dove  il  Benfey  traduceva  imprima:  'sagrificio*,  poi:  'l'ornato',  e  il 
Lessico  di  Pietroburgo,  malgrado  l'accento  sull'ultima,  parrebbe  non 
altro  scorgere  se  non  la  mera  accezione  participale  (v.  Benfey,  Voll- 
stàndige  sanskrit-grammatik y  §  647,  Sdma-Veda,  pag.  48,  188,  291, 


4  §   3.    METODO. 

§  3.      Ad  altre  considerazioni  preliminari  ci  chiama  ora  il  metodo 
generale  che  la  trattazione  avrà  a  tenere. 

La  scienza  comparativa  delle  lingue  ariane  è  a  tal  sogno 
progredita,  che  può  ricostruire,  con  sufficiente  sicurezza,  molta 
parte  della  favella  antichissima  e  perduta,  onde  esse  tutte  ri- 
petono origine.  I  suoni,  i  vocaboli,  le  flessioni,  i  costrutti  del- 
l'idioma fondamentale,  che  l'opera  induttiva  della  scienza  fa 
cosi  rivivere,  vogliono  rappresentarci  questa  favella  unitaria 
nell'ultimo  grado  che  il  suo  sviluppo  abbia  raggiunto;  vogliono 
cioè  rappresentarcela  nelle  condizioni  che  le  eran  proprie  in  quel- 
l'età,  che  è  immediatamente  preceduta  alle  segregazioni  per  le 
quali  si  è  venuta  a  rompere  l'unità  degli  Arj.  Il  sanscrito  gru-dhi 
(ascolta!),  a  cagione  d'esempio,  e  l'equivalente  klù-thi  del  gre- 
co, rimonterebbero  così,  per  vie  normali,  come  a  loro  sorgente 
comune,  alla  forma  kru-dhi;  la  quale  però,  alla  sua  volta, 
potrebbe  non  avere  ancora  esistito,  od  avere  esistito  sotto  a 
sembianze  diverse,  in  età   più  rimote  che  non   sia  quella,  in 


BoEHTLiNGK-RoTH,  Sanskrit-wurteròuch,  s.  niskrta  e  ^ar  +  saw).  Del 
rimanente,  sàskrta  per  'sanscrito'  non  occorre  mai  ne' libri  accentati; 
a  anche  nel  linguaggio  seriore,  pur  dove  essa  voce  viene  a  significare 
l'eloquio  sanscrito,  è  sempre  piuttosto  il  participio  'adornato',  che  non 
propriamente  il  nome  della  lingua  (  sàskrta-bhdsd^  sàskrta  vdkjam)  ; 
cfr.  A.  Weber,  Akademische  vorlesungen  uber  indiscke  literaturge- 
schichte,  p.  168,  Indische  streifen^  H,  52-3;  Boehtlingk-Roth,  o.  c, 
II,  98.  L'accento  poi  di  pràkrta^  che  deriva  dal  nome  astratto  prakrti 
(natura,  ecc.),  non  va  confuso  con  quello  di  sàskrta,  che  deriva  imme- 
diatamente dal  verbo  kr  (kar).  —  2."^  Il  vocabolo  'sanscrito'  avendo 
ormai  veste  e  cittadinanza  italiana,  non  si  vedrebbe,  ad  ogni  modo, 
perchè  dovesse  mantenere  un'accentuazione  così  ingrata  {..dnscr..), 
se  pure  questa  per  so  fosse  corretta.  Nessuno,  io  credo,  vorrà  dire,  a 
cagion  d'esempio,  Bratninó  o  Bramano,  coli' accento  sull'ultima,  ben- 
ché sia  tale  l'esclusiva  accentuazione  del  sostantivo  sanscrito  che 
in  questo  vocabolo  italiano  è  riprodotto  (brdhmand),  A  chi  final- 
mente pronuncia  dmrita  (ambrosia)  e  sanscrito  perchè  «  ripugni  alla 
natura  del  r  l'appoggiarvi  l'accento  »,  basterà  il  sapere,  che  appunta 
in  amrta  l'accento  è  sul  r. 


§   3,    METODO.  5 

cui  SÌ  riunificano  le  due  differenti  favelle.  Addiraandasi  varia- 
mente: lingua  fondamentale  indo-europea  o  indo-germaniea, 
lingua  proto-ariana,  lingua  del  periodo  unitario,  questa  fa- 
vella, antichissima  e  perduta,  che  si  venne  a  rifrangere,  per 
l'infinita  serie  de' secoli,  in  varietà  cosi  innumerevoli;  e  dicia- 
mo quindi  indo-europeo,  o  proto-ariano,  od  anche  originario, 
un  fenomeno  qualsiasi,  che  rappresenti  inalterata  la  esistenza 
di  lei. 

Avutisi  chiari  i  precipui  contorni  di  questo  protof/po  ariano,  si 
potè  felicemente  tentare  di  farne  a  dirittura  il  termine  fondamen- 
tale e  costante  della  trattazione  comparativa.  Il  continuo  punto 
di  partenza  diventa  in  questo  caso  la  favella  proto-ariana.  Si 
procede  ad  esporre  quali  riflessi  ritrovino  i  singoli  suoi  elementi 
nelle  diverse  lingue  che  ne  sono  provenute  ;  e  dalle  particolari  at- 
tenenze che  passano  tra  la  favella  fondamentale  e  ciascuna  delle 
derivate,  risultano,  più  o  men  direttamente,  pur  quelle  che  in- 
tercedono fra  r  una  e  1'  altra  di  queste.  È  metodo  che  racco- 
mandasi pel  suo  rigore  logico,  per  la  perspicuità  che  seco  trae, 
per  la  brevità  che  permette.  Ed  è  bella  e  invidiabile  gloria  della 
nostra  disciplina,  di  questa  nuova  specie  di  anatomia  compa- 
rata, l'avere  siffattamente  ricostrutto  l'individuo  pre-istorico, 
che  questo  agevoli  ed  assicuri  l'indagine  intorno  a  tutte  quante 
le  varietà  isteriche  che  ne  sono  rampollate.  Nessun'  altra  disci- 
plina potè  forse  ancora  vantare,  come  questa  fa,  che  sia  quasi 
un  procedere  dal  noto  all'  ignoto  il  muovere  da  una  sua  propria 
creazione  alla  migliore  intelligenza  del  reale. 

Ma  non  si  può  d'altra  parte  negare,  che,  in  primo  luogo, 
simil  metodo  importi  come  un  rovesciamento  del  naturale  pro- 
cesso dell'  indagine,  così  che  gì'  inesperti  ne  debbano  andare 
alquanto  sgomentati.  E  metodo,  che  in  realtà  rappresenta  un 
secondo  periodo  di  studj ,  nel  quale  si  ripercorre  a  ritroso  la 
via  che  si  è  misurata  nel  periodo  antecedente.  Il  confronto 
delle  diverse  lingue  superstiti  ci  fece  imprima  rimontare,  per 
induzione,  alla  sorgente  proto-ariana,  dalla  quale  ora  si  scen- 
derebbe a  ricomporre,  per  via  deduttiva,  l'istoria  di  quei  sin- 


(5  §    3.    METODO. 

goli  idiòmi.  Ma 'a  Voler-e  che  il  principiante  éi  abbia  a  innoverà 
,di  primo  tratto  in  questa  seconda  direzione,  si  viene  quasi  ad 
•imporgli  dogmaticamente  una  risultanza  di  cui  siam  chiamati  a 
-capacitarlo,  e  si  contravviene  a  quel  procedere  guardingo  che 
-ci  è  ingiunto,  anche  per  la  parte  espositiva,  dalle  non  facili 
condizioni  in  cui  versa  ancora  la  nostra  disciplina.'  Agli  scru- 
.poli  in  ordiae  alla  opportunità,  altri  poi  se  ne  aggiungono  in 
ordine  all'accertamento  scientifico  di  questa  continua  ricostru- 
izione  proto-ariana.  Imperocché ,  i  varj  rami  dell'  albero  indo- 
europeo non  escono  dal  comun  tronco  né  tutti  ad  un  tempo 
■né  tutti  ad  un  modo.  Il  sanscrito,  a  cagion  d'  esempio,  e  lo 
zendo  (che  è  idioma  paleo-irano)  rampollano,  per  comune  con- 
senso, da  una  favella,  che  ebbe  vita  distinta  e  individua  dopo 
che  l'arianità  europea  già  era  divisa  per  intero  dall' asiatica, 
e  che  però  viene  a  rappresentarci  il  periodo  da  noi  addimandato, 
■con  uno  di  que' termini  che  mancano  di  assoluta  esattezza  ma 
hanno  per  sé  la  piena  evidenza,  il  periodo  dell'unità  indo- 
irana.D'i  un  fenomeno,  che  sia  esclusivamente  proprio  al  san- 
scrito è  allo  zendo,  o  alle  favelle  indice  ed  irane  che  risal- 
gono ad  essi,  che  sia,  vale  a  dire,  esclusivamente  indo-irano, 
noi  potremo  dunque  bensì  argomentare,  ricorrendo  alle  leggi  ge- 
nerali che  le  analogie  ci  hanno  fatto  riconoscere,  quale  avrebbe 
dovuta  esàere  la  sua  figura  proto-ariana,  cioè  la  figura  che  gli 
sarebbe  stata  propria  nel  periodo  originario,  se  egli  vi  si  fosse 
effettivamente  manifestato;  ma  è  chiaro,  che  non  potremmo  già 
per  ciò  affermare  che  questa  manifestazione  sia  in  realtà  av- 
venuta. Ora  supponiamo,  per  limitarci  ad  uno  solo  tra  i  casi 
di  men  facile  decisione,  che  si  tratti  di  fenomeno  il  quale  sia 
comune  al  sanscrito,  allo  zendo  ed  al  greco,  ma  estraneo  alle 
altre  favelle  indo-europee,  come  appunto  sarebbe  quello  della 
seconda  persona  imperativa  in  -dhi,  -di,  -^'■,  che  in  sul  principio 
del  discorso  ho  voluto  addurre.  Per  inferirne  con  piena  sicu- 
rezza, che  la  rispettiva  figura  proto-ariana  (kru-dhi)  abbia 
realmente  esistito  nel  periodo  della  generale  unità  indo-europea, 
e  chesimil  forma  imperativa  sia  quindi  stata  perduta  da  quella 


§   3.   METODO.  7 

parte  della  famiglia  che  più  non  ce  la  mosftra,  converrebbe  po- 
tere affermare,  il  che  nell'attuale  condizióne  dell'indagine  nes- 
suno sicuramente  può,  che  non  vi  abbiano  dipartenze  dal  comun 
tronco,  le  quali  risalgano  ad  epoca  più  remota  che  non  sia 
quella  in  cui  il  greco  e  l'indo-irano  si  stavano  ancora  tra  di 
loro  indistinti;  poiché,  altrimenti,  si  potrebbe  trattare  di  tal 
forma,  che  si  fosse  sviluppata  nel  tronco'  indo-ir ano- greco  dopo 
che  già  erano  avvenuti  quei  più  riraoti  distacchi.  E  pure  quando 
siamo  ad  elementi,  od  a  forme,  la  cui  esistenza  nel  periodo 
della  generale  unità  ci  sia  attestata  dal  necessario  complesso  di 
prove  isteriche,  rimane  spesse  volte  qualche  dubbio,  più  o  raen 
lieve,  circa  il  preciso  modo  in  cui  si  abbia  a  fissare  la  loro  figura 
primordiale;  dubbj  che  l'ardito  proposito  della  integrale  rico- 
struzione del  prototipo  può  facilmente  indurre  a  troncar  con 
sicurezza  un  po' soverchia.  Le  quali  obiezioni  concernono  bensì 
più  specialmente  il  vero  e  proprio  vocabolario  e  la  morfologia, 
che  non  il  sistema  fonetico  per  se  stesso;  ma  à  questo  pure, 
come  a' rispettivi  luoghi  potremo  avvertire,  non  sì  rimangono 
già  estranee.  INè  vuoisi  infine  tacere,  venendo  al  caso  partico- 
lare, che  la  nuda  trattazione  sinottica,  e  la  sistematica  seve- 
rità della  generale  economia,  punto  non  si  confanno  all'as- 
sunto delle  nostre  Lezioni.  Le  quali  aspirano  per  certo  anche 
•esse  a  formare  un  insieme  lucido  e  metodico,  e  tanto  più  vi 
aspirano,  quanto  è  minore,  ed  anzi  è  nulla,  la  speciale  prepa- 
razione ch'esse  suppongono  in  chi  le  segue;  ma  vogliono  piut- 
tosto essere  larghe  esposizioni,  atte  a  persuadere  e  ad  invo- 
gliare, che  non  raccolte  di  canoni,  le  quali  sono  insufficienti 
per  tutti  e  non  sogliono  parlare  abbastanza  efficacemente  se 
non  a  chi  è  già  bene  addentro  nel  subietto. 

Noi  dunque  non  ci  faremo  a  dedurre  sistematicamente  il  ter- 
mine sanscrito,  il  greco,  od  il  latino,  dal  rispettivo  termine 
proto-ariano-,  ma,  nel  confrontare  tra  di  loro  quei  tre  termini 
istorici,  non  lasceremo  però  mai  di  spingere  la  nostra  indagine 
in  sino  al  loro  generatore  comune;  né  ometteremo  di  riunire, 
in  luogo  acconcio,  i  raa,teriaU : :clie  avremo  a  mano  a  mano 


g  §   3.    METODO. 

messo  in  serbo  per  la  ricostruzione  paleontologica  a  cui  si  al- 
lude. Ragion  poi  vuole,  che  quando  l' analisi  comparativa  abbia 
rinunziato  a  far  del  termine  pre-istorico  il  suo  continuo  filo 
ordinatore,  essa  prenda  regola  alle  proprie  mosse  da  quel  ter- 
mine superstite,  il  quale,  nel  suo  complesso,  meglio  e  più  com- 
piutamente ritragga  l'archetipo,  e  sarà  il  sanscrito.  La  qual 
veneranda  favella  àeW  India  ariana  dee  bensì  cedere,  in  molti 
incontri ,  il  vanto  dell'  antichità  maggiore ,  cioè  della  miglior 
conservazione,  all'  una  o  all'altra  delle  lingue  che  le  sono  sorelle, 
e  quindi  pure,  ed  anzi  in  ispecie,  alla  greca  o  alla  latina;  ma  è 
tale  tuttavolta,  veduta  nel  suo  insieme,  che  a  volerle  anteporre, 
nell'opera  comparativa,  il  greco  od  il  latino  o  un'altra  qualsiasi 
delle  favelle  ariane  dell'Europa,  a  volersi  cioè  valere  d'una  di 
queste  lingue  come  di  un  mezzo  continuo  per  illustrare  pur  l'or- 
ganismo del  sanscrito  medesimo,  si  adopererebbe  in  modo  poco 
Riverso  da  chi  possedendo  due  esemplari  della  stessa  medaglia, 
l'uno  logoro,  l'altro  d'impronta  ben  conservata,  volesse  muovere 
dal  primo  alla  dichiarazione  del  secondo.  Né  l'Asia  ha  alcun' al- 
tra favella  che  possa  competere  col  sanscrito  nell'ufficio  di  rac- 
costare all'unità  primiera  le  disformi  apparenze  che  si  sono  ve- 
nute producendo  nel  tempo  e  nello  spazio.  Imperocché  lo  zendo, 
che  è  il  linguaggio  delle  scritture  attribuite  a  Zoroastro,  e  il 
perso,  che  è  la  lingua  ricavata  dalle  iscrizioni  cuneiformi  per- 
siane, vale  a  dire  la  lingua  persiana  del  periodo  degli  Ache- 
raenldi ,  si  trovano  bensì  in  tali  condizioni ,  che  grandemente 
•si  accostano  a  quelle  del  sanscrito  ;  ma ,  dall'  un  canto ,  non  è 
vero ,  comechè  sempre  ancora  tra  noi  si  ripeta ,  che  spetti  a 
questi  idiomi  paleo-irani  una  qualche  generale  preminenza  in 
confronto  del  sanscrito,  anzi  è  vero,  in  significanti  proporzioni, 
il  contrario;  e  dall'altro,  se  la  preminenza  qualitativa  del  san- 
scrito non  è  di  assai  grande  rilievo  in  confronto  de'  due  idiomi 
iranì ,  è  all'  incontro  rilevantissima  la  sua  preminenza  quan- 
titativa, scarsi  essendo  i  monumenti  letterarj  donde  quelli  ci 
•parlano,  dovechè  sono  abondanti,  come  ognuno  conosce,  quelli 
onde  si  raccoglie  il  tesoro  della  lingua  sanscrita.  Se  ci  man- 


§  3.  METODO.  9 

cassero  gli  antichi  rappresentanti  indo-ìrani  della  nostra  fa- 
vella, la  palma  toccherebbe  al  greco,  il  quale,  in  ordine  al 
grado  di  conservazione,  dista  molto  meno  da  quelli,  che  non 
faccia  da  lui  la  parola  italica,  per  non  dire  delle  altre  sorelle 
europee,  tutte  inferiori  di  grado  alla  italica  stessa;  sicché  il 
greco  per  vero  ci  appare  quasi  una  ripercussione  meraviglio- 
samente genuina  della  favella  ariana  dell'Asia.  Il  latino  non 
avrebbe  pure  diritto  a  capitanare  il  gruppo  italico,  poiché  Tosco, 
quanto  è  al  grado  di  conservazione/ lo  supera;  ma  sta  per  la 
lingua  di  Roma  quella  preminenza  che  testé  dicemmo  quanti" 
lativa.  Del  rimanente,  la  nostra  similitudine  dei  due  esemplari 
di  una  stessa  medaglia  più  ben  si  adatta,  generalmente  par- 
lando, e  ove  in  ispecie  si  prescinda  dalle  assai  splendide  con- 
dizioni della  flessione  greca,  ai  rapporti  vicendevoli  delle  gram- 
matiche propriamente  dette,  vale  a  dire  al  rapporto  morfologico 
tra  il  sanscrito  e  gli  idiomi  ariani  dell'  Europa,  che  non  a  quello 
dei  singoli  loro  suoni,  che  è  la  parte  fondamentale  della  fono- 
logia comparata.  Ma  pure  in  questo  campo  è  sufficientemente 
spiccata  la  superiorità  complessiva  del  sanscrito,  perché  ci  sia 
dato  di  riuscire,  con  bastevole  facilità,  a  buon  fine,  prendendo 
in  esso  a  guida  il  sistema  fonetico  che  a  quella  lingua  é  pro- 
prio. Ed  anzi  osserveremo,  tuttoché  senza  rigore  soverchio, 
l'ordine  stesso  che  ci  é  offerto  dall'alfabeto  sanscrito;  il  quale, 
oltre  al  renderci,  in  grazia  delle  prerogative  della  favella  a 
cui  serve ,  infiera  ed  intatta  (  sebbene  accresciutasi  per  pro- 
dotti seriori)  la  serie  de'  suoni  originar j  od  indo-europei,  -  il 
che  non  possono  farò  l'alfabeto  greco  od  il  latino,  -  è  altresì  il 
solo,  che  porti  in  sé  medesimo  una  distribuzione  sistematica 
de'  suoni. 

Ridotto  a  caratteri  latini ,  V  alfabeto  sanscrito  è  questo  che 
ora  porgo  e  brevemente  illustro. 


Vocali. 

Vocali  brevi: 

«, 

.*"' 

u, 

r. 

l 

Vocali  lunghe: 

a. 

«', 

Ùf 

f> 

ì. 

Dittonghi: 

ai, 

au. 

di, 

àu. 

10                     §  4.  ! 

SISTEMA   FONETICO 

DEL   SANSCRITO. 

Consonanti.  " 

-Gutturali: 

k,      kh. 

g> 

gh,      n. 

Palatihe: 

n,     nh, 

ff, 

gh ,     n. 

Linguali: 

t,        th. 

d, 

dh,     n. 

Dentali: 

t,        th, 

d. 

dh ,      il. 

Labiali: 

p,      ph, 

&, 

bh,      m. 

Semivocali: 

i»      ^^ 

l, 

V. 

'   Sibilanti  e  aspi- 

'  razione: 

?,       s, 

s, 

h. 

Anusvara 

:  ~  (esempio 

>  di 

applicazione;  a). 

Visarga: 

s  (esempio 

.  di 

applicazione:  as) 

Vi  abbiamo  dunque  imprima  le  tre  vocali  brevi  :  a,  i,  u,  che 
dicono  fondamentali,  accompagnate  dalle  rispettive  lunghe:  d 
iy  ù.  Vengono  poscia  una  vocale  r,  e  una  vocale  Z,  che  tra- 
scriviamo: r,  l,  pur  queste  accompagnate  dalle  rispettive  lun- 
ghe: f,  l.  La  vocale  r,  come  a  suo  luogo  ampiamente  si  dimo- 
stra, surge  per  contrazione  di  un  complesso  fonetico,  costituito 
della  consonante  r  e  di  una  vocale  che  la  preceda  o  la  segua; 
il  più  frequentemente,  per  contrazione  di  un  originario  ar 
(p.  e.  mffó,  morto,  da  marita).  Così  la  vocale  l,  che  non 
compare  se  non  nella  conjugazione  del  verbo  kalp,  è,  alla  sua 
volta,  contrazione  di  al.  La  lunga  f  non  si  vede,  in  realtà, 
se  non  in  pochi  accidenti  della  declinazione  dei  temi  in  -ar, 
che  in  altri  ci  danno  alla  loro  uscita  la  breve  r  (p.  e.  pitrUf 
patres,  acc.  pi.,  pitr-bhjas,  patribus;  tema  pitàr).  È  fenomeno 
analogo  all'allungarsi  che  fanno  negli  stessi  accidenti  le  brevi 
a,  i,  u  all'uscita  del  tema  (p.  e.  nàvàn,  novos;  tema  nàva)\  e  la 
lunga  r  si  addimostra  assai  più  recente  che  non  sia  la  contra- 
zione per  la  quale  surge  la  breve  *.  La  lunga  l  sta  poi  nell'alfa- 


*  V.  BoEHTLiNGK,  Bemerkungen  zur  2.  ausgabe  von  Bopp^s  krit. 
gramm.  der  sanskrita-sprache  in  kùrz.  fassung,  St.  Petersburg  {Bul- 
letin  historico-philologique,  T.  Ili),  1845,  pag.  8-9-,  Benfey,  Orient 
und  occidente  III,  2. 


§   4.    SISTEMA   FONETICO   DEL   SANSCRITO.  Il 

beto  per  semplice  ragion  di  simmetria,  poiché  nella,  realtà  della 
lingua  non  si  ritrova  mai.  Seguono  i  dittonghi:  ai  {è),.au  {ó), 
ài,  àu.  I  due  primi  si  trascrivono  solitamente,  e  nell'India  si 
pronunciano:  è  eà  ò;  ma  noi  preferiamo  di  riprodurli  con  quella 
trascrizione  (ai,  au)  che  rende  manifesti  entrambi  gli  elementi 
dei  quali  in  realtà  essi  constano.  In  favore  della  quale  tra- 
scrizione si  può  eziandio  allegare  il  fatto ,  che  la  metrica  del 
Veda  ancora  esige  in  più  incontri  la  dieresi,  ossia  la  pronuncia 
bisillaba,  pur  di  questi  dittonghi  *;  e  siamo  quindi  ad  un  caso, 
che  non  è  dissimile  da  quello  dell'ai  greco,  è  in  pronuncia  se- 
riore, ed  ai  in  antica  dieresi.  La  vocale  breve  conta  per 
una  mora;  la  lunga  e  il  dittongo  per  due  more;  e  uno 'stem- 
peramento' indiano  (la  pluti),  che  non  interessa  la  compara- 
zione, porta  a  tre  more  le  vocali  e  i  due  dittonghi  ai  ed.  aur 
e  a  quattro  more  i  dittonghi  ài  ed  àu  **. 

Arriviamo  alle  consonanti,  che  imprima  ci  danno  cinque  serie 
parallele:  la  gutturale,  la  palatina,  la  linguale  (detta  ezian- 
dio, per  interpretazione  erronea  del  termine  indiano:  la  cere- 
brale), la  dentale  e  la  labiale,  con  cinque  lettere  per  ciascuna» 
quattro  delle  quali  rappresentano  suoni  che  secondo  la  nomen- 
clatura delle  vecchie  grammatiche  si  direbbero  consonanti  mute 
e  dalla  disposizione  dell'alfabeto  sanscrito  prendono  altresì,  il 
nome  di  consonanti  ordinate,  e  sono:  la  tenue  {k,  U,  t,  t,  p)^ 
la  tenue  aspirata  {kh,  Uh,  th,  th,  ph),  la  media  {g,g,  d,  d,  b), 
e  la  media  aspirata  {gh,  gh,  dh,  dh,  bh);  a  cui  tien  dietro 
la  ìiasale  dell'ordine  rispettivo  (n,  n,  n,  n,  m).  Le  aspirate, 
sono  suoni  doppj,  che  si  potrebbero  anche  dire  dittonghi-con- 


*  V.  Benfey,  Die  hymnen  des  Sdma-veda,  einleitung,  lui;  Kuhn 
Die  herabkunft  des  feuers  (Berlin,  1859),  139,  Beitràge  zur  ver^ 
gleichenden  sprachforschung,  IV,  188-94,  203-4,  e  consulta  l'Indice 
del  presente  volume,  sotto  Assimilazione.  Bisillaba  s'incontra  nel 
Veda  pur  la  pronuncia  delle  vocali  lunghe,  in  ispe^ie  :  aa  =  à',  circa'  il 
valore  istorico  della  quale,  si  possono  vedere  gli  Studj  critici,  II ,  24. 

**  V.  BoEHTLiNGK,  Commentar  zum  Panini,  6;  Benfey,  Vollstàn- 
dige  grammatik  der  sanskritsprache ,  pag.  2-3. 


12  §  4.   SISTEMA   FONETICO    DEL   SANSCRITO. 

sonanti.  Per  testimonianza  della  storia  e  dell'attuale  pronuncia 
indiana,  esse  constano  del  suono  della  rispettiva  tenue,  o  della 
rispettiva  media,  seguito  da  uno  spirito  aspro,  ossia  da  un'  h 
tedesca,  ben  distinta  (§  30).  Quindi  si  spiega,  a  cagion  d' esempio, 
come  il  sanscrito  kath  (kathaj),  narrare,  si  riduca,  nel  pracrito 
e  nell'indostano,  a  kah,  o  il  grahh  vedico,  pigliare,  si  faccia  grah 
nello  stesso  sanscrito,  gali  indostano;  e  si  ragguaglia  chiaramente 
la  iniziale  aspirata  del  pracrito  dh-idà,  figlia,  col  duh-  della 
Corrispondente  voce  sanscrita  :  duhitd  (tema  duhitàr).  I  suoni 
rappresentati  per  K  e  per  g  corrispondono  pressappoco  alle  nostre 
palatine  in  lercio,  urge  (cfr.  §  25  in  n.  e  §  38).  Le  linguali 
si  potrebbero  a  un  di  presso  definire,  considerato  esclusivamente 
il  loro  efietto  acustico,  per  dentali  turbate  ;  e  riserbando  ad  altro 
luogo  (§  42)  migliori  informazioni  intorno  ad  esse,  qui  ci  limi- 
tiamo ad  avvertire  ancora  la  strettissima  somiglianza  che  è  fra 
la  media  della  serie  linguale  e  il  suono  l\  locchè  ci  porta  a  un 
succedaneo  vedico  di  questa  media,  e  quindi  del  primo  elemento 
della  rispettiva  aspirata,  il  quale  succedaneo  ricorre  quando  essa 
media,  semplice  od  aspirata,  sia  tra  vocali,  ed  è  espresso  per 
un  carattere  che  noi  trascriviamo 

l,  e  combinato  coli' aspirazione  :  Ih. 
La  nasale  della  serie  dentale  (n)  è  la  nostra  schietta  n,  per 
esempio  in  no.  La  nasal  gutturale  (n),  la  palatina  (n),  e  la  lin- 
guale (n),  sono  all'incontro  altrettante  varietà  della  n,  che  par- 
tecipano, nella  loro  formazione,  delle  corrispondenti  esplosive,  e 
di  solito  son  determinate  dalla  vicinanza  di  suoni  oraorganici 
(esempj :  -nk-\  -ng-\  -gn-',  -nd-,  vàrna,  marana,  usana;  v.  p.  17-19, 
i  §§  38  e  55,  e  Assimilazioni).  I  suoni  indiani  che  rappresen- 
tiamo colle  lettere  seguenti:  k,  g,  t,  d,  p,  b,  7n,  non  differiscono 
dai  rispettivi  suoni  latini  od  italiani;  ma  il  g  sarà  naturalmente, 
qualsiasi  vocale  esso  preceda,  sempre  il  nostro  g  di  gatto,  gola, 
e  g  sarà  sempre  ia.  leggersi  come  il  nostro  g  di  urge. 
.  Cosi  non  ci  domanda,  per  ora,  alcun  particolare  commento  la 
pronunzia  di  quelle  quattro  lettere  che  incontriamo  di  poi  nel- 
l'alfabeto sanscrito  (;,  r,  l,  v),  e  vanno  comunemente  sotto  il 


§   4.    SISTEMA   FONETICO   DEL    SANSCRITO.  13 

tìòme  di  semivocali.  Per  j  s'intenda  il  suono  iniziale  del  no- 
stro jeri.  Succede  V  ultima  serie,  che  si  compone  delle  tre 
sibilanti  {(;,  s,  s),  e  àeìV aspirazione  {h).  La  terza  sibilante  [s) 
è  la  nostra  schietta  s  di  sette,  sera.  Le  altre  due  ({?,«)  poco 
0  punto  tra  di  loro  differiscono  nell'attuale  pronuncia  brama- 
nica,  e  a  un  di  presso  si  ragguagliano  all'  inglese  sh,  o  al  nostro 
so  in  scevro,  scena  *.  Ma  istericamente  sono  tra  di  loro  ben  di- 
verse; e  anche  dal  lato  della  pronuncia  (pur  tacendo  della  qua- 
lità di  lingicale  che  spetterebbe  a  s;  v.  p.  17  e  i  §§  42,43),  più 
ragioni  inducono  a  stabilire,  avere  un  giorno  differito  lo  s  (che 
noi  denominiamo  scia  secondo  pronuncia  italiana,  =  francese 
cha)  ben  più  che  lo  g  {ga)  non  facesse,  dalla  schietta  sibilante  s 
(sa).  Così  gli  odierni  volgari  sanscritici  dell'India  spesse  volte 
rispondono  allo  s  del  sanscrito  con  la  loro  tenue  aspirata  kh,  per 
«sempio  dikh  indostano  =  visa  sanscrito,  ^veleno',  ma  non  mai 
rispondono  in  questo  modo  allo  g  sanscrito,  al  quale  anzi  di  regola 
contrappongono  la  schietta  sibilante  s,  come  p.  e.  nell'  indostano 
szng  (ma  nello  zingarico:  sing)  =  grhga  sanscrito,  ''corno'  (v.  la 
Lez.  XIV);  e  analogamente  nell'Irania,  i  moderni  continuatori 
di  quei  suoni  che  nello  zendo  corrispondono  ai  sanscriti  s  e  g, 
sono  di  regola  s  per  il  primo  e  s  per  il  secondo;  esempj:  vus- 
ter,  curdo,  ''cammello'  =  ultra  sanscrito,  ultra  zendo  ;  ma  ^es 
curdo  =  'pagu  sanscrito  e  zendo,  ''bestiame'.  Rimane,  ultima, 
r  aspirazione  h^  che  si  pronuncia  come  un'  h  inglese  o  tedesca. 
Ma  le  ragioni  etimologiche  di  questo  suono  c'inducono  a  sta- 
bilire, che,  nella  maggior  parte  de'  casi,  s'abbia  in  esso  l'al- 
terazione indiana  di  uno  zh  o  z  {z  =j  francese)  del  periodo 
indo-irano  (§  3);  e  cosi,  a  dare  un  esempio,  verremo  a  rico- 
noscere, a  suo  luogo,  un  originario  migh,  'spandere  acqua ',^ 


*  Secondo  il  Colebrooke,  la  prima  (g)  si  accosterebbe  allo  sh  in- 
glese, la  seconda  sarebbe  un  suono  congenere,  più  aspro;  cfr.  Hoefer,. 
Zeitsclvtift  fUr  die  wissenschaft  der  sprache,  II,  180;  Trumpp,  Zeit- 
schrift  der  deutschen  morgenlàndischen  gesellschaft  ^  XV,  700,  718; 
Whitney,  Journal  of  the  American  Orientai  Society^  Yll,  353,  355; 
Lepsius,  Standard  alphabet,  sec.  ed.,  pag.  71. 


14  §   4.    SISTEMA   FONETICO   DEL   SANSCRITO. 

3»[j.'tj^_e'tó,  che,  pel  tramite  di  un  miz h'  o  miz  ìnào-ìrano,  si  riduce 
a  miz  zendo  e  a  mih  sanscrito.  Il  posto  clie  spetta  in  gram- 
matica all'attuale  aspirazione  h,  secondo  la  distribuzione  dei 
suoni  sanscriti  in  sordi  e  sonori,  alla  quale  non  tardiamo 
ad  arrivare,  è  qual  si  addice  all'anteriore  sua  fase,  testé  ad- 
ditataci dall'  etimologia  *. 

Troviamo  finalmente  Vanusvàra  e  il  visarga.  La  vocale  cui 
si  sovrappone  Vanusvdra  (^suono  accompagnatore')  è  nasaliz- 
zata, vale  a  dire  è  seguita  da  un  elemento  nasale;   il  quale, 
quando  gli  tenga  dietro  una  semivocale,  una  sibilante  o  h,  è 
ifievole  e  turbato;  e  quando  all'incontro  gli  sussegua  una  con- 
sonante de*  primi  cinque  ordini,  suona  identico  alla  nasale  del- 
l' ordine  rispettivo.  Avremo  quindi  1'  elemento  nasale  fievole  e 
turbato,   quale  a  un   di  presso  è  quello  del  francese  entrer  e 
simiglianti,  negli  esempj  che  ora  seguono:    ganu si,  nom.-acc- 
pi.  di  ganiis,  nascita,  creatura  ;      trigàt,  trenta  ;      masjàti  (ver- 
bo man  +  sja-ti),  reTj^xxterà,,  jasjàti  {yerho  Jam.  +  sja-ti),  costrin- 
gerà, correggerà;        a'has,  angus-tia;        vavamjàtai,  terza 
sing.  pres.  intensivo  di  vam,  vomitare;        ta   gagàpa  {tam  e 
gagdpa),  lo  maledi;  ma'  Jung anti  {mdm  e  junganti),  jungunt 
me.        E  all'incontro:  tà'  dadarga  [tam  e  dadarga),  lo  vide, 
ma'  pàti  [màm  pàti),  mi  protegge,  ma'  Hakarsa  [mdm  e  Ha- 
karsa),  mi  trascinò,  si  leggeranno  cosi  come  se  fosse,  e  può 
essere  scritto:  tàn  dadarga,  mdm  pdti,  m,dn  Jiakarsa.        Il 
visarga  rappresenta  uno  spirito  poco  o  punto  sentito,  a  cui 
secondo  determinate  regole,  si  riducono,   di  solito   alla  uscita 
della  parola,  i  suoni  s  q  r.  Così  àgva-s,  a  cagion  d'esempio» 
nominativo  singolare  del  tema  àgva,  cavallo,  darà,  combinan- 
dosi con  pibati,  beve:  àgvai  pibati,  equus  bibit;  e  gù",  nomina- 
tivo del  tema  gir,  invocazione,  discorso,  farà  in  pausa:  ^f;  **. 


*  Consulta  l'Indice,  sotto  h]  e  v.  nel  secondo  volume  degli  Studj 
critici  j  il  §  IV  del  secondo  Saggio  italico. 

■   **  Qui  pregcindiamo  daW anundsika  ('accompagnato  di  suono  na- 
sale'), segno  che  indica  esser  turbata  di  suono  nasale  la  vocale  o  la 


§   4.  SISTEMA   FONETICO  DEL"  SANSCRITO.  15 

Tre  diversi  accenti,  o  meglio  quattro  diversi  gradi  della  to- 
nalità sillabica,  si  distinguono  nel  sanscrito;'  e  noi  ne  tocche- 
remo con  brevità,  limitandoci  a  considerarti,  pressoché  esclu- 
sivamente, nella  singola  parola,  h'uddtta  (Inalzato'),  vale  a 
dire  Vacuto,  è  il  solo  vero  e  pròprio  accento.  La  sillaba  àtona 
{an-udàtta,  che  .non  ha  Vuddtta),  oppure,  al  principiò  dèi  di- 
scorso 0  del  verso,  la  serie,  di  sillabe,  àtone,  che  preceda  alla 
sillaba  coli' acuto,  si  fa  più  bassa  della  tonalità  ordinaria,  di- 
venta, cioè,  anuddttafara  (an  +  udàtta-tara,  'più  che  mancante 
di  accento  che  l'alzi'),  e  un  particolar  ségno,  quasi  un  accento 
negativo,  indica  questa  sua  condizione*.,  La  sillaba,  final- 
mente, che  sussegue  àlF  acuta,  ài\ enta.  smriia  f tonica'),  o,  in 
altri  termini,  assume  l'accento  svarila,  che  alcuni  grammatici 
europei  (poco  felicemente,  per  quanto  a  me  pare)'  hanno  inti- 
tolato: cit^conflesso;  locchè  viene  a  dire,  ch'essa  ha  una  to-, 
nalità  più  alta  dell'ordinària,  ma  non  così  alta  com'è  quella 
della  sillaba  coll'acuto.-  Diamo, ora,  con  qualche  ulteriore  schia- 
rimento, alcuni  eserapj ,  rendendo  V  uddtta  col  nostro  acuto, 
mentre  per  lo  svarita  ricorriamo  al  segno  del  grave,  e  una 
lineetta  ■  sottoposta  e'  indica  la  sillaba  che  è,  allo  stato  di  an-i 
uddttatara  : 

1.  ajmV^,ajippoTo;,  immortale;  -  acuta  la  sillaba  di  mezzo;  l'àtona 
che  la  precede,  è  abbassata;  e  la  terza,  di  mezza. altezza; 

2;  pradaksinit  (al  principio  del  verso),  'per  ipodo  di  offrire  il  lato 
destro';  abbassate,  almeno  in  grammatica,  tutte  e  tre  le  àtone 
che  precedono  l'acuta; 


consonante  cui  s'applica;  e  dai  due  ardha-visarga  ( ''mezzi-visarga', 
così  detti  dalla  forma  del  segno  che  negli  scolj  a  Panini  è  .comune 
ad  entrambi;  Boehtlingk,  Commentar  zum  Panini  iladex)^  414,  Be- 
merkungen  zu  Bopp's  gramm.^  11).  .  . 

*  Questa  condizione  corrisponde  a.ìV  anuddtia  dei  Pratigakhja;  al 
praRaja-svara  de'  quali  viene  dal  canto  suo  a  ragguagliarsi  il  sem- 
plice anuddtf a  della,  nomenclatura  addotta  dal  testo. 


1(5  §   4.   SISTEMA   FONETICO   DEL   SANSCRITO. 

3.  pradaJisinlt  (nel  mezzo  del  verso),  la  stessa  voce  di  prima,  ma 

con  le  due  prime  sillabe  nella  tonalità  ordinaria,  abbassandosi 
quella  sola,  che  immediatamente  precede  all'acuta; 

4.  nàvjà,  navigabile,  bhmigjà,  godìbile,  mangiabile;  sillaba  àtona 

abbassata,  innanzi  a  sillaba  di  mezz'altezza  (swari^a);  il  qual 
tipo  si  concilia  colla  regola  di  sopra  enunciata,  quando  sì  con- 
sideri nella  sua  condizione  anteriore:  navià,  bhougià*^  che 
non  è  diversa  da  quella  di  amftà  (  n.*'  1  :  anudattatara,  udatta, 
svarìta). 

Sono  pochissime,  nel  sanscrito,  le  parole  àtone  ;  e  nella  siifrS> 
gola  parola  àtona ,  vale  a  dire  nella  parola  àtona  isolata- 
mente considerata,  si  adopera  il  segno  di  anudattatara  a  in- 
dicare semplicemente  l'atonia  (quindi  non  più  la  condizione 
inferiore  all'atonia)  della  sillaba  o  delle  sillabe  di  cui  essa 
consta  ;  per  es.  tm-s  {tvas)^  'l' uno',  'taluno',  la  qual  sillaba  ri- 
sulterà semplicemente  àtona  per  es.  in  vi  mìmita  u  tvas,  'que- 
st'uno (quest'altro)  regola'..  Ma  di  molte  parole  sanscrite,  la 
scienza  europea  non  conosce  l'accento,  limitata  siccom'  è  agl'in- 
segnamenti dei  grammatici  indigeni  ed  alle  scritture  vediche, 
la  sola  parte  della  letteratura  in  cui  degli  accenti  sia  fatto 
uso.  Per  r  uso  nostro,  il  segno  dell'  anudattatara  si  rende 
superfluo,  eccetto  il  caso  di  singola  parola  àtona,  e  cosi  si  rende 
superflua  l'indicazione  dello  svarìta^  tranne  i  casi  in  cui  sia 
diventato,  com'è  in  nàvjà,  il  solo  e  vero  accento  della  parola. 
§  5.  Distribuendo  pur  le  vocali,  e  le  due  serie  dì  consonanti  che 
vengono  ultime  nell'alfabeto  (§4),  secondo  l'organo  a  cui  at- 
tribuiva il  posto  (sthana)  della  loro  produzione,  la  grammatica 
indiana  venne  eziandio  all'ordinamento  dei  suoni  sanscriti  che 


*  V.  la  Lezione  duodecima,  e  cfr.  Bohtlingk,  Ein  erster  versUch 
Ì4,ber  den  'accent  im  sanscrit  (Mém.  de  l'Acad.  impér.  des  sciences  de 
St.  Petersb.,  VP  sèrie,  T.  VII),  §  4;  Roth,  Nirukta,  lxii;  Ben- 
FEY,  Vollstànd.  gramm.  d.  sanskritsprache,  pag.  11,  Kurze  sankrit- 
gramm.,  pag.  7;  "Whitney,  1.  e.  (Atharva-Veda  Pratigakhja),  p.  489 
(o  Bopp,   Vergléichendes  accentuationssystem,  pag:.  12-13,  158). 


§§   5-6.    SISTEMI  FONETICI.  17 

ora  segue,  e  anch'esso  importa  alla  nostra  indagine*.  Ci  limi- 
tiamo, per  le  vocali,  alle  prime  cinque. 

li,  Rh,  (/,  (jhy  n,  j,  f. 
*,  ih,  <l,  (Ih,  n,  r,  s. 
t,     th,      d,     dh,     w,      ly      s, 


Gutturali  : 

a, 

Palatine: 

i. 

Linguali: 

T' 

Dentali  : 

/' 

Labiali: 

M, 

M,    py    ph,     b,     bh,     m. 

Ma  la  diligente  osservazione  degli  Indiani  è  altresi  riuscita 
a  un'altra  distribuzione  de' suoni,  che  è  d'alta  importanza  così 
per  la  fisiologia  come  per  la  grammatica,  e  non  è  mai  ben  riu- 
scita ai  grammatici  greci  od  ai  latini,  ed  anzi,  comechè  poggi 
su  d'una  distinzione,  avvertita  dal  Kempelen  sin  dallo  scorcio 
del  passato  secolo,  non  s'ebbe  familiare  fra  i  dotti  europei  se 
non  per  merito  degli  studj  fisiologici  e  grammaticali  che  tenner 
dietro  alla  divulgata  cognizione  del  sanscrito.  Seppe  dunque 
distinguere  la  grammatica  indiana  i  suoni  che  si  conseguono 
per  sola  emissione  di  fiato  da  quelli  che  richiedono  emissione 
di  suono  **^;  distinse,  cioè,  a  parlar  più  correttamente  coi  mo- 
derni fisiologi,  i  suoni,  nella  cui  produzione  l'aria  passa  per  la 
glottide  bene  aperta,  e  quindi  a  corde  vocali  ben  disgiunte, 
da  quelli,  nella  cui  produzione  le  corde  vocali  si  raccostano 
per  modo,  che  son  pronte  a  vibrare.  I  primi  {k,  t,  s,  ecc.)  noi 
diciamo  sordi,  i  secondi  {g,  d,j,  ecc.)  diciamo  sonori;  ed  ecco 
divisi  i  suoni  sanscriti  per  queste  due  categorie: 

Sordi:     /c,  A/i;  R,  Rh;  t,  th]  t,  th\  p,  ph;  g,  s,  s;  ;. 


*  Qui  si  dà  lo  schema  paniniano  (Scoi,  a  Panini^  ed.  Bohtlingk, 
pag.  2-3);  per  le  cui  divergenze  dagli  schemi  dei  Pràtigàhhja  si 
vegga  Whitney,  1.  e,  p.  351-59.  Alla  produzione  di  ciascun  suono, 
concorrerebbero  due  organi;  il  raen  mobile  de' quali,  quasi  il  passivo  , 
ò  detto  il  posto  (sthàna),  e  il  piti  mobile,  quasi  l'attivo:  lo  stromento 
produttore  (karana);  ib.  35L 

**  V.  i  §§  34  e  44,  e  la  Lez.  XIV. 

***  Nelle  consonanti  sorde,  l'emissione  è  fiato  {gvdsa),  nelle  so- 
nore (e  nelle  vocali),  è  suono  (nàda);  Rg-Veda  Pratiyàkhja, 

Ascoli,  Fonai,  indo-it.-gr.  2 


18  §§   5-6.    SISTEMI    FONETICI. 

Sonori:  Le  vocali  (brevi,  lunghe,  dittonghi);  le  nasali  e  Yanusvàra; 
le  semivocali;  h  (v.  §  4);  ff,  gh;  r/,  gh;  d,  dh;  d,  dh;  b,  bh. 

Né  a  questo  si  è  limitata  la  sagacia  indiana;  ma  ancora  di- 
stinse quelle  consonanti,  per  la  cui  produzione  si  forma  nella 
bocca  un  contatto  precludente,  da  quelle  per  la  cui  produzione 
il  contatto  è  imperfetto,  o  manca.  Poco,  o  pressoché  nulla,  resta 
cosi  da  aggiungere  agli  avvertimenti  indiani,  per  ottenere  e 
dichiarare  la  seguente  ripartizione  delle  consonanti  sanscrite, 
la  quale,  comeché  faccia  alcune  concessioni  all'uso  ed  alla  uti- 
lità pratica,  risponde  tuttavolta  alle  esigenze  dell'odierna  fìsio- 


logia. 

Espi 

osive. 

1 

Nas-ali. 

PYicative. 

1 

1 
Sorde. 

1 
Sonore. 

1 
Sorde. 

1 

Sonore. 

Gutturali  : 

k,   hh; 

^'  gh; 

n; 

[h*]. 

Palatine  (v.  § 

38)  : 

n,  Uh; 

Ù,  i/h; 

n; 

f> 

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Linguali  : 

t,    th; 

d,  dh; 

n; 

s; 

r  **. 

Dentali  : 

^   th; 

d,  dh; 

n; 

s; 

''ìv 

Labiali  : 

p,  ph; 

b,  bh; 

m; 

r 

Nelle  esplosive,  o  momentanee  (e  qui  naturalmente  non  con- 
sideriamo pili  la  sola  lingua  sanscrita,  ma  si  indistintamente 
una  lingua  qualsiasi),  il  contatto,  formatosi  in  una  determinata 
parte  della  bocca,  per  modo  che  l'uscita  dell'aria  resti  preclu- 
sa, si  proscioglie  ad  un  tratto,  sì  che  il  suono  quasi  esplode^ 
e  riesce  istantaneo,  tale  cioè  che  non  si  può  continuare.  Per 
le  fricative,  all'incontro,  formasi,  in  una  determinata  parte  della 
bocca,  non  più  una  chiusa  o  un  contatto,  ma  si  una  stretta, 
per  la  quale  l'aria  si  versa,  producendo  come  un  suono  di  sfro- 
fìnio,  che  può  indeterminatamente  continuare**.  Le  fricative 
perciò  diconsi  anche  continue,  e  noi  pure  verremo  cosi  chia- 


edito  dal  Regnier,  Journal  asiatique,  avril-mai  1858,  p.  291,  301-2, 
Atharva-Veda  Praticakhja,  edito  dal  Whitney,  1.  e,  p.  347. 

*  V.  la  n.  **  della  pag.  precedente,  e  la  n.  ***  della  susseguente. 

**  La  r,  consonante  tremula,  farebbe,  a  rigore,  classe  da  sé. 


§§  5-6.    SISTEMI    FONETICI.  19 

mandole  *.  Ma  questa  denominazione  è  meno  propria  dell'altra, 
perchè  son  continue  anche  le  nasali,  di  cui  facemmo  una  se- 
zione intermedia.  Si  ottengono  le  nasali  (tutte  sonore)  facendo 
il  contatto  come  per  le  corrispondenti  esplosive,  ma  senza  pro- 
scioglierlo, e  aprendo  all'aria  la  via  del  naso,  la  quale,  nella 
produzione  delle  esplosive  e  delle  fricative,  le  è  all'incontro  in- 
terchiusa  dal  velo  palatino  **. 

Le  consonanti  greche,  e  le  latine,  si  distribuirebbero  alla  lor 
volta,  secondo  le  norme  testé  accennate,  nel  modo  che  segue: 


Esplosive. 

1 

Nasali. 

Y(inYX,ecc.); 
v; 

Fricative. 

1 

*                       1               1 
*•                       Sorde.    Sonore. 

1  Gutturali:  x,  x;      y, 

ti 

^  Linguale  : 

1  Dentali:       t,  ^^;      o; 

1  Labiali  :       w ,  9  ;     p  ; 

1               i 
Sorde.      Sonore. 

spirito  aspro  ***. 

Q***. 

J'  (labiodent.e) 

*•  Gutturali:  k{c,q)',    g\     n(inaw^o,ecc. 
*  Palatale  : 


;!  Linguale: 

^  Dentali: 

t'-, 

d-, 

5  Labiali  : 

P'-> 

à', 

m; 


s (di septem);  s (di rosa);  l. 

labiodentali. 


*  Quelle  fricative  che  stanno  in  frequente  connessione  etimologica 
con  le  aspirate  {]i  =  eh  guttur.  ted.,  p  =  th  sordo  ingl.,  f,  e  pur  h  la- 
tino, che  in  realtà  più  non  è  una  vera  consonante)  addimandiamo 
eziandio:  spiranti  (v,  §§  30,  31,  32). 

**  La  nasale  è  continua ^  per  la  manifesta  ragione  che  gli  organi 
rimangono  nel  suo  proferimento,  e  possono  indeterminatamente  rima- 
nere, nella  stessa  disposizione  in  cui  sin  da  principio  si  mettono.  Erra 
quindi  Max  Mììller,  Lectures  on  the  science  of  languoge,  sec.  ser. , 
p.  152,  ponendo  le  nasali  tra  le  esplosive.  Nasali  ed  esplosive  hanno 
bensì  comune  tra  di  loro  il  contatto',  ma  gli  è  il  proscioglimento  di 
questo,  che  determina  l'esplosiva;  e  per  la  nasale,  all'incontro,  il 
proscioglimento  non  avviene  affatto. 

***  Circa  X,  ^,  9,  vedi  il  §  31.  Lo  spirito  aspro  e  il  latino  h 
non  possono  passare  per  vere  consonanti  (BrUcke,  a  p.  8  dell'opera 


20  §§  5-6.    Slh'TEMl    FONETICI. 

Le  te7iui  delle  vecchie  grammatiche  sono  dunque  tutte  con- 
sonanti sorde,  e  le  medie  di  esse  grammatiche  son  tutte  con- 
sonanti sonore;  ma  vi  hanno  consonanti  sorde  all' infuori  di 
coteste  tenui,  e  consonanti  sonore  all' infuori  di  cotesto  medie. 

Le  vocali  greche  (k  à,  t  i,  u  u,  s  v),  o  w)  e  le  latine  {a  à,  i  i, 
u  ù,  e  è,  0  ò),  cosi  semplici,  come  abbinate,  si  descriveranno 
riunitamente  quando  sarà  discorso  delle  loro  attinenze  etimolo- 
giche, e  si  passeranno  allora  in  rassegna  anche  le  vocali  u  m- 
bre  eie  osche.  Ma  delle  scritture  e  dei  sistemi  fonetici  del-- 
r umbro  e  dell'osco,  gioverà  sin  d'ora  notar  qualche  particolare. 
I  resti  che  abbiamo  dell'umbro  e  dell'osco,  parte  sono  nelle  ri- 
spettive scritture  nazionali,  parte  in  caratteri  latini.  Dell'osco 
c'è  pure  qualche  iscrizione  in  lettere  greche.  L'alfabeto  umbro 
non  ha  un  carattere  per  l'o;  e  quindi  si  confondono,  nelle  iscri- 
zioni in  cui  esso  è  adoperato,  l'o  e  Vu  (servendo  per  amendue 
il  segno  v),  che  si  distinguono  nell'umbro  a  caratteri    latini, 
comechè  meno  antico.  L'alfabeto   osco,  all'incontro,  dà  un  v 
munito  d'un  punto  (che  noi  trascriviamo:  ù)  per  l'o  dell'iscri- 
zione  osca  a   caratteri  latini,  ed   ha  ancora  un  suo   i  parti- 
colare, che  noi  trascriviamo  i,  riserbandoci  di  toccare  a  suo 
luogo   della   probabile   sua   pronuncia.   Cosi   l'alfabeto  umbro, 
come  l'osco,  distinguono  per  diversi  caratteri  il  v  dall' m,  distin- 
zione che  va  perduta  nei   monumenti  a  lettere   latine.  Quanto 
è  al  sistema  delle  consonanti,  paragonato  al   latino,  mancano 
imprima  all'alfabeto  umbro  il  ^  e  il  e?;  ma  che  non  mancas- 
sero alla   lingua,  ci  è  attestato  dall'umbro  a  caratteri   latini. 
Due  consonanti  particolari  all'umbro,  e  rappresentate  nell'alfa- 
beto nazionale  da  speciali  caratteri,  sono  quelle  che  noi  scri- 
viamo: {?  e  r;  la  prima   delle   quali  è  trascritta,  nelle  tavole 


citata  al  §  30).  Lo  C  ha  il  valore  prosodico  di  due  consonanti,  e  il 
suo  valore  fonetico  si  addimostra  per  noi  quello  di  i  (=  ^  frane.)  dop- 
pio o  rafforzato;  cfr.  lo  z  di  zio  nel  prospetto  delle  consonanti  italia- 
ne, e  v.  V Indice,  sotto  C,  ed  il  terzo  Saggio  greco  nel  secondo  volume 
ùagVi  Studj  critici.  Lo  5  (x  +  c)  e  lo  -]/  (Tt  +  d)  naturalmente  non 
compajono  in  questo  prospetto.  Non  facemmo  posto  allo  z  tra  ie( 
consonanti  hxtine.         Circa  la  fisiologia  di  p,  r,  v.  la  n.  **  di  p.  18. 


J5.^  5-0.    SISTEMI    FOXF/nCI.  21 

eugubine  a  carattei*i  latini,  per  una  s  con  sopravi  un'apice, 
distinzione,  tuttavolta,  che  di  frequente  è  trascurata  (quindi 
spesse  volte  la  semplice  s  latina  anche  pel  p  della  scrittura 
nazionale),  e  la  seconda  per  rs.  Della  loro' ragione  etimologica 
si  discorre  a  suo  luogo  {Lez.  II  e  VII).  Perchè  sempre  si 
distingua  senz'altro,  nella  nostra  trascrizione,  l'osco  o  l'umbro 
a  caratteri  nazionali  (che  è  il  più  antico),  dall'osco  o  dall'um- 
bro a  caratteri  latini,  adopereremo  il  corsivo  solo  per  questi, 
come  già  altm  hanno  fcitto  *. 

Proviamoci,  finalmente,  ad  aggiungere  una  ripartizione  delle  §  0, 
consonanti  di  nostra  lingua,  secondo  le  norme  fisiologiche  alle 
quali  abbiamo  obbedito  nel  distribuire  le  consonanti  indiane,  le 
greche  e  le  latine  **;  e  potremo  eziandio  toccare,  in  questo  in- 
contro, di  alcuni  elementi  fonetici,  proprj  a  varj  nostri  verna- 
coli 0  ad  idiomi  romanzi  non  italiani,  chiarendo  insieme  il  va- 
lore di  alcune  lettere  di  trascrizione  che  in  sino  ad  ora  non 
ci  sono  occorse. 


*  V.  ancora,  per  lo  z  umbro  ed  osco,  le  note  9  e  11  al  prospetto 
delle  Consonanti  italiane,  a  cui  tantosto  arriviamo.  I  dati,  che 
in  questa  Lezione  si  porgono,  varranno  poi,  in  generale,  anche  ad 
assicurare  sufficientemente  la  trascrizione  e  la  pronuncia  degli  esempj 
irani  e  litu-slavi,  che  nel  corso  della  nostra  trattazione  ci  avverrà 
di  addurre;  solo  si  aggiunga,  circa  i  primi,  sin  d'ora,  questo  av- 
vertimento: che  lo  zendo  ha  due  consonanti  assai  affini  allo  s  san- 
scrito, l'una  delle  quali  io  trascrivo  s  (=  s  del  Justi  e  del  Lepsius)» 
e  l'altra:  s  {=  sh  del  Justi,  s  del  Lepsius);  p.  e.  khsvas,  sex. 

**  Sono  notevoli,  massime  se  si  consideri  la  data  a  cui  risal- 
gono, i  tentativi  che  intorno  al  nostro  sistema  fonetico  ha  il  Lam- 
BRUSCHiNi  nella  sua  Guida  dell'  Educatore,  anno  secondo  (1837), 
pag.  298-310,  355-78.  Ma  il  Placgi  (Sul  meccanismo  della  pronun- 
cia mila  lingua  italiana,  osservazioni  del  doti.  Giuseppe  Placet  M. 
F.,  professore  di  fisica  nel  regio  liceo  di  Fermo,  Vicenza,  1809),  di 
cui  egli  si  giova,  onorandolo  di  molte  lodi  (anno  primo,  pag.  315, 
secondo,  pag.  298),  altro  non  fa  che  riprodurre  il  Kempelen  [Le  mé- 
canisme  de  la  parole,  suivi  de  la  descript ion  d'une  machine  parlante, 
Vienna,  1791);  e  del  plagio  singolare  e  impudentissimo  non  bastano 
•di  certo  a  scusar  costui  le  dichiarazioni  che  egli  preraetie  (p.  13). 


§§   5-0.    SISTEMI    FONETICI. 


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24  §§  5-6.    SISTEMI   FONETICI. 

Quanto  a  vocali  d'idiòmi  romanzi,  qui  ci  limitiamo  alle  se- 
guenti trascrizioni: 

e,  la  vocale  rumena  che  è  per  esempio  in  ved  (vedo),  e  suona  come 
un' e  oscurata;  - 

u,  la  vocale  rumena  (che  è  per  es.  in  Romun,  Rumeno),  rappresen- 
tata dal  juss  dell'alfabeto  cirilliano,  e  di  pronuncia  cosi  turbata, 
che  se  ne  trovano  trascrizioni  stranamente  fra  di  loro  diverse; - 

o,  la  vocale  lombarda,  ligure  e  piemontese,  che  ricorre  per  es.  in 
oju  (genov.),  olio,  ot  (piem.),  otto,  ov  (piem.),  uovo,  mod  (mil.), 
modo,  e  suona  come  Veu  dei  francesi  ;- 

u,  la  vocale  lombarda,  piemontese  e  ligure,  che  suona  come  I'm  fran- 
cese. 

Nel  riferire  esempj  che  spettino  all'  italiano,  allo  spagnuolo, 
al  portoghese,  al  provenzale  ed  al  francese,  noi  di  certo  non 
ci  permetteremo  alcuna  innovazione  ortografica;  ma  nel  ridurre 
a  caratteri  latini  le  voci  del  rumeno  (che  si  suol  servire  del- 
l'alfabeto cirilliano),  e  negli  esempj  romanci  e  di  vernacoli  no- 
strali, adopereremo  con  rigorosa  costanza  le  lettere  di  trascri- 
zione che  testé  offerimmo  *,  riserbando  ulteriori  proposte  a  più 
opportuno  luogo.  E  ora  non  parrà,  per  avventura,  superfluo  il 
vedere  riunite,  con  l'accompagnamento  di  qualche  esempio,  le 
lettere  di  trascrizione  che  abbiamo  testò  adottato  per  alcune 
consonanti  nostrali,  rumene,  e  romancio: 

e  (selce):  cine  rumeno  (cinque),  car  friulano  (carro),  dite  friulano 
(tutti),  cave  veneziano  (chiave),  noe  milanese  (notte): 

ff  (argento):  Unge  rumeno  (leccare),  gal  friulano  (gallo),  gat  engadi- 
nese  e  friulano  (gatto)  ; 

z  (  =  ^  francese):  zenoli  friulano  (ginocchio),  oze  veneziano  (voce), 
averze  veneziano  (apre),  drzola  sardo**  (aja,  areola); 


'*  Quando,  mi  rimanga  qualche  dubbio,  aggiungo,  tra  parentesi, 
la  ortografia  de'  miei  fonti;  e  talvolta  anche  l'adduco  perchè  il  lettore 
si  faccia  ben  sicuro  del  nostro  sistema  di  trascrizione. 

**  Per  sardo,  senz'altro,  s' intenda  sempre  il  dialetto  del  Logudoro, 


§  7.    AVVERTIMENTI    TECNICI.  '2^) 

i  (=j  francese):  zoo  rumeno  (gioco),  r/risu  genovese  (grigio;  v.  la 
n.  8  al  prospetto  che  precede),  asdid  romancio  (Bassa  finga- 
ci in  a),  aceto; 

/(scemo):  te.sti  rumeno  (è),  summa  napoletano  (fiamma),  .ni  geno- 
vese (fiore); 

/  (ira^^era):  tare  rumeno  (terra); 

VI,  (a^wolo):  guadaTi  milanese  (guadagno):  7i,ot  friulano  (notte). 

Resta  che  ora  aggiungiamo  alcuni  pochi  particolari  di  ordine  §  7, 
tecnico,  rimettendoci  pei  restanti  alla  intelligenza  di  chi  ci 
segue,  0  alle  dichiarazioni  che  tornerà  più  acconcio  d'inserire  in 
altri  luoghi.  Saremo  costretti  a  qualche  novità,  trattandosi  di 
studj  nuovi;  e  se  non  saranno  novità  felici,  io  mi  arrenderò 
volontieri  a  chi  le  proporrà  migliori.  Vi  ha   dunque  im- 

prima, che  dovendosi  qui  considerare,  di  solito,  non  le  let- 
tere dei  varj  alfabeti,  ma  bensì  i  suoni  ch'esse  rappresentano, 
già  sarebbe  strano,  per  ciò  solo,  che  adoperassimo,  a  indicar 
questi,  i  nomi  di  quelle;  e  si  aggiunge,  che,  volendo  pur  così 
adoperare  i  nomi  delle  lettere,  saremmo,  da  un  lato,  costretti, 
0  a  inutili  e  tediose  ripetizioni  (per  es.  la  emme  italiana  e  il  mi 
greco),  0  a  confondere  le  differenti  serie  di  nomi  (per  es.  la  emme 
greca  o  sanscrita),  e,  dall'altro,  non  riusciremmo  per  questo 
ad  evitare  modi  nuovi,  poiché,  a  dirne  una,  ci  mancherebbe 
parte  dei  nomi  anche  pei  suoni  di  nostra  lingua,  non  essendoci, 
a  cagion  d'esempio,  una  maniera  accettata  e  facile  di  nomi- 
nare quel  suono  che  occorre  per  primo  nella  voce  scemo  {s). 
Il  rigore  scientifico  e  il  bisogno  di  un  modo  uniforme,  perspi- 
cuo ed  agevole,  ci  inducono  a  denotare  una  qualsiasi  conso- 
nante, senza  far  distinzione  tra  lingua  e  lingua,  per  un  mo- 
nosillabo mascolino,  il  quale  consti  della  consonante  stessa, 
susseguita  da  un  a  breve.  Scriviamo  quindi:  un  p,  un  m,  uno 
th,  lo  s,  uno  i,  ecc.,  intendendo  che  si  legga:  un  pa,  un  ma, 
uno  tha,  lo  sa  (scià),  uno  za  {ja  frane),  e  così  via  via.  Di- 
remo iniziale  quel  suono  od  elemento  onde  la  parola  incomin- 
cia; finale  o  all'uscita  quello  per  cui  si  chiude;  e  mediano  ogni 
suono  od   elemento   che   stia   fra   questo    e   quello.  Nello 


26  §  7.    AVVERTIMENTI    TECiNlCI. 

scrivere  isolatamente  i  singoli  elementi  della  parola,  distinguia- 
mo V iniziale  per  una  lineetta  che  gli  facciamo  succedere  (per 
es.  &-);  il  finale,  od  uscente,  per  una  che  gli  precede  (-&);  e  il 
mediano,  con  una  lineetta  per  parte  (-&-).  Le  figure  teoriche, 
vale  a  dire  le  voci  o  parti  di  voce,  che  la  scienza  ricompone, 
ma  che  più  non  occorrono  nella  realtà  del  linguaggio,  si  fanno 
precedere,  quando  si  possano  temere  equivoci,  da  un  asteri- 
sco*. Un'alterazione  generale,  che  intacchi  un'intiera  serie 
di  suoni,  chiamiamo  tralignamento.  Cosi  v'ha,  a  cagion  d'e- 
sempio, il  tralignamento  della  media  originaria  in  tenue  go- 
tica (got.  kniu  =  gnu  ganu,  ginocchio,  ecc.);  così  la  media 
aspirata  originaria  (gh,  dh,  bh)  traligna  o  tralinea  in  tenue 
aspirata  greca  (greco  v^'cpo;  =  nabhas,  ecc.).  Elemento  asci- 

tizio chiamiamo  quello  che  si  aggiunge  al  radicale,  ed  è  suf- 
fisso se  a  questo  succede,  prefisso  se  gli  precede,  infisso  se 
vi  penetra.  Dei  nomi,  o  adduciamo  il  nominativo   singo- 

lare (ed  è,  quando  si  tratti  di  aggettivi,  il  nominativo  masco- 
lino 0  il  comune  a  più  d'un  genere),  oppure  il  nudo  tema,  che 
si  distingue ,  quando  non  coincida  col  nominativo,  per  una  li- 
neetta finale  (p.  e.  ferent-  latino,  nominativo:  ferens);  e  dei 
verbi  sanscriti  diamo,  di  regola,  il  complesso  radicale  e  la  terza 
persona  singolare  del  presente  attivo  (che  esce  in  -ti;  p.  e.  hhà- 
ra-ti,  fert)  o  del  medio  (che  esce  in  -tai',  p.  e.  gài-tai,  xsT-xat) 
traducendoli  per  l'infinito  italiano  o  latino. 


*  Per  altre  notazioni  tachig-rafiche,  y.  Vindice.-  Al  quale  Indice 
accennano  tutti  i  rimandi  che  si  troveranno  chiusi  tra  parentesi  e 
preceduti  dal  vedi  (p.  e.:  v.  ji'-;  Assimilazione;  v.  gv\  v.  a/');  e 
'àXV Indice  medesimo  vorrà  sempre  ricorrere  chi  desideri  la  serie  com- 
piuta degli  esemplari,  che  da  questo  volume  sì  possano  raccogliere 
per  un  determinato  fenomeno  che  sia  in  esso  descrìtto.  —  Un  nu- 
mero, senz'altro,  cita  la  pagina;  due  o  più  numeri,  il  primo  dei  quali 
seguito  da  virgola  e  l' altro  o  gli  altri  dal  punto,  citano  il  paragrafo 
ed  uno  o  piti  tra  gli  esempj  che  spettino  ad  esso  (p.  e.  :  10,  4.  5.  =  §  10 
n.«  4  e  5). 


LEZIONE  SECONDA. 

Le  due  sezioni  della  fonologia.  —    La  tenue  gutturale. 


Si  considerano  distintamente,  nella  fonologia  comparata,  §  8. 
due  diversi  ordini  di  fatti.  L'uno  di  essi  è  la  serie  dei  paral- 
leli etimologici;  dalla  quale  si  ricavano  le  norme  ed  i  modi, 
per  cui  i  singoli  elementi  dei  sistemi  fonetici  delle  diverse  lin- 
gue si  corrispondono  etimologicamente  tra  di  loro,  e  variamente 
continuano  il  sistema  primitivo,  al  quale  essi  tutti  risalgono. 
Cosi,  il  ragguaglio  del  greco  hup-  (67:-;  utt-vo-;  sonno)  col  la- 
tino soip-  (sop-or),  e  col  sanscrito  svap  {svàp-na-s,  sonno), 
entrerà  fra  gli  argomenti,  pei  quali  riusciamo  a  stabilire,  che 
il  p  greco  e  latino  sia  la  continuazione  normale  del  p  origi- 
nario, e  il  5  latino  e  lo  h  greco  sieno  in  siffatta  congiuntura 
i  normali  continuatori  dell'  originario  s.  E  comechè  per  simi- 
glianti  ragguagli  si  vengano  ad  avvertire,  pur  quando  si  tratti 
dei  più  nobili  idiomi,  non  pochi  fenomeni  di  assoluta  decadenza, 
tra  i  quali  starebbe,  a  cagion  d'esempio,  quello  del  h  greco 
dirimpetto  al  s  originario  (hup  =  sup  =  svap),  si  può  dir  tutta- 
volta,  che  queste  operazioni  ragguagliative  concernano,  gene- 
ralmente parlando,  lo  stato  sano,  0  meglio  fisiologico,  degli 
organismi  idiomatici.  I  fatti  dell'altro  ordine,  all'incontro,  co- 
stituiscono le  serie  parallele  degli  accidenti  patologici  di  questi 
organismi;  le  quali  ci  portano  a  scrutare  quelle  cause  di  alte- 
razione, il  cui  effetto,  più  0  men  frequente,  più  0  men  profondo, 
si  produce  in  modo  uguale  od  analogo,  ora  su  questo  or  su 
quel  suono  o  complesso  di  suoni  originarj  od  antichi,  ed  è  spesse 


28  §  8.    LE    DUE     SEZIONI    DELLA    FONOLOGIA, 

volte  deleterio,  sì  che  essi  ne  vadano  snaturati  e  distrutti.  Cosi' 
restando  all'esempio  di  prima,  Vu  del  hup-  greco  (  =  svap,  sop-ì 
si  manifesta  essere  una  contrazione  del  complesso  originario  va, 
non  estranea  pure  al  sanscrito  {sup-tà,  che  ha  dormito),  della 
quale  contrazione  si  tenterà  l'istoria;  e  il  p  della  stessa  ra- 
dice (sop-),  imbattutosi  in  un  n,  si  altera,  nell'Italia,  prima 
nel  m  del  latino  som-no-  (*sop-no  -tm-w^  svàp-na;  assimilazione 
parziale),  poi  nel  n  dell'italiano  son-no  (assimilazione  totale), 
e  infine  tramonta  del  tutto  nel  ,s'ono  dei  Veneziani;  dove  l'India 
seriore,  quasi  ad  impedire  il  lavoro  assimilativo,  aggiunge  alla 
sua  volta  un  elemento  anorganico  tra  radice  e  suffisso  (pra- 
crito  sib-i-na- =  sscv.  svàp-na-),  e  quindi  ha  un'alterazione  che 
intacca  la  parola,  e  non  più,  almen  direttamente,  alcun  sin- 
golo suono  di  essa. 

Lo  studio  del  primo  ordine  di  fatti ,  costituisce  naturalmente 
la  prima  e  più  importante  sezione  della  fonologia  comparata. 
E  la  sezione  comparativa  o  ragguagliativa  per  eccellenza,  e 
potrebbe  dirsi:  dei  continuatori  etimologici  de' suoni  originarj. 
La  seconda  sezione,  in  cui  si  considerano  i  fatti  dell' altr' or- 
dine, e  si  potrebbe  dire:  dei  fenomeni  patologici  o  degli  ac- 
cidenti, ha  anch'essa  la  sua  diretta  importanza  nell'opera 
riunifìcatrice,  sia  perchè  pur  v'  ha  un  certo  numero  di  questi 
accidenti  che  risale  a  periodi  anteriori  alle  divisioni,  sia  per- 
chè non  pochi  ragguagli  etimologici  si  ottengono  od  almeno  si 
assicurano  sol  per  lo  studio  di  questi  fenomeni  medesimi;  ma 
la  sua  principale  utilità  consiste  in  ciò,  eh'  essa  ci  offre  Visio- 
ria  com,parativa  dei  detrimenti  fonetici,  ai  quali  le  antiche 
figure  vengono  soggiacendo  nel  tempo  e  nello  spazio.  Non  è, 
del  resto,  sempre  agevole  il  riconoscere  il  confine  che  separa 
l'una  sezione  dall'altra,  né  sempre  è  agevole  od  opportuno  il 
religioso  rispetto  di  questo  confine.  La  prima  sezione  anticipa 
quasi  inevitabilmente,  e  in  misura  non  iscarsa,  sull'opera  della 
seconda;  anzi,  a  rigore,  si  potrebbe  dire,  che  quella  usurpa 
su  questa  anche  tutta  la  molta  parte  dei  continuatori  etimo- 
logici ,  in  cui  non  s' abbia  una  continuazione  inalterata  dei 
suoni  primitivi. 


§  9.    ORDINE   NKI.LO    STUDIO    DEI    COSTIJS'UATUIil ■  '2\) 

Venendo  ora  senz'  altro  allo  studio  dei  continuatori  etimo-  ^  0. 
logici,  considereremo  imprima  le  consonanti,  e  poscia  le  vocali. 
La  dissonanza  tra  lingua  e  lingua,  se  pur  non  sia  minore» 
riesce  di  certo,  in  generale,  men  sensibile  rispetto  alle  vocali 
che  non  rispetto  alle  consonanti;  ma  appunto  per  questo,  torna 
più  logico,  in  una  trattazione  come  la  nostra,  che  il  ragguaglio 
delle  consonanti  sia  mandato  innanzi  a  quello  delle  vocali.  Im- 
perocché, ove  si  tenti  per  primo  il  ragguaglio  di  queste,  s'in- 
contrano di  continuo  difficoltà  soverchie  nella  parte  non  ancora 
studiata,  cioè  nelle  consonanti  che  si  accompagnano  alle  vocali 
nelle  parole  che  si  vengono  tra  di  loro  comparando.  Cosi,  a  dir 
di  un  esempio,  importa  di  considerare  il  latino /?r-mo-  (  =  dhar-ma) 
tra  i  casi  di  /  latino  per  a  radicale  originario;  ma  il  parallelo 
fir  =  dhar  non  avrà  alcuna  evidenza  per  chi  non  abbia  ancora 
appreso  a  ricondurre  il  /"latino  all'originario  clh.  Se,  all'incon- 
tro, senz'avere  ancora  riconosciuta  l'equazione  i  lat.  =  «orig.,  ci 
varremo  del  lat.  fir-  di  firmo-,  cioè  di  fir  =  dhar,  tra  gli  esempj 
pei  quali  si  dimostra  l'equazione  f-  lat.  =  dh-  orig.,  la  dissonanza 
non  ancora  chiarita  {i  =  a)  qui  manifestamente  nuocerà  assai 
meno  all'evidenza  del  riscontro. 

La  prima  consonante  che  ci  occorre  nell'  alfabeto  sanscrito,  §  10. 
eletto  ormai  a  nostra  guida  (§  3  in  f.),  è  la  tenue  gutturale:  k, 
della  cui  ragione  fisiologica  sarà  ritoccato  in  appresso  (§  38). 
Negli  esempj  a  cui  tosto  veniamo,  vi  avrà  concordanza  perfetta, 
in  ordine  a  questa  tenue,  tra  la  favella  indiana,  dall'una  parte, 
e  amendue  le  nostre  favelle  europee,  o  l'una  almeno  di  esse, 
dall'altra.  Precederanno,  qui  e  sempre,  gli  esemplari  in  cui  il 
fenomeno  sia  iniziale,  di  poi  avranno  posto  quelli  in  cui  si  abbia 
mediano;  ultimi,  dove  ne  sia  il  caso,  verranno  quelli  in  cui  oc- 
corra finale  (§7). 

L  Sscr.  (vedico)  kdm^  di  sicuro,  veramente;-       gr.  xi'v,  xdt  dor.,  xs 

(V.  Ind.)j  per  es.  :  t~)v  xev  tu;  to5'  e/ria-tv,  ì-kiÌ  5xvs  oTo?  'Oouaas'j;, 

I»  ,       un  di  loro  certamente  l'avrà,  morto  che  sia   il   divino    Ulisse 

(  Odiss.,  I,  396).         E  in  ispecie  si  confrónti  nù  kfim  =  Yj   xs» 

(Benfey,   Glos^.   al   Sàinaveckij   pag.  46),  p.  e:  ima  nù  kam 


30       §  10.    k   ORIGINARIO  ;  -      k  SANSCRITO,    X   GRECO,    C   LATINO. 

bhùvand  slsadhàma^  ora  veramente  compiremmo  queste  creazioni 
(operazioni;  rgv.,  X,  157,  1),  xocl  vu  xsv  stpuade'v  te,  e  certamente 
[Io]  avrebbe  trascinato  (IL,  III,  373)*. 

2.  Sscr.  har^t  kr-nd-t-ti,  torcere  il  filo,  filare  (cfr.  ìiart ,  nectere, 

§  13),  kar^t-ana-m,  il  filare;-      lat.  crd-t-es**. 

3.  Sscr.    kar-t   Mr-t-a-ti   hr-n^t-d-ti ,    tagliare ,    recidere ,    kar-t- 

-ana-m,  il  recidere,  kar-t-ari,  forbice,  coltello  da  caccia;  -  lat. 
cul-t-er.        Sscr.  kf-t-ti'S,  pelle;-      lat.  cor-t-ex. 

4.  Sscr.  kùpa-s,  caverna;-      lat.  cupa,  nicchia  mortuaria,   bot- 

te;-     gr.  xuTTV]  (Esichio),  caverna,  cavità. 

5.  Sscr.  (vedico)  krp,  bell'aspetto,   beltà,  splendore  {svdjd  krpà 

tanvd  rdukamdna:,  risplendente  per  la  sua  bella  parvenza  e 
pel  corpo,  rgv.,  VII,  3,  9);  zendo  keref-s  (nom.),  kehrp-em  (acc), 
corpo,  carne  ;  armeno  kerp,  forma,  figura  ;  -    lat.  corp-us  ***. 

6.  Sscr.  kravis,  kravj~am,  carne  cruda,  carogna,  kravjàd-  {  kra- 


*  Questo  esempio,  che  l' ordine  alfabetico  e  la  scarsità  degli  esem- 
plari per  k  dinanzi  a  vocale,  c'inducono  a  metter  primo,  domande- 
rebbe veramente  lunga  legittimazione.  V.  Vlnd.,  e  Pott,  Elymolog. 
forsehung.,  sec.  ediz.,  I,  424-8. 

**  Mi  pare  molto  probabile,  che  il  nucleo  radicale  kar  kra,  base 
di  questo  kar-t  (torcere,  contessere),  non  sia,  in  fondo,  diverso  dal 
sanscrito  kar  kir^d-ti,  spandere,  gettare,  cospergere,  ricoprire,  dove 
è  da  confrontare,  rispetto  ai  significati ,  l' indo-irano  vap,  spargere, 
cospergere,  tessere;  dal  quale  kar  non  vorrei  disgiungere  i  greci 
xep-!xv-vu-[ji.t,  xip-v7i-(x[,  mescere,  mescolare,  mandare  insieme,  combina- 
re, che  il  Bopp  gli  ha  raccostato.  Cfr.  Pott,  Wurzel^wurterbuch,  I,  4, 
CoRSSEN,  Aussprache  ecc.,  I,  sec.  ed.,  443,  e  ancora,  circa  i  signi- 
ficati, qui  più  innanzi,  il  §  12,  num.  5.  Ma  ad  ogni  modo  non 
saprei  congiungere,  come  fa  il  Curtius,  Grundzùge,  n.  76,  questo 
kar  sanscrito  (cospergere,  ecc.)  col  gr.  xpi-vco  =  lat.  cer-no]  paren- 
domi evidente,  che  il  kar,  a  cui  risalgono  xpfvio  e  cerno,  sia  all'in- 
contro quel  diverso  kar,  base  del  kar-t  che  qui  sussegue  (  tagliare, 
recidere),  il  quale  ritorna  pur  nel  greco  xetpto,  recidere;  dove  sono  da 
confrontare,  rispetto  ai  significati,  il  latino  decadere,  il  tedesco  schei- 
den,  eni-scheiden  (scernere,  decidere;  etimologicamente:  scindere),  e 
simili.  Cfr.  ancora  i  sscr.  gar  e  kar,  §  13,  12. 

***  I  significati:  corpo,  forma,  bella  forma,  bellezza,  si  vedono 
riuniti  nel  sanscrito  vdpns. 


§  10.  li  originario;-    k  sanscrito,  x  greco,  c  latino.        31 

vja  +  ad),  carnivoro,  mangia-cadaveri ;  -  gr.  xpsa;  (v.^),  car- 
ne;- lat.  caro  (caren-,  v.  v).  Sscr.  hrù-rd-s,  sanguino- 
lento (e  quindi,  come  il  lat.  cruentus,  cosi  quello  che  manda 
come  quello  che  sparge  sangue),  crudele,  tremendo,  aspro,  du- 
ro ;  -       lat.  cruor,  cru-znta-Sj  cru-du-s,  cru-d-eli~s  *. 

7.  Sscr.  hsard-s,  rasojo;-      gr.  $upo-;,  $upo-v,  rasojo. 

8.  Sscr.  -ka,  p.  e.  in  dhdi"in-i-\^ò.-s ,  giusto,  virtuoso,  da  dJidrma-, 

statuto,  dovere,  ecc.  ;  -       gr.  -xo,  p.  e.  in  /pov-t-xo-;,  che  con- 
cerne il  tempo,  da  ypó^o-,  tempo;-     lat.  -co,  p.  e.  in  coel-i-co 
(coelicus),  da  coelo-, 

9.  Sscr.  skand  sJidnd-a-ti,  salire,  scandere,  cadere,  elabi,  effluere, 

skav-nd-  (skad+na),  e'iapsus;  iramissus,  infusus  (de  semine)  **;- 

lat.  scand-ere. 
^10.  Sscr.  nok-  (v.  §  13),  nakta-,  ndkti-s,  nakfcm-,  notte,  ndkta-m 

avv.,  di  notte;-       gr.  vu^  (vuxt-),  notte;-       lat.  nox  {noeti-). 
11.  ^cr.  daJis  ddks-a-tai ,   essere  atto,    valente,    daksd-s  ^   valente, 


*  Tra  i  molti  paralleli  zendi,  che  lo  Justi  (Ilandbuch  der  zendspra- 
che,  p.  92)  adduce,  sarebbero  il  participio  attivo  khrvant-  {=  cruent-u-s), 
tremendo,  e  l'altro  participio,  ch'egli  dice  medio  :  khrùta-,  pel  quale 
ha  l'esempio:  zimó  khrùta-hèj  dell'inverno  che  offende  (ferisce).  Ma 
saremo  veramente  al  nostro  crudo  verno ,  e  così  raggiungeremo  il 
gr.  xpu-o;,  gelo,  ecc.  Cfr.  Curtius,  o.  c,  n.  77.-  khr  zendo  = /cr 
sanscr.  ecc.,  ò  normale  (v.  Aspiromenti). 

**  Sarebbe  uno  scandere  ancora  indifferente  tra  Vad-scendere  e  il 
de-scenderc,  cfr.  il  sscr.  pat,  volare  e  cadere,  =  gr.  ttst  di  7ri-7rT-(o, 
cadere ,  TOx-oaat ,  volare ,  che  è  quanto  dire  il  muoversi  rapido  così 
dall'alto  in  basso  come  dal  basso  in  alto.  Il  Westergaard  {Radices, 
s.  skand)  ha  pel  valore  di  ascendere  l'esempio:  drapsas  tai  md  dja 
skan  ( 'skand ),  che  non  salga  (?)  la  goccia  tua  al  cielo.  All'incontro, 
sempre  accanto  a  drapsa-  (  goccia  ) ,  col  significato  di  effluere  sen- 
z' altro,  e  quindi  descendere,  abbiamo  {rgv.  ,  X,  17,  11.  12.  13): 
drupsdg  Uaskanda,  drapsd:  skdndati,  drapsd;  skannd:.  Ma  dai  valori 
che  skand  assume  nel  congiungersi  coi  varj  prefissi,  meglio  ancora 
si  rafferma  la  sua  identità  collo  scandere  latino;  p.  e.:  avaskand, 
ascendere,  oppugnare.  —  È  all'incontro  pih  che  problematico  se  qui 
spetti  l'esichiano  «jxtvS-apo?,  ^  eTravdtaTaaK;  vjxtò?  àcppoSiauov  '^vexoc  (vedi 
Benfey,  Orient  u.  occident,  II,  754),  comechè  vi  si  aggiunga:  Phot, 
lex.  ms.  TXtvSaXeijeiv.  tò  vuxxwp  IzavasT^voct  àxoXàaxtoc;. 


32       §  IO,  k  originario;-     k  sanscrito,  x  greco,  c  latino. 

abile,  ddksma-s,  abile,  destro  (che  ò  a  mano  destra  ♦),  pra- 
-daìisinit,  per  modo  di  offrire  il  lato  destro  (4,  2.  3.);-  gr. 
8£;co-;,  abile,  che  ò  a  mano  dritta,  8e;tT£po-;  (forma  compara- 
tiva, che  sanscritamente  suonerebbe  da/jsa-^ara-s),  id.;-  lat. 
dex-ùer,  dex-timu-s  (forma  superlativa,  che  sanscritamente  suo- 
nerebbe ddksa-tama-s). 
12.  Sscr.  maksù-tama-s,  prontissimo,  maksù  {maksù)  avv.,  pronta- 
tarasnte,  tosto;-       lat.  mox. 

§11.  Alla  equazione  unisona:  k  sscr.  =  x  gr.  =  c  lat.,  offertaci  dagli 
esempj  che  testé  sentimmo  e  da  altri  consimili  che  in  appresso 
ci  occorreranno,  aggiungendosi,  dall' un  canto,  la  testimonianza 
concorde  delle  altre  lingue  della  famiglia,  per  la  quale  breve- 
mente citeremo:  kareta-  zendo,  coltello  (10,  3.),  kraùjes  Wìwù.- 
no,  sangue  (10,6.),  naktìs  lituano,  na/i^5  gotico**,  notte  (10, 
10.),  e,  dall'altro,  le  ragioni  generali  dell'economia  del  siste- 
ma fonetico  indo-europeo,  le  quali  verremo  a  mano  a  mano 
riconoscendo,  ce  ne  risulta,  che  nella  corrispondenza  etimolo- 
gica: k  sscr.  =  3t  gr.  -  e  lat.  s'abbia  la  continuazione  inalterata 
della  tenue  gutturale  originaria  (/«);  ed  è  quanto  dire,  che, 
negli  esempj  a  cui  alludiamo,  le  tre  nostre  favelle  si  manten- 
gano, rispetto  a  questo  suono,  nella  condizione  proto-aria- 
na (§3).  Ma  alla  continuazione  intatta  fallisce  spesse  volte 
l'una  0  l'altra  o  più  d'una  delle  tre  voci,  od  anche  le  falli- 
scono tutte  e  tre,  per  effetto  di  varie  vicende  della  tenue  gut- 
turale originaria,  che  noi  verremo  partitamente  esaminando;  e 
intanto  incominciamo  dal  riconoscere  le  alterazioni  compiutesi 
nella  voce  asiatica,  le  quali,  in  ordine  alla  loro  estensione,  son 
qui  maggiori  di  quelle  che  abbiano  subito  le  voci  europee.  Si 
ha,  dunque,  gran  numero  di  esempj,  ne' quali  i  riflessi  greci,  ita- 
lici, germanici  (e  celtici)  offrono  quello  stesso  suono,  che  negli 
esemplari  testé  discorsi  vedemmo  continuare,  d'accordo  col  k 


*  E  quindi  il  meridionale  (il  Dekhan,  cfr.  pracr.  dakhina- =  sscr. 
daksina-);  v.  Studj  orientali  e  linguistici,  I,  219. 
•     **  h  got.  :  k  sscr.  ecc.  :  :  f  got.  :p  sscr.  ecc.  ;  v.  la  nota  a  p.  62-64 


§11.  /s  ORIGINARIO  ;  -      f  SANSCRITO,    X   GRECO,    C   LATINO.  33 

sanscrito,  la  tenue  gutturale  originaria,  mentre  il  riflesso  san- 
scrito, all'incontro,  ci  offre,  non  piti  k,  ma  bensì  fé  (tenue  pa- 
latina) 0  Q  (sibilo  palatino),  e  in  ispecie  questo,  come  si  vede 
dalle  prove  che  ora  seguono. 
Esempj  di  g  sscr.  =  y-  gr.  =  e  lat.  (  =  k  originario)  *. 

1.  Sscr.  gaid-m^  cento,  gatd-pad-,  centipede  ( £->cs'.To-a--rtoo- ,    centi- 

ped-)  ;  -       gr.  é-xaTo-v  **  :  -      lat.  centu-m. 

2.  Sscr.  ca<^,  d-gad-a-t  (3.  pers.  sing.  aor.  att.),  cadere  ***  ;  -      lat. 

cad-ere. 

3.  Sscr.  grdd  (indecL),  fiducia,    fede,  grad-dhà,   fede,  grad  +  dhà 

grdd  +  dadhati,  porre  fede,  credere  ****  ;  -      lat.  crè~do  crè-didi. 

4.  Sscr.  grd  grà-ti  (partic.  perf.  pass,  gr-td-,  grd-nd-),  cuocere; - 

lat.  cre-m-are  (v.  Introduz.  alla  Morfei.,  s.  -ma;  e  Metatesi). 


*  Per  questa  equazione  si  possono  vedere  gli  Studj  cHticiy  II,  74'-81. 

**  V.  ib.,  239-40. 

***  Non  so  astenermi  dall' addurre  il  sscr.  gad  accanto  a  cad-ere 
latino,  comechè  io  debba  confessare  che  il  significato  di  cadere  non 
mi  paja  ancora  sufficientemente  assicurato  per  lo  gad  del  sanscrito 
e  dello  zendo,  malgrado  la  dichiarazione  indigena  (gad  =  gàtanai)  ^ 
e  la  concorde  traduzione  che  il  Benfey  ed  il  Kuhn  ci  danno .  della 
terza  del  pi.  perf.:  gà-gad-ùs  {rgv.,  II,  20,  4,  son  periti),  e  lo  zendo 
gad-aja~t  (causat. :  he  made  to  happen,  to  cause),  e  il  sanscrito 
gàda,  che  il  Benfey  (sdmav.,  II,  5,  2,  3,  7)  rende  per  'goccia'  (la 
cadente).  All'incontro  mi  pare  assicurato  il  valore  di  'atterrare'^ 
'vincere',  alle  forme  intensive:  gà-gad-dna- ,  gd-gad-mdhai.  -  Cfr. 
RoTH,  Nirukta,  ad  VI,  16,  14;  Kuhn,  Zeitschrift,  I,  91-2;  Ben- 
fey, Gloss.  al  Samav.,  s.  1  gf  (p.  60);  Haug  e  Destur  Hoshengji 
Jamaspji,  An  old  zand-pahlavi  glossary,  122;  .Tusti,  o.  c,  s.  gad', 
Spiegel,  Die  altpersischen  keilinschriften,  s.  thad. 

****  grdd  vigvd  vàrjd  krdhi,  fa  [che  si  compiano  con]  fiducia  tutti 
1  sagriflci  (rgv.,  VIII,  64,  2);-  graddhdm  prdtdr  havdmahai  grad- 
dhàm  madhjà'dinam  pdri  /  graddha  sùrjasja  nimritìii  grdddhai  grdd 
dhdpajaihd  na: ,  la  fede  di  buon  mattino  invochiamo,  la  fede  sul 
mezzodì,  la  fede  al  tramonto  del  sole,  o  fede,  fa  che  qui  noi  conse- 
guiamo fiducia  (rgv.,  X,  151,  5). 

Ascoli,  Fonol.  indo-H.-ur.  3 


.14  §11-  /t  originario;  -      r.  SANSCRITO,    y-   GRECO,    e    LATINO. 

5.  Sscr.  gru  gr~ndu-ti,  udire,  gru-ti-s,  notizia,  vi-gru-ta-,  famige- 

rato, grdv-as  (ved.),  gloria;-  gr.  xXó-w,  odo  (imperat.  aor. 
xXu-5t  =  sscr.  gru-dhi),  /.Xu-to-;  (=  sscr.  gru-td~s),  celebrato, 
xXs'o?  (y.'kzp'-oi;,  r.  v),  gloria;-  lat.  clu-o,  clu-e-o,  clu-tu-'S  ^ 
in-clu-tu-s  (v.  gì  -  "ci  ). 

6.  Sscr.  grduni-s ,  graunl^   coscia,   lombo;-       gr.   xXo'vt-;   (v.  ^), 

coccige;-      lat.  cUìni-s. 

7.  Sscr.  gvan-  (nom.  gvd,  acc.  gvàn'am,  gen.  gùn-as),  zendo  gpan- 

(*cvan,  V.  §  17,  in  n.)  e  guni-,  cane;-  gr.  xuojv  ('xuov-?;  gen. 
xuv-o;  =  sscr.  gùn-as),  cane;-      lat.  cani-s  (v.  y,  e  il  §  20). 

8.  Sscr.  dg-ri-s,  il  lato  aguzzo  di  un  oggetto;  angolo;  taglio  della 

spada;  Rdtur-agri-  Katur-agrd-,  quadrangolare;-  gr.  ox-pi-;, 
punta,  asperità;  ax-po-;,  estremo,  che  è  in  cima,  tò  ax-po-v,  la 
cima,  ax-pt-;,  vetta  di  monte;-  lat.  oc-ri-s  (Festo:  ocrem 
antiqui,  ut  Atejus  philologus  in  libro  glossematorum  refert, 
montem  confragosum  vocabant,  etc);  ac-u-s,  ac-u-o,  ac-ie-s. 

9.  Sscr.  dg-ù-s,  veloce,  àgìjdn  (tema:  dgijàs),  piti  veloce,  àgistha-s, 

velocissimo;-  gr.  wx-i)-?,  veloce,  ojxt'wv,  piti  veloce,  wx^tto-?, 
velocissimo;-  lat.  oc~i-'ter,  6c-ior,  6c-is-simu-s;  acw-ped-iu'-s., 
piè-veloce. 

10.  Sscr.  kaldga-s,  boccale,  vaso  (in  cui  stilla  il  Soma),  scodellina; 

dhrsdt  piba  kaldgai  sdamam  indra,  bevi  nel  nappo  gagliarda- 
mente il  Soma,  o  Indra  (rgv.,  VI,  47,  6);-  lat.  calic-s',-  gr. 
xuXt^  (V.  u  =  a),  coppa,  calice. 

11.  Sscr.  ddga-*,  dieci,  dagd-t-,  decade,   Z)apa-/)m'a-m- =  Decapoli , 

daga-md-s,  decimo  ;  -      gr.  Be'xoc,  dieci  ;  -      lat.  dece-m,  deci-mu-s. 

12.  Sscr.  pag-ù-s,  pecus;-      lat.  pec-u  {pecu-bus  =  zendo  pagu-bja), 

pec-us  (*pecos-is  pecoris),  pec-ud-  (pecus  pecudis). 

13.  Sscr.  pfg-ni-s,  screziato,  variegato,  pezzato  ;  -       gr.  Ttepx-vo;,  TiEpx- 

-0-;,  macchiettato,  chiazzato  di  nero,  nerastro  (Figk). 

14.  Sscr.  darg  da-ddrg-a  (perf.),  vedere,  darg-atd-s  (=  Aepxsxo;),  che 

ò  da  vedersi,  appariscente,  cospicuo;-  gr.  Sspx-o-aai-  (perf.  Se- 
-oopx-a),  vedo.. 

15.  Sscr.  dàg  ddg-a-ti,  mordere; -    gr.  oix-v-w  (aor.  e-Sijcx-o-v),  mordere. 

16.  Sscp.  dig  {di-dais-ti  )  di-g-d-'ti ,  assegnate,  segnare,  mostrare,  upa- 

-dig-*  (u7ro-8e^x-vu-[j«),  indicare,  esporre,  insegnare  pra-^dig^  (Tcpo- 


V.  Studj  critici,  II,  222-35. 


p 


§  12.  k  ORIGINARIO  ;  -      a   SANSCRITO,  X  GRECO,   C  LATINO.  35 

«■S£6t-vu-[At),  indicare,  prescrivere;  daig-i-nl,  il  dito  indice;-  gr. 
Seix-vu-uii ,  io  mostro,  ùU-ri  (veramente:  direzione,  =  sscr.  dig-ày 
direzione,  indi:  plaga),  costumanza,  uso,  diritto;  -  \a.i.  in-dìc- 
(in-dec-s),  dlc-a-re,  vi-dlc-a-re;  dic-is  causa  (per  mostra);  delco 
(dico,  osco  deik-um,  dire),  dlc-ax. 

17.  Sscr.  naQ  ndg-a-ti  (cfr.  §  13,  13),  perdersi,  dileguarsi,  andare 

in  ruina;  al  causativo:  ndg-dja-ti,  far  disparire,  mandare  in 
ruina;  ndg-vara-s,  caduco;  zendo  nag-u-s,  cadavere;  -  gr.  vsx- 
-u-;,  cadavere,  vex-po-;,  morto;-  lat.  nec~s,  nec-O',  noc-sa, 
noc-e-o  (  =  sscr.  ndg-dja-). 

18.  Sscr.  nag  ndg~a-ti   (con  nasale  interna:   zendo  nàg^at ,  tipo  di 

terza  sing.  d'imperfetto;  sscr.  nà'g-iy  aor.  pass.),  raggiungere, 
conseguire;-      lat.  nanc-ì-sco~r,  nanc-tu-s,  nac-tu-s. , 

Ora  pochi  esempj  per  la  infrequente  equazione:  U  sscr.  =  /.  gr.  §  12, 
=  clat. ;  =k  originario  (cfr.  §§  19;  41,  4): 

1.  Sscr.  Rakrd-,  ruota,  disco;-      gr.  xuxXo-;,  circolo.  [V.  §  19,  in  n.] 

2.  Sscr.  ìiand~rd-s,  sfavillante  {puru-gJiandrd'y  molto  sfavillante), 

biondo;  il  dio  Luno,  la  luna;-  lat.  cand-eo,  cand-elaj  cand-i- 
-du-s.        [Cfr.  41,4.]: 

3.  Sscr.  rw^  rduU-a-tai,  rilucere,  splendere,  ncli-,  luce,  rauk-is ^ 

raggio;  -  lat.  luc-s,  luc-er-na,  Louc-ina,  Lùc-ina;  -  gr.  Xsux- 
-0-?,  splendido,  chiaro,  bianco. 

4.  Sscr.  vali  (I."  sing.  pres.  att.:  vdR-mi;  vedico:  vi-vak-mi,  colla 
gutturale),  parlare,  chiamare;  vdR-as,  parola,  prece,  inno,  vàK-, 

parola,  discorso,  inno,  a-vdJi-,  senza-voce,  muto;  -  lat.  vòc-'aTe,- 
vòC'  (nom.  v6c-s  =  vdkh'-s  zeiiào).       [V.  ètcoì;  ecc.].. 

5.  Sscr.  parli  pr[nd]k-ti   (3."  pi.  pr[n]Ii-d7iti;    partic.  perf.  pass^ 

prk-td-),  mescolare,  mischiare,  congiungere  {sdm-prk-ta",  mi- 
schiato, collegato;  e  il  suo  contràrio:  vi-prk-ta" ,  messo  fuor* 
di  contatto,  diviso);-  gr.  irXex-w,  intreccio,  annodo;-  lat. 
plec-'t-o,  -plic^  {sim-plic~,  du-plic-.,  ecc.),  plic-o  *. 


*  Di  esempj  affatto  sicuri,  in  cui,  senza  mettere  in  conto  il  li  re- 
duplicativo (13,9.),  si  abbiano,  nel  sanscrito,  e  M,  e  g  per  uno  stesso 
k  originario  (Kuhn,  in  Hoefer's  Zeitschrift  fur  die  toissenschaft  der 
sprache^  II,  173;  Benfey,  Volisi,  gramm.  d.  sskritspr.,  pag.  20),. 
non  ne  veggo  alcuno.  Il  vedico  inig-at-  (per  es.  sdmiddhasja  riUgad 


36  §  13-    VKCK    SANSCRITA    DI    k    E    H,    DI    k   Q   ^. 

13.  Pure  entro  ai  confini  della  stessa  lingua  sanscrita  si  avver- 
tono le  equazioni  Ji  =  k,  ^  =  k,  alternandovisi,  per  ragione  eti- 
mologica, e,  in  parte,  anche  per  mera  ragion  fonetica,  cosi  U 
e  k,  come  ^  e  k  (cfr.  i  §§  24,  34,  36,  è  l'Indice  s.  k-s).  La  vece 
sanscrita  dì  li  e  k  è  più  decisa  e  frequente  che  non  quella  di  g 
e  k;  e  certo  per  questa  ragione,  che  all'epoca  in  cui  le  forme 
si  fissarono,  fosse  ancora  assai  poca  la  differenza  fonetica  tra 
k  e  K  (v.  §  38).  Troviamo  cosi  molti  esempj,  in  cui  un  mede- 
simo complesso  radicale  esca  per  K,  dinanzi  a  vocale  od  a  J, 
nel  verbo,  ed  esca  all'incontro  per  k,  ancora  dinanzi  a  vocale 
od  a  j,  in  qualche  formazione  nominale.  Si  osservino  : 

1.  aìi  unii  (partic.  perf.  pass.  anR-i-td-),  piegare;-      ank-d-s,  ank- 

-ugd-s ,  arpione ,  uncino ,  cfr.  gr.  oyx-o-?  =  lat.  unc-u-s. 

2.  arìi  [drM.-a-ti],  rilucere,  arR-i-s,  raggio,  fiamma;-      ark-d-Sy 

raggio,  lampo. 

3.  uH  ùJi-ja-ti,  compiacersi,  ufi-i-td-s,  adatto,  abituale;-      duk-as., 

stazione  abituale,  abitazione. 

4.  paR  paR-a-ti,  cuocere,  portare  a  maturità;-      pdkd-s,  il  cuocere, 

il  maturarsi.        Cfr.  §  16,  7. 

5.  parR,  §  12,  5;-      madhu-parka-,  mistura  di  miele  (mddhu). 

6.  vaR,  §  12,  4;-      vdk-jà-m  ['vdkià-,  v.  pag.  16],  discorso*. 

7.  guR,  gduR-a-ti,  affliggersi;-      gduka-s,  afflizione. 

8.  siR  sinR-d-tiy  aspergere  ;  -      saik-a-s,  aspersione. 


adargi  paga:,  dell'acceso  [fuoco]  il  rosseggiante  colore  [chiarore] 
si  vede,  rgv.,  V,  1,  2)  non  può,  tuttavolta,  di  leggieri  staccarsi  da 
ruR,  rilucere  (12,  3.),  quando  in  ispecie  si  confronti  una  frase  com'è 
la  seguente:  anjdd  rùgad  asja  paga;  krsndm  anjddi,  rosseggiante 
l'un  colore,  nero  l'altro  {rgv.\,  I,  115,  5),  con  quest'altra:  anjdd 
rduRatai  krsndm  anjdt,  l'uno  riluce,  l'altro  è  novo  {rgv.  Ili,  55, 
11);-  né  vorremo  staccare  il  sscr.  prap-na,  intreccio,  canestro,  dal 
greco  TtXs'x-»  ecc.  (Fick,  WOrteròuch  der  indogermanischen  grund- 
sprache,- 119),  e  dal  sscr.  parR  che  testò  studiammo  (12,  5.);  ma. 
qui  forse  trattasi  di  vicenda  meramente  grammaticale.  Y.  ancora  Studj. 
crii.,  II,  239-40. 
*  Cfp.  §  24,  6,  n. 


■ 

^V.  §13.    VECE   SANSCRITA    DI    k   E    fi,    hi    k    K    p.  37 

Inoltre  è  regola,  che  il  reduplicatore  di  k  sia  k  (cfr.  §  24,  11, 
e  §  34),  mentre p,  all'incontro,  reduplicherebbe  per  l'identico^ 
{pat,  volare  ecc.,  perfetto:  pa-pdi-a),  e  cosi  t  per  t  {tan,  ten- 
dere, perfetto:  ta-tàn-a).  Quindi:  , 

9.  kar,  fare  (lat.  cre~o,  ecc.);  perfetto:  ka-^hàr 'a,  ieci,  fece;  temi 
intensivi:  fiar-kar,  hari-kar  (nel  dial.  vedico  voci  intensive  che 
ancora  reduplicano  per  k:  partic.  pres.  kdri-kr-at-);-  kraìn, 
incedere  (13, 12.);  perf.  Jla-krdm-a,  tema  intensivo:  han-kram. 

V'ha  poi,  in  terzo  luogo,  che  talvolta  coesistano,  indipendenti 
ormai  Tana  dall'altra,  la  figura  radicale  col  k  e  quella  col  k;  cosi 

10.  hi-d  (zendo  Jii-t),  particola  enclitica,  veramente  un  nom.-acc. 
neutro  di  quel  pronome  che  al  nom.  sing.  diede  il  sscr.  -ki~s 
(17,  1.;  nello  zendo,  colla  palatina  pur  questo:  Ri-s)',  Kart 
Jirt'd'ti,  nectere,  -  allato  a  kart  (10,  2.);  Rit  Mit-a-ti,  scor- 
gere, considerare  {Jiint  Jiint-dja-ti,  meditare,  pensare),-  ac- 
canto all'equivalente  esemplare  reduplicato:  lii-hait-ti  (partic. 
pres.  di  tipo  intensivo:  hài-kit-at-) ,  la  cui  radice  mantien  la 
gutturale;  e  la  stessa  vece  si  ha  nel  pivi  semplice  tipo  radicale: 
Hi,  ki,  onde,  a  cagion  d'esempio,  apa-hi-ta-',  considerato  (sti- 
mato), ni~M-ta~,  scorto,  allato  a  ni-M-kj-at-,  che  scorge,  os- 
serva (cfr.  §  15, 1.  n.)  *;  lauk  IduK-a-tai,  vedere,  Iduk-ana-m^ 
occhio,-  allato  a  lauk  Iduk-a-tai,  vedere**. 

Finalmente ,  si  ha  la  continua  vece  grammaticale  ài  U  e  k; 
dove  le  ligure  col  li  di  certo  continuano,  generalmente  par- 
lando, la  condizione  primitiva,  ma,  in  parte,  pur  si  dovranno 
all'adattamento  fonetico  ed  all'analogia***.  Il  ìi,  per  cui  finisce 


*  Coppie  non  bene  peranco  accertate,  sarebbero:  hùn  ìiùn,  contrar- 
re, kùl  (kùd)  Mr,  abbruciare,  han  Tian  (kan)^  mandare  un  suono,; 
kipja-,  nome  di  un  verme,  liipja-,  id. 

^*  Ed  entrambi,  denominativi  di  certo,  pur  secondo  altra  conjuga- 
zione:  lauTi-dja^ti  lauk-dja^ti;  v.  Vlntroduz.  alla  morfei.  (ruJi  ecc.). 

***  Allato  a  vak  (12,  4.  13,  6.)  abbiamo  vdk-van-  (ved.),  oratore, 
cantore,  ed  allato  a.  pak  (13,  4.)  abbiamo  pak-vd-,  cotto.  Si  può 
chiedere,  se  il  k  di  vdk-van  e  pak-vd  sia  diretta  continuazione  del  k 
originario,  o  se  piuttosto  noi  si  debba  alla  tendenza  di   sfuggire   la 


38  §  13.   VECE   SANSCRITA    DI  k  E   M,   m   k  E  ff. 

una  figura  radicale,  lascia  il  posto  al  k,  o  al  normale  succe- 
daneo di  questo,  quando  si  abbia  V tiscita  scoperta  oppur  la 
immediata  annessione  ò' esplosiva  o  sibilante;  come  apparisce 
dalle  voci  che  ora  offriamo: 

11.  ruR  (12,  8.),  splendere;  ruk-  (fem.),  splendore,  al  nomi n.  sing.  : 

rùh;  eh  pur  dinanzi  a  m,  nella  derivazione  nominale*:  ruk- 
-md*,  oro  (il  rilucente);  -  vaM^  (12,4.),  dire;  partic.  perf.  pass.: 
uk'td-;  infinito:  vdk-'tum;  1.  pers.  sing.  fut. :  vah-sjàmi;-'  vali-' 
(fem.),  discorso,  al  nomin.  sing.  :  uà/c,  all'accus.  sing.  :  vàk-am, 
ma  al  locat.  plur.  :  vàk-sùy  al  dat.-abl.  plur.  :  vàg~bhjds  i,'vàk- 
-bhjas,  V.  Assimilazioni);  -  parli.  (12,  5.)  pr-n-R-dnti  (3.  pers. 
pi.  pres.),  mescolare;  partic.  perf.  pass. :  jarA-fà-;  2.  e  3.  pers-. 
sing.  imperf.  :  d-pr-na-k. 

La  vece  Òx  g  q  k,  all'incontro,  non  si  afferma  per  alcun  fatto 
che  risponda  a  quelli  delle  prime  due  serie  per  le  quali  si  affer- 
mava la  vece  di  ^  e  ^  {paK  pdka-;  kar  'hakdra).  Ma  per  la 
varietà  radicale  col  g,  alla  quale  coesista  la  figura  col  k,  fattasi 
l'una  dall'altra  indipendente^  si  possono  addurre: 

12.  Qar  gr-nà-'ti,  laedere,  dirompere,  abrumpere  (greco  KEP,  x£tpu>, 

recido,  rodo,  devasto),  glr-^nd--,  diesi  è  spiccato;-  accanto  a 


combinazione  /ty  (cfr.  vag-nù.  nelle  Assimilazioni^  e  il  §  14  al  princ). 
La  quale  affatto  non  si  vedeva,  tra  i  nessi  binarj,  nel  prospetto  del 
BoEHTLiNGK  (1.  c.  a  pag.  10);  e  s' ha  in  quello  del  Benfey  {Vollst. 
gramm.  d.  sskritspr.)  solo  in  grazia  dell' m  che  si  fa  v,  afSn  di  to- 
gliere r  iato ,  in  kaUvaus  (  kaliu  +  aus  ) ,  genitivo-locativo  duale  (  cfr. 
JiaKvi^ìiaKu  ap.  Boehtlingr-Roth).  Ma  hanno  entrambi  il  ternario 
nJiv,  che  si  ottiene,  almen  teoricamente,  p.  e.  da  riR,  vacuefacere, 
alla  prima  del  pres.  att.  duale  {rinìi  +  vas).  Al  partic.  del  perf.  att. 
ài  ruR,  splendere  (-r«7?.  + vas),  abbiamo  il  vedico  ru-ruh-'Vds  (sd- 
mav.,  II,  9,  1,  4,  1  =  rgv.,  I,  149,  3).-  Pure  in  questa  parte  si 
viene  determinando  un'  antitesi  fonetica  fra  verbo  e  nome  (  13,  1-8.), 
è  a  questo  riman  sempre  il  carattere  di  maggiore  antichità;  si  con- 
frontino, p.  e.,  vdli-mi  (ved.  vi-vak-mi),  io  dico,  e  il  tema  nominale 
vdk-man-  (Benfey,  Vollst.  gr.,  §  415);  v.  il  testo  (13,  II.)  e  cfr.  §  24" 
*  V.  la  nota  che  precede,  e  quella  al  §  24,  13;  e  cfr.  guk-rd-,  ri- 
splendente, allato  a  guK^  risplendere,  ardere. 


§  13.    VECE   SANSCRITA    DI    /f   E   ^,    DI    /f    K   Q.  39 

har  kr-nà-ti  kr-ndu~ti,  ledere,  uccidere  (kdr-a-s,  uccisione*), 
ed  al  kar-t  di  cui  già  dicemmo  (10,  3.)  **;  gram  gràm-ja~tiy 
stancarsi,  gì^àn-tà^^  lasso,  allato  a  klàn-td-,  che  dice  il  mede- 
simo, e  così  grama-s  =  hlama-s^  entrambi:  stanchezza;  dg-ri-s 
-ag-ra-,  §11,8,  allato  ad  dg-ra-m  ('dk-ra-ni  ax-po-v;  cfr.  gag- 
-md-  'gak-md-  ecc.,  nelle  Assimilazioni) ,  punta,  estremità,  ver- 
tice; nig  nig-d,  notte,  accanto  a  nak  ecc.  che  valgono  il  me- 
desimo (10,  10.;  v.  i  sscr.  =  a  orig.)  ***. 


[*  V.  ancora  la  Fonologia  irana,  s.  2.  har. 

***  È  della  famiglia  anche  il  latino  curtu-s,  propriamente:  mozzo 
(V.  brevis  nel  sec.  voi.  degli  StucJj  crit.,  e  cfr.  §  15,  4),  s'abbia  poi  a 
dividere:  cicr-t-u-s  o  cur-Hi-s.  E  di  base  non  diversa  è  il  sscr.  krdhù-y 
mozzo,  raccorciato,  tronco,  v.  V Introduzione  alla  morfologia^  s.  v. 

***  Mi  sono  risoluto  ad  accogliere  nel  testo  anche  l'esempio  nig 
nig-d  (cfr.  dig  dig-d^  13,  13.)  allato  a  nah-  ecc.,  parendomi  affatto 
improbabile,  per  non  dire  impossibile,  che  le  forme  col  g  rivengano, 
come  si  è  voluto  (cfr.  Benfey,  Gioss.  alla  Grestom.,  Pott,  Wurzel'- 
worterbuch,  I,  550),  al  verbo  gi,  giacere,  ecc.,  anche  per  la  ragione 
che  aHro  pur  non  direbbero,  in  questo  caso  (ni-ga^  cfv.  giri-gd ,  che 
sta  [abita]  nella  montagna,  dato  pur  che  questo  -ga  rivenga  alla 
sua  volta  al  verbo  f^),  se  non  ««giacente».  Vero  è  che  non  si  può 
staccarle  da  nigithd,  mezzanotte,  la  cui  provenienza  da  gì  (ni-gl-tha)  par 
manifesta;  ma  io  ho  per  fermo  che  questa  sia  una  derivazione  illu- 
soria, e  reputo  nigitha  forma  pracriteggiante  di  'nig-i-stha  (pracrita- 
raente:  nigittha  nigitha),  che  sta  nella  notte,  è  nel  cuor  della  notte 
(cfr.  div'i-stha).  E  ancora  rimane  nigitd,  notte,  che  alla  sua  volta  si 
ribella  per  la  vocale  («)  alla  derivazione  da  fi,  e  all'incontro  vorrà 
essere  un  astratto  {niga  +  td),  pel  quale  si  confronti,  quanto  all'ac- 
cento e  alla  indifferenza  logica,  il  vedico  dsta-tdti,  e,  quanto  alla 
formazione,  il  tipo  tandritd.  Il  Lessico  di  Pietroburgo  pende  incerto, 
poiché  rimanda,  sotto  nigd,  così  a  nak  ecc.  come  a  niglthd,  che  pur 
vuole  ricondurre  a  gì  (cfr.  il  Lessico  medesimo  s.  anigita),  ma  ormai 
mi  parrebbe  tolta  pressoché  ogni  dubbiezza.  Riscontri  ancora  pro- 
blematici, ma  notevoli,  che  vanno  qui  addotti,  sono  inoltre:  gdni 
(indecl.  ved.),  salute,  prosperità,  allato  al  Mm,  indeclinabile  vedico 
anch'esso,  che  si  traduce  per  bene  (e  coli' a  privativo:  d-harriy  male)-» 
e  potrebb' essere  radicalmente  diverso  dal  kdm  {-kam)  che  piti  ad- 


40  §   13.    VECE   SANSCRITA    DI    U    E    /i ,    DI    /.'    E  Q. 

Resta  la  vece  grammaticale  (cfr,  §  13,  II);  e,  pure  in  questa 
parte,  la  dimostrazione  è  meno  abondante  e  men  chiara  che  non 
sia  per  ìi.  Poiché  lo  f,  all'uscita  del  complesso  radicale,  segue, 
di  regola,  nel  verbo,  in  tutto  e  per  tutto  l'analogia  di  s  (vedi 
Lez.  XIV),  e  quindi  non  cede  il  luogo  a  k  se  non  davanti  a  s. 
Solo  per  alcuni  esemplari  si  vede  il  k  pure  all'uscita  scoperta. 
Nel  nome,  all'  incontro,  occorre  più  facilmente  che  q  resista 
all'attrazione  analogica  di  s  (alla  quale,  del  resto,  vediamo  in 
parte  soggiacere  anche  lo  g,  §  24;  cfr.  i  §§  41,  3;  42),  e  faccia 
quindi  luogo  al  /?,  o  al  suo  legittimo  succedaneo,  sia  all'uscita 
scoperta,  sia  nell' imbattersi  in  altra  consonante.-  Barg,  vede- 
re, dig,  mostrare  (11, 14. 16.),  ci  daranno  così,  al  participio  per- 
fetto passivo  drs-ià-,  dis-tà-  (quasi  si  trattasse  di  verbi  uscenti 
in  s),  e  non  già  "drk-tà-  e  "dik-tà-,  come  i  parelleli  europei 
(x-Sepx-To-? ,  a-Seix-To-;)  e  l'analogia  indiana  de' verbi  in  %  {parli 
prk-tà-  ecc.,  12,  5.,  13,  11.)  richiederebbero:  ma  abbiamo  tutta- 
volta  la  vece  ài  g  e  h  ne' tipi  che  ora  passeremo  in  rassegna; 

13.  dar^,  vedere;  aor.  d-drdk-sit,  vide,  e  (ved.)  d-dràk,  vedesti, 
vide;  drg^,  quegli  che  vede,  la  vista,  nora.  sg.  drk',  dig,  mo- 
strare, daik-sjdti,  mostrerà;  dig-  (e  diga),  direzione  (plaga), 
nom.  sg. :  dih,  loc.  pi.:  dik-sù,  dat.-abl.  pi.:  dig-bhjds  {'dik- 
-bhjas)]  nag,  andare  in  rovina  (11,  17.),  nahk-sjdti,  andrà 
in  ruina;  nag,  raggiungere  (11,  18.,  aor.:  -nak  e  -nat,  v.  i 
§§  24  e  42),  e  ndk-s  ndk-s^a-ti,  ugualmente:  raggiungere  (cfr. 
mu^,  prosciogliere,  liberare,  mauk-s-a-,  liberazione). 

§  14.      Se  il  A  originario  così  si  riduce  di  frequente,  nel  sanscrito, 
a  K  od  a  f!,  il  fonologo  vorrà   ora  tentare  1'  istoria  dì  queste 


dietro  adducemmo  (10, 1.);  garka-rd,  coccio,  ghiaja  (cfr.  xpoV/]  xpo- 
xàXv)  [Fick],  ciottolo  ecc.,  calc-s  calculu-s),  allato  a  harka^ra-s-, 
duro,  karka-gd'S,  aspro,  duro.  E  devo  eziandio  accennare  alle 
coincidenze  che  per  g  =  k  si  conseguono  in  quelle  decomposizioni  dei 
complessi  radicali,  alle  quali  ci  attentiamo  nella  Introduzione  alla 
"morfologia;  come  per  es.  :  gri  grd'-ja-ti,  ire,  adire  (qìv.  gar-ana-), 
allato  a  hram  hrà-ma-^ti,  gradi,  incedere. 


§  14.    DEL   COME   k   PASSI    IN    li   ED    IN    f.  41 

metamorfosi.  E  incominciando  dal  misurare  la  loro  estensione, 
trova:  1.°  che  le  combinazioni  radicali,  in  cui  lo  K  si  aggruppi 
con  altre  consonanti,  sieno:  oiìi,  gli  {*sk),  rU  e  i^J  *;  2.^  che  le 
combinazioni  radicali,  in  cui  lo  f,  alla  sua  volta,  si  aggruppi  con 
altre  consonanti,  sieno:  ^p  **,  rg,  gn,  {gm),  gj,  gr,  gì,  cv  ***; 
e  S.**  che  ^  e  e  possano  entrambi  cosi  precedere  come  seguire 
alle  vocali  a,  i  ed  u.  Ora,  negli  stessi  appajamenti  fonetici, 
s' incontra  pure,  e  non  già  per  eccezione,  la  tenue  gutturale 
intatta****.  Si  osservino,  a  cagion  d'esempio; 

k.  n.  f. 

fa^ft,  esitare,  temere;    aw^,  piegare;  dap,  mordere. 

skand,  salire,  ecc.;  p/ywi,  gRut,  stillare. 


*  Tra  radicali  e  non  radicali,  i  gruppi-consonanti  sanscriti  in  cui 
entri  k  son  questi  che  seguono:  M,  JiRh,  Rn,  Rm,  Rj,  Rv  {R<;.  sì  può 
omettere),  nR  nRm  nRj  nRv,  RRj  RRhj  RRhr  RRhv  Rvj,  rR  rRm  rRj, 
gR  gJij  [gRjut];  e  siamo  quindi  veramente  limitati:  al  raddoppiamento, 
alla  combinazione  in  cui  precedano  sibilante  palatina  (p)  o  r,  a  quella 
in  cui  seguano  semivocale  palatina  (J)  o  y,  e  alle  combinazioni  con 
suono  nasale. 

**  Cioè  anusvdra  (§4)  +  p. 

***  Non  adduco  gR,  che  è  alterazione  di  sR  (sk),  né  pg,  che  ab- 
biamo nel  verbo  rapg  (vi-rapg,  Roth,  Nirukta,  pag.  91),  circa  la 
costituzione  del  quale  è  da  vedere  il  Benfey,  Gloss.  al  Satóav., 
p.  172.  —  La  serie  compiuta  dei  gruppi-consonanti  sanscriti,  in  cui 
entri  g,  non  aggiunge,  in  realtà,  alcun  nuovo  contatto,  a  quelli  che 
le  combinazioni  radicali  ci  abbiano  offerto.  —  Le  figure  participiali, 
di  cui  avemmo  esempj  nel  paragrafo  precedente  (drs-'ta-,  dis-fd-, 
Y>er  'drg+ta,  'dig+ta,  v.  §  43),  e  altre  figure  consimili,  non  fanno 
prova  per  'gt  (e  'gth)  da  Rt  {kth)  anteriore;  ma  si  tratta  di  g  svilup- 
patosi in  altre  congiunture  (per  es.  da-ddrg-a,  vidi,  vidit),  che  poi 
passa  a  combinazione  grammaticale  con  t.  Lo  stesso  si  dica  del  sscr. 
asta-,  zendo  asta-,  otto  (per  'ag-ta  =  oc-to),  considerando  il  sscr. 
ag-i-ti,  ottanta. 

****  Solo  mancherebbe  il  gruppo  kj;  ma  tra  radice  e  suffisso  sa- 
rebbe, per  es. ,  in  vdR-ja-,  §  13,  0. 


4'4  §  14.    DEL   COME   k   PASSI   IN   /t   ED    IN    f 

k.  n. 

ark-a-,  raggio,  lampo  ;    parli ,  mescolare  ; 
AH,  vendere;  


klid,  inumidirsi; 


^ak,  potere,  valere; 
saik-a-,  aspersione; 
gauk-a-,  afflizione; 
kar,  fare; 
ki-m,  quid; 


darg,  vedere. 
<?m,  cuocere. 
gldu-ka-,  gloria,  inno, 

verso  (cfr.  11,  5.). 
nag,  andare  in  ruina. 
dig,  mostrare. 
krug,  gridare. 
gas,  esporre,  lodare, 
gi,  giacere. 
gubh,  splendere. 


vak,  parlare; 
siR,  aspergere; 
guR,  affliggersi; 
-/to,  -(lue; 
Jiì,  raccogliere; 
Aw^, agitarsi, adirarsi;    ]iud,  incitare; 

Quindi  è  chiaro,  che  non  v'ha  alcuna  combinazione,  in  cui  il 
k  originario  passi  costantemente  in  k  od  in  g;  ed  è  chiaro  in- 
sieme, che  di  queste  alterazioni  non  v'abbia  una  causa  palese, 
come  sarebbe,  a  cagion  d'esempio,  la  causa  onde  si  ripete  la 
palatina  italiana  in  ci  e  ce,  dove  il  k  antico  si  altera  per  par- 
ticolare effetto  dell'i  e  dell' 6?,  quando  all'incontro  si  mantiene 
intatto  dinanzi  ad  a  e  ad  o.  Vero  è,  che  ove  si  prescinda  da 
ki  e  kit,  ne' quali  vedemmo  oscillarsi  tra  k  eh  (13,  10.),  mal 
si  saprebbe  addurre  un  verbo  usitato,  che  offra  la  tenue  gut- 
turale costantemente  unita  ad  un  i  che  la  segua  o  la  preceda 
{iì^i  sìR  dig,  hi0)*;  senonchè,  dall' un  canto,  l'azione  dell'i 
etimologico,  che  qui  parrebbe  di  scorgere,  non  sarebbe  conti- 
nua, né  uniforme,  e  si  ha,  dall'altro,  un  numero  infinito  di 
casi,  ne' quali  l'alterazione  si  compie  senza  che  i  etimologico  vi 
sia.  Ben  v'hanno  però  altre  analogie,  romanze  in  ispecie,  che 


*  Un  notevole  esempio  di  assimilazione  palatina,  promossa,  nel  san- 
scrito, da  i,  air  infuori  del  verbo,  parrebbe  gdJii,  che  la  sinonimia 
indiana  pone  allato  di  gàh^man,  gdk-ti,  facendoli  valer  tutti:  opera 
(energia),  e  mal  si  staccherebbe  da  gak,  valere,  posse,  ecc.  (cfr.  Ben- 
FEY,  Gloss.  al  Samav. ,  e  Gloss.  alla  Crestom.)  ;  ma  nel  riflesso  zendo 
di  questo  verbo  {gali,  apprendere,  ecc.,  cfr.  sscr.  gihs,  zendo  gls) 
domina  quasi  esclusivamente  l' esplosiva  palatina.  Meglio  accertato  è 
l'esempio  zendo:  aka,  malus,  al  superlativo  ali-ìsta-  (cfr.  sscr.  gdk- 
-istha-),  ed  al  comparativo  (nonj.  neutro);  ap  {so  ~'Jfjó  =  kjas). 


§   14.    DEL   COME   k    PASSI    IN    11   ED   IK    f.  43 

gioveranno  a  rischiarare  di  luce  analogica  le  vicende  asiatiche 
del  k  originario. 

_  Tra  le  più  frequenti  affezioni  delle  consonanti  originarie,  è 
Pel  sistema  ariano  1*  abbarbicarsi  che*fa,  dietro  ad  alcuna  di 
esse,  una  fricativa  parassita,  ed  in  ispecie  J  (nj,  Ij,  hj,  ecc.; 
V.  Parassite).  Questo  modo  di  descrivere  il  fenomeno  è  per  vero 
alquanto  figurato,  e  noi  ci  adattiamo  al  linguaggio  un  po' me- 
taforico, in  questo  e  in  altri  casi  consimili,  per  evitar  le  spine 
dei  particolari  fisiologici,  dai  quali  però  verrà  tempo  che  attin- 
geremo di  continuo  una  ben  migliore  evidenza  di  quella  in  cui 
per  ora  ci  par  di  mantenerci  rifuggendone.  Tuttavia  sin  d' ora 
non  vorremo  accontentarci  della  sola  persuasione  che  i  nostri 
dati  pratici  non  contraddicano  alle  risultanze  delle  osservazioni 
fisiologiche,  ma  vorremo  assaggiare  pur  di  queste  alcun  poco, 
secondo  possibiltà  nostra.  Cosi  intanto  qui  avvertiremo,  sulle 
generali,  come  la  origine  di  queste  che  diciam  parassite  stia 
veramente  in  ciò,  che  nel  passar  dalla  disposizione  orale,  che 
è  richiesta  per  la  produzione  di  una  determinata  consonante, 
alla  diversa  disposizione  che  è  necessaria  al  proferimento  del 
suono  che  sussegue,  ed  è  di  regola  una  vocale,  si  rasenta  o  si 
consegue  quella,  per  la  quale  si  produce  la  fricativa  che  diciam 
parassita;  e  avvertiremo  ancora,  come  le  cause  o  le  tendenze 
diverse,  per  le  quali  questi  sviluppi  intermedj  son  provocati 
od  assumono  entità  via  via  più  distinta  ed  energica,  doman-^ 
dano  speciale  indagine  per  ogni  singola  congiuntura.  Dopo  di 
che,  ritornando  alla  descrizione  grammaticale,  diremo,  che  Y  af-- 
fezione  a  cui  sì  allude,  ora  è  sporadica,  ora  frequente,  ora 
affatto  costante.  Sporadica  avremo  così  la  parassita  j  dietro 
a  n,  di  solito  iniziale  {nj-,  o  veramente  nj-,  cioè  gn-  it.  =  n, 
V.  pag.  23,  n.  6),  in  alcuni  idiomi  romanzi.  Esempj  italiani: 

1.  toscano  Tiudo  ('njudo  gnudo),  7iuca\  cfr.  7iuno  (gnimo)  niuno, 
dove  la  continua  (njuno)  è  etimologica; -  friulano  Tmc/ie,  nu- 
ca; noi,  notte;  m?/,  nuovo;  Tiògis,  nozze;  e  collo  schietto  n 
dentale:  i^jóre  i^nióre,  accanto  a  nóre),  nuora;  ma  all'incontro 
col  n  sempre  sano:  mid,  nudo;  nòie,  nocciuola;  noin,  nome;  ecc. 


44  §   14.    DEL   COME    h    PASSI    IN    li   ED    IN   p. 

Occorre  frequente  quest'affezione  del  n  nella  lingua  albanese; 
la  quale  ne  vede  intaccati,  in  larga  misura,  anche  il  ^  e  il  ^,  e, 
in  misura  più  larga  ancora,  il  l.  Ne  cito  per  ora  questi  esempj  : 

2.  vjepxs  *,  noverca^   vjepi,  uomo   (persona),  cfr.   gr.   à-vsp-   (àvi(p) 

sscr. '/?ar-;  xjsv,  cane  (xjtvr,  cento)  **;  dpe'txj  (=draco),  diavolo 
(V.  Studj  critici,  II,  38);  o-jvxj,  zio  paterno  (avunculus);  ^j'^j  > 
pollo  (gallo)  d'India;  yjou,  pi.  yJouvJóts,  ginocchio  (cfr.  gr.  yc^vu); 
Xjax,  lacciuolo;  Jjocpys,  lontano  (largo);  >,J£8dt[A,  laude;  xou^jstTcf 
(slavo  kolac),  specie  dì  focaccia. 

Del  l  iniziale  si  fa  costante  la  nostra  affezione  nel  catalano 
(e  per  //  scrivono  II,  come  nello  spagnuolo)  : 

3.  Ijagosta,  locusta;  Ijagrima,  lagrima;  Ijana,  lana;  Ijavi,  labbro; 

Z/cf M^ra,  lattuca;  Ijet,  latte;  Ijebre,  lepre;  Ijejir,  leggere;  Ijetra, 
lettera;  Ijep,  legge;  Iji,  lino;  Ijengua,  lingua;  Ijob,  lupo;  IJO' 
rer,  lauro;  Ijum,  lume;  Ijuna,  luna. 

L'affezione  palatina  ài  k  e  g  antichi  dinanzi  ad  a,  rimane  estra- 
nea ai  più  degli  idiomi  neo-latini.  Ma  si  vede  quasi  nascere, 
e  diffondersi  e  farsi  costante,  fra'varj  dialetti  romanoi  de'Gri- 
gioni,  ed  è  costante  nel  romancio  del  Tirolo  e  nel  friulano. 
La  Francia  ne  mostrerà  anch'  essa  e  e  g,  per  k  e  g  antichi 
dinanzi  ad  «,  in  una  parte  della  Lorena;  ai  quali  suoni  stanno 
allato,  nella  medesima  funzione  etimologica,  lo  s  (eh)  e  lo  i  {J) 
della  comune  favella  francese.  La  successione  fonetica,  che  qui 
si  accenna  ed  altrove  più  davvicino  si  considera  ***,  risulterà, 
per  limitarci  alla  tenue,  questa  che  brevemente  ora  scriviamo: 


*  Gli  esempj  albanesi,  senz' altra  indicazione,  sono  sempre  nel  dia- 
letto tosco,  V.  Studj  critici,  I,  87,  95  (=365,373),  e  segg. 

♦*  In  alcune  contrade  albanesi:  tSsv  (  =  c2n),  tSivt  (stcint),  v.  Hahn^ 
Albanesische  studien,  11,20,  e  aggiungi  rSocpx  {  =  car'k)<,  circolo,  al- 
lato a  xjapx,  intorno. 

***  Cioè  al  §  38,  dove  anche  si  tocca,  in  nota,  delle  ipotesi  del  Diez 
e  di  N.  Delius  intorno  allo  eh  (s)  francese  nel  riflesso  di  ca  latino. 


§  14.    DEL   fiOMK   k   PASSI   IN    R   ED  IN   p.  45 

ha  Uà  hja  kza  ^sa  {^sa)  ca  sa,  e  sarà  intanto  raffermata  da 
un  breve  esemplarlo  sinottico  *. 


o 

a 

OS 

1 

Romancio  o  grison 
di  Surselva 
(Grigioni). 

Romancio  di  Surse 

(Oberhaibstein  ; 

Grigioni). 

(3     . 

o  a 

1' 

a  » 
11 

il 

i 

'u 

ni     S> 

«  ai 
a  * 

a»  ^^ 
^^ 

4.  caldo. 

cdidd, 

c5d. 

cod. 

'cdad, 

cald. 

dà, 

chauld. 

carne, 

carn, 

^cern. 

carn. 

'cern. 

carn. 

cai. 

chair. 

capra. 

e dura, 

cóura. 

cdvra. 

'caura. 

ódvre. 

ceuve, 

chèvre. 

cavallo, 

cavdlj. 

""cavai. 

cavdlj, 

'cavai, 

cavai. 

cvd. 

cheval. 

calcagno. 

calcón. 

caVcón. 

,  ^àdc'óTi, 

'éau'cdn 

cane. 

'cdiin, 

^can. 

cdun. 

'can. 

can. 

cìn. 

chien. 

'^^  capo. 

cdu, 

'óéa. 

'celi. 

'ce, 

cof. 

.... 

chef. 

oca. 

òca. 

òca, 

Ò'éa, 

duca. 

óce  **. 

vacca. 

vdca, 

vaca. 

vaca. 

vd'ca. 

vdce. 

vajce, 

vache. 

bocca. 

buca, 

.... 

bóca,-ca, 

boca, 

bóce. 

buoce, 

.  bouchCf 

Ora,  tra  il  doppio  fenomeno  romanzo  {k  in  e,  k  in  s)  e  il 
doppio  fenomeno  che  si  ha  nel  sanscrito  (e  nello  zendo;  k  in 
U,  k  in  g),  potrà  forse  non  esser  cosi  piena  la  simiglianza,  come 
a  prima  vista  apparisce;  e  per  misurarla  esattamente,  ci  manca, 
in  ispecie,  la  compiuta  istoria  della  pronuncia  dello  g;  ma  si 
può  tuttavolta  sicuramente  affermare,  come  più  innanzi  meglio 
ancora  vedremo,  che  il  parallelo  tra  la  serie  neo-latina  e  l'a- 
siatica, il  quale  si  riproduce  appuntino  nell'istoria  della  media, 
per  ogni  sua  parte  si  regga  ***.  I  due  effetti  della  stessa  affezione 
si  vedrebbero  entrambi  nella  medesima  favella  asiatica  {k,  g), 


*  Il  contatto  per  la  consonante  romancia  che  è  nel  riflesso  di  ca 
latino,  e  da  noi  è  trascritta  per  e,  si  forma  piìi  vicino  ai  denti  che 
non  quello  per  e  italiano;  e  il  preciso  e  italiano  ha  dal  resto  anche 
il  romancio  ne' riflessi  dei  latini  ce  e  ci.  Quanto  al  Iprenese,  rendo 
per  e  ìo-tch-'  o  deh-  dell' Oberlin,  mantenendo  la  sua  ortografia  per 
le  vocali.  Maggiori  particolari  circa  i  dialetti  e  i  fenomeni  romanci , 
si  hanno  nel  luogo  citato  a  pag.  23,  n.  5.  **  E  pure  ducè. 

***  Cfr.  i  §§24,  25  e  38  (dove  è  pur  considerata  l'ipotesi:  7i  'H  g), 
e  anche  l'esempio  zendo  addotto  a  pag.  42  in  n. 


46  §  14.   T>EL   COME   k   PASSI   IN    A'.  ED   IN   r. 

locchè  punto  non  ripugna,  quando  in  ispecie  si  consideri,  che 
il  medesimo  germe  alteratore  nasce  o  si  sviluppa  in  diverse 
età.  Pure  per  questa  parte  è  pronto  un  parallelo  romanzo.  Poi- 
ché la  palatina  romancia  da  gutturale  antica  dinanzi  ad  e  ed  i, 
deve  surgere  per  processo  non  diverso  da  quello  per  cui  surge 
la  palatina  romancia  da  gutturale  antica  dinanzi  ad  a  (§  38); 
e  tuttavolta  si  mantiene  una  sensibile  differenza  tra  il  prodotto 
di  *kja^  dall'  una  parte,  e  quello,  certamente  più  antico,  di  *kje 
o  di  */yi,  dall'altra,  come  si  vede,  a  cagion  d'esempio,  da  càuc 
o  'cale  (calcem)  dei  dialetti  romanci  del  Tirolo,  che  ci  offre  le 
due  varietà  in  una  stessa  voce.  Differenze  istoriche,  tra  le  vi- 
cende romanze  e  quelle  che  avvertiamo  nel  sanscrito,  avrebbersi 
del  resto  iaciò,  che  ambidue  gli  sviluppi  asiatici  si  sarebbero 
indistintamente  compiuti  dinanzi  a  qualsiasi  vocale  (il  sibilante 
pur  dinanzi  ad  alcune  continue,  v.  p.  41),  e  che  dall'affezione, 
o  almeno  dalle  sue  conseguenze,  sempre  sarebbe  rimasta  inco- 
lume, nell'Asia,  una  buona  parte  di  quelle  figure  originarie,  tra 
le  quali  vediamo  che  si  compia.  Qualche  diversità  fra  le  alte- 
razioni romanze  e  le  asiatiche  avremo  pur  nel  modo  della  loro 
diffusione.  Cosi,  quando  si  considerino  i  limiti  della  alterazione 
asiatica  di  k  in  H,  ripugna  immaginare  che  il  fatto  costante  di 
Ti  per  k  nella  reduplicazione  (13,  9.)  presupponga  in  ogni  singolo 
esempio  lo  k^  ed  i  successivi  sviluppi;  ed  è  chiaro,  all'incontro, 
che  si  abbia  ad  ammettere,  per  questo  accidente,  la  diffusione 
analogica  di  un  fenomeno,  che  si  era  fisiologicamente  compiuto 
in  un  certo  numero  d'esemplari. 
§  15.  Ma  ora  dobbiam  considerare  più  davvicino  i  suoni  che  rispon- 
dono, nelle  diverse  favelle  della  famiglia,  allo  g  e  allo  li  del  san- 
scrito, mirando  principalmente  ai  fatti  od  ai  problemi  cronologici 
che  a  queste  corrispondenze  si  connettono. 

Il  sanscrito  e  lo  zendo  concordano  compiutamente  fra  di  loro 
nella  serie  degli  esemplari  per  ]i  (cfr.  §  12)  e  per  ^  (cfr.  §  11). 
Cosi  avremo,  a  dir  per  ora  di  pochi  esempj  : 

1.  s.  Mkrd-y  z.  ìiakhra-,  ruota;     s.  -liidy  z.  -Hit,  p.  e.  in  hó,Q-1iid  s., 
ka^Mt  z.,  un  qualsiasi;      s.  va/i,  z.  vah,  parlare;      s.  ruìi, 


I 


§  15.   ETÀ    DELLE   ALTERAZIONI  ASIATICHE   DEL  k    ORIGINARIO.       47 

z.  raìi,  risplendere*;  -  s.  gatd-,  z.  gaia-,  <;ento;  •  s.  gì,  z.  p^, 
giacere  ;  s.  gtìra-,  eroe,  z.  giìra-,  eroico  ;  s.  gvan-,  z.  gpan-, 
cane;  s.  gru,  z.  gru,  udire;  s.  daga-,  z.  daga-,  dieci;  s.  darg, 
z.  dareg,  vedere. 


Né  diversa  corre  la  bisogna  se  consideriamo  la  vece  dì  il  e  k 
e  di  f  eh,  per  la  quale  brevemente  ricorriamo  agli  eserapj 
zendi  che  ora  seguono  (cfr.  §  13,  4,  11,  13.,  e  §§  24  e  25): 

2.  paR,  cuocere,  -pàka-  {\iv\xzàa,-pdka) ,  che  abbrucia;-  guìi,  ar- 
dere, gukh-ra-  (y.  Aspir amenti ) ,  rosso  (propriamente:  acceso, 
rilucente),  guhh-to-,  acceso;-  ruJi,  risplendere,  raokh-s-na-, 
risplendente;-  vati,  parlare,  vakh-sjà,  parlerò,  iikh-ta-  ukh-' 
-dlia-,  parlato,  discorso;  uà/i-,  discorso,  noni.  sing. :  vàkh-s;- 


*  Qualche  diversità  fra  i  limiti  zendi  e  i  limiti  sanscriti,  entro 
a' quali  si  compie  il  fenomeno  di  lì.-  da  A,  è  più  apparente  che  reale, 
e  punto  non  infirma  la  regola.  Così  lo  zendo  ha  piti  viva  e  diffusa, 
che  non  abbia  il  san;criLo,  la  variante  palatina  della  stirpe  prono- 
minale ha  ku  ki  (onde,  a  cagion  d'esempio,  il  comune  -ìiid  -Hit, 
addotto  dal  testo),  e  ne  tira  un  ka  declinabile  (qualcheduno),  e  con- 
trappone il  neutro-particola  -kat  al  -^kad  sanscrito,  e  kaiti,  quanto, 
al  kati  sanscrito,  e  ancora  ci  offre  lo  kvant-,  quantus^  qualis,  di  cui 
è  parlato  al  §  16,  1 ,  né  a  questo  si  ferma  (ma  la  forma  kavaiti, 
adv.  how  many,  che  parrebbe  aggiungersi  dall' OW  zand-pahlavi  glos-^ 
sary,  pubblicato  da  Destur  Hoshengji  Jamaspji  e  Haug,  e  ricorde- 
rebbe il  tipo  sanscrito  tàvat  ecc.,  coinciderà  veramente  collo  kvant 
testò  allegato,  cfr.  le  forme  zende  kava-ka,  kava-kit,  allato  a  kva-ka 
kva-kid  del  sanscrito).  Nel  gruppo  di  verbi  :  ki  kit,  ìli  kit  kint,  toc-< 
cato  al  §  13,  10,  si  avverte  qualche  particolare  ma  naturalissima 
oscillazione  zendica:  kikit-  e  kikit-;  ki-kajat  ki-kojatd  (3.  duale  con- 
giunt.  pres.)  ki-kajat  {ki,  espiare]  ki-thi  e  kaè-na  [espiazione,  casti- 
go]; cfr.  la  n.  al  §  24,  11-12.  A  tak  sanscrito,  precipitarsi,  piombare, 
sembra  rispondere  la  doppia  forma  zenda  tak  (che  non  si  vede  se 
non  in  formazioni  nominali)  e  tak,  correre,  scorrere;  ma  il  Sanscrito, 
alla  sua  volta,  avrebbe,  accanto  a  tak,  i  due  verbi  di  moto  :  tank  e 
tvank  (V.  l'Indice),  che  sono  però  tuttora  senza  esempj.  V.  ancora^ 
la  n.  *  a  pag.  42,  e  gk  =  'sk,  §  40. 


48       §  15.   ETÀ   DELLE   ALTERAZIONI   ASIATICHE   DEL   k  ORIGINARIO. 

pan^a-,  c\nq\iQ,  X>'>^Tih-dha-  quinto;-      Q^ag-,  invigilare,  custo- 
dire, (opprimere),  e  gpag+s  :  gpakhs  nel  nome  gpakh-s-ti*. 

La  qual  compiuta  concordanza  viene  a  dire,  che  i  danni  sof- 
ferti dall'originario  k,  nei  modi  e  nella  misura  che  la  lingua 
sanscrita  ci  mostrava,  risalgono  a  periodo  pre-indiano,  sicco- 
me quelli  che  manifestamente  appartengono  all'età  indo-irana 
(pag.  6;  cfr.  §  25).  Non  v'ha,  all'incontro,  rispetto  al  fe- 
nomeno di  h  indo-irano  per  k  originario,  alcuna  consuonanza 
europea,  di  cui  si  possa  presumere  che  stia  in  connessione  ge- 
nealogica con  esso  ;  non  v'  ha  cioè  alcun  fatto,  che  ci  possa  in- 
durre a  stimar  consumata  quest'alterazione  in  epoca  anteriore 
al  compiuto  distacco  della  favella  ariana  dell'Europa  da  quella 
dell'Asia,  comechè  v'abbiano  singolari  coincidenze  quantitative 


*  Occorre  nel  composto  pouru-gpakhsti- ,  il  quale  nelle  funzioni 
d'aggettivo  avrebbe  a  dire,  secondo  il  Justi,  o.  c,  p.  194:  che  pic- 
namente  opprime  (quel  dalla  piena  oppressione).  Affatto  altrimenti 
è  dichiarato  il  nome  gpakhki  ùaXVOld  glossary,  citato  nella  nota 
che  precede,  il  quale  probabilmente  sbaglia  in  quanto  ne  fa  un  nome 
d'agente;  ma  l'esempio  vale  ad  ogni  modo  per  noi,  la  figura  radi- 
cale e  quindi  l'istoria  fonetica  rimanendone  sempre  la  stessa.  Non 
è  agevole  rinvenire  evidenti  esemplari  zendici  per  la  vece  gramma- 
ticale ài  g  e  k  {kh),  poiché,  dall' un  canto,  scarseggiano  nello  zendo 
le  occasioni  per  la  formula  grammaticale  g  +  s  {s),  e ,  dall'  altro, 
questo  idioma  riduce  volentieri  l'antico  Jis  {khs),  massime  interno, 
a  solo  s,  come  in  dasina-,  che  è  a  dritta,  =  sscr.  daksina  (10,  IL), 
o  in  vdsa  allato  all'integro  vdkhsa  (rad.  vakh-s-),  carro.  Conside- 
rata la  qual  riduzione,  un  buon  esempio  per  la  nostra  vece  s' ha 
ancora  in  vasi  {'vakh-si  =  sscr.  vak-si),  seconda  pers.  pres.  sg.  att.' 
di  vag  (=  sscr.  vag),  volere,  già  riconosciuto,  ma  non  abbastanza 
sicuramente  affermato  dallo  Schleicher  {Compendium,  sec.  ediz., 
§  139,  p.  200).  Oltre  a  gpakh-s  {gpag+  s),  il  dizionario  del  Justi 
ancora  ci  offrirebbe:  énakh-s,  raggiungere,  cui  dice  desiderativo  di 
nag  (  =  nag  sscr.,  §§  11,  18.  13,  13),  e  pihh-s  {pig  +  s),  ornare  (cfr. 
pakhs);  ma  son  dimenticati  tutti  e  tre  nel  suo  diligentissimo  spoglio 
fonetico  (ib.,  363  b). 


§    15.    ETÀ   DELLE   ALTERAZIONI   ASIATICHE    DEL   k   ORIGINARIO.      49 

(non  qualitative),  di  cui  a  suo  luogo  (§  19)  si  ritocca,  le  quali 
ci  portano  a  credere  che  il  k  originario,  fattosi  poi  Ti  indo- 
irano,  fosse  intaccato,  scosso,  in  un  certo  numero  di  esemplari, 
sin  da  periodi  di  gran  lunga  più  remoti  che  l'indo-irano  non 
sia,  ma  non  però  fosse  ancora,  in  questi  periodi,  distintamente 
alterato.  Le  singole  coincidenze  che  si  possono  addurre  per 
tenue  palatina  europea  [fi,  e)  di  contro  a  tenue  palatina  indo- 
irana,  in  tanto  sono  sempre  fortuite,  in  quanto  si  debbono  ad 
alterazione  consimile  che  dello  stesso  suono  originario  è  indi- 
pendentemente avvenuta  e  in  una  regione  e  nell'altra.  Cosi, 
per  incominciare  da  un  caso  evidentissimo,  quando  troveremo 
ca  romanzo,  per  ca  (ka)  latino,  allato  a  ca  {Ra)  indo-irano, 
p.  e.  in  cand-  (friul.  cànd-id  =  cand-ido-,  sscr.  liand-,  §  12,  2), 
si  tratterà  manifestamente  di  due  alterazioni  conformi  od  uguali, 
della  cui  genesi  ci  siamo  in  questa  stessa  Lezione  (§.14)  occu- 
pati, ma  non  già  di  unica  alterazione  primeva,  che  genealogi- 
camente si  continui  nell'un  parlare  e  nell'altro.  E  similmente, 
se  p.  e.  la  continuazione  italiana  dell'accusativo  latino  vocem 
riesce  ad  avere  una  palatina  {voce)  che  s'incontra  colla  pala- 
tina indo-irana  {vah,  12,  4.  15,  1.),  è  facile  avvertire,  pur 
prescìndendo  da  ogni  diretta  prova  della  modesta  antichità  della 
palatina  italiana,  come  s'abbia  in  questa  un  fenomeno  disgiunto 
e  diverso  dall' indo-irano;  poiché,  dall' un  canto,  il  fatto  della 
palatina  italiana  dipende  dalla  qualità  della  vocale  che  sus- 
segue {voc-e,  voc-i,  ma  all'incontro:  voc-ale,  in-voc-o),  dove 
r indo-irana,  all'incontro,  si  trova  indifferentemente  precedere 
a  qualsiasi  vocale  {vak-,  discorso,  allo  stroment.  sing.  :  vàH-d, 
al  locat.:  vah-i),  e,  dall'altro,  l'effetto  costante  della  causa 
determinatrice  della  palatina  italiana  deve  naturalmente  im- 
portare che  questa  v'abbia  pur  dove  in  favella  indo-irana  ri- 
mane imperturbata  la  gutturale  originaria;  p.  e.  in  *de-scen- 
dere  (onde  poi  discendere,  con  sce  =  se),  allato  a  scand-ere, 
sscr.  skand  (§  10,  9).  La  ragione  della  qualità  della  vocal 
successiva  vale  ugualmente  per  esempj  slavi  sulla  stampa  del 
paleo-bulgarico  cetyr-ije,  quattro,  la  cui  palatina  iniziale  s'in- 

AscoLi,  Fonol.  indo-iU-gr.  4 


50      §    15.    ETÀ   DELLE   ALTERAZIONI    ASIATICHE   DEL   k   ORIGINARIO.' 

contra  bensì  con  quella  dell'  equivalente  vocabolo  indo-irano 
(s.  natvar-,  z.  liathwar-),  ma  solo  fortuitamente  (cfr.  il  lituano 
keturì,  quattro,  colla  gutturale  intatta),  sempre  volendosi,  nel- 
l'antico bulgaro,  ce  per  ke  anteriore,  e  cosi  quindi  pur  peé-e-ti 
(egli  cuoce)  =  pdìi-a-ti  sanscrito,  pah-a-i-ti  zendo,  ma  all'in- 
contro pek-d  (io  cuoco),  colla  gutturale  intatta  (dove  il  san- 
scrito, sempre  colla  palatina:  pdk-à-mi),  difesa  com'è  dall' ò 
che  le  sussegue.  L'antico  bulgaro,  d'altronde,  contrapporrà, 
alla  sua  volta,  la  propria  palatina  alla  gutturale  sanscrita, 
p.  e.  in  éruvìj  verme  {crùmìnù,  vermiglio),  pari  al  sanscrito 
krmi-y  che  vale  il  medesimo. 

È  ugualmente  estranea  al  gruppo  italico,  al  greco,  al  celtico, 
e  al  germanico,  ogni  coincidenza  pro-etnica  di  una  loro  sibi- 
lante qualsiasi  con  la  sibilante  indo-irana  (p)  per  k  originario  *. 
Le  coincidenze,  che  pur  v'hanno,  son  qui  pure  manifestamente 
accidentali,  dovute,  cioè,  a  congruenza  patologica  e  non  a  con- 
tinuità istorica.  Cosi  sarebbe,  a  incominciar  sempre  dal  caso 
più  evidente,  di  quel  concordare  di  sibilante  francese  con  sibi- 
lante sanscrita,  che  avremmo,  a  cagion  d'esempio,  in  chien 
{sjen)  da  can-i-  (*cvan-i-)  latino  **,  allato  a  Quan  {*kuan)  san- 
scrito. Ma  non  sarà  meno  fortuito  il  concordar  che  facciano, 
nella  sibilante  per  k  anteriore,  la  voce  umbra  e  la  indo-irana, 
come  sarebbe  nel  numerale  dieci:  umbro  dege-  (  desen-du- , 
dodici),  sanscrito  e  zendo:  daga-.  Imperocché  l'alterazione  umbra 
(la  cui  natura  sibilante  è  del  resto  accertata  dalla  trascrizione 
s  s,  che  s'ha  nell'umbro  a  caratteri  latini,  v.  pag.  20)  è  deter- 
minata alla  sua  volta  dalla  qualità  della  vocale  che  sussegue 
(v.  gè  gi);  quindi,  per  rimanere  allo  stesso  nostro  esemplare. 


*  Esempj  celtici  e  germanici  per  la  continuazione  di  k  originario, 
fattosi  g  indo-irano  (cfr.  pag.  32),  sarebbero  le  voci  ibernie  (voci 
d'irlandese  antico):  cét  (két),  cento  (11,  1.),  clùu,  fama,  gloria  (11, 
5.),  cz<( genitivo:  con)^  cane  (11,  7.);  e  le  gotiche  (cfr.  la  nota  a 
pag.  32):  hunda-f  cento,  hliu-ma,  udito,  hun-d-s,  cane  (11,  1.  5.  7.). 

**  Fasi  intermedie:  kjarij  Jijen;  v.  sopra. 


§    15,    ETÀ    DELLE   ALTERAZIONI   ASIATICHE   DEL   k   ORIGINARIO,       51 

più  non  apparirebbe  in  dequria-,  decuria;  e  per  chi  volesse 
sospettare  di  provenienza  forastiera  questo  dequria-  degli  Um- 
bri, si  aggiunge  la  vece  umbra  di  ^  e  {;  in  uno  stesso  tema, 
secondo  la  diversa  vocale  che  la  varia  posizione  morfologica 
seco  porta,  cioè  l'accusativo  curnac-o  (cornicem),  allato  al- 
l'ablativo curnage  {curnase)  *.  Ora,  noi  più  non  abbiamo 
bisogno  di  spender  parole  a  dimostrare  la  differenza  che  passa 
tra  questo  fenomeno  e  l' indo-irano ;  né,  del  rimanente,  v'ha 
ombra  di  probabilità,  che  la  singolare  combinazione  umbra  gì, 
esclusivamente  interna,  comunque  ella  si  abbia  più  esattamente 
a  dichiarare,  stia  in  alcuna  diretta  relazione  coli' indo-irano  gr 
(sscr.  gr  e  gì)  **.  Se,  quindi,  lo  K  indo-irano  è  prodotto  po- 
steriore alla  compiuta  separazione  della  favella  ariana  dell'Asia 
da  quella  dell'Europa,  lo  g  indo-irano,  alla  sua  volta,  risulta 
intanto  posteriore  a  quelle  età,  in  cui  il  gruppo  italico,  il  greco, 
il  celtico,  0  il  germanico,  ancora  stavano  indistinti  dall' indo- 
irano. 

Ma  ancora  rimane,  rispetto  a  p,  il  gruppo  litu-slavo;  e  qui 
il  rapporto  fra  la  voce  europea  e  l'asiatica  muta  sembianze. 
Imperocché,  a  quella  sibilante  indo-irana,  che  riconduciamo  a  k 
originario,  la  voce  litu-slava,  alla  sua  volta,  risponde  di  re- 
gola con  una  sibilante,  che  è  sz  {=  s)  pel  lituano  e  s  per  lo 
slavo.  Si  osservi  la  serie  che  segue  : 

Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e  antico  bulgaro. 

3.  s.  gaia-,  z.  gata-,  cento  (11, 1.).       1.  szìmta-s***,  id.;  b.  sùto,  id. 
z.  parete-,  freddo.  ì.  szdl-ti,  gelare, szdl-ta-s,  freddo. 


*  V.  AuFRECHT-KiRCHHOFF,  Die  umbrischen  sprachdenkmàler,  II, 
25,  40,  51. 

**  Cfr.  Top.  cit.  nella  nota  precedente,  II,  182-4  (dove,  prese  le 
mosse  da  struhcla  strugla,  si  tocca  di  tutti  gli  esemplari),  78  (va- 
sirslome),  267-9  (previ[g]latu),  348-9  382  (ticel  ticlu),  373  (ere- 
olum-a),  376  (arglataf),  383  (kurolasiu);  e  v.  qui  innanzi, 
la  quarta  n.  a  pag.  55. 

***  V.  Di  un  gruppo  di  desinenze  indo-europee  (nel  sec.  voi.  degli 
Studj  critici),  n.  25. 


52 


15.    ETÀ   DELLE   ALTERAZIONI   ASIATICHE   DEL   k   ORIGINARIO. 


Sanscrito  e  zendo. 


Lituano  e  antico  bulgaro. 

1.  szery-s  Cszerja-s),  setola. 
1.  szakà,  id. 
1.  szu,  gen.  szùn-Sy  id. 
b.  sul-ita ,  id. 


s.  galja-s ,  porcospino. 

s.  ffàkhàj  ramo. 

s.gvan-,  cane  (11,  7). 

s.gùla-,  z.  gùra-  asta  (arme). 

s.gvit,  essere  bianco  (splendi-      h.  svit-a-ti ,  risplendere. 

do). 
z.gpenta-  (*cvanta-),  santo.  1.  szvènta-s,  id. ;  b.  svetto,  id. 

s.gjàmd-s,  turchino  oscuro.  1.  szema-s    (szjàma-s),   turchino 

grigio. 
S.  gru,  z.  gru,  udire,  s.  grdvas,      b.  slu-ti,  audire  (intrans.),  slava, 

gloria  (11,5.),  z.gravanh  gloria,  slovo  (gen.  sloves-e) , 

(  *cravas) ,  [gloria,  e]  parola.  parola. 

s.grduni-s,  z.  graoni-s,  anca,       1.  szlauni-s ,  id.  *. 

natica  (11,  6.). 
s.  dgva-,  z.  agpa-,  cavallo;  fem.      1.  aszvà,  cavalla  grande. 

s.  dgvà. 
s.  agra-,  dgru-,  z.  agru-,  lagri-      1.  aszarà,  id. 

ma. 
s.  vig-pdti-s,  z.  vig-paiti-'S,  capo,       1.  ve  sz-pat-s,  signore  (detto  di  dio 

signor  della  comunità.  e  del  re  ). 

s.t;tfua-,z.wp^a-,  persiano  del-      h.visì,  id.  (lit.  vìsa-s ,  id.  ). 

le  cuneiformi:  viga-,  tutto. 
s.daga,  z.  daga,  dieci.  1.  dészi-m-t,  id.,  b.  dese-tt,  id. 

L' importanza  della  qual  serie  è  appieno  dimostrata  dall'  altra 
che  ora  segue;  nella  quale  l' indo-irano  offrendo  k  (o  li),  la 
normale  risposta  litu-slava  ci  darà  anch'essa,  alla  sua  volta, 
k  [k  lit.;  k  slavo  0  suo  succedaneo). 

Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e  antico"  bulgaro. 

4.  s.  ka-s  (  z.  ha-  ) ,  quis  ;  hadà ,      1.  ha-s ,  id.  ;  kadà  id. 


quando, 
s.  kaRa-,  capellatura, 
s.  kar,,  z.  kar,  fare. 


h.kukù,  id.  (FiCK,  1.  e.  ,25). 
1.  hur-iù,  io  fabbrico. 


♦  V.  RUHia-MlELCKE ,  8.  huft. 


§   15.    ETÀ   DELLE   ALTERAZIONI   ASIATICHE   DEL   li   ORIGINARIO.      53 


Sanscrito  e  zendo. 
s.karty  z.  karet,  tagliare  (13, 

12.). 
s.kfmi-s^  verme. 

s.  ìiatvar-,  z.  Uathwar-,  quat- 
tro. 

z.  kaofa-,  monte ,  gobba. 
s.  kravja-,  carne  cruda  (  10, 6.). 

s.anka-.,  uncino  (13,  1.). 
z.taR,  correre,  scorrere   (15, 

1.  n.). 
s.paJi,  z.  pak,  cuocere. 
s.pdnJiaf  z.  panila,  cinque. 
s.vfka-s^  z.  vehrka-,  lupo. 


Lituano  e  antico  bulgaro. 
h.krat-ùkùy  breve  (tronco). 

1.  kirìnini-s,  pi.  kirmj-ei,  verme 

grande*;  b.  crùvi,  verme. 
1.  keturì,  b.  cetyrjie,  id. 

1.  kaupa-Sy  b.  kupa,  acervus  **. 
1.  kraùje-s,  b.  krùvi,  cruor,  san- 

guis. 
1.  oka-Sy  uka-s,  id.  ***. 
1.  tek-ù,  b.  tek-Oy  corro,  scorro. 

h.pek-Oy  io  cuoco. 

1.  penkì ,  id. 

1.  vìlka-s,  b.  vlùkù.,  lupo. 


La  quantità  degli  esempj  coincidenti  è  naturalmente  maggiore 
tra  il  sanscrito  e  lo  zendo  che  non  tra  il  sanscrito  (o  lo  zendo) 
e  il  litu-slavo;  e  la  quantità  delle  discordanze,  cioè  delle  ec- 
cezioni, che  tra  sanscrito  e  zendo,  come  già  avemmo  a  dire, 
si  riduce  a  pressoché  nulla ,  riesce  all'  incontro  abbastanza 
sensibile  tra  la  favella  asiatica  e  la  litu-slava,  avendosi,  cosi, 
il  k  litu-slavo  rimpetto  allo  g  indo-irano,  ne' seguenti  esempj: 

Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e  antico  bulgaro. 

5.  s.  ci  gdi-tai,  z.  gì  caètè,  giacere,  b.  po-c'i-ti,  riposare,  po-^o;,  quie- 
te, po-^oi-ti,  sedare;  1.  pa-Zcà/- 
-u-s,  quiete. 

*  RuHiG-MiELCKE,  119  ( kirminis ,  nio),  e  s.  wurm:  kirminasj 
ino  ;  -  oltre  kirmèle,  verme ,  che  ricorre  anche  presso  lo  Schleichbr  , 
e  kirmy-ti,  maijidar  vermi  (della  carne). 

**  V.  Ruhig-Mielcke,  111,  255-6,  MiKLOsiCH,  Radices  (1845),  41, 
FiCK,  o.  e.  45,  246. 

***  Questo  esempio  ricavo  dal  Fick,  o.  c.  ,  199,  e  vi  avremmo 
u  =  'an  iniz.;  cfr.  Schleicher,  Compendium,  §  100,  B,  §  101,  4, 
§  261  lit. ,  e  Di  un  gruppo  di  desinenze  indo-europee  (  Studj  criti- 
ci, li),  n.  84.  . 


54    §  15.  etX  delle  alterazioni  asiatiche  del  k  originario. 
Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e  antico  bulgaro. 

s.  àgman-y  pietra.  1.  akmu  (gen.  akmèn-s),  b.  kamy 

(gen.  kamen-e),  pietra. 
s.nag,  z.  nag,  perdersi,  dile--      1.  nyk-{nyk-aùnyk-ti),ià.  (Fick, 

guarsi  (11,  17.).  op.  cit. ,  100), 

s.pagu-,  z.  pagu-y  pecus.  antico  prusso  (idioma litavo)  :  pe- 

cku,  id. 

Ed  anche  per  k  indo-ìrano  rimpetto  alla  sibilante  litu-slava 
si  è  tentato  di  stabilire  qualche  esempio  *;  al  che  finalmente 
si  aggiungerebbe  la  vece  di  gutturale  e  sibilante  {h  e  sz;  k 
e  s)  per  entro  alla  stessa  favella  litu-slava,  negli  esempj  litua- 


*  Ma  nessuno  mi  pare  affatto  sicuro.  Lo  Schleioher  (Beitràge  zur 
vergleichenden  sprachforsehung,  I,  110-11)  adduceva,  oltre  ai  voca- 
boli per  cuore,  il  cui  rapporto  col  termine  indo-irano  si  manifesta 
per  noi  affatto  diverso  (v.  srùdite,  szirdìs):  il  \\iwa.vio  szèlp-ti^  aiu- 
tare, allato  al  germanico  halp  {half)  ed  al  sanscrito  kalp  (v.  intorno 
a  questo  V Introduzione  alla  morfologia  s.  v. ,  e  cfr.  il  sscr.  gilpa-, 
arte),  e  ancora,  non  senza  esitare,  il  lituano  szér-ti,  cibare  il  be- 
stiame, allato  a  quel  kar  sanscrito  di  cui  è  toccato  nella  nota  al 
§  10,  2  (spandere,  ecc.),  il  quale  direbbe  ricoprire,  e  quindi  ap- 
pena: riempire.  Il  Fick  viene  ad  aggiungere:  lit.  szekszta-s ,  bronco 
(tronco),  allato  al  sscr.  kàstha-,  pezzo  di  legno,  e  al  xairo-v  di 
Esichio  (^uXov.  'A^afxScve?),  1.  e,  25;-  lit.  szlaka-s,  macchia,  allato 
al  sscr.  kalkd-,  mota,  sudiciume,  1.  e,  37;  dove  però,  a  tacer  del 
resto ,  il  significato  originale  della  voce  lituana  appare  dal  dizion.  di 
RuHiG  e  Mielcke  piuttosto ^occm  che  non  macchia',-  lit.  szut-kà , 
scherzo  (non:  scherno),  allato  al  sscr.  kuts  (kutsaj),  oltraggiare, 
vilipendere,  1.  e,  44;  dove  però  è  affatto  problematico  se  la  base 
del  verbo  indiano  sia  knd,  e  affatto  problematica  l'esistenza  indi- 
viduale di  questa  base;-  szunt-ù,  arrostisco,  allato  al  sscr.  kvath 
(kvath-i-td-,  cotto,  bollito),  1.  e,  51;-  lit.  szep-ti-s,  scontorcere 
il  viso,  digrignare  i  denti,  allato  al  lat.  cap-er-a-re,  e  al  sscr.  kamp, 
tremare,"  kamp-a,  tremito,  vibrazione,  1.  e,  28;-  lit.  toszi-s,  il 
tegumento  bianco  della  betulla,  allato  al  sscr.^wa^-,  pelle,  corteccia, 
1.  c.,81. 


§    15,    EtX   delle   alterazioni    asiatiche   del   k   ORIGINARIO.      55 

Ili:  szeimyna,  famiglia  (i  famigli),  k&'ma-s,  villaggio,  casa- 
mento, kaimyna-s,  vicino  (Schleicher);  -  slep-iù,  nascondo, 
slap-tà,  segretezza  *,  allato  all'antico  prusso:  au-kUp-t-s,  na- 
scosto (Fick);  -  szluba-s,  zoppo,  allato  all'equivalente  lettone: 
klib-a-s**;-  e  nello  slavo  (antico  bulgaro):  sloniti  se,  aedi- 
nari,  allato  a  kloniti,  inclinare,  lit.  klònioti-s  (inchinarsi)  ***. 
Ma  qualche  oscillazione,  tra  indo-irano  e  litu-slavo,  è  affatto 
naturale;  e  la  vece  litu-sla.va  sarà,  in  qualche  esemplare,  solo 
apparente  ****.  La  generale  concordanza  indoirana-lituslava 
rispetto  agli  esemplari  in  cui  si  è  conservato  l'antico  A  ed  a 
quelli  in  cui  si  è  ridotto  a  suono  sibilante,  rimane  sempre  una 
realtà  incontrovertibile,  la  cui  importanza  può  tanto  meno  in- 
firmarsi pei  singoli  fatti  che  testé  adducemmo,  quanto  è  meno 
avvertibile  la  causa  per  la  quale  il  k  originario  subisse  l' affe- 
zione, e  quindi  l'alteramento  indoirano-lituslavo ,  piuttosto  nei 
determinati  esemplari  che  non  in  altri  *****,  e  quanto  perciò  è 


*  Fa  difficoltà  l'aversi  si,  anziché  szl,  cosi  presso  Ruhig-Miel- 
cke,  come  presso  lo  Schleicher.  E  nell'esemplare  che  precede  manca 
una  sufficiente  congruenza  di  significati. 

**  FiOK,  1.  e,  50,  e  aggiunge  un  lit.  klumba-s,  zoppicante. 

***  J.  ScHMiDT,  Beitràge  zur  vergUich.  sprachforsch. ,  V,  467. 

****  V.  Politecnico,  XXI,  84;  e  per  un  esempio  di  sibilo  indo- 
lituslavo  allato  a  k  lituano,  v.  FiCK,  1.  e,  s.  parka  1.  e  2.  -  Circa  il 
lit.  klausyti,  udire,  allato  all'equivalente  slavo  (paleo-bulg.)  slusati, 
V.  PoTT,  Etymolog.  forschung.,  sec.  ed.,  II,  586,  Wurzel-wórter- 
hucli,  I,  722,  e  similmente  si  avrà  a  dichiarare  il  paleo-bulg.  svekrù, 
suocero,  allato  al  lituano  szeszura-s  ( *seszura-s ;  v.  sv). 

*****  All'incontro  si  tratterebbe  di  k  susseguito  da  l  in  tre  sui  quat- 
tro esemplari  che  possonsi  addurre  per  la  vece  entro  ai  confini  litu- 
slavi,  locchè  rende  ancora  piti  dubbio  quello  che  rimane  (szeimyna-, 
kaimyna-).  Cfr.  lo  qI  umbro,  di  cui  è  discorso  a  pag.  51.  -  Si  è 
tentato,  ma  indarno,  d'infirmare  la  coincidenza  di  cui  si  tratta,  alle- 
gando una  pretesa  differenza  essenziale,  che  vi  avrebbe  tra  il  suono 
dello  p  indo-irano  e  quello  dello  sz  s  litu-slavo;  v.  Politecnico,  1.  testò 
citato,  Ebel,  Zeitschrift  s.  e,  XIII,  276-7,  e  qui  sopra,  p.  13. 


56       §    15.   ETÀ   DELLE   ALTERAZIONI  ASIATICHE   DEL   h  ORIGINARIO. 

men  probabile  (ed  è  anzi  impossibile)  che  si  tratti  di  mera 
opera  del  caso. 

Nasce  quindi  il  quesito  del  come  si  abbia  a  dichiarare  questa 
speciale  somiglianza  tra  l'indo-irano  e  il  litu-slavo,  che  affatto 
ripugna  di  considerar  fortuita?  E  due  son  le  risposte  che  si 
presentano.  0  ci  faremo,  cioè,  a  supporre,  che  l'indo-irano  e 
il  litu-slavo  abbiano  avuto  un  più  lungo  periodo  di  vita  co- 
mune che  non  fosse  tra  l'indo-irano  e  il  restante  degli  idiomi 
ariani  dell'Europa;  oppure  dovremo  immaginare,  che  il  k  ori- 
ginario, leggermente  affetto  dalla  parassita,  in  un  determinato 
numero  di  esemplari,  sin  dal  periodo  proto-ariano,  si  venisse 
poi  liberando,  in  alcune  favelle,  di  questo  intacco,  ed  in  altre, 
all'incontro,  per  conforme  sviluppo  dell'antica  affezione,  su- 
bisse trasmutazioni  conformi,  le  quali  rappresenterebbero  effetti 
consimili,  ma  tra  di  loro  indipendenti,  di  una  medesima  causa. 
In  questa  ipotesi,  il  vocabolo  per  dieci,  a  cagion  d'esempio, 
avrebbe  suonato,  nel  periodo  unitario,  con  leggero  intacco  del  k: 
dak^a;  donde,  dall'una  parte,  il  tipo  daka,  quasi  il  tipo  risa- 
nato, a  cui  risalirebbero  il  greco,  l'italico,  il  celtico,  il  ger- 
manico; e,  dall'altra,  il  tipo  dakja,  colla  parassita  invadente, 
al  quale  riverrebbero,  per  la  via  a  suo  luogo  indicata,  le  due 
voci  in  cui  è  la  sibilante,  che  son  la  litu-slava  e  l'indo-irana, 
È  ipotesi  più  cauta  che  non  l'altra,  la  qual  farebbe  ritardare 
il  distacco  del  litu-slavo  dalla  favella  ariana  dell'Asia.  Poiché 
a  favor  di  questa  induzione  pajono  bensì  stare  altri  fatti  fo- 
nologici e  lessicali,  che  potremo,  più  tardi,  almeno  in  parte 
avvertire;  ma  le  obiezioni  che  insorgono  dalla  grammatica  com- 
parata contro  alla  affermazione  del  più  tardo  distacco  del  litu- 
slavo,  son  tuttavolta  cosi  gravi,  che  non  soltanto  ci  fanno 
pendere  incerti,  ma  anzi  ci  rendono  inchinevoli  all'altra  solu- 
zione del  problema.  La  quale  però,  alla  sua  volta,  forse  incontra 
una  indiretta  difficoltà,  ed  è  questa:  che  mentr'essa  c'induce 
a  statuire  spento  nel  greco,  nell'italico,  nel  celtico  e  nel  ger- 
manico, quel  germe  alterativo  dal  cui  sviluppo  si  ripeterebbe 
la  sibilante  indo-irana  e  litu-slava  per  k  originario,  v'ha,  al- 


§    15.    ETÀ   DELLE   ALTERAZIONI   ASIATICHE   DEL   k  ORIGINARIO.       57 

l'incontro,  che  alcune  altre  notevoli  coincidenze  (^indo-ir.=  qv 
lat.,  ecc.),  le  quali  già  furono  accennate  in  questa  stessa  Le- 
zione e  sono  da  studiarsi  nella  prossima,  accennerebbero  a  un 
germe  antichissimo,  e  quasi  latente,  d'alterazione  della  tenue 
gutturale  originaria,  il  quale  si  sarebbe  svolto,  per  guise  di- 
verse, nella  favella  indo-irana  e  in  varie  favelle  europee,  nella 
greca  specialmente  e  nell'italica,  laddove  la  litu-slava,  alla 
sua  volta,  qui  non  darebbe  alcun  sicuro  indizio  dell'intacco 
primevo. 


LEZIONE  TERZA. 


La  tenue  gutturale.  (Continuazione  e  fine. 


§16.  Le  alterazioni  asiatiche  del  k  originario  ci  condussero  ad 
esaminare,  in  sulla  fine  della  lezione  precedente,  i  riflessi  litu- 
slavi  di  questo  suono.  Ora  rimane  che  si  considerino  quei  con- 
tinuatori 0  quei  succedanei  italici  e  greci  di  esso,  pei  quali  si 
viene  a  deviare  dalla  equazione  che  già  tanti  esempj  ci  hanno 
afifermata:  k  orig.  =  x  gr.  =  e  lat.  (§§  10,  11 ,  12). 

Dove  alla  tenue  gutturale  sussegua  in  favella  latina  un  suono 
che  è  tra  il  -y  e  V  u,  susseguito  alla  sua  volta  da  vocale,  la 
scrittura  romana  rende  essa  gutturale  per  q  ,  e  siamo  alle  com- 
binazioni: QVA  QVE  QVi  Qvo  Qvv.  Le  contrazioni  latine  che  ci 
danno  e  per  succedaneo  di  g  (p.  e.  secutus  e  secundus  allato  a 
sequor  sequutus),  le  trascrizioni  di  voci  romane  in  alfabeti  di- 
versi dal  latino  (p.  e.  TopxouaTo;  *),  e  la  pronuncia  che  le  combi- 


*  Cfr.  CoRssEN,  Ùber  aussprache,  vokalismus  und  betonung  der  la- 
teinischen  sprache,  sec.  ed.,  I,  74.  Il  discorso  corsseniano  intorno 
al  Q,  utile  e  massiccio  come  ogni  suo  studio,  è,  per  quanto  a  me 
sembra,  tra  i  meno  felici,  rispetto  alla  evidenza  ed  alla  sicurezza 
della  trattazione.  —  Dalle  testimonianze  delle  scritture  straniere 
va  del  resto  espunta  quella  dello  kv  (k  +  v)  gotico,  introdotto  dal 
Castiglioni  in  un  nome  i^roprio  {Akvila,  Epist.  pr.  ai  Corintj,  16,  19), 
la  cui  ortografia  soverchiamente  latina  doveva  parer  singolare  nella 
versione  ulfiliana  (cfr.  Gabelentz  e  Lòbe,  Ulflas,  II,  ii,  §§  35,  2; 
44,  2).  Il  palinsesto  legge  chiarissimamente:  Ahyla  =  ' ky.u'kx';. 


I 


§    16.    k   ORIGINARIO,    q   LATINO.  59 

nazioni  latine,  in  cui  entra  il  q,  hanno  tuttora  in  varj  idiomi 
romanzi,  e  nell'italiano  in  ispecie  (p.  e.  quale,  aquila),  già 
basterebbero  a  renderci  persuasi  che  alcuna  sensibile  differenza 
non  intercedesse  fra  la  gutturale  rappresentata  dal  q  latino  e 
quella  che  si  ritraeva  per  e  (=k).  Ai  quali  argomenti  si  ag- 
giunge poi  la  stessa  ragione  istorica  per  la  quale  al  g  è  as- 
segnata la  funzione,  a  prima  vista  singolare,  di  rappresentar 
la  tenue  gutturale  in  quest'unica  combinazione  fonetica.  Poiché 
il  qoppa  {koppa)  degli  alfabeti  greci,  al  quale  risponde  il  q 
latino,  era  alla  sua  volta  limitato,  di  regola,  alla  combina- 
zione qo  *  ;  limitazione  opportuna  ad  impedire  che  si  confon- 
dessero, nell'uso,  le  due  tenui  gutturali  dell'alfabeto  fenicio 
adottato  dai  Greci  {kaph  =  kappa,  qoph  =  qoppa),  e  suggerita 
senz' alcun  dubbio  dal  nome  del  qoph,  vale  a  dire  dalla  vocale 
a  cui  il  qoph  si  sposava  nello  stesso  suo  nome  **.  Questa  let- 
tera, del  rimanente,  ridondante  siccom'era  nella  scrittura  dei 
Greci,  venne  a  poco  a  poco  a  dileguarsi  dalla  maggior  parte 
dei  loro  alfabeti.  I  Romani,  alla  lor  volta,  avutala  nell'alfa- 


*  V.  Franz,  Elementa  epigraphices  graecae,  pag.  46  {Moikriqo- ,  52 
[1,  b];  Qopiv3-o5£v,  72;  Ilagov  [Ilaxwv]  in  uno  stesso  vaso  allato  a 
Saxi?,  68;  Aug'oSopxa; ,  123),  Kirchhoff,  Studien  zur  gesicMchte  dea 
griechischen  alphabets,  sec.  ediz.,  pag.  96  v.  f. ,  100  v.  f . ,  111  in  f. 
(cfr.  32,  33  [34,  36],  41:  qho  =  yo,  57,  69-70).  Ma  in  un  medesimo 
vaso  (C.  Inscr.  Graec.  n.  7381,  Kirchhoff  111),  alle  cui  scritte  ri- 
mane estraneo  il  x,  abbiamo:  Asp-oSog-o? ,  FXau^'o;  e  QIuto.  Né  manca 
il  qoppa  dinanzi  all'u,  cfr.  Kirchh.  Ili,  113,  132;  ma  la  serie  qi 
qa  qu  qe,  dato  pure  che  s'abbia  veramente  a  leggerla  sul  vaso  di 
Cere,  poco  o  nulla  proverebbe  per  sé  stessa,  e  ad  ogni  modo  non 
sarebbe  di  scrittura  greca. 

**  Cosi  V aleph  fenicio,  che  é  tutt' altro  che  la  semplice  vocale  a, 
venne,  tra' Greci,  alle  funzioni  dell' a,  perché  dall' a  incomincia  il 
suo  nome;  e  il  he  fenicio,  lieve  aspirata,  e  a  poco  a  poco  pure  il 
hét  fenicio,  aspirata  piti  forte,  assunsero  le  funzioni  della  vocale  che 
é  nella  sillaba  da  cui  si  nominano,  restando  assegnata  la,  prima  all' e 
breve,  la  seconda  al  lungo. 


co  §    10.   ^   ORIGINARIO,   q   LATINO. 

beto  greco  da  essi  assunto,  le  assegnarono  bensì  una  funzione 
non  dissimile  da  quella  in  cui  i  Greci  la  porgevan  loro ,  ma  pur 
la  ridussero  meno  superflua,  poiché  in  qva  ecc.  si  tratti  della 
gutturale  aggruppata  ad  un  v  che  non  è  né  vocale  né  conso- 
nante, e  quindi  di  una  combinazione  caratteristica,  nella  quale 
a  buon  dritto  il  q  romano  si  é  perennemente  mantenuto.  Ma  il  q 
ridondava,  in  fondo,  anche  nella  scrittura  latina;  e  quando  noi 
prescriviamo  ai  nostri  fanciulli  di  scrivere  italianamente  aquila, 
anziché  acuila,  altro  non  facciamo  che  obbedir  tuttora  a  una 
fittizia  distinzione,  suggerita  alla  Grecia  prisca  dal  nome  di 
una  lettera  fenicia  *.  Tra  il  kua  di  equarius  (quadrisillabo)  e 


*  Chi  volesse  supporre  che  i  Romani  si  valessero  dapprima  del 
qoppa  per  rappresentare  con  unica  figura  la  tenue  gutturale  e  l'ap- 
pendice labiale  ad  essa  susseguente,  e  quindi  primamente  si  scri- 
vesse qa  per  esprimere  qua,  avrebbe  contro  di  sé  e  l'uso  greco  dì 
questa  lettera  e  l'istoria  della  scrizione  romana.  Poiché  gli  esempj 
qaerella,  neqidem,  qintae,  qa,  qae,  qe,  qi,  raccolti  dal  Corssen  (1.  e, 
p.  72),  son  tutti  dell'età  imperiale;  e  il  solo  esempio  che  per  l'età 
repubblicana  egli  vorrebbe  stabilire,  cioè  Proqilia,  ben  sarà  piut- 
tosto, come  ha  veduto  lo  Schuchardt  [Der  vokalismus  des  vulgàr- 
lateins,  II,  482,  cfr.  Huebner,  in  Corp.  inscr.  lat.,  I,  609),  un  caso 
di  q  per  e  (k;  cfr.  Procillus,  -cilla)  che  non  di  qi  =  qui  (ed  anche 
Qaesicianum,  dell'età  imperiale,  sarà  piuttosto  per  Caesicianum,  cfr. 
caesicius,  che  non  per  Quaesicianum).  Questa  maniera  compendiosa 
ha  di  certo  per  autori  alcuni  grammatici  di  bassa  età,  ai  quali  deve 
essere  stata  suggerita  o  persuasa  dalla  storta  loro  opinione,  che  la 
figura  del  q  in  sé  compendiasse  il  e  e  1' v.  Così  Vello  Longo  (ed. 
Putsch,  p.  2218-19):  De  q  litera  quEesitura  est  et  multi  ìllam  exclu- 
serunt,  quoniam  nihil  aliud  sit  quam  e  et  u.  et  non  mìnus  possit 
scribi  quis  per  e  et  u  et  ^  et  s.  nani  ipsa  quoque  nota  qua  scribitur, 
si  modo  antiquam  literae  figuram  spectes,  ostendit  e  esse  et  v  pariter 
literas  in  se  confusas.  Ideoque  nonnullì,  quis,  et  quse,  et  quid,  per 
Q  et  1  et  s  scrìpserunt ,  et  per  q^  ,  et  per  qid  ,  quoniam  scilicet  in  q 
esset  e  et  v.  Cfr.  Diomede,  ed.  Putsch,  p.  420  (=  ed.  Keil,  I,  425; 
e  Carisio,  ed.  Keil,  I,  10).  All'incontro  il  vecchio  Scauro  (ed.  Putsch, 


§   16.   k  ORIGINARIO,   q   LATINO.  61 

quello  ài pecuarius  (quinquesillabo)  v'ha  bene  una  differenza; 
ma  non  istà  nella  gutturale;  sta  nel  suono  che  è  fra  questa  e 


p.  2253):  q  litera  aeque  re£enta  est  propter  notas,  quod  per  se  posita 
significaret  q  qusestorem;  et  quia  cum  illa-v  litera  conspirat,  quoties 
consonantis  loco  ponitur,  id  est,  prò  vau  litera,  ut  quis  etqualis; 
unde  et  grceci  y.ó.-ktzx  (1.  xoTrTcac)  quod  prò  hac  ponebant  omiserunt» 
postquam  etc.  Della  scrizione  sofìstica  di  q  per  qv  si  ha  probabil- 
mente un  riflesso  coevo  al  di  là  dei  confini  italiani.  Poiché  le  due 
combinazioni  di  lingua  gotica:  hv  e  kv,  la  cui  esistenza  è  dimostrata 
nel  più  evidente  modo  da  tutte  le  ragioni  comparative,  son  rappre- 
sentate, nella  scrittura  gotica,  da  un  solo  carattere  per  ciascuna, 
e  il  carattere  per  kv  altro  di  certo  non  è  che  il  q  latino  (cfr.  Ga- 
BELENTZ-LoEBE ,  Ulfìlas ,  II,  II,  14).  Qualche  fondamento  storico 
avrà  piuttosto  l'allegazione  di  Servio  (ed.  Keil,  IV,  422-3;  cfr.  ih.  477 
=  Putsch,  1828-9)  :  k  vero  et  q  aliter  nos  utimur,  aliter  usi  sunt  maiores 
nostri,  namque  illi,  quotienscumque  a  sequebatur,  k  prasponebant  etc. 
itemque  illi  q  prseponebant ,  quotiens  u  sequebatur,  ut  qum-,  nos  vero 
non  possumus  q  prseponere,  nisi  et  u  sequatur  et  post  ipsam  alia  voca- 
lis,  ut  quoniam;  allegazione  che  ritorna  in  Pompeo  (ed.  Keil,  V,  110; 
cfr.  Donato,  ib.,  IV,  368),  ma  di  certo  non  può  menarsi  buona  sen- 
z'altro, e  solo  può  valere,  associandola  agli  esemplari  epigrafici  cui 
tantosto  arriviamo,  a  farci  credere  che  dapprima  si  adoperasse  il  q 
anche  dinanzi  a  v  vocale,  e  mano  mano  poi  si  limitasse  alle  sillabe 
QVA  ecc.  Il  Corssen,  comechè  non  affermi  che  primamente  si  scri- 
vesse qa  per  qua  ecc. ,  confonde  tuttavolta  di  continuo ,  e  in  penosis- 
simo modo,  Q  e  Qv;  ed  ha  il  coraggio  di  affermare,  che  si  abbia  q 
per  QV  in  tutte  le  seguenti  scrizioni:  Mirqurios,  Aquti , pequnia  (que- 
sto esemplare  occorre  frequente,  e  si  agginrigono pequs pequdes) ,  pe- 
qulatu,  persequtio,  oqupatum,  Aesqulli,  me^quìn,  qura  quraverunt , 
qur,  Qusonius,  qumditos,  sequri,  qubitorum,  quius  (1.  e,  71-2),  e 
pur  riferendosi  a  Sergio,  e  vedendo  perciò  che  si  tratti  di  semplice 
questione  ortografica ,  ci  assicura  con  tutta  serietà  che  nella  pronuncia 
di  pequnia  ecc.  il  v  del  q  è  confluito  coli'  v  vocale  che  susseguiva 
(PEQvvNiA  PEQVNiA).  Scnonchè,  prescindendo  dalle  propaggini  del  qvo- 
pronominale,  in  cui  potrebbe  reggere  V  ipotesi  di  qv  =  *qvv  =  qvo  (p.  e. 
qvoivs,.'qvvivs,  QVivs,  cuius),  e  forse  ancora  da  cura  curare  (cfr. 


62  §    16.   k  ORIGINARIO,   q    LATINO. 

Va\  il  quale  h  un  u  ben  distinto  nel  secondo  esempio,  laddove 
nel  primo  è  un  semplice  fruscio  labiale,  che  non  ha  valor  pro- 
sodico alcuno  *. 

Se  poi  ci  volgiamo  a  scrutare  l'età  e  la  ragione  istorica  di 
questa  tenue  gutturale  latina  con  accompagnamento  labiale, 
gioverà  imprima  dare  opera  a  distinguere  in  varie  categorie 
gli  esempj  che  ammettono  comparazioni  eteroglosse.  E  mande- 
remo innanzi  gli  esemplari  in  cui  a  qv  latino  risponda  in  altri 
membri  della  famiglia,  cosi  dell'Asia  come  dell'Europa,  la  tenue 
gutturale,  o  un  suo  normale  succedaneo  (§§  11-15),  simil- 
mente accoppiata  a.  v  oà.  a.  u: 

1.  Lat. :  quo-  (quo-d,  quó-rum,  qua-,  quo-t,  ecc.)  e  qui-  (qui-s, 
qui-d,  qui-bus).  La  combinazione  qv  (cfr.  §  19),  oltre  ad  es- 
sere affermata,  come  a  suo  luogo  vedremo  {§  17),  dai  riflessi 
greci,  osci  ed  umbri,  ha  il  suo  pieno  riscontro  pure  nei  go- 
tici: hva-s  **,  hvò,   hva,   quis,   quae,   quid,   hva-pró,   donde. 


coeraverunt',  eoe-  que-  quu-?),  e  da  persequtio,  che  oscilla  tra  se- 
quutus  e  secutus,  io  domando  dove  il  Corssen  trovi,  nella  realtà,  la 
combinazione  qvv  ch'egli  affibbia  a  tutte  quelle  forme?  Dove  è  nnpe- 
quunia  o  un  oquupare  o  un  quon-  (=  con-)?  Qui  si  tratta,  manifesta- 
mente, o  di  avanzi  dell'antica  ortografia  qu  =  ku  {u  vocale),  o  di 
errori  di  tarda  età;  così  come  potrà  essere  arcaica  la  scrizione  pe- 
-qu-a-ri-o  (C.  I.  L.,  n.  1130),  ma  certo  erano  semplicemente  erronee 
le  scrizioni  vaqua  vaqui  (va-cu-a  va-cu-i),  contro  alle  quali  insor- 
geva Probo  (ed.  Keil,  IV,  197). 

*  Egregiamente  Prisciano  (Putsch,  543  =  Keil,  II ,  12)  :  5'  vero  propter 
nihil  aliud  scribenda  videtur  esse,  nisi  ut  ostendat,  sequens  u,  ante 
alteram  vocalem  in  eadem  syllaba  positum,  perdere  vim  literse  in 
metro,  quod  si  alia  ideo  litera  est  existimanda  q  quam  e,  debet  g 
quoque,  cum  similiter  prseponitur  u  amittenti  vim  literse,  alia  pu- 
tari,  et  alia,  cum  id  non  facit.  dicimus  enim  anguis  sicuti  quis,  et 
augur  sicut  cur  (cfr.  560,  568,  =  K.  ib.,  36,  47).  Cfr.  il  passo  di  Scau- 
ro,  allegato  nella  nota  che  precede. 

**  hv  gotico  ò  la  normale  risposta  di  kv  ante-germanico.  E  poiché 
ci  accadrà  piti  volte  di  ricorrere  ad  esempj  germanici,  profittiamo 


§    16.    k  ORIGINARIO,    q   LATINO.  63 

hva-r,  dove,  (ubi,  ttou),  ecc.  Nell'Asia,  il  tipo  'kva-  o  'kvi- 
raancherebbe  affatto  nella  schietta  funzion  pronominale  (sscr. 
ka-s^  quis,  ecc.),  ma  nelle  propaggini  si  fa   sentire,  comechò 


ora  dell'incontro  per  porgere  in  brevissimi  tratti  la  chiave  princi- 
pale del  rapporto  che  intercede  fra  le  esplosive  indo-italo-greche  ov- 
vero ante-germaniche  (o  meglio:  originarie)  e  le  loro  corrispondenze 
germaniche.  Un  primo  e  generale  tralineamento  (§7),  al  quale  si 
ferma  il  gotico  e  con  esso  ogni  altra  favella  germanica  all'  infuori 
dell' alto-tedesca ,  consiste  in  ciò:  che  per  semplice  tenue  ante-ger- 
manica (k^t^p)  vi  si  abbia  tenue  aspirata  o  più  propriamente  spi- 
rante sorda  (h,  p  [th],  f);  per  semplice  media  ante-germanica  {g, 
d,  b),  vi  si  abbia  all'incontro  semplice  tenue  {h^t^p);  e  finalmente 
per  media  aspirata  originaria  e  sanscrita  (gh,  dh,  bh',  gr.  j^,  5,  9), 
vi  si  abbia  semplice  m^dia.  L'alto-tedesco  (e  quindi  la  lingua  let- 
teraria dell'odierna  Alemagna)  non  si  arresta  allo  stadio  gotico,  ma 
tralinea  ancora,  e  alla  sua  volta  starà  allo  schema  gotico,  in  ispecie 
per  la  sezione  dentale  (got.  p  [th],  t,  d),  così  a  un  di  presso  come 
il  gotico  sta  agli  schemi  piti  genuini  ed  in  ispecie  al  greco.  Quindi  : 
semplice  media  alto-tedesca  per  spirante  sorda  gotica  (  tenue  aspirata 
proto-germanica  =  semplice  tenue  ante-germanica);  spirante  sorda 
alto-tedesca  per  semplice  tenue  gotica;  e  semplice  ^enwe  alto-tedesca 
per  semplice  media  gotica.  Aggiungiamo  la  dimostrazione  sinottica, 
e  qualche  esempio: 

Stadio  ante-germanico. 

k,        ty        p',      g,       d,        b\     gh(i),     dh(^),     bh{(f). 
Stadio  gotico. 

h,    p(th),     f;     k,        t,       p;       g,  rf,  b. 

Stadio  alto- tedesco. 
d,        z{ss),     t. 

Esempj  per  la  serie  gutturale  (k-h;  g-k;  gh[x]-g): 

Greco,  latino,  ecc.  Gotico. 

caeco-j  haiha-y  monocolo. 

cornu-,  hauma-f  corno. 


64  §  16.  k  ORIGINARIO,  q  latino. 

men  decisamente  di  quello  che  a  prima  vista  appaja.  Al  gotico 
hva-pró  (donde;  forma  probabilmente  ablativa)  fanno  bel  riscon- 
tro il  sscr.  kù-tra  (dove,  dovunque)  e  lo  zendo  ku-thra  (dove), 
i  quali  ci  darebbero  ku  =  'kva ,  per  una  contrazione  che  di  fre- 


Greco,  latino,  ecc. 

cord-,  xapSc'a, 
xXeTi-T-etv,  rubare, 
xXu-ótv,  udire,  ascoltare, 
Set'x-vu-ixt ,  io  mostro , 
socer, 

yvw-To-,  noto, 
Yo'vu,  genuj 
aYpo'-,  agro-  (ager), 
[xe^aXo-,  grande, 

Xr  versare  (/e/'o»,  yu-Gi-;;), 
(iTEiy-etv,  procedere, 
Xeij^-£tv,  leccare, 

Esempj  per  la  serie  dentale: 


Gotico. 

hairtan-,  cuore. 
hlif-an ,  id. 
hliu-man,  udito. 
-teih-an,  mostrare. 
svaihran-,  id. 

kun-pa-,  id. 
kniva-,  id. 
akra-,  id. 
mikila-f  id. 

giu-t-an,  id. 
steig-an,  salire. 
-laig-ón,  id. 


Greco,  latino,  ecc. 

To'-v,  is-^M-m, 
TpsT?,  tres, 
Ttrepo-,  penna  (ala), 

duo, 
sud-or^ 

sscr.  ud-a-y  slavo  vod-a , 
acqua , 

8 APS  (5apaétv  3-a^psiv), 
osare,  " 

£-pu5--po-,  rosso. 


Gotico. 

tha-n-a,  id. 

threis,  id. 

in  gì.  feather,  id. 

ifrai,  id. 

ingl.  stoeatf  id. 


Alto-tedesco  (moderno). 

de-n,  id. 
drei,  id. 
feder,  id. 

^^cc^,  id. 
schioeiss,  id. 


va<-aw-,  acqua,  zoass-er,  id. 

-daurs-an,  ant.-sass. 


daurr-ariy  id. 
randa- y  id. 


furr-an  (antico),  id. 
rof,  id. 


§   16.    k   ORIGINARIO,   q   LATINO.  65 

quente  occorre  {w.  u  =  va  ) ,  e  visi  uniscono  lo  zendo  ku-tha , 
quonaodo,  il  vedico  kic-ha,  dove,  il  sanscrito  kù-ta:^,  donde,  ed 
altri.  La  reale  somiglianza  tra  lo  kva  sanscrito  e  zendo  (dove) 
e  il  latino  quo,  prescindendo  dalla  uscita  o  vogliam  dire  dal 
caso  diverso  clie  è  nelle  due  forme,  si  strema  per  ciò,  che  la 
voce  latina  ritorna  a  'kva,  e  l'indo-irana  all'incontro,  come  pel 
solo  fatto  dell'accentuazione  sanscrita  già  si  vedrebbe  (  kvà  =  kù-à , 
p.  16),  a  hu.  E  ben  minore  delle  apparenze ,  anzi  forse  illuso- 
ria affatto,  è  la  speciale  consonanza  tra  il  laXìno  quantu-s  e  lo 
zendo  JivaTit-,  quantus,  qualis,  citata  con  soverchia  compia- 
cenza da  più  linguisti.  Poiché,  quanto  è  manifesto  che  la  forma 
latina  risale  a  'Uva-,  altrettanto  è  improbabile  che  a  'kva  risalga 
la  figura  irana,  la  quale  mancherebbe,  in  questa  ipotesi,  di  ogni 
riscontro  etimologico  nell'Asia,  e  ancora  rimarrebbe  affatto  sin- 
golare per  la  corrispondenza  fonetica  liv  =  'kv.  Ma  kvant-,  quando 
a  dirittura  non  istia  per  Ri-vant,  e  così  combaci  affatto  col  ve- 
dico ki-vant-  =  kijant-  (v.  p.  47),  che  dice  ugualmente:  quantus, 
qualis  *,  ammetterà  tutt'al  più  la  dissezione  ku  +  ant  (ku+vaìlt), 
in  cui  ritorna  il  contratto  ku,  che  si  rivede  in  Jiù,  come**, 
parallelo  al  vedico  kù,  dove  ***. 


"'  E  la  doppia  figura  {Mvant  kiant)  era  per  avventura  propria  anche 
dell'antica  Irania.  Nes.suna  traccia  del  v  nella  forma  irana  medie- 
vale e  moderna:  cand. 

**  JusTi,  o.  e,  p.  112,  Spiegel,  Grammatik  der  altbaktrischen 
sprache,  p.  201. 

***  Pur  nel  gruppo  litavo  si  avrebbero  vestigi  dell'  accompagna- 
mento labiale.  In  singolare  armonia  colle  favelle  asiatiche,  l'antico 
prusso  ha  l'interrogativo  ka-s  (=  lituano  ka-s,  sanscrito  ka-s),  quis, 
collo  schietto  ka,  allato  alle  figure  avverbiali  quei,  dove,  quendau, 
donde  (Diefenbach,  Vergi,  loórterb.  d.  goth.  spr.,  II,  596,  Grass- 
MANN,  Zeitschrift  s.  e,  IX,  20).  Nel  lituano  s' ha  il  tema  prono- 
minale: kur-ja-  (quale,  quegli  che,  cfr.  Schleicher,  Lit.  gramm., 
p.  299-300)  la  cui  base  coincide  col  kuì%  dove,  dello  stesso  lituano, 
come  il  tema  gotico  hvar-ja-  (nomin.  hvarjis,  ziq,  quale?)  coincide 
nella  sua  base  collo  hvar,  dove,  del  gotico  stesso.  Tuttavolta  il  rag- 
guaglio kur  lit.  =  hvar  got.  perde  di  sicurezza  quando  si  considerino  il 
lituano  visuv  (cfr.  p.  52),  ovunque,  il  lettone  tnv  (là,  «olà),  e  altrettali. 

Ascoli,  Fonai,  indo-it.-gr.  5 


66  §    16.   k   ORIGINARIO,    q   LATINO. 

2.  Lat.  queoy  posso.  L'esatta  corrispondenza  fonetica  e  morfologica 

di  questo  verbo  latino  ò  nello  gvi  sanscrito  (,queunt  :  gvdjanti  :  : 
eunt  :  djanti  [vanno]  ) ,  il  quale  però  significa  :  enfiarsi ,  crescere , 
e  non:  potere,  meglio  così  coincidendo,  nel  rispetto  logico,  col 
greco  xuw,  xusw*,  son  pregna,  e  con  voci  latine  che  più  tardi 
addurremo  (§20).  Ma  dalla  figura  radicale  gav  {gav,  gù),  che 
si  alterna,  nella  conjugazione,  con  gvi  {gav  :  gvi  :  :  gar  :  gri, 
pag.  40,  in  fine),  si  hanno:  gdv-as,  forza,  gù-ra-,  eroe  (zendo 
gù-ra~,  forte,  eroico,  gr.  xU-po-;,  forza),  pei  quali  appien  si 
conciliano,  anche  logicamente,  queo  e  gvi**. 

3.  Lat.  equuSy  equulus,  equa,  equio,  equit-  (eques);  sscr.  dgva-s, 

cavallo,  dgvà,  cavalla,  agvaj-  (equire),  bramar  cavalli;  Ut- 
aszvà,  cavalla  grande  (15,  3.)  ***.  Della  corrispondenza  greca 
si  parla  a  suo  luogo  (17,  2.). 

Seguono  gli  esemplari  in  cui  a  qv  latino  risponde  %  indo-irano, 
fra  i  quali  entrerebbe,  per  certa  parte,  pur  la  stirpe  pronominale 
che  già  avemmo  in  questo  capo  a  considerare  (n.  1),  in  ispe- 
cie  per  ciò  che  ad  essa  rivenga  l'enclitico  -que  =  -Ka  indo-irano 
(p.  e.  equus-que,  sscr.  àgva^-^a,  zendo  agpag-'ka),  il  cui  riflesso 
greco  si  studierà  più  innanzi  (cfr.  21,  4.).  Alla  stessa  stirpe  ap- 
parteneva anche  l'enclitica  sanscrita  -M-d  (13,  10.),  etimologi- 


*  Abbiamo,  da  Esichio,  pur  xuaivoi  ('kvan-jò),  che  coincide  collo 
sviluppo  zendo:  gpan-  ('evan-). 

**  Il  FiCK,  o.  e.  43,  per  troppo  zelo,  potrebbe  destare , sospetto , 
quando  nell'aflerraare  queo  =  gvi  traduce  questo  a  dirittura  anche  per 
potere,  arbitrando,  come  suole,  circa  la  significazione.  Ma  il  Poti, 
dal  canto  suo  {Wurzel-wurterbuch,  I,  459,  704),  troppo  timidamente 
si  accosta  al  pareggiamento  che  qui  affermiamo.  -  I  significati 
di  valere  e  ingrossarsi  (enfiarsi)  si  intrecciano  anche  nel  radicale  tu 
(cfr.  PoTT,  ib.  793-97),  e  abbiamo  il  seguente  rapporto  logico:- 
sscr.  tu  (valere):  lat.  tu-m-eo,  tu-m-ulus  ::  lat.  queo  :  cu~mulu-s. 

***  La  corrispondenza  germanica  (antico-sassone  ehu,  cavallo,  ecc.) 
ò  più  sicura  e  copiosa  che  non  possa  parere  da  Pott,  1.  e.  534;  cfr. 
DiEFKNBACH,  Vergleichendes  worterbuch  der  gothischen  spraehe,  1,  28 
(II,  726). 


§    IG.    k   ORIGINARIO,    q   LATINO.  67 

camente  non  diversa  dal  lat.  qui-d;  e  nello  zendo  la  palatina  è 
pure  in  Hi-s,  quis  (e  quindi  in  naè-M-s,  nessuno,  =  sscr.  nà-ki-s)^ 
e  in  Kaiti  =  sscr.  Jiàti  =  lat.  quot  {quoti-ù'ie),  e  in  altre  voci  an- 
cora *.  La  combinazione  qv,  allato  a  Ji  indo-irano,  degli  esem- 
plari latini  che  ora  si  aggiungono,  sarà  poi  a  suo  luogo  raf^ 
fermata  (17,  3-8.)  dai  paralleli  greci,  e  dai  paralleli  superstiti 
dell'osco  e  dell'umbro: 

4.  Lat.  quatuor  (quattuor),  quar-tu-s  ('quatur-tu-s,  v.  Ind.),  qua- 

ter**;  sscr.  Jiatvar-  (nomin.  Uatvàr-as,  accus.  Katùr-as),  zendo 
Rathwar-,  quattro,  sscr.  Ratitr-thd-s,  quattro,  Ratù:  ***  Cliatur-s, 
zendo  kathrus),  quattro  volte. 

5.  Lat.  sequ-or,  pedi-sequ-u-s ,  sequ-ax^  sequèla  (cfr.  p.  91);  sscr.  sah 

sdM-a-ti  (-a-tai)  e  si-sak-ti  (cfr.  13,  11.),  allato  a  sagR  sdgk- 
-a-ti  ****,  sequi ,  obedire ,  colere  :  ùtdja  indrà  sisakti  usdsà  nd 
sùrja: ,  in  ajuto  a  Indra  segue,  come  all'aurora  il  sole  (rgv.,  I, 
56,  4);  dti  na;  sagRdtau  naja,  facci  superare  (conducine  sopra) 
i  persecutori  (ib. ,  I,  42,  7;  cfr.  la  n.  a  pag.  79). 

6.  Lat.  linqu-o ,  re-linqu-ere ,  re-liqu-u-s  (  cfr.  p.  91  )  ;  sscr.  riM,  ri- 

-nd-k~ti  (1.  pers.  pi.:  rm/l-mds,  v.  pag.  38),  far  posto,  far 
vuoto,  rik-td~s  (cfr.  re-lic-tu-s) ,  vuoto.  Oltre  al  verbo  che 
risponderebbe  a  questo  riR  sanscrito ,  l' Irania  ha  un  secondo 
verbo  omofono  (zendo  riR,  pelvi  riR-it  [3  pers.  sing. ],  neo- 
persiano  réz*****  rèkh-tan),  che  dice:  versare  (versarsi);  e  il 
Justi  (0.  e,  s.  V.)  inclinerebbe  a  credere  che  in  fondo  si  tratti 
di  una  voce  stessa.  Analogamente,  come  nota  il  Curtius  (o.  e, 
sec.  ediz.,  n.  625),  potrebbe  andare  unito,  nel  latino,  con  Zm- 
qu-erCj  il  liqv-  di  liqu-ens  liqu-idu-s  ecc.  Ad  ogni  modo,  non 


*  V.  n.  1,  e  la  n.  a  pag.  47;  e  cfr.  pag.  92. 

**  'quatur-s  (cfr.  hi-s  8t-;  xpi-?  e  le  figure  sanscrite  e  zende) ,  'quafrs , 
quat[e]r,  cfr.  'socuro^s  (exupoi;),  "socurs,  'soc'rs,  soc[eJr. 

***  Per  Ratùr  o  Ratùs,  v.  pag.  14. 

****  Per  'sa-saR  (r.  gR  e  sdkhi),  Benpey,  Gloss.  al  Sàmav. ,  188  b. 
Cfr.  §  17,  6. 

*****  -i  neopers.  =  h  zendo,  come  in  sùz  sùkh-tan,  ardere  (cfr. 
§  15,  2),  o  in  paz  pukh-tan,  cuocere  (il),  e  16,  8.) 


68  §    16.   k   ORIGINARIO,   q    LA-TINO. 

sarà  lecito  staccare  questo  latino  liqv-  dal  rih  irano,  versare 
(versarsi),  e  par  certo  che  HR  ricorra  con  significazione  con- 
simile anche  nel  Veda  *. 
7.  8.  Lat.  coquere  (quoquere),  e  quinque.  Della  gutturale  onde  queste 
due  voci  latine  incominciano,  parliamo  altrove  (v.  Lid.)]  qui  (e 
al  §  17,  8)  si  considera  la  seconda  gutturale  soltanto,  combi- 
nata con  w,  che  in  ciascun  d'essi  occorre,  confrontandola  col  Ji, 
che  le  risponde,  negli  equivalenti:  paR,  cuocere,  panRa-,  cin- 
que, del  sanscrito  e  dello  zendo. 

Nell'esempio  che  ora  segue,  il  greco  risponde  collo  schietto  y- 
allo  qv  latino,  e  il  sanscrito  contrappone  g  (§  11): 

9.  Lat.  qui-ès  (quiei;  cfr.  requies  requiei),  qui-et-  (quiétis;  quieto 
e  quiete),  qui-e-sco^  qui-è-tu-s\  gr.  xsT-[xai,  giaccio,  xsetat  jon. 
(*xsJ£Tat),  xEcxai,  giace,  xsaxsTO  ('x£[j"]-£-(7X£-To)  =  e-x£t-To ,  gia- 
ceva; sscr.fi,  giacere,  gàj-a-tai^  gdi-tai,  giace,  d-^ai-ta^  gia- 
ceva. **. 


*  Alludo  al  passo  seguente,  che  il  Benfey  mi  addita. nel  gloss. 
al  Samav.  sotto  rili  :  vigvàni  gakrda  ndrjàni  vidvàn  apdu  rirailia 
sdkhibhir  nikàmài:,  Indra,  sperto  in  ogni  opra  virile,  versò  (fece 
scaturire  dalle  nubi)  le  acque  ai  bramosi  amici  {rgv.^  IV,  16,  6). 
Ma  circa  l'altro  passo  che  insieme  egli  addita,  si  vegga  la  tradu- 
zione ch'egli  medesimo  ne  dà  nel  gloss.  stesso,  s.  vaks. 

**  Il  Corssen  (o.  e.  69,  386;  dove  gì  sta  sempre  per  errore  in  luogo 
di  gì)  ora  adduce  ed  ora  tralascia  di  addurre  un  parallelo  germa- 
nico per  quies  ecc. ,  nel  quale  ancora  avremmo  Jiv  germ.  =  qv\'à.i.\ 
ed  è  r  antico  alto-ted.  hvi-la ,  ìivi-l-ón.  Senonchè ,  hvi-l-ón  venne  a 
dir  dimorare  non  già  perchiè  valga  porsi  a  riposo,  ma  perchè  vale 
starsene  per  una  data  quantità  di  terapo  (sq^'-giorn-are) ,  e  il  nome 
hvi-la  (cfr.  il  mod.  weile,  e  Fingi,  ivhile)  altro  difatti  non  dice  so 
non  tratto  di  tempo,  lì  gotico,  al  quale  stranamente  il  Corssen  non 
ricorre,  gli  avrebbe  a  dirittura  offerto  :  ga-hvei-l-ains^  riposo;  ma  ò 
sempre  un  derivato  da  hvei'l-an,  che  alla  sua  volta  risale  a  hvei-la, 
wpa,  xpo^o?»  xKtpo;.  Al  che  aggiungendosi,  dall' un  canto,  che  hveirla 
coinciderebbe  anche  etimologicamente  col  gr.  aoupó-i  (Schleicher, 
Compend.y  sec.  ed.,  §  196),  e,  dall'altro,  che  l'accompagnamento 


§  17.    kv  SI  RIDUCE  A/),  NEL  GRECO,  ^ELL'OSCO  E  NELL' UMBRO.      69- 

Lo  qv,  finalmente,  non  è  con  sicurezza  raffermato  se  non  dai 
paralleli  germanici  in  questi  due  esemplari: 

10.  11.  Lat.  ques-  radice  di  quer-o-r  (*ques-o-r),  ques-tu-s\  islandese 
hvàs-a,  fessum  anhelare*;  lat.  aqua^  got.  ahva,  fiume  (ant. 
sassone  aha,  acqua;  danese  aa,  fiumicello;  svedese  a,  fiume, 
ruscello;  islandese  à,  acqua). 

Ma  dell'antica  combinazione  germanica  hv,  che  rìconoscem-  §  17. 
mo  legittimo  riflesso  di  kv  anteriore  e  qv  latino,  altro  non  suol 
rimanere,  in  principio  di  parola,  all'odierno  alto-tedesco  se 
non  il  •?;;  e  quindi  ai  gotici  hva-s  (ingl.  who;  §  16,  1),  quia, 
hveita-  (ingl.  lohite)  =  sscr.  gvaita-  (*kvaita),  bianco,  rispon- 
deranno nell'odierno  alto-tedesco:  we-r,  weiss.  Ora  se  il  gotica 
stesso,  come  pure  è  possibile  (cfr.  snaivs),  ha  partecipato  in 
qualche  esempio  a  questo  dileguo,  il  suo  vaùrm-s,  serpente 
(verme;  wurm,  verme,  dell'odierno  tedesco),  potrebbe  conci- 
liarsi, per  l'intermedio  *livaurm-s  (hvurmi-),  coli' equivalente 
sanscrito  J^rmf-  (15,  4.)  =  *karmi-  (pag.  10);  ed  il  lat.  vermi-, 
alla  sua  volta,  vi   coinciderebbe  ugualmente  per  *kvermi-  **. 


labiale  non  si  vede  negli  altri  esemplari  germanici  che  piti  asseve- 
ratamente  alla  nostra  radice  si  riconducono  (cfr.  Pott,  Wurzel-icor-^ 
terb.,  I,  546,  Curtius,  o.  c. ,  n.  45),  si  dovrà  affatto  perdere  ogni 
fede  nella  pretesa  affinità  di  hvila  e  quies.  —  11  rapporto  ìndo- 
latino  g  =  qv  si  riprodurrebbe  nel  parallelo  ris  quaeso  (rad.  quis-), 
proposto  dal  Benfey  (Griech.  lourzellex.,  II,  152)  e  accettato  dal 
Corssen  (6.  e.  377,  dove  sta,  per  errore,  cish),  mal  sicuro  però  in 
sino  a  che  non  sì  possan  meglio  conciliare  i  significati;  il  verbo  la- 
tino dicendo:  indagare,  cercare,  chiedere,  e  l'indiano:  lanciar  di  resto 
(passivo:  restare),  separare,  spiccare.  Scernere  potrebb' essere  la  base 
concettuale  ad  essi  comune. 

-  *  Questa  voce  germanica  ed  altre  affini  adduce  il  Kuhn  { Zeitschrift , 
s.  e,  XV,  318)  allato  allo  gvas  sanscrito,  respirare,  sospirare,  fischia- 
re, e  trascura  il  lat.  ques.  Del  perchè  io  non  mi  fidi  della  equazione 
gvas  sscr.  =  'kvas  =  ques,  si  vede  in  sul  principio  della  Lez.  XIV. 

**  Quindi  si  avrebbe:  qv  lat.,  hv  germ.  =  k  sanscrito,  cfr.  §  16,  1, 
§17,9--  Contro  'hvurmi  'kvermi  starebbe   appunto   il   doversi  am-* 


70      §  17.  kv  SI  RIDUCE  A  p,  NEL  GRECO,  NELL'OSCO  E  NELL' UMBRO. 

Lo  stesso  dileguo  si  è  forse  consumato,  anche  pel  latino,  in 
alcune  propaggini  del  pronome  interrogativo-relativo,  alle  quali 
non  tarderemo  ad  arrivare;  e  si  riafferma  nel  vap  di  vap-or 
{*kvap-or)  vap-i-du-s,  allato  allo  kvap  lituano  di  kvàp-a-s, 
alito,  esalazione,  e  al  xxtt  greco  di  xaTi-u-w ,  respiro  fortemente, 
xa-rt-vo-s,  fumo,  vapore  *.  La  perdita  è  foneticamente  maggiore 
nel  caso  del  latino  che  non  sia  nel  tedesco;  in  quello  ecclis- 
sandosi  dinanzi  al  v  un  suono  esplosivo  {v  da.  kv),  e  in  questo 
un  suono  continuo  (v  da  hv),  che  è  fievole  pur  dove  resta. 
Ma  del  fenomeno  latino,  a  cui  ora  si  allude,  vedremo  più  tardi 


mettere  la  coincidenza  del  dileguo,  nel  gotico  e  nel  latino.  Ma  alla 
perfetta  congruenza  del  significato  e  della  forma,  si  aggiunge  forse, 
in  favore  di  questa  restituzione,  la  forma  britannica ,  di  cui  si  tocca 
nel  seguente  paragrafo.  Le  opinioni  del  resto  sono  divise:  Pott.  (Etym. 
forschung.,  I^,  84),  Bopp  (Gloss.),  Schleicher  {Compend.,  §  196)  e 
Corssen  (o.  e,  34),  uniscono  vaurm-s  vermi-s  con  kfmi-  ecc.;  Auf- 
recht  e  Curtius  (v.  questo,  o.  e,  sec.  ediz. ,  pag.  485-6)  e  Fick  (o. 
e,  164),  tengono  disgiunti  quelli  da  questo.  Ma  il  Benfey,  dal  canto 
suo  {Orient  und  occident,  II,  756),  riunificando  ogni  cosa  nello  'hvar- 
-mant ,  al  quale  troppo  arditamente  risale ,  si  vale  anche  delle  forme 
lettone  zir-mi-s  ecc.  per  maniera  che  può  turbare  gl'inesperti,  riu- 
scendo equivoca  in  ordine  al  rapporto  de' suoni  iniziali.  Giova  quindi 
avvertire,  che  lo  zi  (ti)  della  voce  lettona  è  succedaneo  normale  del 
hi  delle  corrispondenti  voci  lituane  (kirminis  ecc.,  §  15,  4).  —  Se 
vermi-  è  pari  a  kfmi-,  avremmo,  in  lingua  nostra,  il  curioso  fatto 
di  due  diversi  continuatori  del  karmi  primevo,  entrambi  nella  spe- 
cial significazione  medesima,  e  affatto  inconsci  della  parentela  che 
tra  di  loro  intercede;  cioè:  vermiglio  (*vermi-clo;  il  verme  che  dà 
lo  scarlatto)  e  cremisi  (=  sscr.  kpni-gà,  la  nata  dal  verme),  voce 
importata  dall'Asia  in  età  relativamente  moderna. 

*  Il  Benfey  {Griech.  wurzellexikon ,  I,  267),  e  altri  dopo  di  lui, 
qui  adducono  le  voci  sanscrite  kapi  kapi-ga  ecc.,  che  direbbero,  stando 
ai  lessici,  incenso,  ma  sono  ancora  senza  esempj.  E  deve  dirsi  incerta 
anche  la"  parentela  tra  il  nostro  kvap  e  il  sanscrito  kup  (=  cup-io), 
ribollire  (nell'animo),  adirarsi,  che  è  una  combinazione,  ormai  an- 
tica, del  Pott  (Etym.  forschmg.,  V,  256,  US  205). 


§  17.  liV  SI  RIDUCE  Kp,  NEL  GRECO,  NELL'OSCO  E  NELL' UMBRO.      71 

nella  stessa  lingua  di  Roma  adeguati  riscontri  (§  26;  Dilegui)', 
e  qui  intanto  giova,  per  la  continuazione  del  nostro  discorso, 
por  mente  a  un  esemplare,  nel  quale  la  perdita  di  una  diversa 
esplosiva  innanzi  o.  v  h  cosi  costante,  che  deve  a  dirittura  risa- 
lire al  periodo  unitario.  Intendo  la  voce  per  venti,  in  cui  lo 
(Ivi,  che  dice  due,  è  ridotto  a  vi  in  quante  lingue  della  fami- 
glia espriman  questo  numerale  con  antica  unità  di  vocabolo: 
vi-gàti-  (sanscrito),  vi-gaiti-  (zendo),  vi-ginti  (latino),  fi-che 
{*vi-ke,  antico  irlandese),  j^zi-y.%Ti  (dorico).'  A  questo  vi  da  dvi 
sta  dunque  allato,  ancora  per  dvi  due,  la  figura  bi,  che  è  nel 
latino  bis,  o  nell'equivalente  zendo:  bi-s,  pari  al  sanscrito  dvi-s, 
e  surge  pel  fatto  che  il  v  passi  a  mano  a  mano  di  suono  con- 
tinuo in  esplosivo,  cagionando  cosi  la  proporzionale  diminu- 
zione, e  finalmente  l'intero  dileguo,  del  primo  elemento  della 
combinazione  etimologica  {dv,  ^b,  b)  *.  Il  quale  essendo  sonoro, 
il  V  naturalmente  si  determina  anch'esso  in  esplosiva  sonora, 
dove  all'incontro  si  determinerebbe  in  esplosiva  sorda  se  fosse 
sordo  il  primo  elemento  della  combinazione  etimologica,  come 
vediamo  accadere  nelle  forme  pracritiche  :  pai  =  tvàji  sanscrito 
(locativo  singolare  del  pronome  di  seconda;  tv,  [^b]  'p,  p),  e 
-ppana  =  -tvana  sanscrito  (suffisso  derivatore  di  nomi  astratti), 
nella  seconda  delle  quali,  trattandosi  di  fenomeno  interno,  al 
p  è  dato  raddoppiarsi,  in  compenso  del  t  che  si  ecclissa.  Cosi 
neW eppes  di  qualche  vernacolo  alto-tedesco,  per  V elwas  (qual- 
che cosa)  del  linguaggio  letterario  **. 


*  Intorno  a  questo  fenomeno,  e  agli  altri  congeneri,  che  si  toccano 
piti  innanzi,  v.  la  n.  4  al  primo  Saggio  indiano,  nel  sec.  voi.  degli 
Studj  critici. 

**  È  fenomeno  congenere  quello  dì  p  o  h  zendo  per  v  anteriore, 
secondo  che  preceda  sibilo  sordo  o  sonoro;  il  qual  sibilo  però,  essendo 
suono  continuo,  non  tramonta  perchè  il  v  s'induri.  Così  avremo  li 
zendi  gpan-  (afgano  spai),  cane,  cpaèta-  (neopers.  gipèd),  bianco, 
agpa-  (neopers.  asp),  cavallo,  zbà,  invocare;  -  pei  corrispondenti 
sanscriti  gvan-,  gvaita-,  agva-,  hvà  {h  sscr.  =  z  zendo).  —  V.  an- 
cora Vindice,  s.  «r^. 


72      §  17.  kv  SI  RIDUCE  A  p,  NEL  GRECO,  NELL'oSCO  E  NELL' UMBRO. 

Ora  il  fenomeno  di  v  che  si  muti  in  labiale  esplosiva,  sorda 
o  sonora  secondo  il  diverso  genere  dell'esplosiva  ecclissata, 
sotto  l'influsso  della  quale  egli  si  venne  indurando,  non  dipende 
già  dalla  specie  di  questo  suono  assimilatore;  e  ci  sarà  facil- 
mente manifesto,  che  al  p  prodotto  A\  tv  (tv  *b  *p  pp  p-)  o  al  & 
prodotto  di  dv  (dv  '^b  bb  b-),  di  cui  avemmo  e  riavremo  esempj, 
si  potrebbe  aggiungere,  ricorrendosi  a  quella  sola  altra  serie  di 
esplosive  originarie  che  si  presti  all'aggruppamento  col  v,  cioè 
alla  serie  gutturale,  un  p  prodotto  di  kv  (kv  ^b  ^p  pp  p-)  o  un  & 
prodotto  di  gv  (gv  ^h  bb  b-).  E  cosi  siamo,  limitandoci  per  ora 
3.  p  =  kv,  cioè  continuando  l'istoria  della  tenue  gutturale  ori- 
ginaria, a  j9  greco  ed  ap  osco  ed  umbro  rimpetto  a  qv  latino; 
il  quale  jp  non  è  quindi  un  capriccioso  succedaneo  dell'  antico 
suono  gutturale,  ma  bensì  è  naturai  continuazione  dell'appen- 
dice labiale  di  questo,  cresciuta  in  forze,  per  così  dire,  all'om- 
bra e  a'  danni  di  lui.  Gli  esempj  più  importanti  e  sicuri  son 
questi  che  seguono: 

1.  Lat.  quo-,  quo-t  (=  sscr.  kd-ti),  ecc.  (16,  1.);-  gr.  (cfr.  p.  89) 
TTo-Tepo-;  (sscr.  ka-tard-s),  quale  dei  due,  tiÓ-te,  quando?,  tto- 
-To-;,  quale  (cfr.  quo-iu-Sy  cur-iu-s,  aggett.,  di  chi),  tco-oto-?, 
quanto?;  ecc.-  osco:  pù-d,  po-d,  quod  (sscr.  ved.  ka-d, 
quid);  pa-m,  quam  (acc.  fem.  sing.),  pam,  quam  (congiunz.); 
pù-s,  qui  (nom.  masc.  pi.);  pa-i,  quae  (nom.  neutro  pi.);  pu-f 
(cfr.  7to-5[),  ubi,  pù-tùrù-,  uter;  pi-s,  quis  (sscr.  -ki-s,  21,  2.), 
pi-d  (e  -pid,  21,  4.),  quid;  ecc.-  nvabro:  po-i,  qui  (nom.  sing. 
masc),  panta,  quanta,  pu-f  e,  ubi,  pu-tru-,  uter,  -pis,  pi-s, 
quis,  ecc.  Che  pur  le  forme  osco-umbre  puf  e  puf  pù-tù- 
rù- pu-tru-  abbiano  la  loro  esatta  corrispondenza  romana 
ne' proto-latini  'kvo-fi  (*vofi  *vufì  ubi;  r.  u  =  vo  e  b  =  f)  'kvo- 
-tero-  ('voterò-  *v utero-  uter),  e  quindi  si  allineino  con  ver- 
mi-s  =  'kvermi-s  (v.  sopra)  e  simili,  mi  par  manifesto,  pur  dopo 
le  impugnazioni  a  cui  questo  particolare  ragguaglio  ò  andato 
incontro*.  Anche unquam  (*cvun-cvam)  deve  qui  rivenire;  allato 
al  quale  va  citato  l'equivalente  got.  hvan-hun  (ni  hvan-hun, 
n-unquam),  comechò,  massime  per  la  seconda  parte  (cfr.  21, 

*  V.  il  luogo  degli  Studj  critici  citato  alla  nota  *  di  p.  71. 


§  17.  hv  SI  RIDUCE  A  p,  NEL  GKEOO,  NELl/OSOO  E  NELL' UMBRO.      73 

2.  n.  ),  non  si  possa  affermare  se  non  la  comune  presenza  del 
tema  pronominale  hua. 

2.  Lat.  equo-  (16,  3.)*,  -      gr.  "itz-ko-  ('iy.-j'q-,  v.  Protesi)^  dove  lo 

kv  antico,  per  essere  interno,  potè  riuscir  continuato  da  doppio 
suono  (^p,  pp)  così  come  vedevamo  aversi  pp  (*p  pp)  dallo  tv 
interno  sanscrito  e  germanico. 

3.  Lat.  quatuor  (16,  4. ) ;  -       eoi.  'irétraup-s;  ( 'Tcex/'op-  'TreTrup-  v.  Ind.) , 

omer.  irtaup-e;  (v.  Indice) ^  quattro;  cfr.  §  21,  1;-  ^  petora 
Oscorum  lingua  idem  quod  quatuor  (Festo)"-,  -  umbro  _pe- 
tur-  =  lat.  quadru-  (in  quadru-ped-  e  simili);  Petr-un-ia 
=  Petronia.  11  gotico ,  partecipando  in  questo  esempio ,  come 
pure  in  altri  farà,  del  vezzo  greco,  osco,  umbro  (e  gallico,  §  18), 
ci  dà,  con  regolare  tralineamento  iniziale  (v.  pag.  63),  fìdvór 
(quattro),  risalendo  egli  a  'hvadvor  ('hvidvor)  anziché  a  Au«- 
tvor  (f  :  hv  :  :  p  :  kv). 

4.  Lat.  quinque  (16,  8,);-       eoi.  ^z^izt  (v.  Indice),  cinque,  a  cui 

si  rappicca  l'ordinale  panellenico:  tteijlti-to-; ,  quinto;-  osco 
pomtis  Cpompt-is),  per  la  quinta  volta,  Pontius  ('Pomp-tiu-s; 
nome  sannitico)  =  Quintius,  Pomp-ilio-  (nome  sabino)  =  umbro 
Pumperiu-;  ecc.  Il  gotico  risponde,  secondo  le  norme  de- 
scritte nel  precedente  esempio ,  per  fìmf.         Cfr.  §  21 ,  5. 

5.  Lat.  linqu-o  (16,  6.);-       gr.  XiaTr-avw,  Xeitt-oì   (aor.  I-XtTi-o-v), 

lascio,  abbandono.  Nello  stadio  gotico,  ancora- con  f  ■= 'hv 
(*kv),  si  avrebbero,  a  cagion  d'esempio,  l'islandese  leif-a,  e 
r  anglo-sassone  lyf-an,  lasciare  (concedere)  *. 

6.  Lat.  sequ-or  (16,  5.);-      gr.  £7:-o-[jLat  (spir.  aspro  =  *s-),  seguo, 

colla  forma  contratta  ctti-,  p  .e.  nell'infinito  (yWa^at  ((ttt  =  s[ejp 
=  *sekv),  e  la  raddoppiata  IffTì-  {'sesp  =  'seshv-),  p.  e.  nel  parti- 
cipio laTT-o-aevot  (vedine  Kruger,  Griech.  sprachlehre  fur  schu" 
len,  II,  123,  quarta  ediz.),  la  quale  coincide  col  sanscrito  sagR 
Csask;  16,5.).  Cfr.  §  18,  4. 

7.  Lat.  in-seque,  in-sece,  die,  narra;  ecc.  (v.  §  20,  e  Forcellini  , 

s.  V.  V. );  gr.  E-ffTT-ETc  ((Si:  =  's[e]p  sekv,  come  nel  num.  6), 
imperat. :  dite;  «.-(j-tz-z-to-z ,  indicibile;  ecc.  (v.  Morfologia)**. 


*  V.  il  luogo  citato  a  n.  *  di  pag.  71. 

**  L'Ebel  (Zeitschrift  s.  e,  II,  47),  cui  si  deve  il  piti  deciso  im- 
pulso a  questo  ravvicinamento,  estendeva  al  greco  la  sentenza  del- 


74      §  17.  kv  SI  RIDUCE  A  J),  NEL  GRECO,  NELl/osCO  E  NELL'UMBRO. 

8.  Lat.  coqu-0  (quo-T/u-o;  cfr.  16,  7.  )  ;  -       gr.  xstc-  (  v.  Treaffo)  TreTTTw  ) , 

cuocere,  maturare:  tott-tÓ-?,  cotto,  TrsTr-ov-,  maturo  (cfr.  sscr. 
-paJi-ja-^  maturantesi,  e  il  latino  prce-coc-s),  TioTt-aS-,  ttotc-scvo^, 
focaccia. 

A  questi  esempj,  in  cui  -^  greco  s'incontra  con  qv  latino,  si 
aggiungerebbe  torqu-eo  allato  a  x^h-o)  (attorco,  volgo),  di  cui 
ritocchiamo  in  appresso  *  ;  e  T  osco  e  Y  umbro  non  diedero 
alcun  p  rimpetto  a  k  originario,  pel  quale  non  si  avesse  nel 
latino  lo  stadio  dello  kv  (qu).  Vedremo  poi,  anche  in  altre  ed 
affinissime  favelle,  l'istoria  medesima  per  p  rimpetto  a  k  an- 
teriore; e  già  quindi  senz'  altro  sarebbe  più  che  lecito  il  ripe- 
tere sempre  da  kv  il  %  greco  de' pochi  altri  esempj  in  cui  ancora 
si  vede  allato  al  k  di  altre  lingue,  senza  che  più  sia  manifesto 
in  alcuna  parte  lo  stadio  dello  kv.  Ma  si  aggiunge,  che  questo 
stadio  traspaja,  nel  latino,  pure  in  due  sui  tre  esempj  che  an- 
cora sarebbero  da  addurre  (cfr.  §  19,  e  Curtius,  o.  c,  num.  620 
e  segg.),  e  per  l'uno  di  essi  anche  altrove.  Eccoli,  serbato  il  terzo 
(ezo;  ecc.)  per  altro  luogo: 

9.  ha.t.  jecur,  jecor-,  che  riverrà  a  'jekvor  (v.  v)  =  •^Trap  gr.,  fe- 

gato. I  termini  asiatici  danno  la  gutturale  intatta:  sscr.  jd- 
hrt-y  zendojàkarfe],  fegato  **.        Il  tema,  jdkrt-  si  avvicenda, 


l'AuFRECHT  (ib.,  I,  352),  secondo  la  quale  questo  esempio  e  il  prece- 
dente non  ne  formerebbero  che  uno  solo.  Ma  il  Curtius  li  divide  (1.  e. , 
num."  621,  632),  al  che  persuadono,  per  tacer  d'altro,  i  riscontri 
lituani.  Le  considerazioni  del  Pott,  Wurzel-wÓrterb. ,  1,  8  e  segg., 
mi  paiono  non  scevre  di  qualche  intralciamento.  I  dubbj  circa  la  ra- 
dicalità del  (7  di  evtffTTov  ecc.  (10),  debbon  pure  esser  nulli  agli  occhi 
di  lui  medesimo  {Etym.  forsch. ,  11^,  643  in  f.). 
.  *  torqweo  =  xpéir-to  è  proposto  con  esitanza  dal  Benfey,  nel  Griech. 
wurzellexikon,  I,  672,  e  accolto  dal  Curtius  nella  bella  sua  ras- 
segna degli  esemplari  che  qui  si  toccano,  o.  e.  n.  633.  Nelle  voci 
per  torchio y  torchiare  {torc-ular,  xpoi-z-zo),  ecc.),  l'incontro  si  fa  piti 
seducente-  che  mai.  -  Cfr.  §  18. 

**  Old  zand-pahlavi  glossari/  s.  e,  pag.  10,  lin.  10  [20];  cfr.  Fo- 
nologia irana  s.  v. 


I§  18.   kv  (qv)  SI  RIDUCE  a  p  rumeno,  gallico  e  BRITONE.  75 

nella  declinazione  sanscrita,  col  tema,  jakan- (cir.  j e kna  ìitua- 
no,  fegato*);  e  il  latino,  alla  sua  volta,  avrà  avuto,  allato  ad 
obliqui  sulla  foggia  dijecor-is,  altri  obliqui  sulla  foggia  di 
'jecin-is  (=jakn-ds  sanscrito;  cfr.  femur  femin-is).  Ma  'jecin-is 
accanto  a  jecor-is,  attratto  dall'analogìa  dì  iter  itineris  e  di 
facinoris ,  diventò  jecin-or-is  jecin-er-is  **. 
10.  Lat.  oc-ulu-s  (oquulus  ***);  gr.  o7t-wTc-oc,  vidi,  ott-wt:--/)',  vista 
(V.  Morfologia^  s.  v. ,  e  in  questo  volume:  oaas,  dksi,  ecc.). 

Se  kv  antico  si  continuava  cosi,  dall' un  canto,  per  qu  latino,  §  18. 
e  dall'altro  per  p  greco,  osco  ed  umbro,  si  aggiunge  ora  che 
lo  stesso  qu  latino  sia  continuato  alla  sua  volta  da  muta  la- 
biale romanza.  L'appendice  del  q  si  affila,  cosi  che  veramente 
si  riabbia  kv  (aqua  akva);  e  si  riproduce  l'istoria  più  addietro 


*  jekna  (fera.),  pi. ^'e/mos,  fegato,  ho  dal  Fick,  1.  e,  148;  altrove 
non  rinvengo,  pel  gruppo  litavo,  se  non  il  lettone  ak-ni-s,  fegato, 
che  il  PoTT,  Etymolog.  forsch. ,  I^,  113,  dà  per  fem.  pi. 

**  Da  jecus-culic-m  non  saprei  inferire  un  particolar  tema  latino 
jecus ,  il  quale  ad  ogni  modo  mal  potrebbe  infirmare  l' originalità 
del  r  di  jecur  (v.  r  lat.  da  s),  guarentita  dal  parallelo  indiano,  dallo 
zendo  e  dal  greco.  Ma  jeciis-culum  crederei  si  foggiasse,  per  falsa 
analogia,  sopra  corpus-culum ,  frigus-culum ,  pectus-culum ,  {pecus" 
l'um),  Upas-culus ,  agevolando  l'illusione  l'uguale  apparenza  degli 
obliqui  (jecoris,  corporis,  frigoris,  ecc.). —  Del  nominativo jfocmws, 
allegato  da  Carisio  (Putsch  34,  Keil  48;  cfr.  Prisc,  Putsch  701, 
Keil  I  238),  non  vorremo  farci  caso. 

***  Dice  Prisciano  (Putsch,  560,  Keil,  II,  36):  apud  antiquos  fre- 
quentissime loco  cu  syllabae  quu  ponebatur  et  e  contrario,  ut  arquuSy 
coqicus,  oquulus',  prò  arcus,  cocus,  oculus,  quum  prò  cwm,  quur  prò 
cur.  Ma  la  risposta  greca  mostrerebbe  legittimo  il  qu  di  oquulus, 
com'è  legittimo  quello  di  coquus  e  di  quum  e  di  quur',  ed  arquus 
stesso  (geli,  arqui)  non  è  una  mera  varietà  ortografica,  ma  sì  un 
tipo  che  realmente  ricorre.  Cfr.  §  20.  —  Lo  stadio  dello  kv  sarebbe, 
oltre  che  in  oqu-ulu-s,  pur  nel  germanico  'ahvan-,  a  cui  l' Ebel 
(Zeitschrift  s.  e.  Vili,  242),  il  Grassmann  (ib.,  IX,  23)  e  L.  Meyer 
(Orient  u.  occid.,  I,  623)  vorrebbero  ricondotto  l' a w(7aw-^|( occhio) 
del  gotico. 


76  §  18.  ^?7  (gru)  SI  RIDUCE  A  J)  RUMENO,  GALLICO  E  BRTTONE. 

descrìtta.  Quindi  i  noti  tre  eserapj  rumeni  (cfr.  §  20  e  v.  jpt 
rum.)  di  pa  [pe)  da  qua  *: 

1.  patru,  quatuor;  ape,  aqua  (cfr.  l'antico  frane,  aive);  eape^  idpe, 

equa  (cfr.  l'antico  frane,  yve); 

allato  ai  quali  giova  ricordare  la  muta  labiale  sarda  (logudo- 
rese)  per  qii  latino,  comechè  veramente  qui  si  tratti  di  kv  che 
prima  passi  in  gv;  e  quindi,  per  prodotto  finale,  si  abbia  le- 
gittimamente b  anziché  p  (cfr.  §  27): 

2.  lai.  g'Ma^wor,  prima  alterazione  logudorese:  'gvattor-:  {cir.  grùghe, 

rughe,  croce;  grógu  del  dialetto  comune,  giallo,  croceus;  ecc.), 
onde:  hdttoro,  quattro,  hattorinu,  quattrino,  hattordighi ,  quat- 
tordici, bardnta,  quaranta;  lat.  oqua,  *agva,  ahba  (sardo 
settentr.  éba,  ea);  lat.  aquila,  'agvila,  abile  (aquila,  aqui- 
lotto); -  lat.  equa,  *egva,  ébba;  lat.  qicinque,  e  in  iscrizione 
del  principio  del  quarto  secolo:  cwgwaginta;  ital.  cinque;  'cingue, 
chimbe,  cinque,  chimbina,  cinquina,  chimbdnta,  cinquanta**. 

In  altro  ramo  della  nostra  famiglia,  nel  celtico,  troviamo  i 
resti  gallici  e  la  favella  britone  contrapporre  di  frequente  il 
loro  p  al  k,{c)  della  favella  ibernia  ***;  e  che  pur  qui,  se  non 
sempre,  almen  di  regola,  si  tratti  di  liv  antico,  ridotto  da  una 
parte  al  solo  k  (§  19),  e  dall'altra,  nel  modo  stesso  che  per 
varie  altre  favelle  già  descrivemmo,  a  p,  ci  è  insieme  dimo- 
strato dal  singolare  consenso  tra  i  principali  esempj  celtici  e 


.  *  Del  rumeno  si  distinguono  due  principali  varietà:  la  daco-romana 
e  la  macedo-valaca  (v.  Studj  critici,  I,  53,  =  331).  Per  rumeno  sen- 
si'altro,  s'intenda  il  daco-romano. 

**  Cfr.  DiEZ,  Grammatik  der  romanischen  sprachen,  sec.  ediz.,  I, 
245;  Studj  critici,  I,  25  (303)  e  segg.,  e  il  1.  e.  a  n,  *  di  p.  71.  - 
Chimbe  ecc.  son  nella  parte  italiano-sarda  del  vocabolario  dello  Spano. 

***  I  resti  gallici  attestano  speciale  affinità  col  gruppo  britone  (o 
cimro).  Badi  il  principiante  a  non  confondersi  tra  gallico  (l'antico 
celto  dei  Galli),  gallese  (idioma  britone  del  Galles),  &  gaelico  (sino- 
nimo di  ihernio). 


§  18.  kv  (qv)  SI  RIDUCE  A  j3  RUMENO,  GALLICO  E  BRITONE.  77 

gì' italo-greci,  e  dal  maqvi,  fìlii  (gen.),  delle  antichissime  iscri- 
zioni ibernie,  in  cui  ci  è  mantenuto  il  generatore  comune  del 
macc  ibernio  e  del  map  britone.  Si  osservino,  richiamati  alla 
memoria  i  riscontri  italo-greci,  e  anche  germanici,  dianzi  ad- 
dotti (§  17),  le  forme  celtiche,  di  qualche  antichità,  che  ora 
qui  seguono  (cfr.  cht  ibern.): 

3.  irland.  (ibern.):  eia,  ce,  ci,  co,  ci'[dj,  figure  del  pronome  inter- 
rogativo (lat.  qui-s);  gallese  (hrìi.) :  pui,  pa,  pi,  id.  {osco  pi-, 
gv.  ITO-,  ecc.);  -  irland.:  cdch,  quisque;  gallese  paup  *,  id.;  - 
irl.  can,  unde?  gallese  jsaw;  irland.  ech,  cavallo  (lat.  equus); 
brit.  6p- **  (gr. 'tTiTTo;);  irland.  ce^/ìzV,  quattro  (lat.  gwa^wor); 
hvii.  petnar ',  Festo  :  petoritum  (petor-ritum)  et  gallicum  vehicu- 
lum  esse,  et  nomen  eius  dictum  existimant  a  numero  quatuor 
rotarum  :  alii  osce ,  quod  ii  quoque  petora ,  quatuor  vocent  :  alii. 
grsece,  sed  aìoXtxw;  (cfr.  §  17,  3)  dictum  (cfr.  Grell.  XV);  ir- 
land. cóle***,  cinque  (quinque);  hv'ii.  pimp-,  Dioscoride  (IV,  62): 
TrevToccouXXov.  'Poj[ji.atot  Y.\^Y.z(iiokf.o\)u. ,  FaÀXoi  ■jrsu.TrcSouXoc  (cfr.  DlE- 
FENBACH,  Celtica,  I,  169-70);  irland.  cruim  (*cromi-  *cormi 
=  cvormi ,  sscr.  krmi- ,  forma  fondamentale  latino-germanica  : 
'kvarmi' ,  v.  §  15 ,  4 ,  e  pag.  69  ) ,  verme  ;  gallese  pryf  (  cfr. 
crùvi  nell'antico  bulgaro,  §  15,  4,  e  y  brit.  =  m  orig.);  nel 
quale  esempio  si  dovrebbe  però  ammettere  che  lo  stesso  inver- 
timento (cor-  ero-;  por-  prò-)  fosse  avvenuto  indipendentemente 
e  nell'un  ramo  celtico  e  nell'altro,  locchè  non  è  senza  qualche 
difficoltà,  comunque  si  tratti  di  tal  fenomeno  che  dappertutto 


*  L'  w  delle  forme  britone:  pui,  paup,  non  va  confuso  coli'  u  di 
Qvo-  ecc.,  che  affermiamo  continuarsi  nel  p  delle  stesse  forme  bri- 
ione;  ma  ui  ed  au  sono  normali  continuazioni  di  é  ed  à  anteriori, 
V.  Zeuss,  Grammatica  celtica,  pag.  113  e  110  (ed.  Ebel:  96,  93). 

**  Ebel,  Beitràge  zur  vergleichenden  sprachforschung ,  II,  161, 
cfr.  Ili,  6. —  *Eporedias  Galli  bonos  equorum  domitores  vocant'. 
Plinio,  III,  17.  —  V.  qui  più  innanzi,  nelle  note  a  questo  stesso 
paragrafo. 

***  Sta  per  'cmnc,  e  la  presenza  del  n  è  ancora  attestata  dal  di- 
fetto di  aspirazione  nella  seconda  gutturale  ;  cfr.  ech  ^  equo-. 


78  §  18.  SE  v'abbia  p  sanscrito  e  latino,  =  hv. 

occorre  assai  agevolmente,  e  ritorna  nella  figura  paleo-bulga- 
rica  dello  stesso  nostro  esemplare  *. 

Rimane  ancora  il  quesito,  se  il  sanscrito  (o  meglio  la  favella 
indó-irana)  e  il  latino  partecipino  anch'essi  del  fenomeno  che 
noi  definiamo  di  p  per  kv  anteriore,  o  insomma  ci  mostrino 
qualche  lor  p  in  cui  apparentemente  si  continui  il  k  originario; 
e  la  risposta  avrà  a  suonare,  che  ancora  sub  judice  lis  est. 
Di  certo  è  notevole,  per  incominciar  dal  sanscrito,  che  si  tratti 
di  esemplari  i  quali  trovan  pronto  un  riscontro  eteroglosso  mu- 
nito dello  kv,  ma  sulla  legittimità  di  questo  riscontro  debbono 
ancora  rimanerci  dei  dubbj,. parte  attinenti  ai  singoli  casi,  e 
parte  d' indole  generale,  in  quanto  ne  risulterebbe  fenomeno 
affatto  sporadico  e  insieme  affatto  disforme  da  quello  che  il 
sanscrito  suol  contrapporre  a  p  europeo  *=  hv  (§  19).  Piuttosto 
che  a  p  avutosi  nel  sanscrito  o  i[\q\V indo-irano  per  k  {kv) , 
saremmo  indotti  a  credere  alla  simultanea  presenza  d'ambo  le 
figure  sin  dal  periodo  unitario ,  sia  poi  che  esse  risalgano  a 
generatore  comune,  o  sia  che  si  tratti  di  costituzione  etimo- 
logica in  parte  o  del  tutto  diversa  tra  figura  e  figura.  Ed  ecco 
intanto  i  principali  casi,  intorno  a  cui  verte,  pel  sanscrito,  il 
nostro  problema: 

4.  Il  solito  vocabolo  sanscrito  per  'acqua'  è  ap  (femin.),  di  regola 
al  plurale  (nom.  pi.  àp-as;  tema  zendo:  ap-).  La  speciale  con- 
suonanza,  che  è  tra  la  forma  asiatica  e  V  ape  rumeno  o  V  abba 
sardo  (18,  1.  2.),  manifestamente  non  importa  una  speciale 
continuità  isterica  fra  questi  e  quella,  poiché  i  due  termini 
romanzi  risalgono,  come  vedemmo,  alla  figura  latina:  aqua. 
Ma  si  può  domandare,  se  ad  un  antichissimo  akv-  non  rivenga, 
alla  sua  volta,  per  analogo  processo,  V ap-  indo-irano,  o  me- 
glio un  ap-  del  periodo  unitario,  poiché  solo  il  supposto  di  un 
così  antico  ap  potrebbe  dichiarare,  senza  gravi,  stenti,  la  pre- 


Quanto  al  ragguaglio  cruim  =  'cromi,  pryf=  'proif'proim  'pro- 
mi,  cfr.  Zeuss-Ebel,  1.  e,  13,  90,  233.  V.  ancora  V Ind.  s.  conso- 
nanze composte. 


§  18.  SE  v'abbia  p  sanscrito  e  latino,  =  kv.  TU 

senza  della  labiale  nel  lituano  ùpé,  fiume,  o  nel  latino  avn-ni-s 
=  'ap-ni-s  (cfr*.  som~nu-s  =  'sop-nu-s,  pag.  28  ).  La  forma  colla 
muta  labiale,  comunque  surta,  poteva  coesistere  a  quella  con  la 
gutturale;  e  nel  caso  dei  Msaa-àTr-toc  (che-sono-intra-le-acque; 
PoTT,  Curtius)  resteremmo  intra  due,  se  la  figura  anteriore  ne 
fosse  ap  od  akv.  Le  due  figure  coesistenti  sarebbero  poi  vivo 
entrambe  in  favella  sanscrita,  nel  caso  del  vedico  sap,  che  si 
traduce:  sequi,  colere,  allato  al  sa/é,  cui  prima  riportammo 
sequor  e  eTrojjiai  (16,  5.  17,  6.)-  Veramente,  per  quanto  io  posso 
vedere,  sap  non  direbbe  proprio:  seguirò,  ma:  conseguire,  colti- 
vare (eseguire),  onorare;  e  se  pur  sah,  seguire,  riesce  ad  avere 
le  significazioni  di  sap  (accompagnare  onorando,  proteggendo, 
operando;  cfr.  il  riflesso  zendo:  hall),  tuttavolta,  mancando  a 
sap  quella  di  seguire,  il  supposto  della  esistenza  primeva  di 
amendue  le  formo  è  per  avventura  ajutato  anche  dalla  dispa- 
rità di  significati  che  corre  tra  l'attivo  sttio  (mi  occupo;  che 
faremmo  pari  a  sap)  e  il  medio  eirofAat  (seguo,  =  sali)  *.  Nel 
greco  sarebbero  naturalmente  confluiti  il  continuatore  di  sap 
sa-s[a]p  (£-(77i-o-v)  e  quello  di  sak  sa^sfajk  {sakv  ecc.  §  19; 
é-(77r-o-[xviv).  La  coincidenza  del  sanscrito  lap,  parlare,  la- 
mentare, col  lat.  loqu-or  ( paleo-bui gar.  rek-o,  dico),  sarà  for- 
tuita (cfr.  lap~ana  sscr. ,  bocca,  lap  pelvico  e  lupa  lituano, 
labbro;  ecc.);  e  il  sanscrito  trap  trdp-a-tai,  confondersi,  ver- 
gognarsi, a  cui  si  riconducono  i  sanscriti  trp-rd-  e  trp-dla^: 
inquieto,  ansio,  ben  potrà  far  famiglia  col  latino  trep-i-do-' 
e  col  paleo-bulgarico  trep-et-atij  tremare  (v.  V Introduzione  alla 
morfologia  s.  tar  [sscr.  tar-alà]  tra-m  tra-s  tra-p),  come  i  san- 
scriti tark  tark-dja-ti,  congetturare,  versare  in  congetture  (ri- 
torcere nel  pensiero)  e  tark-ù,  fuso,  ben  potranno  andar  con- 


*  Nel  Nàighantukakànda  (III,  14)  si  ha  sap  tra  i  sinonimi  per 
laudare,  glorificare  (cfr.  ib.  5),  mentre  sah  vi  sta  fra  i  verbi-  di 
moto  (II,  14).  Nel  Nirukta  (V,  16)  si  dichiara  sap  per  toccare  (rag- 
giungere), e  così  lo  dichiara  pur  Sajana  in  rgv.,  V,  68,  4,  mentre 
sagkirai  (perf.,  ma  cfr.  16,  5.)  è  reso  dallo  stesso  Sàjana,  ib.  67,  3, 
per  sàgatà  bhavàti  (accompagnano).  Cfr.  Benfey,  Orient  u.  occident,  I, 
596  (r^u.,  I,  67,  4  [8J,  e  68,  2  [4J). 


80  §  18.   SE   V'  ABBIA  p   SANSCRITO   E  LATINO ,  =  kv. 

giunti  col  lat.  torqu-eo;   ma  i  due   gruppi  non  si   avranno   a.' 
confondere,  comechè  il   greco  rpsTr-w,  io  volgo  (v.  sopra),  si 
possa  legittimamente  appajare  col  lat.  torqueo  *. 

L' ultimo  esempio  implicava  anche  uno  de'  casi  in  cui  si  è 
voluto  vedere  p  lat.  =  kv  [qu)  anteriore,  il  quale  andrebbe 
quindi,  secondo  nostra  sentenza,  eliminato,  non  valendo  a  ri- 
muovercene l'affermazione  di  Paolo  (da  Festo),  che  trep-it  va- 
lesse verta  (quindi  fosse  i^ì-k-m  tal  quale)  e  ne  derivassero 
trepido  e  trepidatio  ''quia  turbatione  mens  vertitur'.  Ma  come 
in  trep-it  allato  a  torqu-et,  cosi  verrebbero  a  coesistere  amen- 
due  le  figure  nelle  seguenti  tre  coppie  del  vocabolario  latino: 
Ep-ona  (Dea  protettrice  dei  cavalli)  ed  equ-us;  popina  (ta- 
verna) e  coquina  (cfr.  16,  7.  17,  8,);  palumba  {palumbus,  pa- 
lumbes;  colombo  selvatico)  e  columba  **,  che  sono  i  tre  mi- 
gliori esempj  da  potersi  addurre  per  la  contrastata  equazione 
p  lat.  =  kv\  ed  in  quei  due  tra  di  essi,  che  spettano  a  copiose 
famiglie  di  vocaboli  (equus,  coquo),  la  figura  col  p  non  an- 
drebbe già  per  intere  serie  parallele  (cfr.  le  serie  dei  varj  dia- 


*  Un  esempio  a  prima  vista  seducente  per  la  doppia  figura  san- 
scrita (*kv  k;  'kv  p)  è  questo  che  il  Grassmann  aggiunge  {Zeitschrift 
3.  e,  IX,  20):  katù-^  acuto  (aspro),  in  ispecie  del  sapore,  epdtu-, 
acuto  (anche  per  accorto,  proprio  come  catus),  cui  starebbero  ac- 
canto il  latino  càio-  e  l' islandese  hvat-r ,  acuminatus ,  acutus.  Ma 
qui  insorge  la  particolar  difficoltà  della  linguale  (  v.  Lez.  VI);  e  patu-, 
il  cui  proprio  significato  sarà  :  tagliente ,  riverrà  al  verbo  pat  (  tutte 
forme  seriori),  fendere,  che  normalmente  risponderebbe  all'indo-irano 
par-t-  (v.  Fonologia  irana,  s.  v. ),  nel  quale  c'è  il  senso  militare  del- 
l'acics  latino.  —  V.  ancora  V Indice ^  s.  panHa  e  pah'.,  e  qui  più  in- 
nanzi: lup  (lump)  accanto  a  luh^,. 

**  A.  palumba  e  columba  si  raccostarono  il  greco  y-oluii-^ói;,  mergo, 
e  il  sanscrito  kàdamba-,  specie  d'anitra  o  d'oca;  ma  fu  già  da  altri 
avvertito  come  "k  gr.  e  d  sscr.  mal  tra  di  loro  si  corrispondano.  Con- 
siderando, all'incontro,  l'uso  della  voce  palombaro,  parrebbe  che 
la  concordanza  dei  significati  fra  xoXujxpo;  e  palumba  dovesse  un 
giorno  essere  stata  maggiore  che  ora  non  appaja. 


§  18.  SE  v'abiìia  p  sanscrito  e  latino,  =  hv.  81 

letti  greci,  nel  §  20),  ma  sarebbe,  ad  un  tempo,  coesistente 
all'altra,  e  in  doppio  senso  sporadica,  siccome  quella  che  ap- 
parirebbe solo  in  alcune  delle  famiglie  di  vocaboli  che  le  pote- 
vano dar  luogo,  e  affatto  limitatamente  pure  in  queste  *.  Ora 
non  sono  tali  di  certo  le  condizioni  del  nostro  fenomeno  nelle 
favelle  in  cui  non  esitammo  a  riconoscerlo;  e  se,  rimanendo 
a' tre  esempj  testé  allegati,  consideriamo  inoltre  la  loro  qualità 
specifica  (voce  mitologica;  nome  di  una  varietà  zoologica;  no- 
me di  una  particolar  cucina)  propenderemo  decisamente  a  re- 
putarle voci  non-romane,  ma  bensì  straniere,  e,  assai  proba- 
bilmente, od  osche  od  umbre.  La  voce  per  cavallo  non  si  sarà 
mantenuta  genuina  nel  solito  equus,  equcstris  ecc.,  per  alterarsi 
nel  solo  Epona,  cioè  In  uno  di  que' vocaboli  che  anzi  sogliono 
offerirci  peculiari  caratteri  di  anzianità  fonetica;  né  il  latino 
coqiiere  coquina  (*quoquere)  avrà  generato  la  forma  ^topina 
per  mantenersi  esso  stesso  insieme  con  questa  e  limitarla  ap- 
punto alla  bettola,  frequentata,  e,  per  avventura,  di  frequente 
tenuta,  da  stranieri.  Le  voci  umbre  ed  osche  per  equo-  e  coquo- 
ci  mancano;  ma  avranno  di  certo  suonato  epo-  e  popò-,  secondo 
l'analogia  delle  altre  favelle  che  con  quelle  paleo-italiche  hanno 
comune  il  fenomeno  normale  ài  p  =  qu,  vale  a  dire  il  greco 
ed  il  britone  **;  e  popa  popina  non  saranno  quindi  più  romani 


*  Epona  starebbe  isolato  del  tutto;  popina  riproduce  sé  stesso  in 
propinavi  ecc.,  e  solo  gli  si  aggiunge  popa ,  victimarius  ecc.,  della 
cui  provenienza  affermeremmo  piti  che  mai  decisamente  quel  che  stia- 
mo per  affermare  intorno  a  popina  ecc. 

**  I  paralleli  greci  vedemmo  nel  paragrafo  precedente  (nura.  2  e  8). 
La  forma  britone  per  equus  avemmo  in  questo  {ep-\  cfr.  il  cornvallese 
ehal  e  i  basso-bretoni  ébeul,  éal,  puledro);  e  a  quoquere  {coquere)  il 
britone  risponde  normalmente  col  cornvallese  pob^az  (=  poaza  basso- 
bretone),  cnoceTe ,  pob-vaen ,  pietra  cotta  (Borlase),  o  coi  basso-bre- 
toni: pobein,pibi,  cuocere  (antiquati),  e pob-er,  fornajo,  panattiere.  — 
Epona  compare  a  dirittura  tra  le  voci  galliche  presso  Zeuss-Dbel, 
o.  e,  p.  65  (cfr.  PiCTET,  Origines  indo-européennes , .1 ,  346)..  Il  Cor- 
ssen,  all'incontro,  senza  mai  avvertire  alcuna  delle  difficoltà  teoricli^ 

ASCOLI ,  Fonol.  indo-it.-gr.  6 


82  §  18.  SE  v'abbia  p  sanscrito  e  latino,  =  kv. 

di  quello  che  non  sìeno  popanum  =  itoTrxvov,  focaccia,  od  i  nomi 
proprj  Pompeius  e  Pompilius  (17,  4.).  Lupus  accanto  all'equi- 
valente 'kuY.o^  sarebbe  ancora  un  esempio  seducente;  ma  tacendo 
che  le  parti  risulterebbero  proprio  invertite  {x  gr.  e  p  lat.  *), 
qui  si  aggiunge  un  curioso  incrociamento  di  varie  stirpi  di  vo- 
caboli, che  scuoterebbe  per  sé  solo  ogni  fede  nel  ragguaglio  lit- 
pus  =  l'jY.o^.  Poiché,  a  dirne  brevemente,  non  solo  si  avrebbero 
i  fondamenti  verbali  d' amendue  le  varietà  nei  sanscriti  lup 
lump'à-ti,  findere,  dirumpere,  perdere,  e  lun^  lùnK-a-ti,  evel- 
lere,  dove  la  figura  col  p  è  certamente  pre-indiana  (cfr.  lat. 
rump-i-t  =  sscr.  lump-à-ti,  e  il  lat.  rune  di  runc-a  runc-on- 
rune-ina  §'jyz,-avyi,  =  sscr.  lunh),  ma  ancora  ci  sarebbero,  dall' un 
canto,  vrka-s  sanscrito,  vehrka-  zendo,  vìlka-s  lituano,  ouXx- 
albanese,  Xuxo-;  greco**,  lupo  (canis  lupus),  e,  dall'altro,  il 
latino  vulpes  (canis  vulpes),  lo  zendo  raopi-  od  urupi-  {gpd 
urupi-s,  cfr.  §  15,  1,  quasi:  canis  vulpes),  per  una  specie  del 
genus  eanis,  e  forse  il  sanscrito  laup-dka-  ***,  canis  aureus 
(sciacallo),  a  tacere  del  gotico  vulf-s,  canis  lupus,  che  potrebbe 
foneticamente  rispondere  cosi  a  vrka-s  come  a  vulpes,  e  del- 


a  cui  i  migliori  esempj  andrebbero  incontro,  giura  e  rigiura  (v.  p. 
es.  Top.  cit. ,  a  pag.  118  in  n.  )  che  le  voci  da  lui  addotte  perp  lat: 
da  k  son  tutte  prettamente  latine,  e  non  una  di  esse  od  osca  o  cel- 
tica. 

♦L'analogia  richiederebbe:  'luquos  latino  (cfr.  hirquus,  hirqiti^ 
WMs),  e  'lupos  greco,  osco  ecc. 

**  Xuxo-  :  varka  (vrka-,  alb.  ouXx-)  :  r  rad.  Xux,  lat.  lue-,  sscr.  ruR  : 
vark  (sscr.  varJl  arli  ruh),  rapporto  che  non  vuole  esprimere  se  non 
l'istoria  fonetica  d' amendue  le  serie;  v.  Studj  crìtici,  II,  134,  e  al- 
l'incontro Curtius,  o.  c,  num.  89  e  pag.  644  (II,  287). 

***  PoTT,  Etymolog.  forschung.,  prima  ediz.,  II,  506,  Zàhlme- 
thode,  176.  Per  l'istoria  de' significati  giova  considerare  la  serie  se- 
guente: sscr.  laupàgaka-  (masc),  canis  aureus,  laupàgikà  (fem.), 
canis  Vulpes;  pelvi  ròbas  rópàh  róbàh  (cfr.  dah  =  'das  daga,  dieci), 
Tieojiers.  róbah ,  curdo  rùvi,  canis  vulpes,  zingarico  ruv,  canis  lupus 
(cfr.  JusTi,  Bundehesh,  158,  Handbuch  der  zendsprache,  65). 


§  18.  SE  v'abbia  p  sanscrito  e  latino,  =  kv.  83 

V hirpu-s  od  irpu-s,  canis  lupus,  sannitico  o  sabino.  Qualche 
altro  esempio,  che  si  è  voluto  far  concorrere  in  favor  dell'equa- 
zione controversa,  contro  la  quale,  del  resto,  non  si  potrebbe 
accampare  o;  ^r^or^  obietto  alcuno,  sussistendo  anzi  l'analogia 
favorevole  di  b  latino  =  *gv  e  *dv  (v.  bos,  bis  ecc.),  è  men  con- 
clusivo che  mai  *. 

Vediamo,  dopo  queste  rassegne,  quanto  ci  sia  dato  ricavare  §  19. 
circa  le  ragioni  istoriche  e  circa  l'età  della   combinazione  fo- 
netica, rappresentata  da  qu  latino,  hv  gotico,  t:  greco,  ecc. 

L'elemento  v  si  appalesa  etimologico  e  quindi  originario  od 
organico  e  non  parassitico,  negli  esemplari  che  hanno  per  rap- 
presentanti latini:  queo  ed  equus  (16,  2.  3.  17,  2.);  poiché  il  v 
dello  gvi  sanscrito  è  manifestamente  identico  al  v  radicale  di 
gav-  (16,2.),  e  il  v  di  ag-va-  ecc.  (16,3.)  è  unanimemente 
riconosciuto  qual  elemento  costitutivo  della  parte  ascitizia  y  o 
vogliara  dire  del  suffisso  derivatore  della  parola  (cfr.  dg-ù-, 
veloce,  §  1)  **.  Assai  probabilmente  ha  la  sua  ragione  etimo- 
logica anche  il  v  di  una  determinata  parte  di  quelle  voci  prono- 
minali a  cui  diamo  per  rappresentante  latino  il  quo  di  quo-d  ecc. 
(16, 1. 17, 1.);  poiché  una  combinazione  pronominale  primigenia: 


*  L'elenco  dei  pretesi  p  lat.  da  /t,  è  in  Corssen,  o.  c,  pag.  116-8; 
e  la  piti  gagliarda  ripulsa  è  in  Schleicher,  Compendium,  §  151,  n.  4 
(sec.  ed.;  cfr.  Indogerman.  chrestomathie ,  352).  —  Di  sp  lat.  allato 
a  sk  eteroglosso,  v.  Vindice. 

**  Darebbe  affatto  nello  scetticismo  chi  volesse  supporre,  circa 
V equus  latino,  che  qu  vi  rappresenti  il  solo  k  originario,  con  svi- 
luppo anorganico,  peculiarmente  latino,  del  v,  e  quindi  sia  diverso 
dallo  kv  {=  gv  sanscrito)  dell'  'iqvos  generatore  del  gr. '17:7:0?,  per 
modo  che  il  vocabolo  latino  s' avesse  a  dividere  equ-o-s  e  avesse 
smarrito  il  v  del  suffisso  {'equr-vo-s,  cfr.  suus  =  'sovos  e  simili).  Al- 
l' incontro  è  affatto  improbabile  la  sezione  coq-uu-s ,  voluta  dal  Bopp 
{Vergleich.  grammatik ,  sec.  ed.,  §  943),  questo  esempio  risolvendosi 
assai  naturalmente  in  coqv-o-  (coqu-u-s  :  coqu-it  :  :  -sequus  [pedise- 
quus]  :  sequ-it-ur),  per  guisa  cioè  che  vi  si  abbia  il  suffisso  -0  =  -a 
orig.  e  non  -vo  =  -va  orig. 


84       §   19.    RAGIONI  ISTORICHE  ED  ETÀ  Bl  qu  LAT. ,  hv  GOTICO,  ECC. 

kva  {=*k[a]-va),  sarebbe  affatto  conforme  alle  combinazioni  che 
si  presentano,  per  limitarci  ad  esempj  sanscriti,  nell'arcaico 
iva-  {=*t[a]-va),  taluno,  o  in  sva-  {^*s[a]va-),  sé,  suo,  de' quali 
più  avremo  a  dire  neW Introduzione  alla  morfologia,  per  ora 
bastandoci  di  aggiungere,  come  si  abbiano  affatto  sinonime, 
nella  funzione  interrogativa  (dileggiativa)  al  principio  del  com- 
posto, le  figure  sanscrite:  ka-[d],  kava  e  ku.  Se  all'incontro 
passiamo  a  quella  serie  di  esemplari  che  ha  per  rappresentanti 
latini:  gieatuor  (16,4.17.3.),  sequor  (16,5.17,6.),  Ymquo  (16, 
6.  17,  5.),  coquo  (16,  7.  17,  8.),  qmnque  (16,  8.  17,  4.),  non 
rinveniamo,  dall' un  canto,  alcuna  sicura  traccia  del  «?  nei  ter- 
mini asiani,  né  abbiamo,  dall'altro,  alcuna  ragione  che  ci  porti 
ad  affermare  o  pur  ci  renda  inchinevoli  a  credere  che  il  v  sia 
parte  etimologica,  vale  a  dire  originalmente  costitutiva  della 
parola.  Qui  il  v  sarà  quindi  una  parassita,  di  natura  non  dis- 
simile dal j'  parassitico,  che  a  suo  luogo  (§  14)  vedemmo  ugual- 
mente svilupparsi  dietro  alla  tenue  gutturale  originaria;  ma 
tuttavolta  sarà  anch'esso  un  v  di  radice  assai  antica,  e  ba- 
sterebbe a  persuadercene  il  concordar  che  fanno  più  favelle 
europee  nel  risalire  in  questi  stessi  esempj  ad  un  antico  kv. 
Al  che  si  aggiunge  il  fatto  assai  notevole,  che  essi  tutti  ritro- 
vino, nella  risposta  indo-irana,  non  già  il  k  intatto,  né  lo  f , 
che  è  il  più  frequente  continuatore  indo-irano  della  tenue  gut- 
turale originaria  nel  quale  i  continuatori  europei  s'imbattano, 
ma  bensì  il  solo  H,  che  è  il  più  insolito  {§§  11,  12).  La  quale 
coincidenza,  rinflancata  eziandio  da  altri  ragguagli  che  in  que- 
sta stessa  Lezione  saranno  ritoccati  ed  aggiunti,  persuade  che 
qui  si  tratti,  come  'già,  nella  Lezione  precedente  si  ebbe  ad  ac- 
cennare (p.  48-9  e  57),  di  k  orjgìnarj  che  fossero  intaccati  sin 
dall'età  indo-europea,  ma  il  fossero  per  modo  indistinto,  si 
che  lo  sviluppo  dell'  affezione  si  venisse  poi,  nelle  età  succes- 
sive, in  varie  guise  determinando.  Se  quindi  nel  considerare  la 
sibilante  che  in  favella  indo-irana  e  in  litu-slava  si  ha  per 
succedaneo  della  tenue  gutturale  originaria  (p.  56),  venimmo  a 
proporre  l' esempio-tipo  dak^a  (dieci;  onde:  dahja  dakza  dasa 


§   19.    IlAGIONI  ISTOKICHE  ED  ETÀ  DI  qit  LAT. ,  hv  GOTICO,  ECC.       85 

daga),  ora,  per  gli  esempj  a  cui  siamo,  avremmo  a  raffigurarci 
un  esempio-tipo  che  si  potrebbe  scrivere  k^atvar-  (quattro), 
la  cui  incerta  parassita  (quasi  un  u  greco)  riuscisse  ad  assu- 
mere tra  gl'Indo-irani,  in  un'epoca  relativamente  moderna,  la 
pronuncia  palatina  {kjatvar-,  donde  Uatvar-,  catvar-,  v.  p.  44), 
etra  gli 'Europei,  all'incontro,  o  almeno  tra  quelli  i  cui  idiomi 
qui  ripercuotono  un  antico  kv,  si  fissasse,  di  regola  (v.  §  21), 
in  pronuncia  labiale  od  in  labio-dentale  {kuatvar-  kvatvar-, 
onde  quatuor  e  *''bator  ecc.).  Di  questa  guisa  avremmo  in  fa- 
vella indo-irana  il  pieno  sviluppo,  ma  di  certo  non  coevo,  di 
amendue  le  affezioni  (dak^a,  daca;  k>'atvar  k'atvar),  le  quali  si 
risolverebbero  in  un'  affezione  medesima  a  doppio  effetto  ;  e  lo 
sviluppo  k'Jatvar  kjatvar  sarebbe  venuto  a  coincidere  collo  kj 
[Il  da  k)  surto  di  sana  pianta  nel  periodo  indo-irano  (come  in 
U  reduplicatore  di  k,  §  13,  9,  ecc.);  mentre  nella  sezione  euro- 
pea avremmo  il  tipo  da k' a  risanato  per  tutto  altrove  che  in  fa- 
vella litu-slava,  e  i  poco  numerosi  esemplari  del  tipo  kjatvar, 
all'incontro,  risanati  appunto  in  favella  litu-slava  (p.  e.  lit. 
keturì;  v.  p.  50,57),  come  per  diversa  ragione  risanano  pur 
nella  ibernia  (§18,3,ev.  ■y),ea  volte,  come  tra  poco  vedre- 
mo, anco  altrove.  Gli  svolgimenti  europei  dello  hv  nel  quale 
il  V  sia  parassitico  ( kvatvar  xscraup; ;  ecc. )  non  differiscono,  del 
resto,  da  quelli  dello  kv  che  abbia  un  v  etimologico  (akva "ititco;). 
Di  un  particolare  atteggiamento  che  la  parassita  del  tipo 
kjatvar  avrebbe  assunto  nella  forma  indo-irana  dell' esem- 
plare a  cui  riviene  Voc-itlu-s  latino  (17,10),  si  ragiona  nel 
discorso  intorno  a  s  sanscrito  {Lez.  XIV);  ma  già  potemmo 
accorgerci,  come  qui  pure  i  concordi  cenni  di  più  favelle  con- 
corrano a  guarentirci  assai  antico  lo  kv.  Dove  TAsia,  per  con- 
verso, non  ci  offre  né  kv  né  H,  o  non  ci  porge  alcun  sicuro 
suo  riscontro ,  oppur  dove  tra  le  favelle  europee  da  sole  due  o 
da  una  sola  si  accenni  a  kv  {Y.jecur,  vermis ,  vapor,  quie's, 
aqua,  §  16,  9,  11;  §  17,  9;  §  18,  3),  surge  la  probabilità  che 
si  tratti  di  casi  di  parassita  peculiari  all'Europa,  od  anzi  a 
singole  favelle  europee.  Il  quale  accidente  non  si  vorrà  di  certo 


* 


8f)       §   19.    RAGIONI  ISTOniOHE  ED  ETÀ  DI  qu  LAT. ,  hv  GOTICO,  ECC. 

rivocare  in  dubbio  p.  e,  nel  gotico  hvairneins  [hvairneins  staps, 
che  rende  il  greco  xpocvtou  tot:©;,  calvariae  locus),  quando  esso 
abbia  ad  accostarsi,  come  pure  si  dovrà,  ai  greci  xàpx,  xocpyjvov 
(testa),  xpavt'ov  (teschio),  zendo  rura-,  capo  *,  e  simili;  ed  ha 
per  sé,  a  tacer  d'altro,  l'analogia  abbastanza  stringente  di  gvi 
seriore  da  g  (§26).  Ma  sta  tuttavolta  che  sicuri  esempj  con- 
simili sia  difficile  stabilirne  pel  solo  greco  o  pel  solo  latino. 
L'  unico  tra'  sicuri  esemplari  greci  per  tu  =  *hv  che  non  trovi 
alcuna  traccia  di  v  {qu)  nella  risposta  latina  (eiroi;  parola;  ecc.), 
trova  però  anch'esso  il  h  nella  risposta  indo-irana  ( /-eto;  =  sscr. 
vaUas).  E  tra  gli  esempj  di  qu  latino  che  ammettano  compa- 
razioni eteroglosse,  il  solo  quies  (16,  9.)  resta  privo  di  sicura 
risposta  per  Vu  **.  Ben  volle  il  Corssen  stabilire  una  serie  di  qu 
latini  sviluppatisi  da  e  nel  periodo  arcaico  e  nel  classico;  ma 
gli  esempj  corsseniani  o  sono  a  dirittura  incredibili,  o  affatto 
incerti,  o  assai  poco  conclusivi.  Vorrebbe,  a  volte,  il  valente 
alemanno,  non  ben  d'accordo,  in  questa  parte,  con  sé  mede- 
simo, che  la  stessa  stirpe  pronominale  quo-  potesse  entrare  in 
questa  serie;  e  ora  presenta  le  forme  epigrafiche  dell'età  re- 
pubblicana: quoius  (=  cuius)  ecc.  quali  continuatrici  dello  kva 
antelatino,  solo  asserendo  che  insieme  corressero  parallele,  pur 
nel  latino  antico,  la  serie  col  qu  e  quella  col  e,  ed  ora  fa  sen- 
z'altro che  quoius  provenga  da  "^^coios  ***.  Ma  la  contrazione  di 


*  Ai  quali  il  Fick,  o.  c.  ,  53,  assai  opportunamente  aggiunge:  xepvos, 
scodella  sagrificale;  ma  troppo  arditamente  egli  ricostruisce,  sulla 
fede  della  sola  voce  germanica,  uno  kvarna  indo-europeo. 

**  Lo  g  asiatico,  col  quale  qui  s'incontra  il  qu  latino,  non  si  trova 
mai  rispondere,  di  per  sé  solo,  ad  un  p  (da  /tu)  greco,  osco,  ecc. 

***  0.  e,  68-9,  176,  795,  cfr.  Kritische  nachtràge  zur  lateinischen 
formenlehre,  91.  Quando  poi  il  Corssen  asserisce,  nel  primo  de' luoghi 
qui  citati,  che  il  dialetto  falisco,  al  cui  alfabeto  manca  il  q,  viene 
colla  sua  forma  cuando  (=  quando)  a  rinfiancar  la  sentenza  che  i 
tipi  quo-  e  co-  corressero,  sin  da  antichi  tempi,  paralleli,  il  lettore 
resta  attonito,  e  non  sa  davvero  intendere  l'efficacia  di  questo  soc- 
corso falisco. 


§   19.    RAGIONI  ISTORICHE  ED  KTÀ  DI  qil,  LAT.  ,  ÌIV  GOTICO,  KCO.       87 

quo-  in  cu-,  a  tutti  parrà  naturale,  ed  accertata  dalle  molte 
analogie  che  ognuno  ha  presenti  e  che  tantosto  qui  si  ritoccano; 
laddove  il  trarre  un  quo-  latino  da  co-,  ha  contro  di  sé  il  fatto 
decisivo,  che  tutte  le  corrispondenti  forme  delle,  altre  favelle 
paleo-italiche  risalgano  al  tipo  col  v  {pò- pi-  =  kvo-  kvi-,  §  17, 1), 
a  tacere  della  difficoltà  generica  di  ammettere  un  espandimento 
fonetico  in  simiglianti  parole*.  L'esserci  poi,  per  passare  agli 
altri  esempj,  in-quil-inu-s  allato  a  colere,  in-col-a  e  col-onu-s , 
non  fa  di  certo  prova  per  qu  da  e;  ed  anzi  Vo  di  col-  (v.  Ind,) 
accenna  a  "kvol  *kvel  anteriore,  al  quale  furono  opportuna- 
mente raccostati  il  greco  -sX-  (ttsXoj  TisXoaat),  versare  abitual- 
mente, muoversi,  e  il  sanscrito  Uar,  muoversi,  versare  intorno 
a  qualche  cosa,  per  guisa  che  sene  ottenga  un  altro  regolare 
esempio  per  l'equazione:  qu  lat.  =  tt  gr.  =  ^  sscr.  **.  Aqui-pedìo-, 
allato  ad  acu-pedio-  (11,  9,),  altro  non  proverebbe,  quando 
pur  provasse  qualche  cosa,  se  non  che  vi  avesse,  pur  nella  ri- 
sposta latina  àeVC dm-  sanscrito,  =  wxJ-  greco,  il  solito  rapporto 
desinenziale  che  è  in  tenui-  =  sscr.  tanii-  =  gr.  tscvu-,  ecc.  ***.  Se, 
inoltre,  abbiamo  ìiirquus  allato  a  hircus,  ed  arquus  allato  ad 
arcus,  non  veggo  per  quali  criterj  etimologici  si  debba  ripu- 
tare più  antica  la  forma  col  e  ****;  e  lo  stesso  si  dica  di  Quirites 


*  Tipo  originale,  o  almeno  antelatino,  senza  m,  risulta  all'incontro 
il  ci  latino  dì  ci-tra  ecc.,  al  quale  risponde,  da  un  lato,  la  stirpe 
gotica  Jii-,  e,  dall'altro,  l'umbro  gi-  (ci-mo-),  così  che  s' hanno  i 
normali  paralleli:  lat.  quo-  =  got.  hva-  =  umbro  jso-;  lat.  ci-  =  got.  hi- 
=  umbro  gì-. 

**  Frohde  ap.  Curtius ,  o.  e. ,  p.  413.  Io  credo  sempre  che  in  ul- 
tima analisi  qui  risaliamo  a  kar',  ma  ora  mi  risulta  evidente,  che 
sin  dal  periodo  unitario  coesistessero  le  due  varietà  kar  (operare) 
0  kvar  (versare  intorno  a  una  data  opera).  V.  V  Introduzione  alla 
morfologia  f  s.  kar  e  s-har. 

***  Cfr.  aqui-penser,  ed  anche  aeci-piter,  Pott,  Wurzel-wÓrterbuch  y 
I,  524,  e  la  nota  che  vien  dopo  la  seguente.  Quindi:  aqui-  per  acui-. 

****  Se  la  forma  sabina  per  hircus  ci  offre  -cks  (fircus)  e  non  -pos 
come  dovrebbe  secondo  analogia  osca  e  sabellica  per  -quos  (  -kvos  ) 


88      §   19.    RAGIONI  ISTORICHE  ED  ETX  DI  qu   LAT. ,  hv  GOTICO,  ECC. 

Quirinus  allato  a  Cures\  e  ancora,  tra  gli  altri,  di  aequo-, 
che  il  Corssen  si  avventura  a  ripetere  da  un  latino  *aeco-,  sol 
perchè  si  rinvenga  il  nome  proprio  Aecetiai  *. 


paleo-italico,  non  se  ne  può  ricavare  argomento  per  la  priorità  di 
-cus,  poiché  le  voci  sabine  dei  grammatici  altro  in  realtà  non  sono 
che  idiotismi  latini  della  Sabina;  cfr.  Mommsen,  Unteritalische  dia- 
lekte,  pag.  347. 

*  La  stessa  sua  combinazione  etimologica:  aiquo-  'aie-mulo  aemulo 
(vedi  p.  e.  Aussprache  ecc. ,  sec.  ed.,  874)  non  legittimerebbe  punto 
l'asserto  di  aicc-  da  aiquo-,  cfr.  p.  e.  -sec-la  allato  a  sequ-or.  Sempre 
nell'op.  testé  citata,  a  pag.  73,  mette  poi  egli  medesimo  V  hircus 
dei  manuscritti  virgiliani  {=  hirquus)  ad  una  stregua  coU'ecMS  degli 
stessi  manuscritti  perequus,  dove  per  certo  nessuno  vorrà  dire  che 
la  forma  col  e  sia  l'anziana.  I  soli  esempj  di  qualche  peso  parreb- 
bero: oquoltod  (allato  ad  occulto)  e  quom  =  cum  (con);  ma  a  chi  ben 
guardi,  pur  l'importanza  di  questi  si  riduce  al  nulla.  Il  primo  di 
essi  è  un  ocTra^  XsYOfxevov ,  che  ricorre  nell'  ep.  de  hacchan. ,  e  vera- 
mente si  legge:  dquoUod,  per  quella  grande  imprecisione  di  scrit- 
tura, che  nell'epigrafe  medesima  ci  dà,  tra  l'altre:  magistratuo  per 
magistratud  e  sacanal.  per  bacanal.  Questa  stessa  imprecisione  non 
giova  di  certo  all'autorità  del  nostro  unico  esemplare,  comechè  si 
debba  distinguere  tra  gli  svarioni  del  lapicida  e  quelli  che  si  possano 
attribuire  allo  scrittore.  Per  occulto-  dovremmo  attenderci,  in  quella 
epigrafe:  ocolto-  (cfr.  ib. :  consoluerunt ,  fabolam);  e  il  q,  seguito 
dalla  sua  perpetua  appendice,  starà  per  mero  sbaglio  in  luogo  del  e. 
Si  trasmoda  nell' apprezzare  le  supposte  ortografie  arcaiche,  a  tacer 
della  stranezza  che  le  forme  seriori  abbian  poi  sempre  a  trovarsi 
proprio  ne' monumenti  piti  antichi.  Siccome  in  qualche  caso  la  pro- 
nuncia può  aver  legittimamente  oscillato  tra  quo  e  cu  (co),  e  l'antica 
ortografìa  essersi  mantenuta,  al  modo  che  avviene  dovunque,  pur 
dopo  mutatasi  la  pronuncia,  così  un  qualche  gw,  adoperato  per  illu- 
sione analogica  in  luogo  del  e,  non  deve  recarci  alcuna  maraviglia. 
Ciò  va  detto  in  ispecie  per  l'altro  esemplare  che  stiamo  considerando, 
cioè  -pev-quom  (preposìz.).  Nella  lex  repetundarum  (C.  I.  L. ,  I,n.  198) 
avremmo  sempre  gwom,  così  per  la  congiunzione  (dove  il  quo  è  le- 
gittimo), come  per  la  preposizione.  Pur  nella  lex  agraria  (G.  I.  L.  , 


\^L  S5  20.    ALTRE    VICENDE   DI   kv.  8^ 

^^^'  Ma  se  non  è  facile  lo  statuire  saldi  esempj  di  kv  che  si  svolga  §  20. 
da  k  per  entro  ai  limiti  di  una  singola  favella  ariana,  abon-^ 
dano  all'incontro  i  casi,  in  cui,  pur  nello  stesso  idioma,  s'abbia 
il  mero  k  allato  al  legittimo  rappresentante  di  uno  Jw  sicu- 
ramente assai  antico  e  comune  a  più  favelle  ;  dove  però  non 
è  sempre  facile  decidere  se  la  figura  col  solo  k  non  corra  pa^- 
rallela  all'  altra ,  piuttosto  che  derivar  da  questa  pel  dileguo 
del  V  (u)  *.  Ognuno  cosi  sa  della  serie  jonia  (Erodoto):  xo-xspo-; 
(sscr.  ka-iarà-s),  quale  dei  due,  xo-tì,  quando?,  xo-To~;,  quale,  xo% 
-ao-;,  quanto?,  ecc.,  in  luogo  di  7:ó-T£po-;  (*kvo-tero-s)  ecc.  (17, 1.). 
E  se  qui  abbianio,  non  già  un  mero  ka  originario,  che  strana- 
mente si  distacchi  dalle  forme  degli  altri  dialetti  ellenici  e  dalle 
italiche,  ma  bensì,  come  fermamente  io  credo,  l'antico  kv  x/', 
che  smarrisce,  entrando  anch'esso  nella  generale  analogia  della 
favella  ellenica,  il  suo  /-  (v.  loid.,  e  in  ispecie  xx^vo?  e  xevso?),  an- 
ziché ingrossarlo  al  modo  che  avviene  per  lo  stesso  dialetto  jonio 
negli  esempj  panellenici  che  per  quest'antica  combinazione  im- 
parammo a  conoscere  (§  17),  e  pur  per  questo  esempio  negli 
altri  dialetti  di  regola  avviene:  noi  qui  riusciamo  a  stabilire 
quella  stessa  doppia  continuazione  dell'antico  kv  che  riavremmo 


I,  n.  200)  indifferentemente  quom.  Ed  anche  nella  lex  rubria  (C.  I.  L., 
I,  205)  è  quom  sì  per  congiunzione  e  sì  per  preposizione,  ma  insieme, 
per  la  preposizione,  anche  cum  (...  quae  ita  ab  eo  petetur  deve  ea 
re  cum  eo  agetur,  ei,  quei  eam  rem  petet  deve  ea  re  age^,  aut  iei, 
quoius  nomine  ab  eo  petetur  quorave  eo  agetur...).  E  finalmente 
huiusque,  che  ricorre  alcune  poche  volte  per /iwmsce  (dove  si  tratta 
di  un  -Ae  fuori  di  accento),  vorrà  pur  essere  un  errore,  a  cui  facil- 
mente induceva  l'analogia  tipica,  di  cuiusque.  — •  Piuttosto,  oltre  a 
quies  ecc.  (v.  il  testo),  vorremmo  ricordare,  per /<u  {=k)  peculiare 
al  latino  :  squama  =  'skadma  (  v.  Indice  ). 

*  Affatto  arbitraria  è  la  sentenza  del  Corssen,  1.  e.,  p.  118,  che 
coquere,  torquere,  allato  a  cocus  torculum^  e  a  trepit  popina  ^  mo- 
strino come  e  latino  passi  in  p  pel  grado  intermedio  di  qu  ;  locchò 
equivale  ad  affermare  che  eoe-  tare-  sien  le  piU  anziane  tra  le  figure 
latine.  Tanto  farebbe  affermare  clie  ceus  sia  più  genuino  di  equus  l 


00  §    20.   ALTRE   VICENDE   DI   kv. 

neir idioma  rumeno,  dove,  per  esempio,  allato  a  patru,  qua- 
tuor  (18,  1.),  ritroviamo  care,  qualis  *,  e  simili;  doppia  con- 
tinuazione che  avrebbe  eziandio  i  suoi  riscontri  nel  duplice  pro- 
dotto latino  di  un  antico  dv  {dvis  origin.  e  sscr. ,  lat.  bis  e  dis-) 
o  nel  duplice  prodotto  indiano  di  un  antico  tv  {-tvana  sscr., 
V.  p.  71,  -ppana  e  -ttana  in  diversi  dialetti  pracritici).  Anche 
per  altre  famiglie  di  vocaboli  ellenici,  nelle  quali  predomini  il  ti 
da  kv,  si  può  citar  qualche  forma,  più  o  meno  isolata,  col  k\ 
cosi,  accanto  al  nome  proprio 'Itctto;  {[-k-ko:;,  cavallo,  17,  2.),  anche 
il  nome  proprio  "kxo?,  dove  si  aggiunge  che  V  Etymologicum 
magnum  dia'txxo?  pel*  sinonimo  d'"[T:7ro?  **,  -  o  Tesichiano  oy.xo-, 
occhio,  allato  ad  ot.-w-k-x  ecc.  (17,  10.)***.  Appresso  alle  quali 
forme,  si  possono  ricordare  quelle  in  cui  a.  kv  o  qu  ecc.  di  altre 
lingue  il  greco  risponde  con  xu;  vale  a  dir  quelle,  in  cui  manchi 
la  trasformazione  greca  in  tl,  non  perchè  siasi  dileguato  od  as- 
similato il  V,  ma  si  perchè  questo  elemento  si  sia  conservato  o 
ridotto  allo  stato  di  vocale;  così:  xuew  (cfr.  cù-ìnulu-s)  allato 
a  ^vi  e  queo  (16,  2.),  e  xuwv  xuvo;  allato  a  gvaìi-  gpan-  (11,  7.), 
cane****.  Nel  secondo  de' quali  esempj  vediam  sottratto  l'antico 
kua  {kva)  alla  trasformazion  greca  in  ''pò  pò  così  come  lo  gv 


*  care  :  patru  :  :  xoio?  ecc.  :  Treo-crupe;. 

"    t  TtTTOffLIVV].    tTUirtXT^     EIXTCStptOC.    Oa(7UVeTai.    TO     l    Tipo    O'JO    (rUtX©0)V(OV    TO)V 

auTwv,  (|(tXouTat,  IXXa,  tXXof  'txxo?,  (Ty)iAaivei  tÒv  'trTiov.  (i£ffy]u,fcKj)Tat  io 
ximo^. 

***t(7X£[v],  diceva  ['i-ax-s],  andrebbe,  secondo  il  Curtius,  o.  c, 
num.  632  (Zeitschrift  s.  e,  III,  406;  cfr.  Passow  e  Schenkl  s.  v.,  e 
PoTT,  Etym.  forsch.,  IP,  638  e  639),  con  e-aTt-s-xe  ecc.  (17,  7.),  e 
à-rpax-To-;,  fuso,  o.  e,  num.  633,  con  xpeTcto  e  torqueo  (v,  sopra). 
Per  oxTaXXo?,  ocde,  Ttéffcoj,  oasa,  v.  V  Indice. 

****  Fu  anche  proposta  la  ricostruzione  'kvakra,  circolo,  ruota,  cui  si 
ricondurrebbero  il  termine  greco  ed  il  sanscrito  (xuxXo-;  ìiakrd-,  12, 1.) 
per  xu  =  feua  e  Ji  =  kv.  Ma  è  ricostruzione  incerta  (cfr.  Curtius,  o.  c.  , 
sec.ed.,pag.  145,  645),  e  preferimmo  di  considerar /^a/cra  = '^a/cra. 
Il  termine  anglo-sassone,  col  quale  il  Fick  (o.  e,  p.  51,  cfr.  181) 
vuol  rinfiancare  lo  'kvakra  indo-europeo  {hveohl  ecc.,  cfr.  Grimm, 
Deutsche  grammatik^  V>,  370),  accennerebbe  a  'kvaukra  kvukra. 


§  20.    ALTRE    VICENDE    DI   hv.  01 

{qu)  indo-ìrano  sfugge  all'  alterazione  in  gp  nel  tema  zendo 
Cuni-  (11,7.),  0  nel  tema  zendo  gùn-  die  si  avvicenda  con  gpan-. 
E  questo  nome  del  cane,  spoglio  siccom'è,  nella  figura  latina, 
del  V  0  dell' w  {cani-,  non  "guani-,  come  per  la  integrale  con- 
tinuazione dell'  originario  gruppo  iniziale  avrebbe  a  suonare) , 
ci  conduce  ai  casi  latini  di  e  allato  a  qu  di  antica  base,  quali 
sarebbero:  sec-t-or,  ad-sec-la,  soc-iu-s  (v.  *saski  sakhi),  ac- 
canto a  sequor  (17,  6.);-  in-sec-tio,  in-sec-c,  allato  a  in-se- 
qu-e  (17,  7.);-  coc-tu-s,  re-lic-tus,  allato  a  coqu-ere ,  lin- 
qu-ere  (17,  8.  5.);  torc-tu-s  allato  a  torqu-ere;-  Quiìict-iu-s , 
allato  a  quinque  (17,  4.)  *;  -  coi  quali  esempj  non  vanno  con- 
fusi quelli  in  cui  il  e  succede  al  q  per  effetto  di  vera  contra- 
zione, come  in  ex-cutio  con-cutio,  allato  a  quatio;  -  o  in  se- 
cundus  allato  a  sequor',  -  per  tacere  di  cuius  =  quoius,  cum 
=  quuìn  quom  e  simiglianti.  Circa  lo  spegnersi  dell'  u  di  qu 
tra  il  latino  e  gl'idiomi  romanzi,  merita  ancora  di  essere  ricor- 
dato, che  le  combinazioni  que  qui  possono  entrare  per  questo 
dileguo  neir  analogia  di  ce  e  di  ci ,  e  qu  finir  per  questo  modo  in 
co  g romanzo  {torcer e  =  iovqu.Qve,  cfr.  18,  2.  ecc.;  Diez,  I-,  245-6), 
di  che  si  hanno  i  due  notevoli  esempj  friulani  che  ora  seguono: 
gè  interrogativo,  =  che  ital.,  que  frane,  e  geri  o  giri,  cercare, 
che  riviene  a  *querire  (querire:  quaerere  [cherere]  :  :  fuggire  : 
fugere),  ed  ha  il  suo  perfetto  parallelo,  ma  tuttora  colla  gut- 
turale, nell'equivalente  chirì,  cri  {jó  chiere),  dei  dialetti  la- 
dini del  Tirolo.  Aggiungasi  il  siciliano  cersa  =  quercia. 

Arriviamo  finalmente  ad  una  evoluzione  greca  del  k  origi-  §  21. 
nario,  che  è  per  avventura  la  miglior  conferma  dello  ky  in  cui 


*  ci-vi-s,  quasi  il  'residente',  1'  'accasato',  (cfr.  got.  hei-va  +  frauja, 
otxoSedTroTyj;),  bene  avrà  la  stessa  radice  che  è  in  qui-e-sco  (Cur- 
tius, o.  e,  num.  45,  Corssen,  Aussprache  ecc. ,  sec.  ed.,  385),  ma 
lo  kv  (qu)  di  quiesco  ecc.  non  apparendo  all' infuori  del  latino,  qui 
torna  assai  probabile  che  la  piti  anziana  delle  forme  latine  sia  quella 
col  e.  Dileguato  od  oscurato  è  all'incontro  per  fermo  l'antico  v  (u) 
nel  latino  in-cient-  allato  a  cù-mulo-  xuw  xue'to  gvi  queo  (16,  2.  )• 


02  §  21.    t   GRECO  =  kH   PRE-ELLENIÒO. 

facemmo  impuntarsi  lo  hv  europeo  e  Io  kj  ( k)  asiano  di  kvatìyar 
kjatvar  e  simiglianti  (p.  85).  Poiché  la  Grecia  si  mostrerebbe 
ondeggiante  tra  il  prodotto  ài  kv  (^p,  p)  e  quello  di  kj,  si  da 
averli  pure  entrambi  per  lo  stesso  esemplare;  e,  secondo  il  parer 
nostro,  poco  disforme  da  quello  del  Curtius,  il  prodotto  di  kjy 
giunto  a  quello  stadio  in  cui  la  tenue  gutturale  è  ridotta  a 
tali  condizioni  che  mal  si  discerne  dalla  tenue  dentale  [kg  tg, 
p.  44-45),  ad  esso  si  sarebbe  fermato,  e  a  poco  a  poco  se  ne  sa- 
rebbe dileguata  l'appendice  palatina  o  linguale,  sì  che  rimanesse 
t  al  posto  del  k  originario  *;  dove  per  ora  vogliamo  limitarci  a 
richiamare  l'analogia  del  genovese  tesuie  {y.Ind.),  cesoie  (*cae- 
soriae),  comechè  sia  esempio  isolato  e  possa  avere  avuto  una 
special  sua  causa  deterrainatrice.  Il  fatto  culminante,  rispetto 
all'equazione  t  greco  =  k'J  pre-ellenico,  è  questo,  che  i  pochi 
ma  sicuri  eserri pj,  pei  quali  si  afferma,  trovino  tutti,  nella  ri- 
sposta indo-irana,  lo  ]i,  vale  a  dire  il  prodotto  della  continua- 
zione asiatica  {kj)  dello  k'J  indo-europeo,  e  non  mai  ^  o  ^  o 
un  qualsiasi  rappresentante  indo-irano  di  uno  kv  etimologico 
(§  19).  Mostreremo  ora  sinotticamente  le  evoluzioni  di  que- 
sto k'',  facendoci  al  primo  tra  i  pochi  esemplari  ellenici  a  cui 
alludiamo: 

1.  'k-Vatvar-  (quattro) 

i 


I  .      I  . 

kHitvar-  'kvatvar-  'kjatvar-  'hjafvar- 

lat.  quatuor  sscr.  liatvar^    zendo  Rathivar" 

gr.  (eoi.)  '^pethvor-  'TO^-^up-         gr.     'kgethvar-  "x^e^/'ap 

Succedono  due  esempj ,  i  cui  riflessi  asiatici  già  ci  occorse  di  toc- 
care nello  studiar  la  vece  indo-irana  di  ^  e  /S  (13,  10.  15,  1.  ri.); 
e  ora  ci  apparrà  grandemente  antico  il  germe  alteratore  pel 
cui  effetto  gì'  Indo-irani  hanno  conseguito  la  variante  col  k: 
Nel  primo  di  questi  due  esempj  troviam  distribuiti  fra  greco  e 


Cfp.  t  {^)  gr,  =  ìi  pers.  in  Tt^-paJaT/j?  ecc.,  Fonologia  irana  s.  v.  v. 


§  21.    t   GRECO  =  ky   PRE-ELLENICO.  03 

latino  i  due  prodotti  di  k'-i  che  nel  precedente  esempio  si  mo- 
stravano entrambi  nel  greco  stesso,  e  sempre  maggiormente 
cosi  si  rafferma  (cfr.  21,  4.)  che  nel  periodo  unitario  si  trat- 
tasse di  semplice  intacco  e  non  mai  di  alterazione  consumata: 

2.  TI-;,  pron.  interrog.  :  chi,  quale;  neutro  xt;  ed  enclìtico  con  signi- 
ficazione indefinita:  qualcuno,  -a,  qualcosa.  La  risposta  indo- 
irana  è  nello  zendo  Ri-s,  quis,  sscr.  "ki-s  di  mà-ki-s  =  zendo  ma-* 
-lii-s  =  gr.  [x-^-Tt-;,  nequis  (cfr.  sscr.  nd-ki-s,  nessuno,  e  13, 10.); 
e  i  filoni  italici:  lat.  quis,  osco  pi-s,  ecc.  (17,  1.),  già  furon 
da  noi  messi  a  contribuzione  sufficiente.  Se  poi  nel  gruppo  di 
pronomi,  che  qui  si  tocca,  v'ha  realmente,  come  a  suo  luogo 
indicammo  (p.  83),  una  serie  di  figure  collo  k-v  etimologico, 
queste  necessariamente  si  sarebbero  confuse  con  quelle  in  cui 
lo  kv ,  o  un  suo  succedaneo,  è  la  normale  continuazione  di  kv,  e 
tra  queste  dovremo  annoverare  gl'italici  qui-s  qui-d  ecc.  Del 
resto,  al  ti-  del  greco  xi-;,  ove  si  prescinda  dal  nom.  sg.  masc- 
fem.  e  dal  nom.-acc.  sg.  neutro,  si  vede  sempre  aggiunto  l'ele- 
mento n  :  xi'-v-o;,  xi'-v-x,  ecc.,  la  qual  combinazione  va  di  certo 
raccostata  al  prezioso  esemplare  zendico:  Jlinem  (acc.  sg.),  che 
dice:  (con)  quale,  sinonimo  di  keìn,  zendico  (e  acc.  sing.)  esso 
pure,  ma  della  schietta  stirpe  interrogativa  ka-*.  Lo  zendo 
Tiinem  si  potrebbe  dire  affatto  identico  al  greco  xt'va  (v. -a  =  -ew), 
se  tutte  le  probabilità  non  istessero  per  la  sezione  Jiine-m,  sì 
che  vi  si  abbia  un  tema  in  a  originario  {ki-na~),  dove  all'in- 
contro in  xiv-x  si  ha  un  tema,  il  quale  esce,  o  meglio  fu  ridotto 
ad  uscire,  per  consonante  **.  Dello  tsi  {tsi)  zaconio  =  xi',  che 
avrebbe  le  apparenze  di  maggiore  antichità,  si  ritocca  a  suq 
luogo  (V.  Ind.). 


*  Occorre  solo  nel  sedicesimo  del  Vendidad,  ma  ripetutamente: 
Mnem  qaretem  fraharàt  kineìn  jaom  fraharàt,  [in]  quale  il  cibo 
avrà  a  portare,  [in]  quale  il  frutto-del-campo  avrà  a  portare?  Cfr. 
la  nota  che  segue. 

**  Spiegel,  Grammatik  der  altbaktrischen  sprache,  §  170,  par 
che  a  dirittura  ragguagli  Mnem  a  xivoc  (xtvx),  e  liinem  sarebbe  ve- 
ramente il  regolare  accusativo  sing.  masc.  di  un  tema  kin-;  ma  nes- 


94  §  21.    ^  GRECO  =  ky  PRE-ELLENICO. 

3.  TI,  ri-voj,  ripago,  sodisfaccio  una  pena;  faccio  che   uno  paghi , 

punisco;  rt-ai-;,  multa,  pena,  vendetta;-  zendo  M  {ki;  v.  la 
n.  a  pag.  47),  espiare,  M-tìii-s  (=  Tt'-at-;),  pena,  ammenda; 
sanscr.  Tii  Jtdja-tai,  trarre  vendetta,  punire,  dpa-hi-ti-s  (  =  à7:ó- 
-Tt-tTi-?),  riraeritamento. 

Rimangono  ancora  due  esemplari;  della  spettanza  etimologica 
del  primo  de' quali,  già  fu  più  addietro  toccato  (p.  66): 

4.  re  (enei.),  e;  =-/^a  sanscr.  e  zendo,  -que  latino;  p.  es.:  gr.  ve/'o?  ts, 

sscr.  e  z.  navag-Jitty  lat.  novus-que.  Notevole  è  l'uso  dello  -Ka 
sanscrito  e  zendo  nelle  combinazioni  pronominali  che  ora  mo- 
striamo: sscr.  jas  kag-Ha  (ja- è  il  relativo ) ,  chicchessia,  qua- 
lunque, qui-cum-gwe,  qualis-cum-^we,  zendo  jà-hi-Ra,  quae- 
Qxxni-que.  Cosi  la  risposta  gotica  {-uh)  tanto  è,  a  cagion  d'es., 
in  kvap-uhj  àìxii-que,  quanto  in  hvaz-uh  =  quìs-que.  Ciò  ne 
farà  propensi  a  identificare  il  que  di  quis-que  uter-que  ecc.  col 
-que  congiuntivo,  che  vedemmo,  a  cagion  d' es. ,  in  novus-que,  co- 
munque i  paralleli  osci  ed  umbri  offrano  pel  que  di  uter-que  ecc. 
(o.  -pid,  u.  -pei)  forme  con  le  quali  non  si  può  combinarlo  senza 
insieme  disgiungerlo  dal  -qv^  congiuntivo  =  -1ia  =  -xt  {-p  osco  ed 
umbro).  Cfr.,  nel  sanscrito,  -Jla  (e  -ka-na,  z.  -lii-na)  insieme 


suna  analogia  irana  od  indiana  verrebbe  ad  assicurare  questo  tipo. 
Sarebbe,  all'incontro,  affatto  manifesto  che  si  tratti  di  kina-,  se 
Mnem  si  dovesse  considerare,  col  Justi  (s.  Mna),  un  accusat.  neutro; 
ma,  a  tacer  d'altro,  in  un  passo  parallelo  si  ha  kem  (cfr.  Spiegel, 
o.  e,  §  254,  cfr.  Justi,  s.  aogista),  che  mal  si  potrebbe  credere  un 
neutro.  Ancora  potrebbe  stare ,  per  la  forma  tematica  ki-ìia- ,  l' en- 
clìtico -Mna  {ma  katha-Mna,  nunquam;  kagvikàm-Jlina  =  kagvikàm- 
-Mt  ;  gli  altri  esempj  sono  mal  certi  ;  na  enclitico  è  ancora  in  jatha-na 
esimili),  una  di  quelle  appendici  pronominali  che  ebbero  la  funzione 
di  generalizzare  o  di  rendere  indefinito  il  valore  del  vocabolo  a  cui 
si  aggiungevano  (cfr.  -Mt  13,  10.,  e  -Ha  21,  4.).  Può  sorgere  però 
il  dubbio  se  l' enclitico  -Rina  non  sia  affatto  identico  al  sanscrito 
^Rana  (cfr.,  malgrado  Pott,  Et.  forsch.,  sec.  ediz. ,  II,  865  n. ,  il 
gotico  -hun  di  ni  hvan-hun,  nunquam,  e  ni  ains-hun,  nessuno),  e  qui 
il  discorso  si  complicherebbe.  Vedine  la  Morfologia,  s.  v. 


§  21.    t  GRECO  =  JiV  PRE-ELLENICO.  95 

con  Rid  (13,  10.),  in  siffatta  funzione  di  formare  indefiniti,  e 
quis-quis  e  o^-xt;  allato  a  quis-que.  Ma  si  dovessero  pure  tener 
distinti  due  diversi  -que  latini,  rimarrà  sempre,  del  resto,  che 
l'uso  conforme  di  -Jia  e  -Jlid  (=  quid)  indo-irani  nel  senso  del 
que  di  quis-que ^  sia  un  argomento  assai  valido,  comechè  indi- 
retto, e  non  certo  il  solo,  che  ci  persuada  ad  accogliere  pur  la 
congiunzione  xe  m  ]la  =  que,  insieme  con  ti';  =  -kis  {his)  =  quis 
(21,2.),  nella  gran  famiglia  pronominale:  ka  (kva)  ki*, 
5.  TreW,  cinque.  Qui  pure  lo  kv  pre-ellenico  avrebbe,  come  nel  quat- 
tro (21,  1.),  doppia  continuazione  greca:  '-panTiVa  'pankja  (sscr. 
panRa)  *7r£VT;?£,  tovts;  e  'pankva  'pankva  (cfr.  qmnque)  *xev(x)7ts 
7r£[X7:s  (17,  4.). 


*  Contro  la  connessione  di  ts  ecc.  con  ti'?  ecc. ,  v.  Pott,  nel  luogo 
testò  citato ,  865-6.  -  Di  ot£  oxa  ecc. ,  v.  l' Indice* 


LEZIONE    QUARTA. 

La  media  gutturale. 


§  22.  L'indagine  laboriosa,  che  nelle  precedenti  due  lezioni  insti- 
tuimmo  intorno  all'istoria  della  gutturale  tenue  {k),  ci  sarà  di 
non  piccolo  giovamento  anche  per  quella  della  gutturale  me- 
dia (g),  alla  quale  ora  ci  volgiamo.  Tanta  è  l'analogia  tra  gli 
accidenti  a  cui  vanno  incontro  questi  due  suoni,  che  l'avere 
descritta  quelli  dell'uno,  è  gran  parte  della  descrizione  di  quelli 
dell'altro;  e  le  due  serie  parallele  di  fenomeni  si  illustreranno 
di  continuo  tra  di  loro. 

La  equazione  unisona:  g  sscr.  =  y  gv.  =  g  lat.,  per  la  quale 
affermasi  la  media  gutturale  originaria  {g;  cfr.  §  11),  si  abbia 
dunque  imprima  gli  esempj  che  seguono: 

1.  Sscr.  gar,  gir-d-ti  e  gil-d-ti  (tipi  intensivi:  ved.  -gal-gal-,  -gal- 
-gul-),  inghiottire;  aga-gard-s^  inghiotti-capre  (un  serpente); 
gala-,  gola,  collo;  gar-gar-a,  gorgo;-  gr.  Yocp-yxp-swv,  ugola, 
Ysp-ysp-o-;  (=PpoY-/o;,  Esichìo),  gola,  gorgozza,  yap-yocp-i'Co),  gar- 
garizzare;- lat.  gul-a  (cfr.  l'equivalente  ant.  alto-ted.  kela, 
anglo-sass.  ceole,  =  ante-germanico  'gita)  *,  gur-gul-ion-.  Cfr. 
§  26,  l,n. 


*  Da  gul-a  =  'gal-a  (cfr.  lat.  ul  =  'al)  si  scostano  in-gluv-ies  in- 
-gluv-iosus ,  glù-tus  glù-t-io,  che  accennano  alla  forma  radicale  'glav 
'giù,  e  forse  rasentano  il  gr.  yXjJiw,  inghiotto,  che  si  adduce  dai  lessi- 
cografi; locchè,  del  resto,  non  esclude  punto,  che  le  due  forme  radi- 


§  22.  g  originario;-    g  sanscrito,  y  greco,  g  latino.       97 

2.  Sscr.  gar  gà-gdr-ti  egà-gr-a-ti,  \egUave,  gà-gar-ti-s,  il  veglia- 

re, gà-gr-vi-s,  vigile  (e  pure:  risvegliante ,  eccitante,  v.  Boeh- 
TLiNGK-RoTH,  s.  V.  *);-  gv.  TEP,  è-Yst'p-w  Ce-Yep-jo),  v.  Ind.)^ 
io  sveglio;  e-ysp-at-;,  lo  svegliare;  ma  con  significazione  in- 
transitiva, come  nel  sanscrito:  i--{ffy]-^op-x,  veglio,  l-Ypyi-yop-o'wv, 
vegliante,  l-Ysp-Tt,  l-Ypvj-Yop-Tt',  vigilantemente. 

3.  Sscr.  gurù-s  (  'gara- ,   v.  l' Ind.  ) ,   grave  ;  gar-i-mdn- ,  guru-tà , 

gravità,  dignità;-  lat.  grau-i-s,  gravi-tat-.  I  riflessi  greci 
occorreranno  piti  innanzi  (26,  9.,  e  §  29). 
,4.  Sscr.  già  glà-ja-ti,  provar  disgusto,  essere  spossato,  snervato, 
glà-ni-,  svogliatezza,  spossatezza;-  gr.  y^«-vi-?  (ocpyo'i;,  iners), 
yXavoi  (àyp£~ot,  inutiles,  cfr.  sscr.  glà-nd-s)  ^  amendue  da  Esi- 
chio.         FiCK. 

5.  Sscr.  agm-s,  fuoco;  lat.  igni-s',  lit.  ugni-s,  id. 

6.  Sscr.  àgas,  scandalo,  mancamento,  dn-àgas-^  dn-àga- ^   scevro 

di  colpa;-  gr.  ayo?,  colpa,  peccato,  àv-XY^'?  (nomin.  sscr. 
dn-àgàs),  scevro  di  colpa  (v.  i  less.  ). 

7.  Sscr.  gingi-,  nome  di   una  pianta  (rubia   munjista  Roxb.),  gr. 

YtYY''~°"  (Y'TY''^»  Y'YY'^'°"*')»  gingidio;  lit.  zingini-s^  calla  palus- 
tris  (FiCK  **). 

8.  Sscr.  sthag  sthdg-a-ti,  coprire;-      gr.  cziy-w^  cuopro  (v.  TÌ-(y\ 

e  tego). 

Ma  il  g  originario  si  trova  ridotto  con  molta  frequenza  a  ^'  g  23. 
sanscrito,  compendiandosi,  a  così  dire,  in  quest'unica  trasfor- 


cali ^ar  (gal)  e gr-av  (glav)  abbiano  a  far  parte,  in  ultima  analisi, 
di  una  famiglia  stessa.  Assai  notevole  è  ancora  la  coppia  lat.  gur- 
gul-ion-  e  gurg-it-  (gurges),  allato  a  quella  dell'antico  al  to- tedesco  : 
querechela  [gurgula,  Graif,  Althochd.  sprachschatz,  IV,  384,  679-801 
e  querca  [gurgula,  v.  GrafF,  ib.,  680].  Fick.  -  E  notevole  sarebbe 
pur  la  coincidenza  di  significato  tra  l'anglo-sass.  ceola  (gurgustium 
ap.  GrafF.  ib.  384,  cfr.  ceole  nel  testo)  e  il  lat.  gurgustium. 

*  Ma  l'aor.  d-gi-gar  (svegliasti,  svegliò),  allegato  dal  Curtius  (o. 
e,  n,  139),  spetta  al  causativo'.,  cfr.  Benfey,  Vollst.  skr.-gr.  §  842, 
Kurze  skr.-gr. ,  §  258. 

**  RuHiG-MiELKE  :  zinginnei  (  pi.  ) ,  klapp-kraut ,  zvaiginnci  zva- 
ginnei  (pi.),  klapper-kraut. 

Ascoli,  Fonol.  indo-it -gr.  7 


08       §  23.  g  originario;-    g  sanscrito,  y  greco,  g  latino. 

mazione  della  media  (cfr.  §  24  v.  1.  f.,  e  §  25)  l'effetto  quanti- 
tativo che  per  la  tenue  va  distintamente  distribuito  in  due  al- 
terazioni diverse  (§§  11  e  12).  Ne  consegue,  che  la  più  solita 
equazione  per  g  originario,  sia  g  sscr.  =  y  gr.  =  r/  lat. ,  come 
s'incomincia  a  vedere  negli  esempj  che  ora  offriamo: 

1.  Sscr.  gar  gdr-a-ti  gir-ja-li,  infralire,  decadere,   logorarsi,  in- 

fracidire,  invecchiare;  part.  pres. :  gdr-ant-  (nomia.  gdran)^ 
infralito,  vecchio,  gir-jant-^  iuvecchiante;  a-gdr-a-,  a-gdrant-, 
che  non  invecchia;  gar-à,  gar-ds ,  l'invecchiare,  vecchiaja, 
gar-i-mdn-,  vecchiaja,  decrepitezza;-  gr.  yep-ovT-  (nomin. 
yepwv;  Esichio  avrebbe  ancora:  ye'pu;  =  ye'pwv  e  yepuTai;  =  yépwv), 
vegliardo,  yepa-io'-?  (v.  Ind.),  vecchio,  ypau?  (v.  Jnd.),  donna 
vecchia;  y^ipa;,  vecchiaja,  à-yy;'pao-i;  à-yri'pocTo-;  (v.  Morfologia t 
s,  v.v.  ),  che  non  invecchia. 

2.  Sscr.  ^«mt,  e  in  alcuni  composti: //wm-,  ginocchio;-       gr.  yo'vu, 

ginocchio,  yvu-7:£T-o-?  [lessicogr.],  che  cade  (mal  si  r«gge)  sui 
ginocchi,  spossato  (cfr.  l'avv.  Tipo-/ v'j,  ginocchioni,  etimologica- 
mente identico  all'aggett.  sscr.  pra-gnu-,  che  si  dice  di  chi  abbia 
i  ginocchi  storti  ad  un  certo  modo),  yvu-;,  in  ginocchio;-  lat. 
genu,  con-genu-are ,  geni-eulu-m  geni-culu-s  (la  forma  proto- 
romanza è  'genu-sHo-,  che  è  pur  nell'antico  con-genu-cl-are). 

3.  Sscr.  gan  gdn-a-ti  (ved.;  presso  i   grammatici   anche  ga-gan-ti 

=  lat.  gi-g[e]n-i-t),  peri',  ga-gàn-a  (1.  e  3.  sing.  ),  generare, 
partorire,  yan-i-tdr-^  generatore,  genitore,  gdn-i-tri,  genera- 
trice, genitrice ,  .i^aw-i-fra- ,  luogo  natio, //aw-a-,  creatura,  ge- 
nere, stirpe,  gan-tù-,  creatura,  gan-ùs  (gdn-as),  gdn-man-, 
nascita,  creatura;-  gr.  yev-ì-xyfp  yev-Z-Twp,  generatore,  geni- 
tore, yev-E-Tetpa  ( 'ycv-i-Tep-joc),  genitrice,  yev-s-^Xo-v  yev-e'-5Xr; , 
origine,  stirpe,  schiatta,  yev-i-at-.'; ,  origine,  ye'v-oi;,  nascita, 
stirpe;  cfr.  §26,  7;-  lat.  gi-g[e]n-o,  gen-ui,  gen-i-tor  gen-i- 
-tri-c-s,  -gen-a  (p.  e.  terri-gen-a) ,  gen-i~men  (Tertull. ),  pro- 
-gen-ie-s,  gen-ti-,  gen-us,  gen-u-inu-s,  gen-iu-s.  Sscr.  gan 
d-gan-a-ta  (3.  sg.  imperf.  med.),  ga-gh-di  (1.  e  3.  sg.  perf. 
raed.))  esser  generato  o  partorito,  nascere,  divenire,  esse- 
re;-  gr.  yi'-y(e)v-o-[jLai  (aor.  è-y£v-ó-u.y]v,  perf.  ye-yov-a),  nasco, 
divengo,  sono;  ysivoijLat  (*Ysv-jo-[jLat;  yói'vexat  'ycv-je-rai  rispon- 
derebbe a  capello  al  gan-jd-tai,  ò  generato,  che  si  ritrova  in 


§  23.  g  oiUGiNAiiio;-  /)  sanscrito,  y  greco,  y  latino.  99 
Panini;  diversa  genesi  ha  il  '{ii't-  dell' aoristo  [ystv*-  *Yev-Ta-]  di 
significazione  transitiva,  per  esempio  y-s'vocasvoi,  genitori),  na- 
sco. Sscr.  ^aw  yà-ja-tai,  nascere,  (/à-td-,  nàto,  gà-ti-,  na- 
scita, gà-tjà-,  genuino,  yà  in.  e^  f. ,  discendente,  pra-gà,  di- 
scendenza {cir.  pro-gen-k-s),  -gà-  e  -ga-  (in  fine  di  composto), 
nato:  p.  es.  api-gd-^  nato  di  poi  (cfr.  Itti-yov-o-?  )  ;  -  gr.  FA 
nelle  note  voci  del  perf.  di  yly^joii.xi  :  ys.~yx-ci<jiv,  fz-yx-xueM,  (ye- 
-ya-xetv),  ecc.  Nei  sanscriti  ^j^à-<i-  e  gnà/-s-,  stretto  parente , 
avremo,  quasi  sicuramente,  la  stessa  forma  radicale  che  ricorre 
nel  greco  yvr^-Tto-;  (cfr.  sscv. yà-tjà-s),  legittimo,  genuino,  o  nel 
lat.  gnà-tu-s  e  simili  (cfr.  n-  lat.  da  gn-)  *. 
4.  Sscr.  gnà  gànà-ti**,  conoscere,  riconoscere,  gnd-td-,  noto,  co- 
nosciuto, ^^a-tór-,  conoscitore,  jpra-^wà,  intelligenza,  discer- 


*  Il  Lessico  di  Pietroburgo  li  manderebbe  volentieri ,  per  la  forma , 
Gon  gnà,  conoscere  (23,  4.),  confortandosi,  circa  il  significato,  colla 
analogia  del  greco  yvcfj-To-;,  che  vale  insieme:  noto,  congiunto  d'ami- 
cizia, consanguineo,  fratello,  sorella.  Ma  conviene,  che,  pel  signi- 
ficato, meglio  starebbero  con  gan.  Il  Pott,  all'incontro  (Wurzel- 
wOrterb.,  I,  39),  li  colloca  risolutamente  sotto  ynd;  e  il  Benfey  gli 
verrebbe  in  soccorso,  rispetto  a  gnà-s-,  argomentando,  come  fa, 
che  questa  voce  valga:  conoscente,  amico  {Orient  u.  occidenf,  III, 
144).  Ma  l'argomentazione  non  ò  sicura;  e  ci  mancherebbe  ogni  ve- 
stigio del  significato  che  avrebbero  primamente  dovuto  avere  questi 
due  vocaboli  (di  gnd-ti-  s' hanno  anche  derivati  e  composti,  sempre 
nell'esclusiva  significazione  ài  parente,  stretto  parente);  e  pur  la  loro 
forma  attiva  non  istarebbe  (malgrado  il  nostro  ^conoscente')  per  la 
derivazione  da  gnd.  Dà  il  tratto  alla  bilancia:  gnà  (femina  di  specie 
sovrumana,  24,  12.;  zendo  gena  gJi[e]nd-,  fomina;  gr.  yuvv},  v.  Ind.), 
vano  essendo  lo  sforzo  pel  quale  lo  stesso  Lessico  di  Pietroburgo 
vorrebbe  trarre  pur  questa  voce  a  gnà,  conoscere.  Di  altre  pro- 
paggini  del  ya-  di  ga-n  e  gà,  tocca  la  nota  al  §  26,  8. 

**  Circa  l'analisi  di  gànà-fti]  (cfr.  le  forme  radicali  zende  ;ran  e 
za),  V.  V Introduzione  alla  morfoL,  s.  v.  La  sezione  del  Corssen, 
Le,  437  (gàn-a-ti),  è  un  curioso  arbitrio,  figlio  di  uno  strano  errore. 
Suppone  cioè  una  forma  radicale  sanscrita  yan ,  che  si  conjughi  se- 
condo prima  classe,  allungando  Va.  Altro  stranissimo  errore  com- 
mette il  valente   alemanno   nell' occasio;ie  istessa,  ponendo   la   voce 


100     §  23.  g  originario;-    (/  sanscrito,  y  greco,  g  latino. 

nimento,  l'orientarsi;-  gr.  '(i-yvoì-axM  (aor.  s-yvw-v;  3.  sg.  fut. 
YVfó  -Gt-vx.1 ,  tipo  dor.  yvco-dèì-Tat ,  =  sscr.  gnà-sjà-tai  ) ,  riconosco  ; 
Yvto-To;,  à-Yvoj-To-;  (sscr.  gnà-tà-s ,  à-gnà-ta-s),  noto,  ignoto 
(ignorato);-  iat.  [gjno-sco  (gnoscier,  ep.  de  bacchanal. ,  27; 
V.  n-  Iat.  e  gr.  da  gn-,  e  cfr.  co-gnosco  ecc.),  gnò-tu-s,  i-gnó- 
-tu-s,  gnà-ru-s,  i-gnà-ru-s,  gnà-r-ur-is,  i-gnò-ro  (cfr.  -^-joì- 
-p-if^to,  fo  conoscere  *). 

5.  Sscr.  gabh  gdhh-a-tai  gdmbh-a-tai ,  acchiappare,  abboccare,  az- 

zannare; gdmbh-ana~ .,  che  stritola,  gdmhhàs  (nomin.  pi.),  i  denti 
(  al  sing.  :  le  fauci  ) ,  gdmbh-ja- ,  dente  di  una  determinata  se- 
zione della  serie;-  gr.  yoV?~°"?»  cavicchia  (propriam. :  dente), 
Yoi/.cp-t'o-;  (=  sscr.  gdmbh-ja-s)^  dente  molare;  yx^L^-xi  ^x\t.(i^-riXxi 
( pi.  ) ,  mascelle ,  fauci  **.         [Cfr.  §  24 ,  12.] 

6.  Sscr.  ag  dg-a-ti^  spingere,  condurre  (agere),  dpàga  (apa+ag-a, 

2.  sg.  imperat. ,  =  «.■Kxys.  ) ,   discaccia  ! ,  ùpàgatu  (  upa  +  ag-a-tu , 

3.  sg.  imperat. ,  .utzx-^ìxoì  ) ,  spinga  accosto  !  ;  ag-ird-s ,  rapido , 
agile;  dg-ma-s  (=oy-w-o-?,  sentiero,  solco),  dg-man-,  corso, 
carriera,  arringo,  àg-i-s,  gara,  arringo,  lotta;-  gr.  òcy-w, 
spingo,  conduco;  x^-ó-^  (=  sscr.  ag-d-s,  che  spinge,  che  ar- 
reca: apàm  agdt^  delle  acque  apportatore,  cfr.  pag.  78  e  14), 


sanscrita  ga-gnai  {ga-gné^  1.  e  3.  sg.  perf.)  tra  gli  esempj  di  a  radi- 
cale passato  in  è.  L'è  {ai)  di  ga-gnai,  come  ognuno  conosce  (v.  p.  e. 
Benfey,  Kurze  sslir.-grammat.,  §  217),  è  l'esponente  della  persona. 
Finalmente  fa  a  pugni  col  resto,  od  almeno  è  enigmatica,  la  divi- 
sione delle  voci  gotiche  {ka-nn  ku-n-th-s)  che  nello  stesso  luogo  egli 
ci  dà. 

*  Nel  sanscrito,  il  nostro  verbo  dice  ancora,  allo  stato  semplice: 
approvare,  acconsentire-,  e  col  prefìsso  anu:  approvare,  concedere, 
condonare,  perdonare;  e  analogamente  il  gr.  cu-f-yiy^oì'jy.o) :  convengo, 
perdono.  Poca  o  nulla  sarebbe  l'efficacia  del  prefisso  nella  propag- 
gine gotica,  ga-kunn-ands ,  indulgentemente  (xxxà  (iuyyvwVi^)'»  ®  ^^  ^^~ 
tino  i-gnosco  (in  +  gnosco)  altro  conseguentemente  non  conterrà  se 
non  un  in  'rafFermativo',  e  non  già  'negativo',  quale  ancora  il  vuole 
lo  stesso  PoTT  (Wurzel-wÓrterbìich ,  1,  49),  pur  confessando  assai 
strano  l' in  privativo  in  un  verbo  primario. 

**  Il  ravvicinamento  indo-greco  non  può  di  certo  andar  turbato 
dal  gr.  YXjJ-'l'o;  (=  jc^jx-];©';  Esichio;  xaV^troj ) ,  ritorto,  v.  Ind. 


§  23.  g  originario;-    If  sanscrito,  y  greco,  g  latino.     101 

duce;  ày-oiv,  agone,  «Y-px,  caccia;-  lat.  ay-o ,  ag-ili-s ^  a(j- 
-mcn,  amb-àg-cs,  ind-àg-es. 

7.  Sscr.  ag-ra-s,  pianura,  campagna,  ag-r-jà-s,  che  si  rinviene  nella 

pianura  (sdm  agrjà  parvatjà  vdsùnigigaitha,  guadagnasti  insie- 
me le  ricchezze  del  piano  e  le  montane,  rgv.,  X,  69,  6);-  gr. 
aYpo-;,  campo,  àypto-;,  rustico  (indi:  selvaggio);-  lat.  agro- 
(ager). 

8.  Sscr.  ang  ang-d-nti  (3.  pi.),  ungere,  angana-^  unzione,  unguen- 

to;-     lat.  ung-o  ed  ungu-o  (v.  §26),  ungu-en  ungu-en-tu-m. 

9.  Sscr.  aùg-as^  forza  vitale,  gaglìardia,   aug-mdn-   (ra. ),  forza, 

aUg-as-ina- ,  che  si  addimostra  robusto;-  lat.  aug-us-tu-s, 
aug-men  aug-men-tu-m ,  auge-o.        [Cfr.  vag  ecc.] 

L'equazione  g  =  g  risulta  dal  sanscrito  stesso,  in  modo  af-  §  24. 
fatto  analogo  a  quello  per  cui  vedemmo  risultarne  l'equazione 
^  =  ^(§13).  Quindi  vi  avremo  frequente  il  caso,  che  un  me- 
desimo complesso  radicale  esca  per^',  dinanzi  a  vocale  od  s.  j , 
nel  verbo,  ed  esca  all'incontro,  in  qualche  formazione  nominale, 
per  (j,  ancora  dinanzi  a  vocale  od  -dj.  Cosi  (cfr.  13,  1-8.): 

1.  tig  tdig-a-tai,  essere  affilato,  affilare;-       ved.  tig-i-td  (cfr.  iig- 

-md,  p.  104),  aguzzo,  puntuto*. 

2.  tjag  tjdg-a-tij  abbandonare;-      tjàga-s,  abbandono. 

3.  bitag  bhdg-a-tai,  avere  in  sorte;-       bftdg-a-s,  sorte,  fortuna, 

4.  hhang  ba-bhdhg^a  (1.  e  3.  sg.  perf.),  rompere,  bhang-ana-  (pe- 

culiare al  sscr.  class.),  che  rompe  (o  qual  sostant.  neutro:  rom- 
pimento);-     bhangd-s,  rompimento,  rottura. 

5.  bhug  {bhug-d-ti),  curvare,  bhug-an-ga-,  (che  va  tortuosamente), 

serpe,  -bhug-i-  (vedico),  propriam.:  giro,  indi:  volta  (p.  es.  : 
ddga-bhugi-,  che-ò-dieci- volte-tanto  ;  cfr.  il  lat.  -plec-s  di  centu- 
-pleoc  ecc.,  allato  Q.plic~o)\-  bhaug-d-s,  avvolgimento,  anello 
(di  una  serpe). 

6.  bhug  bhung-dnti  (3.  pi.  pres.),  fruire,  bhdug-ana-m,  godimen- 

to;-     bhdug-ja-,  che  è  da  fruire  **,  bhdug-a-s,  godimento,  uso. 


*  tig-i-td  sarebbe  un  normale  partic.  perf.  pass,  di  'tig. 
**  Annotano,  che  non  si  adoperi  di  cibi.  Comechò  si  differeuzii  per 
r accento,  bhdug-ja-  manifestamente  altro  non  ò  che  un  partic.  fut. 


102  §    24.    VECE    SANSCRITA    DI   C/   K   f/. 

7.  hhràf/  bhrà(/-a-tai ,  essere  rovento,  scintillare,  risplendere  (v.  Vin- 

dice);-      bhdrff-as,  splendore  radioso. 

8.  jwj  jung-ànti  (3.  pi.  pres.),  attaccare,  congiungere, ^w^-ja-  (ved.), 

congiunto,  congruo;-      jugd-m,  giogo,  pajo. 

9.  rag  (rang)  rdg-ja-ti,  colorirsi,   arrossare;  lasciarsi  trasportare 

dalla  passione,  sentirsi   attratto;-       ràga-s,  colore;  passione; 
ranga-s,  colore. 
10.  sarg  srg-d~ti,  emettere,  effondere;  creare;-      sdrg-a-s,  effluvio 
(ved.;  Benfey:  goccia);  emanazione,  creazione,  natura*. 


pass,  in  cui  si  mantiene  intatta  l'antica  gutturale,  e  perciò,  in  fondo, 
non  diverso  da  bhaug-jà  (che  è  da  fruire,  da  mangiare),  che  ha  la 
accentuazione  normale  e  la  palatina.  Anzi,  stando  ai  grammatici 
(V.  Benfey,  Volisi,  gr. ,  §  905,  Karze  gr.,  §  386),  bhug  avrebbe 
a  dare  normalmente,  al  partic.  fut.  pass,  in  -ja  :  bhaug-jà,  poiché 
statuiscono  che  in  questa  formazione  passi  rispettivamente  in  k  o  g 
lo  ìi  o  g  onde  si  chiudono  quei  verbi  che  annettono  immediatamente 
il  suffisso  del  participio  perf.  pass,  i-ta  o  -na;  bhug-nd,  24,  13.).  Ma 
è  regola  che  deve  patire  ben  maggiori  eccezioni  che  essi  non  registrino 
(comunque  ne  ammettano  una,  che  di  per  sé  sola  la  dissolve  tutta). 
Così  le  forme  participiali  mauk-jà  raik-jà  vaik-jà  gauh-jà  saik-jà, 
che  si  dovrebbero  avere,  secondo  questa  regola,  dai  verbi  mufi  riR 
vili,  guji  siìi,  non  si  sono  mai  vedute,  che  io  sappia,  nella  realtà  del 
linguaggio;  e  probabilmente  slam  limitati,  per  -li,  a  pàk-ja  che 
ricorre  insieme  con  pàh-ja  (che  é  da  cuocere;  dove  la  figura  col  h 
è,  secondo  i  grammatici,  quella  che  esprime  la  necessità  assoluta), 
ed  a  vàk-jà-[m]  nell'accezione  sostantiva,  reliquia  fonetica  di  cui 
a  suo  luogo  ci  valemmo  (13,  6.).  Qualche  minore  scarsità  di  reli- 
quie avremo  forse,  nel  caso  nostro,  per  -g.  Così,  oltre  bhdug-ja^ 
ci  sarebbe  màrg-ja  (allato  a  mrg-ja  e  al  parossitono  ved.  mdrg-ja; 
da  spazzarsi),  insistentemente  affermato  dai  grammatici.  Intorno  a 
jdug-ja  (allato  a  jaug-ja)  g  jùg-ja,  il  secondo  de' quali  è  pur  esso 
annoverato  dalla  grammatica  fra  i  partic.  fut.  pass,  e  il  primo  già 
da  questi  si  scosterebbe  pur  esso  per  l' accento  (  come  del  resto  ve- 
demmo fare  anche  bhdug-ja,  e  pure  ìndrg-ja,  benché  veramente  que- 
sto si  possa  raccostare  al  tipo  gdk-ja  bìidg-ja),  e  intorno  a  bhàg-ja 
(allato  a  bhdg-ja;  cfr.  24,  3.),  va  ora  consultato  il  lessico  di  Boeh- 

TLINÙK   e   llOTH. 

*  Cfr.  ancora:  rug  rauga-,  vargvarga-,  vig  vaiga-,  sang  sanga-. 


§  24.    VECE   SANSCRITA    DI    (J   E   (J.  103 

Si  ha  poi  g  per  normale  reduplicatore  di  g  (cfr.  13,  9.),  conse- 
guendosi cosi  un  divario  tra  la  consonante  della  sillaba  radicale 
e  quella  della  reduplicativa,  al  quale  la  lingua  non  ha  provve- 
duto nel  caso  di  &  e  di  d,  poiché  forma,  a  cagion  d'esempio, 
ba-bàndh-a  nel  perfetto  di  bandh,  legare,  o  dà-dd-mi  nel  pre- 
sente di  dà,  dare.  Ecco  dunque  alcune  figure  reduplicate  di 
verbi  che  incominciano  per  g: 

11.  gar^  inghiottire;  perfetto  (1.  e  3.  sg.  att.):  ga-gàr-a\  ma  in  temi 

intensivi  vedici,  che  già  adducemmo  (22,  1.),  si  ha  ancora  la 
gutturale  pur  nella  reduplicazione;-  gam,  andare;  perfetto 
(1.  e  3.  sg.  att.)  ga-gdm-a  ga-gàm-a;  tema  desiderativo:  gi- 
-gam-is  {volere  andare),  tema  intensivo:  gan-gam  (ved. :  gani- 
-gam  gani-gam  ) ,  onde  gan-gam-a- ,  mobile  ;  -  gà  gi~gà-ti , 
andare;-  grahh  (ved.),  pigliare;  perf.  (1.  e  3.  sg.  att.)  ga- 
-grdbh-a. 

Notevole  è  che  gi,  vincere,  offra  anch'esso,  nelle  forme  redu- 
plicate, il  contrasto  ^ — g,  mostrando  cioè  in  esse,  non  più  g, 
ma  bensì  g  radicale;  quindi,  a  cagion  d'esempio:  gi-gài-tha, 
vincesti,  gi-gi-s-a-ti  (desiderat.) ,  vuol  vincere,  dovechè  gli  altri 
verbi  con  g  iniziale  seguon  tutti  l'  analogia  di  gan  ga-gàn-a 
(23,  3.)  *.  Così  rasentiamo  il  caso  di  M-kait-ti  allato  a  Uàit- 
-a-ti  (13,  10.),  nel  quale  è  già  bene  innoltrata  la  separazione 
lessicale  delle  due  varietà;  separazione  che  ora  vedremo  com- 
piuta, per  g  allato  a  g,  negli  esemplari  che  seguono  (cfr.  13,  10.): 

12.  gar,  gdr-a-tai,  crepitare,  risuonare,  invocare,-  accanto    a  gar 

gr-ni-tdi,  invocare;  gan  (23,  3.),  partorire  ecc.,  ondo  pur 
gdni-  gdni,  femina,-  accanto  agnà,  femina  di  specie  sovruma- 
na (V.  la  n.  *  a  pag.  99);      'gam-  (genit.  gm-as),  terra,  allato 


*  Il  caso  di  gi  gi-gàj-a  (gi~gdi-tha)  gi-gi-s-a-ti  ecc. ,  e  r/i-gj-ù-a.gg. , 
vincente  (cfr.  l'equivalente  </à/-w-),  ha,  sotto  Ji,  il  suo  compiuto  pa- 
rallelo in  Ri  M-kàj-a  ìii-ki-s-a-ti  (cfr.  M  ki  13,  10.  e  Bohtlingk-Roth 
s.  Ili  considerare  e  hi  stivare),  colla  differenza  però  che  i  grammatici 
ammettono,  nel  caso  di  /«,  anche  la  figura  colle  due  palatine:  M-Ràj-a 
Mi-Ri-s-a-ti  {Panini,  VII,  3,.  57  e  58,  ed.  Boehtl.  pag.  553). 


104  §   24.    VECE    SANSCRITA   DI  /7    E   <J. 

all'equivalente  'gam-  (gen.  gm-as) ^  insieme  colla  qual  coppia 
vedica  va  sin  d'ora  considerata  quest'altra  (cfr.  p.  109)  :  gman- 
=  gman- ,  p.  e. ,  in  prthu-gman-  =  pfthu-gman- ,  quello  dall'  am- 
pia (TiXaTu-)  via;  gdmhh-a-,  fauce,  gamhh-d-,  inghiottitore 
(V.  23,5.),  allato  a  gabli-ird-  gamUh-ira-^  profondo  (considerata 
la  profondità  quasi  una  bocca  spalancata,  come  piU  chiaramente 
si  vede  dai  vocaboli  zendi  ^a/'-ra-,  bocca,  tsmce,  gaf-ra-,  pro- 
fondo, che  sono  tra  di  loro  non  diversi  [§25]  e  di  radice  af- 
finissima  al  sscr.  gahh)\  langày  meretrice,  allato  a  lunga-, 
bordelliere  (Yates:  a  lecher). 

Dopo  di  che  faremo  posto  al  fenomeno  di  g-m  g-r  g-v  in  pro- 
paggini di  figure  radicali  uscenti  per  g,  dove  tanto  più  decisa- 
mente vedremo  nel  g  la  diretta  continuazione  del  g  originario, 
quanto  meno  schivo  è  il  sanscrito  dalle  combinazioni  gm  gr 
gv  (cfr.  pag.  38  e  110).  Avremo  cosi:  tig-mà-,  acuto,  puntuto, 
jug-mà-,  pajo,.e  -jug-van-  *,  allato  a  tig  e  jug  (24,  1.  8.); 
ug-rà,  virulento,  allato  ad  ug  (onde  aug-  23,  9.;  v.  vag);  e 
à-srg-r-an  (3.  pi.  pret.  medio-pass.,  ved.)  nel  verbo  sarg  (24, 
10.)  **.  I  quali  esempj  ne  serviranno  di  transizione  alla  nor- 
mal  vece  grammaticale  di  g  che  lascia  il  posto  a  ^,  od  al  re- 
golare succedaneo  di  questo  [k],  neWa.  uscita  scoperta  oppure 
nella  immediata  annessione  di  esplosiva,  di  sibilante  o  di  n 
(cfr.  13,  11.).  Si  osservino: 

13.  hhang  (24,  4.),  rompere,  hhug  (24,  5.),  curvare,  magg,  sommer- 
gersi, lagg,  vergognarsi,  vig,  trepidare,  -  al  part.  perf.  pass.: 


"'  Nel  vedico  sva-jùgva-bhis  {rgv.,  IX,  111,  1),  cogli-accompagna- 
tori-a-lui-proprj  (v.  Benfey,  Sama-veda  [sa-jùgva-bhis] ,  pag.  193, 
235  b). 

**  Cfr.  Panini,  VII,  1,  8  e  41;  Benfey,  Volisi,  gramm.,  pag.  366 
(n.  5),  389  (n.  2),  408  (n.  1),  il  quale  adduce,  ib.  378  (n.  9),  anche 
sa-srg-mahai  (1.  pi.  perf.  med.)  =  sa-srg-mahai  (v.  Gloss.  al  Sama-v., 
s.  v.).  Pajono  all'incontro  mancar  d'ogni  conferma:  ag-rnan  =  ag-man 
(23,  9.)  e  il  suo  preteso  sinonimo  sag-man  o  sjag-man  {Nàighant. ,  II, 
17,  vv.  11.;  Benf.,   Volisi,  gr.,  §  415). 


i 


§  24.  i;-t  ((j-th),  CHE  DÀ  NEL  sanscrito:  s-t  [s-th).  105 
hhag-nd-,  bhug-nd,  ma(j-nd,  lag-nà  vig-nd*;  jug  (24,8.), 
attaccare  ecc.;  2.  sg.  im^.:  j un g-dhi;  partic.  perf.  pass.:  JmA- 
-td-,  junc-tu-3  (V.  Assimilaz.),  infin.:  jduk-tum,  e  sulla  mede- 
sima analogia:  ak-td-,  tjah-td-,  bhak-td-,  hhuh-td-,  rah-td, 
vrJi-fd,  da  ang,  ungere  (23,  8.),  tjag,  abbandonare  (24,  2.) 
bhog,  avere  in  sorte  (  24 ,  3.  ) ,  bhug,  godere  (  24 ,  6.) ,  rang,  co- 
lorirsi (24,  9.),  varg,  escludere  ecc.;  -  e  al  futuro  avremo  :  jaw/f- 
-sdi  (med.),  io  attaccherò,  ecc.;  -  e  del  nome  jug-,  congiunto, 
collegato,  dotato,  il  dativo-abl.  plur.  suonerà:  jug-bhjds,  il 
locat.  ])ì.:  juk-su,  il  nomin.  s\iìg.:juk  ijug). 

Ma  alla  vece  grammaticale,  ultimamente  descrìtta,  non  si 
conforma,  di  regola,  se  non  nel  caso  di  annession  di  sibilante 
conjugativa,  un  limitato  numero  di  ligure  radicali,  il  quale, 
per  prodotto  di  g+t  g+th,  ci  offre  all'incontro:  ht  s  +  th  (cfr. 
pag.  40).  Questo  prodotto  accenna  a  uscita  radicale  che  suonasse 
piuttosto  i  che  non  g  (v.  §  25),  vale  a  dire  a  tale  alterazione 
del  g  originario ,  la  quale  starebbe  ad  esso  g  così  a  un  di  presso 
come  {;  sta  a  ^  (§  11),  mentre  lo  schietto  g  (24,  13.)  stava  a  g 
cosi  come  /é  a  ^  (§  12);-  e  la  ragion  grammaticale  dei  casi  di  g, 
0  veramente  di  i,  ai  quali  ora  alludiamo,  diventa,  nelle  com- 
binazioni di  cui  sì  tratta,  del  tutto  analoga,  ed  anzi,  per  effetto 
di  regolare  assimilamento,  operato  dal  suono  che  sussegue,  del 
tutto  identica  a  quella  di  g.  Si  osservino: 

14.  bharg  (bhragg)  bhrgg-d-ti,  friggere;  all' aoristo  (3.  sg.  att.  )  : 
d'bhràk-sit  (cfr.  13),  ma  al  partic.  perf.  pass,  bhrs-td-,  e  così 
all'infinito:  bhrds-tum;-  marg  mrg-d-nti  (3.  pi.),  fregare, 
ripulire,  alla  3.  sg.  del  pres.:  màrs-ti,  al  partic.  perf.  pass.: 
mrs-td\-  sarg  srg-d-ti,  effondere  ecc.  (24,  10.),  all' aoristo 
(3.  sg.  att.):  d-sràk-sit  (cfr.  13.),  ma  alla  seconda  sing.  del  perf. 
att.:  sa-srds-tha  (o  sa-sarg-i-tha) ,  e  al  partic.  perf.  pass.:  srs- 
-td-  (V.  la  nota);-      jag  jdg-a-ti,  colere  deum,  sacra  facere; 


*  Presso  k  non  ricorre  il  caso  analogo  se  non  in  vrk-na,  che  si  dà 
per  partic.  di  vragJi,  lacerare  (cfr.  vfk-a,  lupo,  pag.  82;  e  V Ind. 
s.jàknd),  e  in  ak-na,  curvo,  allato  ad  ank,  curvare,  il  cui  normale 
partic,  ò  però  ank-i-ta. 


lOC         §  24.  ii't  {g-th),  che  dà  nel  sanscrito:  s-t  (s-th). 

alla  3.  sg.  del  fut.  ait. :  jak-sjdti,  ma  all'infinito:  jas-fwm,  al 
partic.  perf.  pass.:  is-td-  (v.  i  sscr.  da  ja\  e  jaynd).  Quindi 
avremmo  i  rapporti  che  seguono: 

prk-td  :  parli  =  'park  (13,  11.)  :  :  vrk-td  :  vary  =  'varg  (24,  13.); 
drs-id  :  darg  =  'dark  (p.  40)  :  :  mrs-td  :  marg  =  *marg  (24,  14.)*. 

Nelle  attuali  condizioni  del  sanscrito,  più  adunque  non  si 
distinguerebbe,  dinanzi  a  vocali  (o  dinanzi  a^',  •y,  m),  lo  ^  di 
varg  jug  ecc.,  che  è  parallelo,  nella  sua  vece,  allo  ^  [vrk-tà 
Juk-tà;  prk-tà),  dallo  g  di  marg  ecc.,  che  è  parallelo,  nella 
sua  vece,  allo  p  {mrs-tà;  drs-tà).  Ma  la  differenza  statistica 
che  intercede,  nel  sanscrito,  fra  i  continuatori  alterati  del  g 
originario  e  quelli  dell'originario  k,  è  ben  lungi  dal  limitarsi 
ad  un  mancato  discernimento  di  pronuncia.  Tra  l'una  e  l'altra 
serie,  occorre  eziandio  un'assai  notevole  diversità  per  questo, 
che,  nelle  alterazioni  della  tenue,  il  tipo  [darg)  drs-t-  a  un  di 
presso  si  equilibri  col  tipo   {park)  prk-t-,  laddove,  in  quelle 


*  Così  p,  come  lo  g  di  marg  ecc.,  vengono  a  coincidere,  nelle  piti 
importanti  combinazioni,  con  s  (v.  Lez.  XIV),  poicbè  nelle  forme 
sigmatiche  del  verbo,  e  nel  partic.  perf.  pass.,  avremo  /t-s  per  unico 
prodotto  di  ogni  g  +  s,  di  ogni  g  +  s  e  di  /+s,  e  avremo  s-t  per  unico 
prodotto  di  ogni  g+t,  dello  g  +  t  in  marg  ecc.,  e  di  s+t.  Ora  di  s 
avvenendo,  in  grammatica  sanscrita,  che  all'uscita  scoperta  e  dinanzi 
alle  esplosive  iniziali  degli  elementi  ascitizj ,  toltine  t  e  th,  e  anche 
dinanzi  al  s  di  locat.  plur. ,  gli  si  sostituiscano,  di  regola,  le  esplo- 
sive non  aspirate  del  proprio  ordine  {d  innanzi  a  sonore,  t  innanzi 
a  sorde  e  all'uscita  scoperta),  entra  naturalmente  in  questa  stessa 
analogia  pur  lo  g  di  marg  ecc.  (veramente  Z',  e  z  :  s  :  :  med.  :  ten. ; 
v.  anche  di  h  sscr.  neìV Indice),  ed  insieme  l'analogia  si  estende, 
di  regola,  anche  a  g  (v.  pag.  40  e  41).  Quindi,  a  cagion  d'esempio: 
à-màrd  2.  e  3.  sg.  imperf.  di  marg;  ud-dhi  (*u2+dhi)  2.  sg.  imperat. 
di  vag  (ug).  -  Alcuni  complessi  radicali  ancora  oscillerebbero  tra 
l'analogia  di  se  quella  delle  gutturali  rispettive  (sarg,  srs-id  d-sràh\ 
vjp,  vit-sù  e  vih'sù)\  v.  pag.  41  e  Studj  critici,  II,  78-9,  ed  anche 
la  nota  che  segue.  > 


§  25.  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  DEL  Q  ORIGINARIO.        107 

della  media,  il  tipo  {marg)  mrs-t-  rappresenti,  in  confronto  del 
tipo  {varg)  vrk-t-,  un'assai  esigua  minoranza.  La  quantità  del 
danno  patito  dalla  media  originaria  ne  risulta,  in  favella  in- 
diana, di  gran  lunga  inferiore  a  quella  che  vi  ha  sofferto  la 
originaria  tenue  *. 

Le  condizioni  dello  zendo  concordano  grandemente,  anche  §  25. 
rispetto  alla  continuazione  alterata  del  g  originario,  con  quelle 
del  sanscrito  (cfr.  §  15),  comechè  a  prima  vista  paja  interve- 
nire, fra  le  due  lingue,  uno  screzio  ragguardevole,  pel  fatto 
che  lo  g  sanscrito  ritrovi  ne' riflessi  zendi  ora  ^  e  ora  z.  Ma  le 
due  alterazioni  zende,  unite  insieme,  non  oltrepassano  in  modo 
sensibile  i  confini  lessicali  del  g  sanscrito;  e,  d'altra  parte,  negli 
esemplari  sanscriti  sul  tipo  marg  mrs-ià-  vedemmo  indizio  di 
uno  -g  indiano  che  si  accostasse,  nel  suono,  all'irano  z  {*z), 
col  quale  ora  vedremo  che  pure  etimologicamente  egli  s' incontri. 
Lo  zendo  z  {=  g  orig,),  per  vero,  non  è  a  gran  pezza  limitato 
ai  casi  in  cui  il  sanscrito  ci  offre  s-t  da  g-t  (24,  14.),  ma  con- 
vien  considerare,  da  un  lato,  che  se  pure  incontriamo  z  (vera- 
mente z  tra  vocali)  rimpetto  al  g  sanscrito  del  iv^o  jug  juk-tà- y 
troviamo  tuttavolta  che  ugualmente  si  riproduca,  nell'esem- 
plare zendo,  la  vece  consentanea  a  questo  tipo  (v.  25,  1.  IV.); 
e,  dall'altro,  che  la  pronuncia  assibilata  dello  g  indiano  non  si 
sarà  di  certo  limitata  a  quei  soli  esemplari  in  cui  le  combina- 


*  Le  proporzioni,  compendiosamente  accennate  nel  testo,  sarebbero 
rappresentate,  in  approssimativo  modo,  dalle  cifre  che  seguono:  - 
circa  50  i  complessi  radicali  che  escono  per  li  e  quindi  seguono,  nelle 
note  combinazioni  (pag.  38),  l'analogia  di  h\~  circa  40  quelli  che 
escono  per  g  e  quindi  seguono  in  esse  l'analogia  di  5  (v.  la  nota  che 
precede);-  circa  70  quelli  che,  uscendo  per  g^  seguono  in  quelle 
combinazioni  l'analogia  di  gr;  -  e  solo  una  mezza  dozzina,  o  poco 
più,  quelli  che,  uscendo  per  g,  seguono  in  esse,  non  senza  qualche 
eccezione,  l'analogia  di  s.  E  allato  a  sarg  e  a  marg,  che  sono  tra 
questi,  vedemmo,  d'altronde,  sarga  (24,  10.)  e  màrgja  (n.  a  p.  102), 
dove  non  mai  si  avrebbe  un  darka  allato  a  darg,  o  simili  (p.  39  al 
princ). 


108      §  25.  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  DEL  Q  ORIGINARIO. 

zioni  grammaticali  ci  conducono  a  scoprirla  *.  Ed  ecco  ora, 
senz'altro,  alcuni  saggi  della  corrispondenza  indo-irana  per  gli 
scadimenti  del  g  originario: 

\.  \.  g  sscr.  =  li  zendo:  s.  ^i,  z.  gi^  vincere;  s.  g^à^  z.gja^  corda 
dell'arco;  s.  ^à-^ar- (23,  2.),  z.  ga-ghàr-,  vegliare;  s.dugaSy 
z.  aoganh,  vigore  (cfr.  III.);  s.jug,  z. j"m^,  attaccare.  II.  // 
sscr.  =  z  zendo:  s.  gnà  (gànàti,  28,  9.)  z.  zan,  riconoscere, 
znà-tar-  **  (=  S'&QV.ghà-tdr-),  riconoscitore;  s.  gus^  z.  ^w.?  ama- 
re; s.  gam-  (v.  24,  12.),  z.  zem-,  terra;  s.  gahghà^  z.  zmiga-, 
gamba;  s.  gnu-  (23,2.),  z.  znu- **,  ginocchio;  a.bhag,  spar- 
tire, impartire  (e:  avere  in  sorte),  z.  òaz  ***  (allato  a  bagha- 
=  s.  hhàgd,  porzione,  cfr.  24,  3.  e  v.  IV.);  s.  bhràg,  z.  baràz ^ 
sfavillare,  splendere;  s.  marg ,  z.  marez,  fregare  ecc.  (24,  14.); 
n.jag,  z.jaz,  sacrificare  ecc.  (24,  14.);  s.  sarg,  emettere,  z.  harez 
(h  zendo  =  s  sscr.),  mandar  fuori,  versare  (24,  14.).  III.  g 
sscr.  che  trova  lo  zendo  oscillare  tra  ^  e  z,  ma  prevalente  il 
secondo:     s.gan^  generare  ecc.  (23,3.),  z.  zan,  allato  a  ^ém- 


*  Di  questo  avremo  a  ritoccare  più  tardi  (p.  117),  e  intanto  non  è 
forse  inutile  qui  avvertire,  come  si  renda  per^  sscr.  così  lo  àj  come  lo 
z  delle  voci  straniere  {gàmitra,  StaixaTpov;  tàgi-ha,  il  pers.  tà'zi.,  'ara- 
bo'). Né  sarà  affatto  superfluo  che  si  aggiunga,  all'orecchio  italiano 
non  parer  poi  così  piena,  come  si  suole  affermare  (v.  pag.  12),  la 
coincidenza  del  moderno  g  indiano  col  nostro  g  di  urge  ecc.  La  pro- 
nuncia dello  g  così  è  descritta  dal  missionario  italiano  Cassiano  Beli- 
gatti  {Alphabetum  brammhanicum  seu  indostanum  universitatis  Kasi 
[Kàgi,  Benares],  Romae  1771,  pag.  27-8):  'nostro  gì,  et  z  simul 
arridet  haec  littera,  vel  debet  pronunciari  eo  fere  modo,  quo  pronun- 
ciant,  qui  linguam  habent  blesam  (blaesam)'.  Di  /t  giudica  lo  stesso 
autore  (ib.,  27):  'neque  haec  ulli  ex  nostris  litteris  rite  potest  assi- 
milari,  sed  medium  habebit  locum  Inter  e  Italorum,  et  teha  a  Gallis 
pronunciatum,  quod  usus  docebit.' 

**  Lo  i,  anziché  z,  in  znàtar-  e  znu-  è  causato  dalla  connessione 
della  nasale.  Quindi  il  semplice  z  nella  forma  plurale  zanna  =  genua. 

***  Il  Justi  inferisce  questa  forma  radicale  da  bazat,  ma  sarebbe 
forse  più  legittimo  l' inferirne  bag,  e  a  questa  forma  pare  eziandio 
che  accenni  bakhta  (IV.  e  V.  e  la  pag.  preced.). 


§  25.  etA.  delle  alterazioni  asiatiche  del  g  originario.     109 

(e  SI  ghfejna,  24,  12.  ),  femina  [cfr.  20,  8.  n.  ];  s.  ar/ ,  con- 
durre (23,  0.),  ifù,  procedere  con  rapidità,  z.  az,  su,  de' quali 
verbi  si  è  trovato  esempio  collo  e/  ;  e  così  la  radice  che  è  nello 
z.  aoffanh  =  sscr.  dugas  (v.  I.  e  23,  9.)  è  pure  in  fondo  la  stessa 
che  ritorna  in  vàza-  z.  =  vaga-  sscr.,  forza  (v.  ancora  gafra- 
allato  a  zafra-  nella  nota).  IV.  vece  sanscrita:  jug  juk- 
-td-,  hhag  bhak-td-  (cfr.  24,  13.,  e  vali  uk-td  13,  IL);  vece 
zenda.  jug  jukh-ta-,  haz  *  bakh-ta-  (cfr.  I.  e  II. ,  e  vali  ukh-ta- 
15,  2.).  V.  vece  sanscrita:  marg  mrs-td-,  jag  is-td-,  sarg 
srs-td-  (cfr.  24,  14.,  e  nop  nas-td-,  11,  17.);  vece  zenda:  marez 
rnars-ta-,  jaz  jas-ta-,  harez  hars-ta-  (cfr.  IL,  e  nag  [=  nag  sscr. 
11,  17.]  nas-ta-)**. 


*  V.  la  n.  ***  alla  pa^.  108. 

**  Vi  ha  qualche  lieve  differenza  tra  i  limiti  sanscriti  e  li  zendi , 
entro  a' quali  si  compie  il  fenomeno  di  g  da  g  (cfr.  la  n.  a  pag  47); 
ma  a  guardar  da  vicino  i  pochi  esemplari  divergenti ,  la  discrepanza 
si  riduce  a  proporzioni  affatto  esigue.  Il  piti  importante  sarebbe: 
z.  ga-m  gi-m  ga-g  =  s.  ga-m  ga-hìih  (  v.  Lez.  VI  ) ,  venire ,  andare- 
Ma  ,  dall'  un  canto ,  la  gutturale  s' ha  ancora  sempre  nello  z.  ga-m , 
che  coesiste  a  ga-m,  e  nello  z.  gà  {=s.gà),  andare,  che  è  di  base 
non  diversa  da  quella  di  ga-m;  e  v'ha,  dall'altro,  che  oscilli  il 
sanscrito  stesso,  in  questo  medesimo  verbo,  tra  g  g  g,  poiché,  a  tacer 
di  gam  gdm-a-ti,  che  una  raccolta  sinonimica  indiana  pone  tra  i 
verbi  di  moto,  abbiamo  lo  gm-an-  (=  -gman-  : prthu-gman-  =  -prthu- 
-gman-,  dall'ampia  carriera),  carriera  (Boehtlingk-Roth,  s.  v.v.),  e 
lo  -gman-  di  pdri-gman  (cfr.  Benfey,  Stimav.  gì.  s.  vv.),  che  scorre 
intorno;  dove  ancora  si  vogliono  ricordare ,  per  la  piena  analogia 
fonetica,  i  sscr.  'gam  e  'gam  (24,  12.,  cfr.  25, 1.  IL),  terra.  Non  si 
tratterebbe  quindi  se  non  di  una  diversa  estensione  che  in  ciascuna 
delle  due  lingue  le  due  figure  avrebbero  preso;  e  pur  dai  riflessi  europei 
ò  lecito  arguire  che  il  g  di  gam  sia  pre-irano  (v.  p.  127).  Secondo, 
tra  gli  esemplari  divergenti,  si  potrebbe  addurre  il  gruppo  di  vocaboli 
zendi,  la  cui  radice  è  identica  od  affinissima  a  quella  del  sscr.  gam- 
bhira- gahhira-,  profondo,  e  suona,  con  la  palatina:  ga[i]ic-i-, gaf-ra-, 
profondo,  gàf-nu-,  profondità.  Ma  qui  pure  interviene,  che,  dall'una 
parte,  spunti  forse  ancora  la  gutturale  pur  nello  zendo  (v.  gaf-ja- , 


no      §  25.  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  DEL  g  ORIGINARIO. 

Ora,  quanto  è  piena,  pur  per  questa  parte,  la  concordanza 
indo-irana,  e  altrettanto  apparisce  arbitrario,  pur  qui,  l'essere 
scaduta  l'antica  gutturale  piuttosto  nell'una  serie  d'esemplari 
che  nell'altra.  Le  combinazioni,  in  cui  lo  g  sanscrito  si  ag- 
gruppa con  altre  consonanti,  sono:  ng,  gn,  {gg ,  ggh),  gm,  gj, 
gr,  gv,  hg,  rg  *,  e  quanto  a  combinazioni  con  vocali,  occor- 
rono ,  sempre  nel  sanscrito  :  ga  gu  gì  ed  ag  ug  ig  ;  tutti  i  quali 
appagamenti  fonetici,  escluso  quello  affatto  singolare  in  cui  en- 


abisso,  i)rofondità,  ap.  Justi),  e  che,  dall'altra,  il  sanscrito  stesso 
ci  offra  la  palatina,  ed  è  in  gabh^  azzannare,  annichilire,  ^amWia-, 
gola  (cfr.  z.  zemb,  annichilire,  Justi;  zaf-ra- ,  bocca,  gola),  coi 
quali  più  addietro  mettemmo  appunto  gambhira-  (24,  12.).  Se,  inol- 
tre, lo  zendo  garez-ja-  pur  ci  dia  un  riflesso,  con  palatina  iniziale, 
del  sscr.  garg^  muggire  ecc.,  v'ha  poi,  nello  zendo  stesso,  la  figura 
colla  gutturale  conservata:  garez  (gridare  ecc.).  Discordano  i  due 
idiomi  nella  voce  per  ''midollo',  che  ò  maggà  nel  sanscrito  e  mazga 
nello  zendo;  ma  è  un  caso  sui  generis,  nel  qual  cioè  si  risale  alla 
consonanza  composta  originaria:  sg  (cfr.  i  riflessi  sscr.  di  sg  e  sdh 
[e  sk]  orig.).  L'unico  esempio  in  cui  la  divergenza  non  vedremmo  in 
alcun  modo  temperata,  sarebbe  ^ad  zendo,  chiedere,  pregare,  aliata 
a.  gad  sanscrito,  dire;  ma  la  convenienza  de' significati  non  apparisce 
intiera,  e  la  forma  zenda  potrebbe  risalire  a  'gadh.-  Finalmente 
meriteranno  qui  ancora  menzione:  1.°  La  figura  colla  gutturale,  ac- 
canto a  quella  colla  palatina,  nella  radice  zenda  per  'vivere'  {gaj-a, 
vita,  accanto  agi  ecc.,  v.  Introduzione  alla  morfologia,  s.  v.),  dova 
l'esemplare  redn^lìcaio  gi-gaè-sa,  tu  possa  vivere,  è  un  buon  paral- 
lelo fonetico  de' sanscriti  gi-gdi-tha  (vincesti)  ecc.  che  di  sopra  no- 
tammo (103);-  2."  Il  participio  zendo:  vars-ta-  (sul  tipo:  s.  mrs-ta-, 
z.  mars-ta-)  da  varez  ('vargjTepY  v.  Ind.),  operare,  a  cui  manca, 
per  quanto  io  posso  vedere,  il  riscontro  di  un  verbo  primario  sanscrito 
(V.  V Ind.  s.  ùrg  vrg  vrg-ana). 

*  Queste  combinazioni  occorron  tutte  in  complessi  radicali  {gm  in 
gman-  ecc.,  v.  la  n.  preced.,  e  hg  nel  verbo  uhg)',  gn  gm  gj  yr  gn 
si  ottengono  eziandio  per  accessione  di  elemento  ascitizio  a  g  radi- 
cale. Nessun  nuovo  contatto  si  aggiungerebbe  dalla  serie  compiuta 
dei  gruppi-consonanti  sanscriti  in  cui  entri  (j.  Cfr.  la  n.  ***  a  pag.  41. 


§  25.  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  DEL  Q  ORIGINARIO.       Ili 

tra  1),  sono  comuni  pure  a  r;  *,  come  si  vede  dagli  esempj  che 


seeruono  : 


9- 

anga-,  membro,  vanga-  (24,9.); 
gnà  (24, 12.),  ag-ni-,  fuoco; 

gm-as  (24,  12.),  tig-ma-  (24,  1.); 
hìiaug-ja-  jaug-ja  (24,6.); 
gras,  inghiottire,  grah,  pigliare  ; 
daga-gvin-  gata-gvin-,   decuplo, 

centuplo  ; 
garriy   -àndiìre,  guh,   nascondere, 

giri-  monte; 
ràga  {24,9.),  juga  (24,8.),  vaiga-, 

fretta; 


bhang  (24,4.),  sang,  affiggere. 
gnà  (23,  A.),jag-na-,  culto,  sacri- 
fìcio. 
gm-as  (24, 12. ),  ag-man-  (23,6.). 
gjà,  usar  violenza. 
grajas  (ved.),  pianura,  distesa. 
gvar,  febbricitare,  gval,  ardere. 

gan ,  generare ,  gus,  amare ,  giv  , 
vivere. 

ràgan-,  re,  hhwja-,  braccio,  vi- 
ga-, seme. 


Manca  per  vero,  nel  sanscrito,  un  gì  genuinamente  radicale, 
ove  si  prescinda  da.  gi-gt-  (p.  103),  che  ha  salvo  il  g  per  ragione 
dissimilativa;  poiché  in  giri-,  monte,  gir-,  voce,  gi-tà-,  cantato, 
e  altrettali,  in  realtà  si  tratta,  come  a  suo  luogo  vedremo,  di  a 
che  si  affievolisce  ad  i  **;  della  quale  mancanza  si  potrà  legitti- 
mamente accagionare  l'attiguità  della  vocal  palatina  (cfr.  p.  42). 


*  Non  occorre  gj  qual  gruppo  radicale  (cfr.  la  n.  preced.,  la  n.  * 
a  pag.  42,  e  il  testo  fra  poco),  eccetto  il  caso  di  gi-gì-'ù,-  (p.  103,  n.), 
gi-gj-ùs  3.  pi.  perf.  (vinsero)  ecc.,  ma  si  forma  tra  radice,  o  nome 
primario,  e  suffisso.  Lo  gv  di  daga-gvin-  ecc.,  che  stiam  per  citare, 
è  probabilmente  radicale. 

**  Manca  eziandio  un  verbo  sanscrito  che  esca  per  ig;  ma  non  ne 
teniam  conto,  essendosi  fatto,  in  generale,  caso  raro,  nel  sanscrito, 
un  verbo  che. esca  per  g  immediatamente  preceduto  da  vocale.  Pur 
nello  zendo  non  occorre  mai  gì  in  figura  radicale;  e  solo  può  infe- 
rirsi un  *^i-^i- dalla  \oc& gi-gaèsa y  di  sopra  toccata  (pag.  110  in  n.), 
nel  quale  agirebbe  il  principio  di  dissimilazione,  come  fa  nei  sscr. 
gi-gi-vds-  {gi-gai-tha,  gi-gj-ùs),  gi-gi-s-a-ti  (p.  103). 


112      §  25.  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  DEL  g  ORIGINARIO. 

Ma  Vi,  ad  Ogni  modo,  più  non  avrebbe  esercitato  quest'in- 
fluenza nel  periodo  in  cui  s'ebbe  giri  da  *gari,  e  simiglianti  *, 
a  tacer  che  sempre  si  tollerano  hhaug-ja-  e  simili;  e  restan 
poi  le  altre  congiunture  fonetiche,  in  cui  appare  lo  g,  senza 
che  si  possa  discernere  in  esse  alcuna  spinta  alterativa,  o,  per 
dir  meglio,  alcuna  particolar  causa  dello  infiltrarsi  dell'  ele- 
mento alteratore  (v.  p.  118).  Quanto  più  adunque  rimane  eslege 
la  estensione  del  fenomeno,  e  tanto  più  chiaro  si  addimostra, 
dal  concordar  che  in  essa  fanno  la  favella  degl'Irani  e  quella 
degli  Indi,  come  gli  scadimenti,  che  nel  sanscrito  vediamo  sof- 
ferti dall'originario  g,  sien  pre-indiani,  ossia  risalgano  all'età 
indo-irana  (cfr.  p.  48). 

Non  v'ha,  all'incontro,  nel  gruppo  italico,  nel  greco,  nel 
celtico,  nel  germanico,  alcuna  alterazione  del  g  originario,  la 
qual  risulti  omogenea  alle  alterazioni  indo-irane,  e  insieme  si 
addimostri  risalire  a  periodo  pro-etnico^*.  Così,  ben  vi  sono 
coincidenze  continue  tra^  e  z  indo-irani,  dall'una  parte,  e  ^  e  ^ 
de' dialetti  italiani,  dall'altra,  questi  e  quelli  da  ^  originario, 
come  si  può  vedere  dagli  esempj  che  seguono:  z.  zan-tu-  (=  s. 
gan-tù-),  consorzio;  z.  zanv-a,  nomin.-accus.  duale  di  zfejnu-, 
s.gdnu-,  ginocchio;  z.  erezata-,  s.  r agata-  {v.  Ind.),  argento, 
allato  a  tali  continuazioni  odierne  de' temi  latini  gen-ti-,  genu- 
-clo-,  argento,  quali  sarebbero  il  romano  gente  e  il  veneziano 
zente,  il  romano  gino-cchio  e  il  veneziano  zeno-óo  od  il  friulano 


*  È  in  generale  assai  notevole,  che  gli  affievoliraenti  palatini  delle 
gutturali  originarie,  così  frequenti  nel  periodo  indo-irano,  piii  affatto 
non  avvengano  nel  periodo  indiano.  Cfr.  Studj  critici,  II,  sec.  sag- 
gio ind.,  n.  3;  e  v. ,  per  l'Irania,  la  Fonologia  irana,  s.  li  (e),  g , 
e  f  =  7f. 

**  Esempj  celtici  e  germanici  per  la  continuazione  di  g  originario, 
mantenutosi  g  o  fattosi  g  {z)  indo-irano,  sarebbero,  dall' irl.  ant.  : 
gair,  voce  (24,  12.  e  p.  14  in  f.),  e  la  radice  gné,  conoscere  (23,  4.); 
e  dal  gotico  (cfr.  p.  63):  kaur-s,  grave  (22,  3.),  akra^  campo  (23,  7.). 
Cfr.  la  n.  a  pag.  50. 


§  25.  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  DEL  Q  ORIGINARIO.       113 

nò-li,  il  toscano  argento  e  il  veneziano  arzento  *.  Ma  queste 
,ii(>ì^azioni  romanze  sono  esclusivamente  promosse  dall' <?  che 
sussegue  a  g  (cfr.  p.  49);  e  quindi  non  sussiste  continuità  iste- 
rica tra  di  esse  e  le  indo-irane.  Ben  si  potranno  avere,  in  alcuni 
!isi  particolari  (§  26),  alterazioni  europee  ed  asiatiche,  pur  del- 
i  oi'iginario  g,  le  quali  stieno  in  connessione  genealogica  tra 
di  loro;  ma  saranno  prodotti  fra  di  loro  affatto  disformi  di  una 
indistinta  affezione  primeva  (cfr.  p.  48-9  e  128).  L'indo-irano  g 
{z .  z),  da  ^,  riman  sempre  una  risultanza  fonetica  di  età  poste- 
riore a  quella  in  cui  ancora  vìvevano  insieme  uniti  il  gruppo 
italico,  l'ellenico,  il  celtico,  il  germanico,  e  la  sezione  asiatica 
della  favella  ariana. 

Resta  d'interrogare  il  gruppo  litu-slavo  (cfr.  p.  51-7),  e  qui 
il  discorso  potrà  alquanto  complicarsi,  ma  non  sarà  inutilmente. 
Abbiamo,  cioè,  anche  per  la  media  gutturale,  una  serie  di 
esempj,  in  cui  alla  alterazione  indo-irana  {g,  z)  risponde  in 
favella  litu-slava  una  alterazione  affatto  congenere  {z  lit. ,  i 
si.  **),  senza  che  pure  in  questa  favella  possa  vedersi  alcuna 
special  causa  dell' aflfezione  subita  dal  suono  originario.  Dalla 
qual  serie  offeriamo  : 

Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e' antico  bulgaro. 

'  2.  s.gnà{23,  4.),  z.  zan,  rico-  I.  it«-óit ,  sapere ,  h.zna-ti,  couo- 
noscere.  scere, 

s.  a^a-,  capro,  a^a/cà,  capre t-  \.  ozy-s  (*oz-ja-s),  capro,  ozka, 
ta.  capra. 


*  I  fati  estremi  di  gè  latino  ne'  vernacoli  italiani  son  questi  :  che 
possa  ancora  riflettersi  per  ghe  sardo  (  arghentare ,  inargentare ,  jpiàn- 
ghere,  piangere;  ghe  sardo  si  ebbe  del  resto  anche  da  gè  romanzo), 
e  che  i^er  je  ji  si  riduca  a  solo  i  (ital.  ariento,  friul,  arint;  'gente 
'jente,  friul,  int).  Analogamente:  regina  'rejina^  reina,  intorno  al 
qual  vocabolo  italiano  il  Curtius,  o.  e,  sec.  ed.,  513  (II,  156), 
prende  abbaglio. 

z  lit.  0  ir  si.  :  ^  orig.  :  :  s  lit.  e  a  si.  :  k  orig.  (  p.  51  ). 

Ascoli,  Fono!,  indo-il.-gr.  8 


** 


114    §  25.  btX  delle  alterazioni  asiatiche  del  g  originario 
Sanscrito  e  zeado. 


s.  agina-m ,  pelle. 

s.  bhùrga-s,  specie  di  betulla. 

s.  marg,  z.  marez  (lat.  mulg- 

-eo  ) ,  fregare  ecc. 
s.  rug,  frangere. 


Lituano  e  antico  bulgaro. 

b.  asno,  j-aznoj-azino, id.  (Fick). 
1.  berza-s,  russo  bereza,  betulla 

(LOTTNER). 

1.  mélz-u,  b.  mlùz-o,  mungo. 
1.  lauz'U  (rad.  luz),  rompo*. 


E  v'ha  qui  pure  la  serie  in  cui  il  litu-slavo  e  l'indo-ìrano  si 
mostrino  all'incontro  concordi  in  ciò,  che  amendue  conservino 
intatta  la  gutturale  primitiva.  Così  negli  esemplari  seguenti: 


Sanscrito  e  zendo. 
3.  s.gnà  (24, 12.;  25, 1.  III.). 

s.giri-,  z.  gairi-,  monte. 
s.  agni-s  m. ,  fuoco, 
s.  ahgàra-s ,  carbone. 

s.juga-,  giogo  (cfr.  24,  8.). 


Lituano  e  antico  bulgaro. 

antico prusso  :  ganna,genna  **,  fe- 

mina. 
b.  gora ,  monte  ***. 
1.  ugnì-s  (  f.  ) ,  b.  ogni  (  m.  ) ,  fuoco. 
1.  anglì-s  (f.),  b.  ogli^  polacco 

w-egiel  (m.)  id.  ****. 
b.  igo ,  id. 


*  Qui  il  Fick,  o.  e,  p.  156,  attingendo  probabilmente  dal  Nes- 
SELMANN  che  io  non  ho  alla  mano,  dà  :  luziX,  rompo  (sarà  l'intran- 
sitivo lùzau^  luziau,  di  Schleicher  e  Ruhig-Mielcke  ) ,  e  la  note  voi 
figura  colla  gutturale:  lug-na-s  (=  sscr.  rug-na-s),  pieghevole.  Cfr. 
pag.  117. 

**  Potrebbe  però  questo  esempio  doversi  piuttosto  contrapporre 
alla  forma  indo-irana  col  ^  (v.  i  luoghi  citati  nel  testo),  e  quindi 
appartenere  piuttosto  al  n.  4;  cfr.  la  n.  *  a  p.  128.  Lo  z  del  corri- 
spondente vocabolo  slavo:  zena,  è  alterazione  seriore,  peculiarmente 
slava,  causata  dall' e.  Analogamente  suona  ziv-,  in  causa  dell'i,  la 
radice  slava  per  'vivere',  che  nel  lituano  è  gyv-  {=>  3scr.  giv). 

***  11  Fick,  o.  c,  p.  243,  opportunamente  qui  richiamali  lituano 
gire,  bosco.  Cfr.  lo  spagnuolo  monte,  monte,  boscagha. 

•***  La  forma  polacca  ha  un  to  protetico,  come  è  ancora,  a  cagion 
d'esempio,  nel  polacco  ic-àz  Cang[i];  gen.  to-eza),  serpente,  =  lit. 
angi-s. 


§  25.  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  ÈEL  g  ORIGINARIO.       115 

Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e  antico  bulgaro. 

s.nag-na-,  nudo.  1.  nog-a-s,  polacco:  nagi,  id.  *. 

s.bhaga-,  signore  (protetto-  h.  bogù,  dio. 

re),  z.  bagha-,  dìo. 

s.  sthag,  coprire.  1.  steg-iu,  cuopro  un  tetto. 

Di  sicuri  casi,  in  cui  i  due  gruppi  divergano,  perchè  il  g  ori- 
ginario resti  intatto  nell'indo-irano  e  si  alteri  nel  litu-slavo , 
mal  sapremmo  addurne;  e  pur  l'oscillazione  litu-slava  tra  g  e  z 
si  ridurrebbe  a  proporzioni  quasi  impercettibili**.  All'incontro 


*  La  voce  lituana  è  presso  lo  Schleicher:  nuga-^  la  qual  pro- 
nuncia accennerebbe  a  'nanga\  cfr.  la  n.  ***  a  pag.  53. 

**  Il  Bopp  metteva  il  lituano  zémè,  e  lo  slavo  kemlja,  terra,  col 
sanscrito  gam-  (v.  24,  12.),  accanto  al  quale  vedemmo  però  gam- 
(=  z.  zem-),  e  vanno  ancora  considerate  altre  figure,  a  cui,  più  legit- 
timamente che  non  a  gam-,  il  termine  litu-slavo  si  rappicca.  Il  lit. 
zanda-s,  mascella,  era  ancora  ricondotto,  dal  Bopp  medesimo,  al  san- 
scrito ganda-,  guancia;  ma  si  aggiunge  il  sscr.  gauda-  (v.  V Ind.), 
mento  (ricordato  dal  Fick,  o.  c,  p.  56),  che  meglio  quadra  pel  signi- 
ficato. Lo  zad-  lituano  di  zad-a-s,  discorso,  ecc.,  allato  al  sanscrito 
gad,  proferire,  discorrere,  ci  porta  alla  oscillazione  litu-slava,  andando 
con  questa  radice  sanscrita  il  paleo-bulg.  gad-anije,  vaticinio,  enigma 
(cfr.  il  polacco  gad-ka,  sentenza,  enigma),  il  polacco  gad-ac,  par- 
lare; ecc.  Per  la  quale  oscillazione  avremmo  ancora  il  lit.  gémbè , 
uncino  di  legno  alla  parete  (Schleicher),  che  riviene  a  'gemò-ja-  (f.  ), 
e  quindi  potrebbe  andare  con  yoix'^-to-  ecc.  (23,  5.),  cosi  che  avesse 
primamente  detto:  dente  (Pick),  allato  al  paleo-bulgar.  z5bù ,  dente; 
dove  si  vorrà  ricordare  1'  oscillazione  asiatica  nel  gruppo  a  cui  spetta 
la  voce  parallela  del  sanscrito  (23,  12.,  25,  1.  III).  All'incontro,  non 
entran  punto  nella  oscillazione  di  cui  si  discorre,  i  casi  paleo-bul- 
garici  sulla  stampa  di  lùg-ati  (mentiri)  allato  a.  lùza  (mendacium)» 
dove  z  è  prodotto  normale  e  seriore  di  g+j  ('lug-ja);  o  simili  a  bozi 
(norain.  plur.)  allato  a  bogù  (nomin.  sing.;  dio,  25,  3.),  dove  -zi  è 
normale  trasformazione  slava  di  'gi  (cfr.  la  n.  **  alla  pagina  pre- 
cedente). 


110      §  25-  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  PEL  y  ORIGINARIO. 

è  rilevante  la  serie  che  offre  g  litu-slavo  rim.petto  a  g  {z)  indo- 
irano,  Ne  prendiamo  : 

Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e  antico  bulgaro. 

4.  s.f/jà,  z.f/ja,  corda  dell' arco.  1.  gija,  filo  *. 

s.givy  vivere,  giva-s^  vivo.  1.  gyva-s,  vìvo ^ gyvatà,)\ìi'à.'.,  ecc. 

s.^t^,  spingersi,  spingere.  1.  ^wi-jw,  spingo,  caccio**. 

s.aujas,  vigore;  ecc.  (23,9.,  1.  dug-u, cvesco,augìnu  (gen. aug- 

cfr.  24,  ad  13.).  -men-s),  virgulto. 

s.  rgù-s,  z.  eresu-s,  diritto  (ag-  1.  lygù-s,  che  va  pari,  piano,  giu- 

gett.).  sto. 

s.sag  sang,  affiggere.  1.  seg-iù,  affibbio,  allaccio, 

s.  sp/mr 7,  tuonare.  1.  sprag-cti,  crepitare  (del  legno 

nel  fuoco)  ***. 

I  quali  esempj  affluiscono  bensì  in  copia  notevolmente  maggiore 
che  non  faccian  quelli  di  k  litu-slavo  rimpetto  a  p  indo-irano 
(pag.  53-4);  ma  da  ciò  già  non  consegue  che  la  special  concor- 
danza tra  la  favella  indo-irana  e  la  litu-slava  sia  minore  per 
la  media  gutturale  originaria  di  quello  che  sia  per  la  tenue. 
Anzi,  a  ben  guardare,  sarà  piuttosto  il  contrario.  Poiché,  nello 
scrutare  lo  g  sanscrito  (zendo  g  Q  z)  alla  uscita  di  complessi  ra- 


*  Questo  esempio,  che  potrebbe  avere,  come  tantosto  vedremo,  una 
speciale  importanza,  è  ancora  mal  saldo,  per  la  scarsa  congruenza 
dei  significati.  Il  Fick,  o.  c. ,  p.  61,  ben  gli  fa  dire:  filo,  cordone; 
ma  temo  che  c'entri  quel  po'  d'arbitrio  che  assai  di  frequente  il  va- 
loroso alemanno  si  permette.  In  Ruhig-Mielcke  (da  cui  prendo  la 
forma  gija,  che  è  contratta  nel  gije  dello  Schleicher)  il  nostro  vo- 
cabolo ò  tradotto  per  faden  im  wùrken.  Cfr.  Pott,  Wurzel-wurter- 
buch,  I,  61,  380,  752,  alla  cui  ricca  messe  potrebbe  aggiungersi  il 
gallese  giau  (au  nota  del  pi.),  nervi. 

**  Cfr.  Pott,  ib.,  num.  244,  245  (dove  alla  serie  lettona  ò  da  ag- 
giungere la  lituana  dal  gloss.  di  Schleicher  p.  270),  248.  Fick,  o.  c.  , 
p.  201.  Il  secondo  trascura  l'i,  che  ha  la  sua  importanza;  ma  il  con- 
fronto pure  starà. 

***  V.  ancora  l'esemplare  citato  a  pag.  124-5  in  n. 


§  25.   ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  DEL  g  ORIGINARIO.       IIT 

dicali,  noi  venimmo  ad  avvertire,  come  solo  il  raro  tipo  marg 
mrs-tà-,  ed  esso  pure  non  interamente,  si  mostri  analogo  al 
tipo  clarg  drs-ià- ,  siccome  quello  che  oontiene  tal  g  da.  g ,  che 
possa  stare  a  paro  dello  f  da  k;  laddove  all'incontro  il  tipo 
jug  juk-tà-  è  nell'analogia  di  park  prk-td-,  equivale  cioè  in 
grado  a.  h  da.  k  (p.  106  e  seg.).  Nel  caso  di  g  {z)  propriamente 
mediano,  o  d'iniziale,  ci  mancherebbe  ogni  sicuro  criterio  indo- 
irano  per  distinguere  lo  g  {z),  che  sia  parallelo  a  {?,  da  quello 
che  il  sia  a  ìi;  ma  già  avremmo,  senz'altro,  ogni  diritto  di 
presumere,  che  le  due  varietà  indo-irane  (le  quali  potrebbersi 
indicare  per  z  e  g)  sussistessero  pure  in  queste  situazioni,  al 
pari  di  e  e  fé,  cosi  come,  sempre  al  pari  di  f?  e  fé,  sussiste- 
vano in  quella,  nella  quale  slam  riusciti  a  scoprirle.  Ora  noi 
vedemmo  (15,4.)  come  il  litii-slavo  risponda  per  k  (o  suo  suc- 
cedaneo) all'indo-irano  fé;  e  cosi,  in  giusta  analogia,  avrebbe 
intanto  a  rispondere  per  g  allo  (/  {z)  indo-irano  del  tipo  Jwr? 
juk-tà-.  Gli  ultimi  quattro  esempj  che  avemmo  per  g  lituano 
rimpetto  a  g  sanscrito  {aug-as  ecc.),  ed  altri  consimili,  vanno 
quindi  certamente  sceverati,  siccome  spettanti  a  quella  categoria 
in  cui  le  attenenze  dello  g  {z)  indo-irano  col  g  originario  non 
son  diverse  da  quelle  dello  fé  indo-irano  coli' originario  k;  e  dì 
certo  non  è  accidente  fortuito  se  mentre  a  marg  mrs-tà-  il 
litu-slavo  risponde  con  melz-  [mlù'z-;  25,  2.),  a  sag  sak-tà-, 
all'incontro  (25,  4,),  risponde  con  seg-  *.  La  favella  litu-slava, 
insieme  colle  altre  europee,  ci  gioverà  inoltre  a  scernere  altri 
casi,  d'indole  particolare,  in  cui  lo  ^  indo-irano  è  ancora  pa- 
rallelo a  fé  (e  non  a  p);  vogliam  dir  quelli,  che  tantosto  forme- 
ranno il  soggetto  del  nostro  discorso  (§  2G),  e  ci  porteranno  a 
stabilire  uno  g'J  del  periodo  unitario,  parallelo  allo  /^^  dell'età 
medesima,  del  quale  a  suo  luogo  facemmo  parola  (p.  84-5.);  che 
di  certo  non  sarà  fortuito  caso  se  in  gyv-,  dove  appunto  sì  tratta 
di  questo  g'J  {*gv  lat. ,  p  gr.),  il  lituano  risponde  col  netto  g. 
come  col  netto  k  rispondeva  allo  fé'-'  [qv  lat.,  ti  eoi.)  di  *k>at'oar 


*  Contravverrebbe,  ma  solo  in  parte,  l'esemplare  Zw^  =  rMf/( 25,  2.) . 


118      §  25.  ETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  ASIATICHE  DEL  ^  ORIGINARIO. 

(k'atvar-)  ecc.  Dal  continuatore  sibilante  litu-slavo  del  g  ori- 
ginario potrà  quindi  venirci  ajuto,  se  ben  vediamo,  nell'opera  di 
scernere  tra  Vantico  continuatore  assihilato  [z)  e  Xantico  con- 
tinuatore palatino  {g),  indo-iraui  amendue,  dello  stesso  g  ori- 
ginario, i  quali  dovettero  andarsene  dipoi  tra  di  loro  confusi. 
Ma  noi  dobbiamo  astenerci  da  ulteriori  considerazioni  intorno 
ai  continuatori  litu-slavi,  le  quali  di  troppo  ci  porterebbero  al 
di  là  de' limiti  che  in  questo  luogo  ci  sono  segnati;  e  solo  dob- 
biam  dire  conchiudendo,  che  per  la  dichiarazione  cronologica 
dalla  special  somiglianza  tra  l'indo-irano  e  il  litu-slavo,  an- 
drebbe naturalmente  ripetuto,  in  ordine  alla  media  gutturale, 
il  ragionamento  stesso  che  a  suo  luogo  facemmo  rispetto  alla 
tenue  (p.  56-7).  E  così  tra  l'altre  porremmo,  nel  periodo  uni- 
tario, il  tipo  *marg^a-ti  (soffrega,  munge),  onde  margja-, 
marza-,  marza-,  parallelo  al  tipo  *dak^a-  (dieci),  onde  dakja-, 
dasa-,  daga-.  Locchè,  finalmente,  involge  insieme  la  question 
fisiologica  del  come  la  media  gutturale  originaria  passi  in  g  od 
in  z  (i),  già  essendo  implicito,  nel  rapporto  testé  enunciato, 
che  questi  alteramenti  si  abbiano  per  noi  a  ripetere  dallo  svi- 
luppo anorganico  di  uno  j,  vale  a  dire  da  quella  affezione  o  da 
({WQWdi. /parassita  medesima,  di  cui  tenemmo  discorso  nel  trattar 
della  tenue  originaria.  Ed  è  bello  vedere  come  pur  qui  ci  ajuti 
l'analogia  di  quegli  stessi  idiomi  romanzi  ai  quali  ricorremmo 
nello  studiar  le  trasformazioni  di  essa  tenue;  quindi  il  latino 
o  r  italiano  gallina  sarà  ancora  gaglina  nel  grisone  di  Sur- 
selva,  ma  nell'engadinese  scrivono  gial  e  gialina,  e  il  ladino 
di  Gardena  ha  gal  e  galina,  come  ha  longa  e  terga  per  longa 
e  larga,  e  il  friulano  ugualmente:  gal  galine,  liinge  {lunga); 
e  cosi  nel  lorenese  (Ban  de  la  Roche):  galìe  (djalie),  piccolo 
gallo,  e  finalmente,  nel  francese,  collo  z  {z  :  *g  :  :  s  :  *c):  ge- 
line, gelinotte,  il  cui  mascolino  :  jiaw  {*^jal  =  zal,*gal)  sempre 
è  ancora  vivo  nel  Berry  *.  V'hanno  eziandio  particolari  ana- 
logie elleniche,  delle  quali  ritocchiamo  in  appresso  (§  29). 


Cfr.  §  14,  4.,  e  la  n.  a  pag.  44. 


§   26.  gv    SI    RIDUCE    A.    p    GRECO,    h,    V    ITALICO.  119 

Ora  passeremo  al  parallelo  di  media  per  quella  combinazione  §  26. 
che  nella  sfera  della  tenue  ci  era  rappresentata  da  qit  latino, 
hv  gotico,  TI  greco,  ecc.  (§§  10-20);  e  se  per  la  combinazione, 
in  cui  entrava  la  tenue  originaria  {kv),  la  evidenza  del  feno- 
meno ripetevasi  in  ispecie  dalla  voce  latina  e  dalla  germanica, 
e  prevalentemente  dalla  prima,  ora,  all'incontro,  nel  parallelo 
di  media,  la  voce  germanica  terrà  essa  quasi  esclusivamente 
il  primato.  Rassegneremo  imprima,  nell'ordine  migliore  che  per 
noi  si  potrà,  gli  esempj  che  più  sicuramente  si  lascino  qui  ad- 
durre, e  poi  ne  considereremo  più  partitamente  le  ragioni  fone- 
tiche ed  istoriche. 

1.  Sscr.  giv  //iv-a-ti,  vìvere  *,  giv-d-s,  vivo,  vita,  giv-ita-m,  yiv- 
-ja-m,  ìjiv-àtu-s^  gw-aiha-s  (il  quarto  tuttora  senza  esempj), 
vita  ;  -  gotico  qviv-s  (  tema  qviv-a-  =  ante-gerraan.  gviv-a~ , 
V.  p.  63-4),  vivo;-  gr.  pio-?  (*8i^o-),  ^i'oto-;  (*pt/'-oTo-), 
vita;-  lat.  viv-ere,  viv-u-s.  Questo  esemplare  si  ritocca 
piti  tardi  (p.  130-1,  in  n.),  per  l'uscita  del  suo  radicale  **. 


*  Curiosa  coincidenza  è  quella  del  sscr.  giva  (2.  sg.  imperat.),  vivi!, 
detto  a  chi  starnuta,  col  viva! ,  che  s'  usa  nello  stesso  incontro  in  piti 
contrade  italiane,  ed  ò  l'identico  verbo,  comechò  in  posizione  diversa. 

**,Max  Muller  ha  preteso  { Zeitschrift  s.  e,  XV,  215-21)  d'in- 
firmare a  dirittura  l'equazione  ^  gv.  =  g  sscr.,  ed  ha  in  ispecie  ten- 
tato di  staccare  pi'o?  da  giv-,  immaginando  di  mandarlo  col.  sscr. 
vdj-as,  viveri,  vita,  cioè  traendolo,  insieme  con  questo,  dalla  ra- 
dice vi  (ch'egli  traduce:  andare,  condurre,  trascurando,  non  si  vede 
ben  perchè,  il  significato  di  accostarsi  al  cibo,  mangiare).  Ma  l'il- 
lustre indologo  mal  troverà  seguaci.  V  ha  imprima ,  sulle  generali , 
che  egli  non  impugna  p  =  sscr.  g,  ma  solo  p  =  sscr.  g,  laddove,  a 
priori ,  la  seconda  equazione  è  anzi  meglio  rinfrancata  dalla  analogia 
della  tenue,  che  non  la  prima  (v.  p.  84,  e  Pott,  Wurzel-worterb., 
I,  756).  E  riserbando  alle  note  successive  la  difesa  degli  altri  esempj 
messi  in  forse  dal  Muller,  abbiamo  poi,  nel  caso  particolare  di  ^t'o;, 
che  non  potrebbero,  dall' un  canto,  esser  minori  le  probabilità  per 
la  sua  derivazione  da  vi,  nò  maggiori,  dall'altro,  quelle  per  cui  si 
manda  con  giv  ecc.  Poiché   tanta  è  la  convenienza   del  greco  fi(/'o- 


120  §  26.  gv  SI  riduce  a  p  greco,  b,  v  italico. 

2.  Sscr.  yjà  gi-nà-ti  (part.  perf.  pass.:  gi-td-^  gi-nd-),  usar  violenza, 
gjà~na-  (gjà  +  ana),  oppressione,  gjà-jàs-,  potente,  prevalente, 
gja-ista-  {gjà  +  ista),  prevalentissimo,  brahma-gjd-^  che  oppri- 
me i  Bramini;-  gr.  ^l'a,  forza,  violenza,  ptocoj,  ^ta^o),  io  vio- 
lento, violo;  a  cui  si  aj^^^giunge  (Pott,  Kuhn):  pt-v-eco  (cfr.  sscr. 
gi~na-;  maEsichio,  col  dittongo:  peivs'w),  propriamente:  violare  *. 


col  celtico  hiu  Cbivo-;  v.  p.  131),  il  lat.  vivo-,  il  got.  qviva-,  il  sscr. 
giva-,  il  lit.  gyva-,  vivo,  ecc.  (la  significazione  sostantiva  di  ^vita' 
è  come  in  pt'o-?  anche  nel  masc.  sscr.  giva-s),  tanta  e  tale  ancora  la 
convenienza  tra  i  greci  ^(jf-ozo-i;  ^i^o-t^,  vita,  e  l'equivalente  celtico 
bi[v]ad  (V.  p.  131),  gl'indiani  giv-àtu-  giv-atha-,  e  il  lituano  gyva-tà, 
che,  stando,  come  per  tutti  sta,  l'equazione  ^  gv.=g  sscr. ,  .basterebbe 
questo  esempio  solo  e  l' analogia  di  ti  gr.  =  R  sscr.  per  far  credere  fer- 
mamente anche  a  p  gr.  =  ^  sscr.,  equazione,  del  resto,  la  qual  può  ben 
dirsi  quasi  implicita  in  ^  gr.  =  g  sscr.  La  differenza  di  quantità  fra 
la  vocal  greca  e  la  vocal  latina  ecc.  non  è,  in  questo  caso,  di  alcun 
grave  momento  (Curtius,  Pott,  e  V Ind.).  Passiamo,  all'incontro, 
all'ipotesi  mtilleriana:  pi'-o-;  =  *vi-a-s  (od  anzi  'vt-a-s,  colla  stessa 
differenza  per  la  quantità  vocale),  e  tutto,  da  capo  a  fondo,  si  oscura. 
Poichò:  1."  si  tratterebbe  di  forma  peculiarmente  greca  (differirebbe 
per  doppia  ragione  dallo  stesso  zendo  voja  f.  ) ,  quando  pur  manca 
alla  Grecia,  anzi  all'intiera  Europa,  un  qualsiasi  accertato  riflesso 
della  radice  vi;  2.°  S  panellenico,  in  simile  congiuntura,  per  v  ori- 
ginario (^i-  =  vi-),  è  cosa  affatto  inaudita;  diguisachè,  preferendo 
Pt'-o-;  =  'vi-a-s  a  l^i/'o-;  =  giva-s,  negheremmo  un  fenomeno  consueto 
per  inventarcene  uno  nuovo  di  pianta;  3."  alla  stranezza  morfologica 
di  un  fit-o-  (anziché  8ot-o-r,  sul  tipo  po/'-yf  yój^-o  ^yr'-ó  ^oj^-o  ^o/'-'l 
■jiXo^-o  ■^Q/'-ì]),  si  unirebbe  la  singolarità  fonetica  dell' -oto  nella 
forma  ^i'-oto  (che  dovrà  pur  essere  formazione  primaria),  anziché 
-£To,  come  avrebbe  pur  dovuto  suonare  questa  parte  ascitizia  se  ori- 
ginariamente le  fosse  andato  innanzi  t  od  ot  (ti). —  Del  riflesso 
greco  di  una  diversa  combinazione  radicale  della  stessa  base  che  è 
in  giv,  è  discorso  nell'ultima  nota  al  §  29.  Nel  qual  paragrafo  ò 
eziandio  toccato  d'altri  duplici  riflessi  greci  di  ^  originario;  e  d'altri 
ancora  si  tocca  nel  presente. 

*  Qui  il  Moller  (v,  la  n.  preced.)  obiezioni  dirette  non  accampa, 
ed  era  difTicile  escogitarne.  Ma  insieme  col  lat.  vis  (ch'egli  pareggia 


§  20.   gv   SI    RIDUCE   A    P    GRECO,    b,    V    ITÀLICO.  121' 

3.  Sscr.  f/jdy  corda  delV  arco,  gr.  ^lo-?,  arco*. 


al  suo  vàjas,  viveri,  vita),  avrebbe  a  starsene,  secondo  lui,  sotto 
la  radice  vi,  anche  pt'a  (violenza)  allato  a  pt'o?  (vita),  ed  essere  il 
feminino  di  questo,  perchè  primamente  dica:  forza  del  corpo.  Ora, 
contro  pt'-a  =  vi-à  si  risolleverebbero  naturalmente  tutte  quante  le 
difficoltà  grammaticali  che  opponemmo  a  pt-o-  =  'vi-a-,  e  di  più  si 
aggiungerebbe  il  notevol  distacco  dei  significati  (viveri,  vita;  -  forza, 
violenza);  laddove  pur  la  congruenza  dei  valori  è  perfetta  in  quella 
combinazione  indo-greca,  alla  quale  tutti  di  certo  rimarremo  fedeli. 
Quanto  alla  ragion  costitutiva  del  gr.  ploc,  avremo  a  ritenere,  se  pur 
non  si  confermi  l'equivalente  sostantivo  sscr.  gjà,  che  vi  si  tratti 
di  un  antichissimo  sviluppo  radicale  (come  appunto  nel  radicai  san- 
scrito (/jd,  o  nel  diverso  gjà  del  n.  3),  e  non  di  una  vera  e  propria 
derivazione  nominale  da  r/i  o  da  gi.  Che,  del  resto,  i  due  verbi  che 
Jiel  sanscrito  suonano  gì  (vincere)  e  gjà  (violentare)  vadano  tenuti 
fra  di  loro  ben  distinti,  si  vorrà  di  leggieri  concedere  al  Miiller, 
senza  che  per  questo  si  turbino  in  alcuna  parte  i  ravvicinamenti  no- 
stri. Lo  zendo  li  distingue  anche  per  diversa  continuazione  del  g  ori- 
ginario; poiché  ha  gì  =  gi  sscr.  vincere,  e  al  sscr.  gjà,  far  violenza, 
risponde  all'incontro  con  zjà,  fare  ingiuria,  danno,  infelicemente 
raccostato  dal  Justi  al  sanscrito  ha,  col  quale  non  concorda  he  per 
costituzion  fonetica  né  per  significato.  (A  zjàna,  danno,  =  sscr.  gjà- 
na  ecc.,  ora  si  aggiungerebbe,  dall' OW  zand-pahlavi  glossary,  la 
forma  preziosa,  comechè  corrotta:  zjèit,  che  ha  le  apparenze  di  una 
.terza  d'imperfetto,  ma  veramente  accenna  a  zjèiti  =  'gjà-ti,  terza  di 
presente  oppur  forma  nominale.)  Finalmente,  nello. ^ja  sanscrito,  che 
•varrebbe  anche  'invecchiare',  e  quindi  in  gjà-jàs->  gja-ista-,  i  quali, 
oltreché  'prevalente,  prevalentissimo'',  dicono  'pih  vecchio,  il  piti  vec- 
,chio',  confluiranno  due  verbi  diversi,  che  lo  zendo  distingue,  siccome 
quello  che  allato  allo  zjà  testé  discorso  ci  offre  ancora  gjà  (gi-nà-i-ti 
neìV  Old  gloss.,  he  exhausts),  invecchiare. 

*  La  pretesa  forma  sanscrita  djà-gjà,  citata  anche  dal  Pott  (  Wur- 
zel-tcòrUrh.,  I,  61),  non  ha  valore  alcuno.  È  indotta  da  udjd-  che 
si  trova  scritto,  in  un  luogo  solo,  per  uìjgja-  (ud-vgja),  quegli- 
-dall'-arco-rallentato,  e,  secondo  il  Lessico  di  Pietroburgo,  avrebbe 
a  stare  per  ud-dja^',  e  contener  così  uno  djà  =  gjà.  Ora,  questo  auaq 


122  §  26,  gv  si  riduce  a  p  greco,  b,  v  italico. 

4.  Sscr.  rdgas,  sfera  delle  nebbie,  oscurità,  tenebra,  vapore,  pol- 
vere;- got.  riqvis  (='ragvas),  oscurità;-  gr.  "E-pepo;  (v.  e 
protet.),  l'Èrebo. 


XeyojjLevov ,  corretto ,  come  osserva  il  medesimo  Lessico ,  dal  passo  pa- 
rallelo di  un  altro  libro ,  e  scorretto  ad  ogni  modo  per  so  medesimo , 
non  ha  alcun' ombra  di  forza  per  infirmare  lo  gjà  numerosamente 
accertato  in  tutti  i  periodi  della  lingua;  e  si  chiarisce,  io  credo,  con 
ciò ,  che  r  autore  di  questa  falsa  lezione  avendo  letto  o  trovato ,  in 
manuscrìtto  anteriore,  ugga  (uggja),  che  sarebbe  normal  figura  pra- 
crita  per  vdja^  abbia  così  sostituito  udja,  nella  storta  presunzione  di 
correggere  un'ortografia  vernacola.  —  '  Quanto  è  poi  alla  opposizione 
di  Max  Muller  (v.  le  note  anteced.),  essa  qui  si  fa  più  infelice  che 
lùai.  Il  gr.  pto?  (arco)  ò  identico  lo  ^Ja  indiano,  quando  si  eccettui 
la  differenza  di  genere,  la  quale  occorre,  come  ognun  sa,  in  numero 
infinito  d'altri  sicurissimi  esempj.  Di  certo,  quanto  al  significato, 
nel  greco  avremmo  la  pars  prò  foto,  ma  è  un  caso  di  pars  prò  toto 
che  sfida  ogni  scetticismo,  poiché  il  vocabolo  indiano  non  dice  già 
corda  in  genere,  ma  solo:  corda  dell'arco;  e  se  i  nostri  vecchi  per 
barbuta  (elmetto)  intendevano  un  soldato  che  portasse  la  barbuta, 
e  modernamente  diciamo  a  dirittura  bojonetta,  che  è  solo  una  parte 
di  un'arma,  per  tutto  intiero  il  fantaccino  armato,  non  vorremo  di 
certo  impensierirci  pel  traslato  corda-cf-arco  =  arco.  Quando  adunque 
il  Muller  immagina  pel  gr.  pio';  una  derivazione  da  qiiella  radice  che 
è  nel  lessico  sscr.  vai  (tessere,  torcere),  egli  non  solo  incappa  nelle 
stesse  difficoltà  fonetiche  in  cui  inciampava  negli  esempj  precedenti, 
ma  riesce  altresì,  più  perigliosamente  che  mai,  a  darci  una  mera 
fizione  etimologica  in  cambio  d'un  parallelo  che  sta  tetragono  e  per 
suoni  e  per  valori.  La  equazione  8  gr.  =  g  sscr. ,  per  la  quale  seguono 
altri  esempj  ancora,  che  il  Muller  non  ha  voluto  o  potuto  considerare, 
andava  tanto  più  energicamente  difesa  contro  di  lui,  quanto  più  è 
spiacevole  che  la  sua  legittima  popolarità  venga  a  spargere  dubbj 
illegittimi  intorno  a  sicuri  portati  della  disciplina  nostra.  —  Del 
lit.  gija  V.  §  25,  4,  n. 

*  Questo  ragguaglio,  che  non  ammette  alcun  dubbio  per  là  parte 
indo-gotica,  non  è  forse  altrettanto  saldo  per  la  ellenica,  e  alla  scarsa 
certezza  p\iò  eziandio  contribuire  la   qualità  mitologica  del  termine 


§  26.   gv   SI    RIDUCE   A    P   GRECO,    5,   V  ITALICO.  123 

5.  Sscr.  wiy,  lavare,  mondare  (partic.  perf.  pass,  nik-td-,  v.  §  24, 13, 
lavato,  mondato,  asperso),  pan-ndigana-  [pad  ■{■  naig-ana\,  da- 
-plediluvio;-  gr.  NIB,  -/.ep-^'P-  (nomin.  X.epvt-^),  acqua  per  l'ab- 
luzione delle  mani  (cfr.  /yp-vip-o-v-j^sp-vt^^-io-v),  vtr-Tw  (vtS  +  xo-, 
v.  />i!fL),  io  lavo,  bagno,  netto. 

G.  Sscr,  targ  tdrg-a-ti^  minacciare,  oltraggiare,  mettere  spaven- 
to; -  gr.  rapP-o;,  terrore,  spavento,  TocpP-e'-w,  essere  atterrito, 
Tappo-(7uvo-;  (cfr.  TapP"/]  ) ,  atterrito,  TapS-aXeo-;,  che  fa  (ed  ha) 
terrore  *.        Kuhn. 


greco.  Ma  le  riserve,  che  il  Curtius  e  il  Pott,  e  il  secpndo  in  ispecie, 
oppongono  ad  "K-pepo;  =  ra'iyas,  ragguaglio  primamente  proposto  da 
Leone  Meyer,  non  son  tali  di  certo,  a  chi  ben  guardi,  che  valgano 
a  dissuaderlo.  Poiché,  dall' un  canto,  le  dubbiezze  del  Pott  {Etym. 
farseli.,  sec.  ed.,  II,  393)  e  del  Curtius  (o.  e,  sec,  ed.,  421  [II,  66]  ) 
provengono  da  ciò  solo,  che  "EpePo?  possa  andare  con  Ipscpw  (io  cuo- 
pro),  come  con  esso  vanno  opcpvyi'  (oscurità)  ed  opoov{  (copertura;  circa 
Ipea-vo?,  tenebroso,  che  il  Pott  insieme  adduce,  non  si  deve  dimen- 
ticare la  forma  Ipepevvo;  [jpeSe^  +  vo],  da  cui  mal  si  può  disgiungere, 
e  quindi  altro  non  vi  si  avrebbe  che  una  propaggine  dello  stesso 
fEpspo?).  Ora,  questa  sarebbe  una  mera  possibilità  etimologica,  la 
quale  per  di  più  importerebbe  il  supposto  di  un  fenomeno  affatto 
anormale,  qual  si  ò  quello  di  p  tra  vocali  per  tp  anteriore.  Stanno 
all'incontro,  dall'altro  canto,  per  "E-ps^o;  =  mr/as:  la  piena  con- 
gruenza fonetica,  raffermata  in  sìngolar  modo  dalla  figura  germa- 
nica (*gv  p),  la  perfetta  congruenza  morfologica  (neutro  indo-ger- 
mano-greco  in  -as  originario).;  e  l'armonia  de' significati,  la  quale 
è  per  avventura  maggiore  che  a  prima  vista  non  appaja.  L'Èrebo, 
che  dalla  Notte  sorella  genera  l' Etere  e  il  Giorno ,  è  lo  strato  mon- 
diale che  sta  fra  la  region  superna  (terrestre)  e  l'inferna,  e  il  rdgas 
indiano  (cui  sta  allato  il  fem.  ragdni,  notte)  è  alla  sua  volta  la  re- 
gione o  le  regioni  dell'aere  nebuloso,  che  sta  fra  la  sfera  terrestre 
e  la  sfera  della  luce  de'  cieli. 

*  Normale  risposta  latina  terremmo,  malgrado  il  r,  terv-  torv^; 
quindi  si  potranno  qui  ricondurre  torv-o-  e  anche  pro-terv-o-  (cfr. 
-seqv~u-s  e  simili);  e  non  veggo  perchè  il  Kuhn,  e  il  Corssen  che 
lo  segue,  costruiscano  un  'torg-vo^  per  guisa  che  il  v  si  debba  al 
suffisso. 


124  §  26.  r/vi  si  riduce  a  p  greco,  h,  v  italico. 

7.  Sscr.  gàni-  (allato  o.  gnà^  24,  12.),  donna;-       got.  qveni-  (ant. 

alto-tedesco  qvena;  ingl.  queen;  ecc.)  e  qvinori'  moglie,  don- 
na;- beot.  potva  {'gvana,  od  anzi  'gvàna,  eh.  sscr.  -gàni-  = 
gdni-),  acc.  pi.:  ^ocv^xa?,  di  contro  al  solito  ^uvv)',  donna,  moglie 
(acc.  pi.  yuvóttxaO  *;  dove  la  solita  forma  non  soffre  la  trasfor- 
mazione di  gv  in  b,  per  esservisi  ridotto  il  v[a]  allo  stato  di 
u  (gva  gu\  cfr.  p.  90-1  e  v.  Incl.). 

8.  Sscr.  gam  (ma  pur ^am,  e  in  ispecie  nello  zendo,  v.  p.  109  in  n.) 

gd-ma-ti  (ved.)  e gd-Mha-ti  (v.  Lez.  VI),  andare,  venire, ^a-tó-, 
andato.  La  base  radicale  è  ga,  che  ritorna  anche  in  gà  (ved.: 
gl-gà-ti),  andare,  comune  al  sanscrito  e  allo  zendo.  In  gam  gd- 
mati  (ved.),  nell'aoristo  d-gama-t  ecc.,  si  ha  il  m  accessorio  che 
ritorna  nel  gotico  qvim-an  (  1.  e  3.  sg.  perf.:  qvam  =  *gvama),  ve- 
nire, laddove  nelle  seguenti  voci  italiclie  si  ha  per  contro  un  n 
accessorio  **:      osco  ed  umbro  be-9i-  (u.  he-n-u-s-t^  venerit,  he-n- 


*  Ahrens,  De  dialectis  aeolicis,  §  36.-      Cfr.  23,  3.  e  pag.  127. 

**  Di  più,  intorno  a  simili  combinazioni,  si  raccoglie  dsdV Introduz. 
alla  morfologia y  s.  -ma  e  -na;  ma  qui  pure  giova  intanto  toccare 
di  una  serie  affatto  analoga  a  quella  di  cui.  tratta  il  nostro  numero. 
Incontrammo  cioè  più  addietro  (23,  3.):  gan-  e  gà-  (generare  ecc.), 
i  quali  stanno  tra  di  loro  nello  stesso  rapporto  in  cui  nel  numero 
attuale  sta  ga-n  (gya-n,  'gua-n,  ve-n-io  ecc.)  a,  gà.  Ora  la  combina- 
zione col  m  ascitizio,  vale  a  dir  la  combinazione  che  nella  famiglia 
di  verbi  per  ^andare  ecc.'  è  nel  gam  indo-irano  e  nello  qvam  gotico, 
non  manca  essa  pure  nella  famiglia  di  verbi  per  ^generare  ecc.', 
comechè,  massime  nell'Asia,  abbia  le  apparenze  di  una  derivazione 
nominale  vera  e  propria  {gà  errila]).  Si  consideri  la  serie  che  segue: 
sscr.  gami-  (ved.),  germano,  e  qual  sostantivo  neutro:  parentela; 
più  tardi,  qual  sostantivo  fem. :  nuora,  allato  a  gàm-à-tar-,  genero, 
voce  e  valore  a  cui  i  paralleli  irani  assicurano  antichità  grande;  zendo 
gàma-  {gàman-  ?),  parentela,  -zàmiti-,  il  partorire,  zàm-aj-a-  (cosi 
leggo  per  lo  ^ràmaoja-,  evidentemente  scorretto,  dell'OW  zand-paldavi 
glossary)  e  zàm-à-tar-,  genero  (cioè:  lo  sposo,  il  generatore);  fra 
■gì' Italo-greci:  'gam-e-ro  'gam-ro-  (v.  Ind.,  e  cfr.  il  basso-bretone 
géver  =  'gemer,  m  brit.  =  u),  genero,  gr.  ya|xo-,  nozze;  lituano  gc- 
mù  gimiaù,  gìmti,  nascere,  gymi-s,  nascita,  parto  (trcóa-s  gymi-s, 


'§  20.  gv   SI   RIDUCE   A    P    GRECO,    6,   U   ITALICO.  125 

-a-r-mt,  venerint,  o.  kùm-be-n-e-d,  coavenit.),  lat.  ve-n-io. 
Dal  quale  be-n  ve-n  italico,  mal  si  saprebbe  staccare  il  greco 
fiat'vw,  vo,  che  per  '[ìav-jw  (v.  Ind.)  coinciderebbe  proprio  con 
ven-io,  comechò  giovi  avvertire  che  la  nasale  non  va  nel  greco 
al  di  là  del  presente  e  dell'imperfetto  *.  Ad  ogni  modo,  il  px 
di  pat'vw  spetta  qui  senz' alcun  dubbio;  e  ancora  vorremo  notare  i 
seguenti  riscontri  indo-greci:  S>i-3^t,  dor.  pS-^t  (2.  sg.  imperat. 
aor.),  va,  =  sscr.  ^à-/ii(epur^a-c?/4i,  zeudo ga[i]-di)',  e-pv)-;,  dor. 
e-pà-;  (2.  sg.  aor.),  andasti,  =  sscr.  d-gà-s;  ^x'-axe  (2.  sg.  imperat. 
pres.),  va,  =  sscr.  gd-RJia  ('ga-ska,  zendo  ga-ga,  v.  Lez.  VI),  e 
analogamente,  nel  tipo  reduplicato:  l-^i'-pa-axe  (3.  sg.  imperf.);- 
altre  forme  reduplicate  sarebbero:  pt-^oc-vT-  (nomin.  pt.Soc?),  che 
incede,  il  cui  parallelo  sanscrito,  sull'analogia  di  gigàti  (egli 
va),  avrebbe  a  suonare:  gi-ga-t-  ('gi-ga-nt~)\-  e  il  sscr.  gi~ 
-ga-tnù,  che  si  muove  rapidamente.  [Cfr.  baculo-  ecc.]  , 
9.  Sscr.  gurù-s  (comparat.  gdrijàs-,  ecc.,  v.  21,  3.,  e  cfr.  p.  129, 
e  §  29),  grave;-  gr.  ^apu-?,  id. ;  pscpu-x/ix-,  gravità,  a  cui 
potrebbe  rispondere  un  vedico  'gurù-tàt-  (v.  -tàt,  e  cfr.  21,  3.). 
10.  Sscr.  gàu-s,  gr.  poi!-;,  lat.  bó-s,  bove  (bestia  bovina);  nom.  pi.: 
sscr.  gàv-as  =  Po/'-s;  =  bóv-es  ;  dat.-abl.  pi.  gdu-bhjas  =  bó-bus. 

Ai  quali  esempj  volendoci  qui  fermare,  solo  ad  essi  ancora 
aggiungendo  il  riscontro  gotico-latino  :  qvithr[a]-  (  *gvatr  )  =: 
venter  **,  ci  facciamo  ora  a  considerarli  più  d'appresso,  ed  im- 
prima per  ciò  che  risguarda  la  risposta  latina.  La  quale  più 
solitamente  è  v  (*gvivo,  *torgY-o-,  *g ve-n-io,  *g venter),  ma  è 


il  terzo  figliuolo,  Ruhig-Mielc.ke),  gimine,  genere  (geschlecht),  ga- 
mìnti,  generare,  partorire.  La  qual  serie  va,  ripetiamo,  sotto  gan 
(23,  3.),  e  si  è  riservata  a  questo  luogo  sol  per  la  congruenza  mor- 
fologica con  gam  allato  a  gà  ecc. 

*  Cfr.  PoTT,  Etym.  forschung.,  .sec.  ediz.,  II,  720,  Wurzelwor- 
terb.,  I,  32-3  (cfr.  18),  255. 

**  V.  V  Indice.  Il  termine  gotico  non  occorre  se  non  nel  composto 
laus-qvipr-s,  che-è-a-ventre-(stomaco)-vuoto ,  digiuno,  dal  quale  de- 
riva l'astratto  feminile  laus-qviprei,  il  digiuno.  All' infuori  del  com- 
posto si  ha  qvithu-s ,  ventre ,  stomaco. 


120  §  26.    GENESI   ED    ETÀ   DI   (JV. 

b  in  bós  bòvis  (*gvos  *gvovis),  col  quale  fanno  per  avventura 
un  esempio  solo:  boare  boere  (bount;  gv.  fio/i',  grido,  pò  w,  io 
grido,  chiamo,  sscr.  gu  [gau-gu-]  far  risuonare),  e  si  aggiun- 
gerebbero alcune  propaggini  latine  dì  ga  {gd),  andare  (26,  8.), 
tra  cui  scegliamo,  come  la  più  salda,  bà-culo-,  quasi  'stromento 
per  camminare'*.  Ora,  v  lat,  =  *gv  ci  rappresenterebbe  il  caso 
di  vermis  e  simili  nel  parallelo  di  tenue  (p.  69  e  seg.  ),  mentre 
b  lat.  =  *gv  sarebbe  l'analogo  di  p  osco  ed  umbro  =  "^kv  (17,  1.  e 
segi).  Dove  avremmo  due  notevoli  cose.  La  prima,  che  nel  2M- 
rallelo  di  media  non  si  possa  facilmente  vedere  una  compiuta 
Gontinuazion  romana  della  combinazione  antica,  qual  di  conti- 
nuo si  vede  nel  gotico,  e  quale  era,  nella  tenue,  il  lat.  qv  =  *kv', 
posciachè  il  romano  gv,  vale  a  dire  la  combinazione  di  media 
che  equivale  prosodicamente  a  qv,  non  ricorre  mai  iniziale,  e, 
qual  puf  sìa  la  sua  ragione  istorica,  non  si  mantiene  pur  mediana 
se  non  sia  precèduta  da  n  (o  da  r),  come  già  possono  mostrarci 
i  soli  due  esempj  che  in  questo  momento  sia  opportuno  citare: 
cioè  ungu-o  (=  ung-ó)  ungu-en  ecc.,  allato  al  sscr.  ang  (23,  8.); 
e  sangu-en-,  che  mal  si  staccherebbe  da' due  temi  sanscriti  asrg- 
(*àsarg)  ed  asan-,  i  quali  si  avvicendano  nella  declinazione,  e 
anch'essi  dicono  ''sangue'  **.  La  seconda  notevol  cosa  circa  la 
continuazione  latina  di  *gv,  è  questa,  che  vi  si  abbia,  assai  più 


*  Per  hoa'^''^  ecc.,  v.  Aufrecht,  Zeitschrift  s.  e. ,  I,  190-1,  e  Pott, 
Wurzel-ioÓrterb. ,  I,  738-9  (Curtius,  n.  642);  per  bà-culo-  (non 
bà-culo-  come  erroneamento  statuisce  il  Corssen,  Aussprache  ecc., 
sec.  ed.,  p.  429)  ecc.,  v.  Stu(^j  critici,  II,  106,  Pott,  Le,  17  e  31 
(ma  pocxuXo;  [CyrìU.  ap.  Ducang.  in  Gloss.]  altro  pur  non  sarà  che  il 
baculus  latino,  comechè  vi  si  aggiunga  dal  moderno  dialetto  di  Cipro 
[Philistór,  III,  Atene,  1862,  p.  436-7]:  poc'xXa,  y\  §ap5o;.  Si'  ^?  xi- 
vaTffovxai  ot  xapTrot;  ^a^Xt^w,  ttvaaffto  tou;  )ca,p7rou;  Sia  tvj;  paxXa;;  tal 
quale  il  nostro  ab-bacchiare). 

**  V.  y  Ind.  -  Di  questo  ravvicinamento,  ormai  antico  (Bopp,  Pott)  , 
sembra  non  venuto  alcun  sentore  al  Corssen ,  il  quale  sbizzarrisco  in 
siugolar  modo  per  escogitare  di  sana  pianta  un'etimologia  di  sanguis 
(Beitràge  zur  lateinisch.  fonnentehre ,  QQ). 


§  20.    GENliSl   ED   ETÀ    DI  yV.  127 

sicuramente  che  non  in  quella  di  *kv  (cfr.  p.  80  e  seg.),  il  v  con- 
vertito in  esplosiva  (&),  al  modo  del  greco,  dell'osco,  dell' uni-* 
bro,  ecc.  Locchè  diventa  ancor  più  degno  di  nota  quando  si  ri- 
corra ai  paralleli  celtici,  nei  quali  vedremo,  tra  poco,  la  favella 
ibernia,  che  non  aveva  comune  colla  hritone  il  fenomeno  di  p 
da  *kv  (18,3.),  come  il  latino  in  ciò  non  concordava  col  greco 
e  con  l'osco  e  coli' umbro,  farsi  all'incontro  partecipe  anch'essa, 
insieme  con  la  hritone,  di  questo  di  b  da  *gv.  Quanto  è  poi 
alla  ragione  isterica  della  combinazione  *gv  che  si  continua  per 
V  lat.  =  p  gr.  =  *gv  qv  got.,  avvertiremo  imprima,  non  aversi 
alcun  esempio,  fra  i  riscontri  indo-italo-greci,  nel  quale  il  ì) 
risulti  etimologico  od  organico,  com'era,  nel  parallelo  di  te- 
nue, del  V  di  quegli  esemplari  che  si  continuano  latinamente 
per  eqvus  e  qveo  (p.  83)  *.  All'incontro  avviene  pur  qui,  che 
il  sanscrito  soglia  rispondere  colla  sua  palatina  (g)  a  questi 
continuatori  europei  di  un  antico  *gv;  quindi:  gw  (1.),  gja  (2.), 
gjd  (3.),  ragas  (4.),  nig  (5.),  targ  (6,),  gani  (7,),  circa  l'ul- 
timo de' quali  esempj  {gani-  ecc.,  donna)  è  notevole,  che  lo 
screzio  fonetico  pel  quale  negli  idiomi  europei  si  distingue  questa 
singola  forma  (*gvan-;  pav^x,  qven-i-,  celt.  ben)  dalla  solita  del 
verbo  da  cui  dipende  (*gan,  generare;  ysv-,  gen-,  got.  kun-, 
celt.  gen),  venga  in  particolar  modo  a  coincidere  con  un  qual- 
che screzio  asiano  **.  Nello  stesso  gruppo  di  verbi  per  'andare' 
{gam  ecc.,  8.)  vedemmo  spuntare,  nell'Asia,  lo  ^';  e  il  solo 
esempio,  in  cui  a  *gv  si  accennasse  anche  infuori  del  gruppo 


*  Si  avrà  all'incontro  a  reputare  etimologico  lo  'gv-  che  si  riflette 
nel  sanscrito  ffval  (^y-  :  'gv-  :  :  gv-  :  *Ay-),  divampare,  ardere,  e  si 
continua  assai  probabilmente,  in  favella  germanica,  per  'qv  (colo  hola 
[carbone]  :  'qval-  :  :  koma  :  qvam  ). 

**  Il  sanscrito,  cioè,  risponde  bensì,  nelle  attuali  sue  condizioni, 
con  lo  p-,  e  in  gani  e  in  gan.  Ma,  dall' un  canto,  vedemmo  ancora, 
in  sembianze  originali,  lo  rjn  di  un  sinonimo  indo-irano  di  gani-  (24, 
12.  25,  1.  III.),  e,  dall'altro,  vediamo  lo  zeado  gèni-  staccarsi  an- 
ch'esso da  zan. 


128  §  26.    GENESI   ED   ETÀ   DI  gv. 

italo-greco,  e  l'Asia  ci  desse,  per  esclusiva  risposta,  la  gut- 
turale intatta,  era  il  nome  del  bove  (10.).  Ora,  a  questa  parti- 
colar  convenienza  di  g  sscr.  e  *gv  italo-greco-celto-gotico  vien 
luce  e  valore  dal  fenomeno  parallelo  di  'k  sscr.  =  *kv  della  stessa 
sezione  europea  (v.  p.  84-5);  e  pur  qui  si  tratterà  di  gutturale 
che  fosse  intaccata  sin  dal  periodo  unitario,  ma  per  modo  ancora 
poco  distinto;  si  tratterà,  cioè,  a  parlar  con  quella  brevità  che 
ormai  per  questa  parte  mi  si  può  concedere,  di  un  tipo  g^iv 
(vivere;  parallelo  al  tipo  k^atvar,  quattro),  che  dà,  per  un 
lato,  lo  sviluppo  gjw  gw,  e,  per  l'altro,  lo  sviluppo  guw  gvw. 
E  lo  sviluppo  indo-irano  del  tipo  g'Hv-  giv  sarebbe  venuto  a 
coincidere  collo  gj  (^  da  g)  surto  di  sana  pianta  nel  periodo 
indo-irano,  in  piena  analogia  coi  paralleli  di  tenue;  e  qui  anzi 
il  livellamento  sarebbesi  esteso  anche  al  tipo  marg'"  *marz- 
( fregare,  mungere;  parallelo  al  tipo  dak^a,  daga,  dieci),  già 
più  addietro  discorso,  confondendosi,  per  gran  parte,  nell'Asia,, 
z  con  g.  E  pure  qui,  finalmente,  al  tipo  che  nel  periodo  indo-irano 
ci  risultava  assibilato,  o  proclive  al  sibilo  {marz-  da  marg-"-,  cfr. 
pag.  118),  anche  la  favella  litu-slava,  sola  tra  le  europee,  rispon- 
deva con  la  gutturale  assibilata  (25,  2.),  quando  nel  tipo  g^iV; 
{giv;  gvw),  all'incontro,  la  stessa  favella  litu-slava,  sempre  in 
piena  analogia  dei  paralleli  di  tenue,  ci  offrirà  la  gutturale 
intatta  {gyvas,  cioè  giva-s ,  lit.  =  sscr.  giva-s,  vivo,  25,  4.  e, 
p.  117  V.  1.  f.  *).        Là  dunque  ove  coincidono  g  sanscrito  e  *gv 


*  Così,  a  tacer  del  lit.  gija  messo  a  confronto  del  sscr.  gjà  (25,  4.; 
gr.  ptoq,  26,  3.),  dove  forse  anche  il  celtico  ignora  lo  gv>-  a  cui  la 
forma  greca  risale  (v.  la  n.  *  a  pag.  116,  e  cfr.  pag.  131),  va  pur 
notato,  che  il  solo  litu-slavo  mostri  nell'Europa:  ganci  e  non  'gvana 
nella  voce  per  'femina'  (25,  3.),  di  cui  fu  testò  riparlato.  Nò  il  litu- 
slavo  partecipa  di  gv,  dove  a  questa  combinazione  europea  risponda 
prevalentemente  od  esclusivamente  il  mero  g  indo-irano;  quindi  nel 
lettone:  gà-ju,  io  vo  (di  contro  a  ga-  gva-  del  n.  8.);  góws,  vacca 
(di  contro  a  gò-  [gau]  gvo-  del  n.  10.).  Cfr.  eziandio  il  §  36--  Cir^' 
gyvas  v.  ancora  la  n.  *  a  pag.  130-1. 


^H  §  26.    GÈNESI  ED   ETÀ   DI  QV.  129 

^%uropeo,  e  massime  dove  si  tratti  di  più  favelle  europee  che  ri- 
flettano *gv,  crederemo  che  il  v  continui  una  parassita,  la  quale 
aveva  messo  radici  sin  dal  periodo  proto-ariano.  Avremmo  poi 
que'casi,  in  cui  l'appendice  [v)  sia  comune  a  più  gruppi  europei, 
0  peculiare  ad  uno  solo,  mentre  l'Asia  o  mostri  intatto  il  ^  o 
affatto  non  dia  alcun  sicuro  riscontro;  e  qui  le  presunzioni  di  an- 
tichità verranno  per  essa  appendice  man  mano  scemando.  Celto- 
italo-greco  appare  lo  *gv  nel  nome  del  bove  (10.)  *;  e  solo  la 
Grecia,  all'incontro,  accenna  sicuramente  a  *gv  nella  voce  per 
'grave'  (26,  9.;  21,3.)**.  Concorderebbero  gotico  e  latino  in 
stigqv-an  (cioè  stinqv-an),  urtare,  e  -stingu-o,  ma  all'antichità 
dell'appendice  qui  contrasta,  a  tacer  d'altro,  la  sanità  della 
gutturale  nella  risposta  greca  (^Tir;  v.  Vlnd.).  Amendue  le  figu- 
re, cioè  g  e  *gv,  sì  possono  insieme  riflettere  nelle  stesse  favelle 
europee;  come  sarebbe  del  gar,  originario  e  sanscrito,  inghiot- 
tire, che  fra  i  Greco-latini  si  continuerebbe,  oltreché  ne' ter- 
mini colla  gutturale  intatta  (22,  1.),  in  *gvar  pop-ó-q,  -vor-u-s 
(vor-o)  ecc.  ***.  Il  latino  è  solo  a  darcele  entrambe  in  *fruv-or 


*  Nella  risposta  germanica,  abbiam  forme  contratte,  quali  l'an- 
glo-sass.  cu  (vacca)  o  l'island.  ky  (ky-r;  id.),  che  potrebbero  lasciarci 
in  dubbio  se  vi  si  rifletta  'g  oppur  'gv  iniziale;  né  per  affermare  il 
solo  'g  basta  ancora  l' inglese  cow. 

**  Il  Grassmann  (Zeitschrift  s.  e,  IX,  28)  ha  voluto  vedere  nel 
sscT.gurù-  una  contrazione  di  'gvaru-,  e  il  Corssen  {Beitràge  ecc. ,  63) 
gli  va  dietro.  Ma,  dall' un  canto,  si  ha  gar-  (non  gvar-)  nel  com- 
parativo ecc.  (21,  3.;  in  parecchi  idiomi  pracritici  pur  nel  positivo), 
6  ur  sscr.  è' assai  frequente  per  ar  originario  (v.  V Ind.)\  dall'altro 
poi,  la  scarsa  antichità  dello  'gv  di  'gvarus  ^apu?  appar  manifesta 
dall'eccezionale  discordia,  che  v'ha,  in  questo  esempio,  tra  la  conti- 
nuazione latina  (*garui-  graui)  e  la  greca  (*gvaru-  ^apJ-).  Quanto  è 
poi  al  gotico  kaur-s  (gravis),  il  suo  au  fa  tanta  prova  per  w  origi- 
nario quanta  ne  fa  quello  di  baurans  (rad.  bar). 

***  V.  ancora  il  Curtius  ai  n.i  638  {yxupot^)  e  642  (yoo;  ecc.)  ;  ma  la 
sua  ipotesi,  che  nel  y**"?  (6fY*T>]?Pou<;,  bove  lavoratore)  di  alcuni 
lessicografi, , si  mantenga  il- ^  di  gàus  =  pou?,  mi  pare  affatto  impro- 

AscoLi ,  Fonol.  indo-U.-gr.  9 


130  §  26.    GÈNESI  ED  ETÀ.  DI  QV. 

(fruor)*  allato  a  fì^ug-es,  che  risalgono  ad  un  originario  bhrug^ 
normalmente  riflesso  dalla  radice  germanica  bruk,  adoperare. 
Dove  il  latino  abbia  esso  solo,  ed  unicamente,  la  figura  che 
accenna  a  *gv,  e  si  tratti  di  figura  iniziale  o  tra  vocali,  e  quindi 
di  solo  V  latino  di  contro  a  g  eteroglosso,  la  mancanza  di  anelli 
intermedj  potrà  talfiata  renderci  un  po'  esitanti,  malgrado  la 
perfetta  concordanza  dei  significati ,  come  è  nel  caso  di  vadu-m 
allato  a  gàdha-m  sanscrito  **;  ma  negl'incontri  che  somiglino 
ad  ùv  (*ugv;  uveo  uvidus)  allato  al  greco  Tr  (uy-po'-s,  umido), 
il  dubbio  degenererebbe  in  scetticismo.  Lo  svilupparsi,  'per  entro 
al  latino,  di  v  anorganico  dietro  a  ^,  è  del  resto  fenomeno  più 
evidente  e  sicuro,  che  non  sia  quello  di  v  peculiare  al  latino 
dietro  alla  tenue  (v.  VInd)\  ed  è  fenomeno,  del  quale  tantosto 
arguiremo  che  si  ripeta  anche  in  idiomi  romanzi. 
§  27,  La  quistione,  se  v'  abbia  p  sanscrito  o  indo-irano  da  *'kv, 
che  fu  a  suo  luogo  da  noi  dibattuta  (§  18),  non  trova  alcun 
riscontro  nel  parallelo  di  media***.  All' incontro,  come  già  ci 


babile.  Tato?  (cfr.  p.  e.  'tco-Yaio-q ,  uguale  quanto  alla  terra)  dirà  sem- 
plicemente: che  è  sul  campo.  Il  sscr.  gavja-Sj  bovino,  ha  all'incon- 
tro il  suo  sicuro  riflesso  nel  gr.  -poto-;  (Po/'io-)  che  ricorre  in  àvTt- 
-poto-;  ed  Ico'-poto-;  (del  valsente  di  un  bove),  e  altrove  ancora. 

*  V.  CoRssEN,  Aussprache  ecc.,  P,  87.  Lo  *^v,  non  essendo  prece- 
duto da  n  o  r,  si  riduce  normalmente  a  v  ('fruvor;  v.  s.),  e  questo 
è  assorbito  dall' w  che  gli  precede. 

**  Curtius,  n.  634;  Benfey,  Orient  u.  occid.,  I,  585.  Nel  verbo 
latino  {vàdere)  si  rivede  la  lunga. 

***  Si  è  voluto  vedere  un  caso  di  v  da  gv  nel  sscr.  giv,  vivere  (26, 1.) , 
ricondotto  a  'gvigv,  dalla  qual  forma  avessero  ragione  così  uno  '[g]vig[vj 
che  dichiari  i  lat.  vie-si  vic-tu-s  allato  a  viv-o,  come  le  forme  ger- 
maniche sulla  stampa  dell'  islandese  qvik-indi  (  qviqv-indi  ) ,  animai 
(vivum);  ed  insieme  si  è  voluto  che  amendue  li  gv  di  'gvigv  non 
fossero  tra  di  loro  per  ragione  istorica  diversi.  Ma ,  dall'  un  canto , 
bisognerebbe  ammettere,  che  i  due  gv  si  continuassero,  nella  voce 
sanscrita,  in  due  diversi  modi,  l'uno  de' quali  {v  da.  gv)  non  avrebbe 
altro  esempio,  a  tacere  che  per  noi  pur  non  sussiste  uno  g  da.  gv; 


§  27.  gv   SI  RIDUCE  A   b   CELTICO,   RUMENO,    SARDO.  131 

accadde  avvertire,  il  fenomeno  di  h  ÒlB.  gv  h  comune  ad  amendue 
i  rami  della  favella  celtica  (cfr.  §  18,  3),  dai  quali  ci  sono  offerti 
gli  esempj  che  ora  seguono,  non  diversi,  per  età,  da  quelli  che 
nel  discorso  della  tenue  abbiamo  addotto: 

1.  irland.  (ibern.)  èiw,  [héó].,  *bivo-  'gvivo  (26,1.),  vivus,  beothu , 
[òethu],  vita,  biad  (*bivatha,  ^i'oto?),  victus,  esca;-  gallese 
(brit.)  byw,  vivus,  bywit,  vita,  cornvall.  (brit.)  biu,  vita;  ir- 
landese ben,  [ban-],  *bena  'gvana  (26,  7.),  mulier;  -  cornval- 
lese  ben,  mulier,  benen,  sponsa;      irland.  bó  (gen.  bon;  dat.  pi. 


e,  dall'altro,  questo  stesso  ipotetico  'gvigv  avrebbe  una  continuazione 
eccezionale  nel  gyv-a-  (anziché  gig-a-;  v.  la  n.  *  di  p.  128  e  il  luogo 
del  testo  a  cui  si  riferisce)  del  lituano.  Dato,  del  resto,  per  semplice 
ipotesi ,  che  il  v  del  sscr.  giva-  e  del  lìt.  gyva-  risalga  a  uno  gv  ante- 
riore, non  per  ciò  si  tratterebbe  ancora  di  fenomeno  sanscrito  oppur 
litu-slavo;  poiché  manifestamente  abbiamo  un  giva-  (gviva-)  del  pe- 
riodo unitario,  che  si  riproduce,  come  a  suo  luogo  vedemmo  (26,  1.), 
anche  nel  gotico  qviva-  (e  pur  nel  greco  P^/'o-  *pT/'o,  e  nel  riflesso 
celtico  a  cui  tantosto  arriviamo),  e  dal  quale  non  si  troverà  anima 
viva  che  voglia  staccare  il  vivo-  latino  per  farne,  col  Corssen ,  la 
spoglia  di  un  suo  ipotetico  mostro  reduplicato:  'gvi-gviv-o  'gvi-gu-o 
{Aussprache  ecc.,  sec.  ediz. ,  I,  389-90,  dove,  per  coonestare  la  re- 
duplicazione, ricorre  stranamente  a  forme  sanscrite  che  son  di  perfetto 
reduplicato).  La  questione  si -presenta  piuttosto  così:  se  nel  periodo 
unitario  vi  avesse,  oltre  al  tipo  gviv,  anche  il  tipo  gvig-,  e  non  v'è 
pure  alcuna  necessità  di  questo  gvig.  Poiché  nel  germanico  qvik- 
(qviqv-,  quegk,  cheg),  allato  al  got.  qviva-,  la  seconda  gutturale 
può  essere  anorganica  (cfr.  p.  e.  Schleicher,  Compendium,  sec.  ed., 
ad  §  199;  Curtius,  o.  c,  sec.  ed.,  p.  527);  e  lo  [gjvig  o  [gjvik,  che 
appare  nel  latino  vic-tu-s  ecc.,  può  essere  figura  peculiarmente  latina, 
aggiuntasi  a  [gjviv  ed  a  [g]vi  (cfr.  sscr.  giv,  zendo  gi  ed  anche  gjà-', 
gr.  j3i/'-  e  Ca-  =  g^jà,  v.  l'ult.  n.  della  Lezione),  la  quale  stia  a  [g]vi 
(cfr.  lat.  vi-ta,  che  pur  potrà  avere  la  stessa  forma  radicale  che  è 
nell'equivalente  zendo  gi-ti,  dove  ricorderemmo,  in  ordine  al  suf- 
fisso, sec-ta  e  simili)  così  come  fluc-tu-s  a  flu-o.  Cfr.  nello  zendo:  gi- 
v-ja ,  vivo,  gi-ti-  gi-s-ti-,  vita.  Circa  l' ei  nel  lat.  are.  :  veivo-  ecc. , 
V.  il  primo  Saggio  greco  nel  sec.  voi.  degli  Studj  critici ,  verso  la  fine. 


132  §  27.  gv  si  riduce  a  h  celtico,  rumeno,  sardo. 

huaih  =  bóbus,  acc.  pi.  hù  =  PoZi;),  'bou  *gvou  (26,10.),  vacca;- 
gallese  boutig,  stabulum  *. 

Tra  gl'idiomi  romanzi,  incontriamo  per  b  da  gv  gli  stessi  due 
che  ci  accadeva  di  citare  nello  studio  di  p  da  kv  (§  18, 1,  2). 
Quindi  il  rumeno,  che  ci  mostrava  -pe  (=  -pa)  per  -qua  in 
ape  =  aqua,  ecc.,  ci  darà  analogamente  -be  (=-&«)  per  -^ua 
in  ìimbe  =  lingua  **.  Ma  il  terreno  classico  pel  fenomeno 
di  b  rimpetto  a.  gv  o  g  eteroglosso,  è  la  Sardegna;  e  qui  an- 
cora, come  sempre,  quando  non  aggiungiamo  alcuna  particolare 
distinzione,  si  vorrà  intendere,  per  sardo,  l'idioma  del  Logu- 
doro.  Già  vedemmo  che  veramente  valgano  per  b  =  gv  anco  gli 
esempj  che  ci  avvenne  di  allegare  sotto  kv  (18,  2.);  ed  ora, 
seguitando  a  distinguere  i  casi  residui  ***,  vedremo  imprima: 
b  sardo  continuatore  di  gv  latino ,  in 

2.  limba,  lingua;-      imbena,  inguen; -      sdmbene,  sanguis  (san- 
guinem;  v.  ambisùa)',-      ambidda  (v.  dd=ll),  anguilla. 


*  V.  Ebel  Beitràge  zur  vergleich.  sprachforsch. ,  I,  463,  II,  159-60; 
III,  7;  Stokes,  ib. ,  V,  446.  Il  cornvallese  banathel,  genista,  addotto 
dallo  Stokes  medesimo,  ib.  445,  coincide  esso  nella  parte  radicale 
colla  voce  latina?  La  discrepanza  tra  il  gallese  giau  (nerves)  e  il 
gr.  pio;  (sscr.  gjà,  26,  3.;  Miscellanea  celtica  by  the  late  R.  T.  Sieg- 
fried, ed.  by  W.  Stokes)  potrebbe  forse  renderci  sospetto  questo  ri- 
scontro ,  r  antichità  dello  *gv  avendo  qui  per  sé  lo  g  indo-irano.  Cfr. 
le  note  a  p.  116  e  128.  -  Altri  due  esempj  di  b-  celtico  =  'gv-  propone 
lo  stesso  Stokes  nel  suo  Cormac's  Glossary  (Calcutta,  1868);  cioè  il 
gallese  buan,  pronto,  rapido,  allato  al  sscr.  gavana-,  che  ha  il  va- 
lore medesimo  (v.  l'art,  buanann,  non  infirmato,  per  questa  parte, 
àsiììe  Addenda) ,  e  l'irland.  bddud  (naufragium) ,  gallese  boddi  (mer- 
gere ,  mergi  ) ,  cornvallese  bedhy^  basso-bretone  beuzi ,  allato  al  greco 
BA0  Cguadh,  v.  Vlnd.)  di  ^a^-J-;  (profondo),  ^v^l^o)  (sommergo),  ecc. 

**  Altro  caso  di  continuazione  rumena  di  uno  gva  latino,  non  si 
troverà  di  leggieri.  Gue  gui  smarriscono  Vu  (cfr.  pag.  90);  così: 
sunr/e  =  sanguis.  Sarà  egli  lecito  supporre  un  'inter-roguare  (cfr.  tin- 
guo  allato  a  tingo  =  liy^oì)  pel  quale  si  conciliino  il  latino  interro- 
gare ed  il  rumeno  etrebà  (interrogare)? 

***  Cfr.  Studj  critici,  I  (1861),  26  [=304]  e  segg. 


§  27.  gv  SI  RIDUCE  A  b  SARDO.  133 

Ne' quali  esempj  ci  risulta  manifesto,  che  la  radice  del  b  sia 
veramente  nel  v  {u)  latino,  e  non  si  tratti  già  di  g  che  passi 
in  &  ed  assorba  I'm;  poiché,  dall'una  parte,  troviamo  intatto 
il  g  quando  è  appunto  sparito  Vu,  come  è  in  distinghere,  e, 
dall'altra,  vediam  la  doppia  nelle  congiunture  in  cui  si  può 
vedere  {abba  ebba,  *a^&a  *egbsi,  *agua  *egua,  aqua  equa),  e 
questa  dee  provenire  dall'  assimilarsi  che  fa  la  consonante  g 
all'altra  consonante  b.  La  ragion  della  doppia,  e  la  tendenza 
a  dileguarsi  che  è  propria  a  v  sardo  mediano  fra  vocali  {aéna, 
avena,  ecc.),  dissuadono,  del  rimanente,  dal  supporre  che  vi 
avesse  il  semplice  dileguo  del  g  di  gv  (come  è  p.  e.  nel  lat. 
vivo-  =  *gvivo-),  e  il  V  più  tardi  passasse  in  b  (*agua,  ava, 
aba);  e  quindi  affermeremo,  anche  per  la  serie  attuale,  che 
lingva,  a  cagion  d'esempio,  desse  imprima  lin^ba,  e  poi,  tra- 
montato il  g,  desse  linba,  onde  naturalmente  limba,  per  quel 
notissimo  fenomeno  che  ci  fa  dire  imbevere  imbianchire  anziché 
inbevere  inbianchire.  Ma  vi  ha  all'incontro  una  serie  di  b 
sardi  iniziali  rimpetto  a  gv  italiani,  nella  quale  non  è  punto 
certo  che  la  ragion  genetica  della  consonante  sarda  coincida 
con  quella  del  b  di  limba  ecc.,  comechè  a  prima  vista  la  coin- 
cidenza appaja  perfetta.  E  la  serie  che  ci  sarà  rappresentata 
dai  seguenti  esempj  : 

3.  bdina,  guaina;-      bastare,  guastare;-       bardare,  guardare; - 
bindalu,  guindolo. 

Ne' quali  non  risaliamo  a  gv  latino,  poiché  si  tratti  o  di  vo- 
caboli germanici  che  nella  lor  forma  nativa  incominciano  per  w 
{wart-èn,  stare  in  attenzione,  wind-an,  torcere),  o  di  vocaboli 
latini  con  v  iniziale  (vagina,  vastare).  Ora,  dall' un  canto,  se 
per  le  voci  germaniche  pur  si  dovrà  ammettere  che  anche  la  Sar- 
degna abbia  un  giorno  avuto,  in  simili  esempj,  il  gu-  romanzo 
per  l'antico  v-  {w-),  ciò  non  appar  certo  in  alcun  modo  per  le 
latine  *;  e,  dall'altro,  la  tendenza  di  portare  a  &  il  semplice  v 


*  Di  gua-  romanzo  per  va-  latino,  v.  l'Indice.  È  noto,  del  resto, 
come  pure  al  w-  germanico  non  tutti   i   Romanzi  rispondano  con 


134  §  27.  gv  si  riduce  a  b  sardo. 

antico  iniziale,  è  spiccatissima  in  Sardegna  ['berme,  hentu, 
verme,  vento;  ecc.);  al  che  si  aggiunge,  che  la  più  facile  di- 
chiarazione delle  serie  che  ancora  ci  rimangono  ed  hanno  con 
la  presente  di  comune  che  il  loro  h  punto  non  risalga  ad  uno 
gv  romano,  è  quella  per  cui  di  *gv-  resti  v-,  e\\  v  passi  di  poi 
in  b.  Considerate  le  quali  cose,  il  sardo  bàina,  guaina,  a  ca- 
gion  d'esempio  (comune  pure  al  dialetto  settentrionale,  che  è  di 
fondo  siculo),  potrà  semplicemente  risalire  a  vaina  (=  vagina), 
e  vaina  appunto  ricorre  nel  dialetto  napoletano.  Ugualmente 
badu,  guado,  che  è  comune  a  tutta  l'Isola,  risalirà,  come  il 
vado  spagnuolo,  alla  schietta  forma  latina  [vadum  *),  la  quale 
eziandio  si  continua  nel  logudorese  vadu**;  e  bindalu  (Ghi- 
larza,  sempre  nel  Logudoro)  ,  guindolo,  a  cui  stanno  allato  il 
sinonimo  ghindalu  e  il  verbo  ghindare  (girare),  può  aver  com- 
piuta dichiarazione  da  un  *vindalu,  spoglia  dell'anteriore  guin- 
dalu,  e  del  resto  incontra  il  v  rafforzato  pur  nel  sinonimo  italiano 
bindolo  {=  guindolo).  Restano  le  serie,  nelle  quali  parrebbe, 
a  primo  tratto,  che,  per  un  vezzo  peculiare  al  sardo,  il  g  an- 
tico, od  anteriore,  si  tramuti  senz'altro  in  b,  di  guisa  che  si 
abbia  il  mero  scambio  di  media  per  media,  il  che  pur  sicura- 
mente non  è.  Ma  intanto  passiamole  in  rassegna: 

4.  I.  Bu-  Bo-  di  contro  a  gu-  go-  (cu-  co-)  delle  forme  anziane  :  but- 
tiare,  buttiu,  gocciolare,  goccia  (lat.  gutta)\  buia,  gola  (lat. 
gula);  bustu,  bustare,  pranzo,  pranzare  (cioè:  gusto,  gusta- 
re; cfr.  gustavi,  nel  sardo  settentrionale,  pranzo,  e  nel  meridio- 
nale: colazione  di  mattina,  e  ancora  il  frane,  gouter,  merenda,  e 


gu-.  Così  nel  friulano  si  risponde  per  u  {vu):  uére  guerra,  uarì 
guarire,  uardà  guardare. 

*  È  noto  che  in  guado  guadare  si  incrocia  la  corrente  latina  (va- 
dum) colla  germanica  (wat). 

**  Qui,-  e  in  casi  consimili,  mi  sorge  il  dubbio,  se  veramente  la 
doppia  figura,  offertaci  dallo  Spano  nel  suo  Vocabolario,  sempre  si- 
gnifichi due  voci,  ciascuna  delle  quali  abbia  vita  distinta  e  propria; 
V.  le  note  a  p.  136  e  137. 


§  27;  gv   SI   RIDUCE  A   b  SARDO.  135 

il  friul.  gusta ,  pranzare ,  gustdd ,  pranzo  )  ;  bulteddu ,  nel  dial. 
merid.  gorteddu  =  cortello  {cultellus)\  bunnedda  =  ital.  gon- 
nella; boddire,  cogliere,  e  ancora  in  qualche  luogo  del  Logu- 
doro:  goddire^  collire  =  lat.  colli[gJere^  ital.  cogliere;  budda 
('guada  'cuada,  covata;  cfr.  cùa^  nascondiglio  [covo],  cware, 
nascondersi),  e  abbuada,  covile  del  cinghiale,  abbuare,  nascon- 
dersi, abbuaduy  nascosto. 

II.  BA-  di  contro  a  ga-  (ca-)  delle  forme  anziane:  basane, 
cavallaro  (lat.  agaso  agasonem\  Spano);  battu  =  ital.  gat- 
to; barriare,  allato  a.  garrigare  (garriare),  caricare;  bar- 
du  [*gardu],  cardo. 

III.  BE-  Bi-  di  contro  a  gè-  gì-  di  forme  latine  od  italiane, 
conservata  o  data  al^,  nella  base  sarda,  la  pronunzia  gutturale 
(cfr.  anghelu ,  ghinghiva y  e  i  riflessi  sardi  di  ^gettare'  che  stiam 
per  addurre*):  bénneru,  genero  (lat.  ^ewer);  belu,  belare, 
gelo,  gelare  (lat.  gelu  ecc.);  binistra,  ginestra  (lat.  geni- 
sta); benuju,  ginocchio  (genu-clo,  §  23,  2.);  bennarzu  =  ital. 
gennajo  (lo  gè  ital.,  che  qui  è  dallo  ja-  dìjanuarius,  si  fa  pri- 
mamente ^Tie-  sardo);  belosu,  belosia,  geloso,  gelosia  (ancora 
be-  =ge'  ital.,  che  in  questo  esempio  vien  da  ze-  [^rXo-]) ;  bet- 
tare  =  ital.  gettare  (ancora  gè-  ital.  da  ^a-  lat.  [jactare],  e  il 
sardo  meridion.  ha  ghettdi). 

Ora,  i  fenomeni  fonetici,  che  ultimamente  nel  sardo  stesso  e 
in  tante  altre  favelle  considerammo,  già  persuaderebbero,  a 
'priori,  trattarsi  pur  qui  della  evoluzione:  g  gv  b,  che  è  quanto 
dire  di  un  abbarbicarsi  continuo  del  v  parassito  alla  media  gut- 
turale; e  solo  rimarremmo  incerti,  se  più  precisamente  si  abbia 
a  stabilire  la  scala:  g  gv  ^b  b,  oppur  quest'altra:  g  gv  v  b. 
Senonchè,  della  evoluzione  da  noi  affermata  non  ci  mancheranno 
particolari  indizj  pur  ne' casi  a  cui  ora  siam  giunti,  e  le  figure 
intermedie,  alle  quali  alludiamo,  qui  ci  indurrebbero  a  prefe- 


*  Si  confrontino  l'it.  conghiettura  =  congettura  =  conjectura,  e  an- 
cora ghiacere,  ghiacinto  (giacere,  giacinto),  che  i  lessici  danno  per 
pronuncio  fiorentine;  comechè  in  questi  e  simiglianti  esempj  si  ab- 
bia gj,  e  non  ancora  g,  per  g  anteriore.  Ma  cfr.  l'it.  salgo  =  'salgo 
=  salio,  e  simili,  nella  Lez.  XII. 


136  §  27.  gv  si  riduce  a  b  sardo. 

rire,  come  già  fu  di  sopra  accennato,  la  succession  fonetica: 
g  gv  V  b.  Rifacendoci  così  a  qualche  esempio  della  serie  gu-, 
go-  (3,  L),  nella  quale  la  special  natura  della  vocale  favorisce 
grandemente  lo  svilupparsi  della  parassita,  stabiliremmo:  *gul~ 
teddu  (coltello;  merid.  gorteddu)  "gvulteddu  *vulteddu  hul- 
teddu  *,  e  lo  stadio  che  scriviam  vulteddu  sarà  per  avventura 
continuato  in  urteddu,  sinonimo  dì  bulteddu,  come  il  processo 
di  gula  *gvula  *vula  buia  sarebbe  analogamente  confermato 
da  ula,  che  dice  'gola'  anch'esso,  e  sta  a  gula  così  come  ùturu 
("vuturu  *gvuturu)  a  gutturu  (lat.  guttur),  o  urguzzone  (che 
si  udirebbe  a  Cuglieri,  sempre  nel  Logudoro)  a  gurgu%\ionQ 
(gorgoglione)  **.  Dalla  stessa  serie  prendiamo  ancora  bun- 
nedda  (gonnella;  comune  anche  al  dial.  settentr.,  e  ritorna, 
fra  i  Còrsi,  nel  bunnedru  ài  Fiumorbo),  la  cui  figura  imme- 
diatamente anteriore:  *vunnedda  (vunnella)  coinciderebbe  col 
napoletano  vonnella.  Per  la  serie  successiva  (3,  IL:  *gattu 
*gvattu  *vattu  battu)  non  va  trascurato  arghentólu,  gola,  che 
si  rappicca  all'italiano  gar gatta,  e  allo  spagnuolo  garganta, 
per  l'intermedio  *gvargantólu  (vargantólu,  bargantólu;  cfr. 
adu  =  vadu  =  badu,  guado;  ecc.),  e  s'imbatte  nel  valgastólu, 
gozzo,  del  dialetto  settentrionale.  Lo  stadio  del  ghe-,  tra  ge- 
lida, e  be-  sardo  (3,  IIL),  è  finalmente  dimostrato,  nello  stesso 


*  Per  meglio  capacitarci  della  sicurezza  con  cui  si  può  ammettere 
h  sardo  iniziale  da  v  anteriore,  vogliam  qui  intanto  aggiungere  gli 
esempj  che  seguono:  bacca,  vacca,  bacu,  vacuo,  barzu  ('barju),  va- 
rio, bendere,  vendere,  bénnere,  venire,  berre,  verro,  beste,  veste, 
binéa  (*binja),  vigna,  birde,  verde,  bitellu,  vitello,  boghe,  \ote , 
botare,  volare;  ecc.  V.  ancora  V Indice,  s.  b  protetico;  e  cfr.  la  nota 
alla  pagina  seguente. 

**  bulteddu,  urtéddu,  entrambi  logudoresi,  si  trovano  presso  lo 
Spano,  sotto  coltello;  e  se  ancora  ci  valiamo  con  qualche  riserbo  di 
simili  doppie  figure,  ciò  avviene  per  quel  dubbio  di  cui  già  fu  toc- 
cato in  una  nota  della  pag.  134  e  di  cui  si  riparla  in  sulla  fine  di 
quella  che  ora  sussegue. 


§:28.   CONSIDERAZIONI   RETROSPETTIVE.  137 

idioma  del  Logudoro,  dall' antiquato  guetare  =  tettare  ^get- 
tare *. 

Di  questa  guisa  è  scossa  di  certo,  anche  pel  sardo,  anzi  è  tolta  §  28. 
ogni  fede  nello  asserto  della  sostituzion  diretta  di  media  a  media 
(&  a  g),  che  in  ielu  =  gelo,  hattu  =  gatto,  e  simiglianti,  pure 
avea  cosi  sicure  apparenze.  E  non  sarà,  per  avventura,  inop- 
portuno, se  a  questo  punto  ci  fermiamo  un  istante  per  dar  luogo 
a  qualche  breve  considerazione,  che  valga  a  corroborare  l'opera 
nostra,  si  per  la  parte  già  compiuta,  e  si  per  l' avvenire.  Il  campo 
dell'immediata,  arbitraria  e  imperscrutabile  sostituzione  dell'e- 
splosiva di  un  ordine  alla  esplosiva  di  un  altro,  come  di  t  a  ky 


*  Questa  voce ,  che  lo  Spano  adduce ,  nel  Vocabolario ,  da  un  testo 
a  stampa  del  XVII  secolo  (Gar.  =  Garipa),  parrebbe  anzi  darci  a  dirit- 
tura lo  stadio  del  gue-,  ma  è  assai  probabile  che  vi  si  abbia  gue  alla 
spagnuola  per  ghe\  cfr.  fo.guere  =  faghere  (facere)  ecc.  ap.  Spano, 
Ortografìa  sarda,  19,  e  promiscuamente  fagher  e  faguer  nella  stampa 
di  un  documento  del  XII  secolo,  fatta  nel  XVII,  ib. ,  111.  —  Più  fede 
parrebbe  meritare  Vu  di  quàdere  =  cààeve .  che  lo  stesso  Spano  ha, 
nel  Vocabolario,  da  antichi  manuscritti,  poiché  anche  nello  spagnuolo 
basta  ca  per  rendere  la  pronuncia  di  ka\  ma  pur  si  regge  il  sospetto 
anche  per  quddere.  Del  qual  verbo  non  si  vede,  del  resto,  il  riflesso 
moderno,  avendo  mere  usurpato  le  funzioni  di  cadere.  Ac- 

canto a  guettare  e  tettare  avremmo  ancora  ettdre  (  etàre  ) ,  sempre 
per  'gettare';  e  in  ettdre  saremmo  tentati  a  riconoscere  il  continua- 
tore dello  stadio  'nettare,  ricorrendo  ancora  all'analogia  dei  casi  di  v- 
etimologico,  nei  quali  ugualmente  compare  il  doppio  riiesso  sardo, 
vale  a  dire  b~  nell'una  figura  e  zero  nell'altra;  così:  beju  =  'veju  =  eju, 
veglio,  berveghe  =  'verveghe  =  erveghe,  vervex,  benturzu  (*bentur-ju) 
=  'vultur-ju  -  unturzu,  a-voltojo.  Senonchè,  sentiamo  il  bisogno,  già 
in  precedenti  note  accennato,  di  un  migliore  accertamento  critico 
della  suppellettile  lessicale  del  logudorese;  vigendoci  per  ora  il  dub- 
bio, che,  almeno  in  parte,  queste  doppie  figure  (bettdre  ettdre;  ecc.) 
veramente  si  riducano  ad  una  sola,  a  quella  cioè  col  b-,  che  nor- 
malmente si  affievolisca  o  si  dilegui  quando  è  preceduto  da  vocale 
(cfr.  p.  e.  SOS  boes,  i  buoi,  ma  unu  oe,  un  bove),  dubbio  che  si  esten- 
derebbe anche  al  caso  di  uccone  allato  a  buccone ,  boccone. 


138  §  28.   CONSIDERAZIONI   RETROSPETTIVE. 

ài  p  a.  kf  ài  d  a.  g,  di  b  a.  g  e  viceversa,  per  la  quale  tur- 
berebbesi  ogni  legge  di  continuità,  si  viene  restringendo,  man 
mano  che  la  scienza  progredisce,  entro  a  confini  sempre  in  più 
angusti;  e  in  ordine  alle  voci  che  veramente  spettino  all'antico 
e  vivo  patrimonio  di  un  popolo,  si  ridurrà,  almen  per  quelle 
lingue  che  qui  si  considerano,  se  pure  non  è  già  ridotto,  a  pres- 
soché nulla.  Di  consimili  salti  ben  se  ne  hanno  nelle  conso- 
nanze composte  (come  in  gì,  in  sk,  ecc.),  delle  quali   a  suo 
luogo  si  parla,  mostrandosi  la  ragione  fisiologica  ad  esse  pe- 
culiare; e  pur  le  esplosive  scempie  ponno  andare  incontro  ad 
alterazioni  di  simil  fatta,  quando  manchi  ad  una  lingua,  op- 
pure vi  sia  insolita,  una  qualche  articolazione  che  occorra  nelle 
voci  straniere  di  cui  viene  a  far  uso.  Ma  non  ci  rassegneremo 
mai  a  credere  che  una  esplosiva  scempia,  o  indigena  o  propria 
di  un  idioma  che  ha  soppiantato  l'indigeno,  passi  di  punto  in 
bianco  da  un  organo  all'altro,  quasi  per  un  difetto  di  pronuncia 
di  cui  sia  preso  a  un  dato  momento  tutto  intiero  un  popolo;  e 
quindi  errerà  di  certo  chi  ancora  voglia,  a  cagion  d'esempio, 
parlarci  di  k  originario  che  immediatamente  passi  in  ^  o  peggio 
ancora  in  p  ellenico;  e  un  assai  fallace  ripiego  sarebbe  quello 
àeW antica  esplosiva  indistinta,  che  si  venisse  determinando, 
tra  le  varie  favelle,  ora  in  un  organo  ora  nell'altro.  Ma  ben  noi 
vedemmo  per  quali  anelli  intermedj  si  possan  compiere  evolu- 
zioni siffatte,  e  insieme  vedemmo  come  la  scienza  riesca  di  volta 
in  volta  a  porgerci  il  filo  delle  successive  mutazioni  (§§  14, 
17,  21);  la  causa  generica  delle  quali  consisterà  veramente  in 
ciò,  che  pel  graduale  sviluppo  di  suoni  accessorj  (fenomeno  in 
mille  guise  accertato),  o  per  l'affilamento  di  vocali  attigue,  la 
esplosiva  scempia  si  faccia  imprima  consonanza  composta  {kj 
da  k  ecc.),  il  cui  secondo  elemento  è  sovranamente  effiicace  a 
provocare  mutazioni  ed  impasti.  Per  grande  adunque  che  sia 
l'autorità  di  chi  voglia  farci  credere  a  tai  capricci  della  favella, 
pei  quali  il^  del  lai.  pectus,  a  cagion  d'esempio,  sarebbe  sen- 
z'altro passato  in  k  nel  macedo-vàlaco  cheptu,  e  viceversa  il  k 
del  latino  quatuor  sarebbe  saltato  in  p  nel  patru  dello  stesso 


§  28.   CONSIDERAZIONI   RETROSPETTIVE.  139 

idioma  vàlaco,  non  acconciamoci  ad  essa,  ma  scrutiamo  inde- 
fessi, e  se  le  corrispondenze  son  vere,  l'istoria  naturale  della 
loro  divergenza  fonetica  dovrà  farsi  chiara.  Del  jp  di  patru  rim- 
petto  allo  qv  latino  (18,  1.),  già  così  avemmo  compiuta  ragio- 
ne; e  al  lume  della   figura  pur  vàlaca  (daco-romana)  piept'à 
(=  cheptu)  troveremo  a  suo  luogo  come  in  cheptu  si  tratti  ve- 
ramente di  KCj]  da  ^J  (*pjeptu),  cioè  di  fenomeno   che  entra 
nell'analogia  di  chianu  siciliano  da  *pjanu  (planus),  e  infiniti 
casi  simili.  Cosi  la  supposta  permutazione  zaconia  di  Mn  k 
(xt[xy{,  che  però  pronunciasi  cimi  =  Tt[xvi,  pregio,  prezzo),  q  ài  k 
in  t  (It>)vou  etini^  =  Ixetvou,  di  quello;  allato  ad  exeivt  eéini  =  IxsTvo, 
quello,  nom.  n.),  dove  in  realtà  si  tratta  di  M  {ci)  da  ti,  o 
di  ti  da  M  {ci),  rendesi  afiatto  chiara,  come  più  tardi  ancor 
meglio  apprenderemo,  dagli  intermedii  kji  tji,  vale  a  dire  da 
quello  stadio  fisiologico  di  cui  già  avemmo  ripetutamente  ad 
avvertire  che  possa  importare  indifferenza  tra  base  palatina 
e  base  dentale  (p.  44,  92);  e  analogamente  non  vi   avrà,  tra 
il  grisone  toma  (criniera,  giubba)  e  il  latino  coma,  lo  sbalzo 
inaudito  di  ko  in  to;  ma  converrà  ricorrere  alla  singoiar  figura 
italica:  chioma,  e  quindi  ancora:  kjo-  kjo-  t[j]o-*. 


*  Non  rincresca  di  veder  qui  ancora  citato  il  costante  fenomeno 
di  esplosiva  dentale  o  semi-dentale  da  esplosiva  gutturale,  che  oc- 
corre in  un  idioma  o  sub-dialetto  di  famigUa  diversa,  ma  pur  giova 
a  convalidare  il  nostro  ragionamento  e  in  ispecie  ad  illustrare  il  fe- 
nomeno di  T  greco  =  ky  pre-ellenico  (§  21).  Federigo  Miiller  {Orient 
M.  occident,  III,  104  e  segg.)  ci  offre  cioè  un  elenco  di  voci  siriache, 
dettategli  da  alcuni  Siri  d'  Urumijjah,  nel  quale  abbiamo  costante- 
mente t  e  d  (che  il  Miiller  distingue  nella  scrittura,  accennando  pro- 
babilmente a.  t  e  d  ài  pronuncia  linguale)  in  luogo  de' genuini  k  e  g-, 
p.  es.:  ^tàbà  da  *ktàbà,  libro,  teyvà  da  •kuk[h]bà,  stella,  tìfumlà  da 
'gumlà,  camello.  Ora  il  Miiller  medesimo  opportunamente  rimanda, 
circa  t  =  k,  alla  grammatica  che  ci  diede  lo  Stoddard  del  siriaco  mo- 
derno come  si  parla  in  Urumijjah ,  in  Persia  e  nel  Kurdistan.  Nella 
quale  è  detto,  che  il  h  assume  in  quel  parlare  siriaco  la  pronuncia 
del  h  inglese  di  hindy  vale  a  dire  di  un  k  che  volge  a  kj  kj.  Qui 


140  §  29.  Z  GRECO  DA  gj  E  hj. 

§  29.  E  cosi  sarem  finalmente  bene  avviati  alla  intelligenza  di  una 
evoluzione  ellenica,  della  quale  ancora  conveniva  far  parola 
nell'istoria  di  g. 

Occorre  in  ispecie  nell'  odierno  dialetto  dei  Zaconj ,  che  al 
posto  dell'antico  g  (y),  e  pur  dell'antico  &  (P),  si  trovi  i  (0- 

1.  Zaconio  l^ou  =  lyw,  io;  [xo^ou  (partic.  pres.)  =  [xoysw,  mi  travaglio, 

soffro*;  a  cui  si  aggiunge  da  altro  parlare  neo-greco;  StaX/^w, 
s:  SkxXs'yw,  scelgo  **.  —  Zaconio  cpo^oJfAgve  (partic.  pres.)  =  <^o- 
pot;[i.at,  temo;  ^a'ou,  andrò,  l-Ca-xa,  andai,  felicemente  ricondotti 
dal  Deville  a  BA  patvw  (26,  8.)  ***. 

Allato  ai  quali  esempj  moderni,  vanno  qui  intanto  considerati 
gli  antichi  che  ora  seguono: 

2.  L'arcadico  sTrt-^apew,   e  l'arcadico  o  macedonico  ^epe^pov,  al- 

lato alle  forme  ordinarie  eTct-papéco,  io  carico,  sopracarico,  e 


pure  saremmo  dunque  ricondotti  a:  /e,  /y,  ^J,  i^j,  t.  —  Finalmente 
vorremmo  qui  addotto  anche  lo  zingarico  (v.  il  mio  Zigeunerisches , 
p.  169  a),  il  quale  ben  ci  offre  t  per  k  e  k  per  t,  ma  sempre,  negli 
esempj  di  cui  la  critica  si  può  con  qualche  sicurezza  valere,  per  effetto 
del  j  che  viene  a  susseguire  all'esplosiva;  così  sutjovav  =  sukiovav 
(sukó  =  pracr.  sukkha-  =  sscr.  guska-),  mi  fo  asciutto,  secco;  ùngustó 
(i  etimologico),  dito,  alplur.:  ùnguskjà.  —  Cfr.,  allato  dell'italiano 
diaccio  =  ghiaccio ,  il  siciliano  dinocchiu  =  'gjinocchiu  (ginocchio),  e 
simili;  e  nel  pali:  digaMhà  =  sscr.  gighat sa,  fame  (V.  V  Jnd.). 

*  Gli  esempj  zaconj ,  quando  altrimenti  non  sia  indicato,  provengono 
àsiWÉtude  du  dialecte  tzaconien,  par  Gustave  Deville,  Paris,  1866. 

**  Ho  questo  esempio  dal  Paspati  (Journal  of  the  American  Orien- 
tai Society,  VII,  229:  StaXéyoi  pronounced  by  us  often  8t«Xe^w),  il  quale 
par  che  dimori  in  Costantinopoli. 

***  S  (cioè  d  fricativo,  =  th  sonoro  degli  Inglesi)  per  p,  sempre  in- 
nanzi ad-t  i,  s'incontra  ne' seguenti  esempj  zaconj  (Deville,  1.  e,  p.  84): 
8ie  =  Sto;,  vita,  Zrijo  =  ^yj^,  tosse,  ^o8t5t  =  epe^/v^tov,  cece,  xou8[  =  xXw- 
Piov,  gabbia.  Qui  si  può  chiedere,  se  il  8  altro  non  sia  che  una  va- 
riazione di  ^,  e  ci  porti,  per  l'intermedio  di  *pj,  come  arguiremo  che 


§  29.  Z  GRECO  DA.  g^  E  5/.  141 

papo^pov,  baratro;  cui  si  aggiunge,  di  certo  arcadico  anch'esso, 
lo  ^e'XXw  (cfr.  laSsXXco  =  IxpotXXw,  di  un'iscrizione  tegeatica)  dei 
lessicografi,  =  paXXw,  io  getto  *.  —  Nel  dial.  jonico  occorre 
XaCo[xai,  allato  al  comune  Xxjxpavco  (AAB),  prendo,  piglio. 

Ora  noi  punto  non  dubiteremo,  che  tra  la  forma  col  ^  o  col  &, 
e  quella  collo  C,  ne  sia  interceduta  una  colla  muta  accompa- 
gnata day  (gj  bj),  il  quale,  secondo  gli  esempj,  o  sarà  affatto 
parassito,  o  potrà  avere  la  sua  ragion  grammaticale;  ed  è  bello 
trovare,  tra  l'I^ou  zaconio  e  il  solito  lycó,  l'eyjw  (lyiw)  del  mo- 
derno dialetto  di  Cipro;  come  non  sarà  improprio  il  ricordare, 
allato  al  moderno  SiaXe^iw  (*8taXeYJw;  29,  1.),  l'wyja  (atyi^')'  capra, 
dello  stesso  dialetto  di  Cipro,  pel  volgare  aìya  (v.  Xlnd.),  od 
anche  Tàyjac  («ym)  del  dialetto  medesimo,  per  àys  (age!)  **. 
Ma  in  ordine  all'arcadico  £7n-2;ocpew,  trattandosi  che  il  p  della 
solita  forma  (eTit-papsw)  succede  veramente  a  un  ^  (g  "gv  P; 
papj;  =  *garus,  26,  9.),  può  surgere  il  dubbio  se  lo  C  più  precisa- 
mente vi  provenga  da  gj  {*gj  "gz  *zz  Vj,  oppur  da  hj  {*bj  *hz 
*zz  V)\  se,  cioè,  in  altri  termini,  vi  si  abbia  un'alterazione  di 
garu-  (gjaru),  oppur  del  greco  papJ-  (bjaru).  Il  qual  dubbio  si 
potrebbe  estendere  anco  a  ^epe^pov.e  a  ^eXXw  (=  papa^pov  pa'XXw), 
pure  per  questi  esempj  reggendosi  una  qualche  probabilità  di 
media  gutturale  originaria  ***.  E  dato  che  qui  si  avesse  C  =  *gj 


faccia  lo  ^  degli  esempj  ultimamente  addotti  nel  testo,  a  b  esplosivo; 
oppur  se  non  si  tratti  di  una  particolare  alterazione  del  p  (y)  mo- 
derno, la  quale  si  potrebbe  così  dichiarare:  v  meramente  labiale, 
che,  per  lo  spingersi  dell'orlo  della  lingua  tra' denti,  volge  allo  th 
sonoro  degl'Inglesi. 

*  V.  Ahrens,  De  dialectis  aeolicis,  232,  Curtius,  o.  c.  ,  sec.  ed., 
n.°  637.  Non  cito  oXt^ov  che  i  Tessali  avrebber  detto  per  òXt'yov ,  poiché 
se  ne  contesta  l'autenticità  (Ahrens,  1.  e,  219-20).  "OXtCov  sarebbe  la 
figura  normale  del  nomin.  n.  del  comparat.  di  òXt'yo?. 

**  Le  forme  del  moderno  dialetto  di  Cipro  son  prese,  quando  non 
sia  altrimenti  indicato,  dsdìe  Kypriaka  del  Sakellarios  (Atene,  1868). 

***  V.  Curtius,  n.»  637  e  643. 


142  §  29.  z  GRECO  DA  gj  e  hj, 

allato  a  p  =  *gv  (-^apsw,  -pacps'w  papu  *garù;  ecc.),  saremiiio  a  tal 
doppio  riflesso  greco,  il  quale,  per  la  sua  ragione  fonetica,  non 
sarebbe  gran  fatto  dissimile  da  quello  che  avemmo  (p.  92)  in 
TEduaps?  (*kj-)  allato  a  itt^upe;  (*kv-)  *,  o  dal  doppio  riflesso  che 
ci  offrivano,  ne' nostri  vernacoli,  zenoli  e  benu[l]ju,  entrambi 
da  genuclio,  ginocchio  (p.  98,  113,  135);  ma  la  ragione. storica 
avrebbe  tutta  volta,  tra  l'una  copia  greca  e  l'altra,  questo  di 
diverso,  che  dello  *kj  (e  *kv)  nel  caso  di  Teaaape;  ecc.  si  vede- 
vano radici  pre-elleniche,  quando  non  se  ne  vedrebbero  punto 
per  lo  *gj  (e  *gv)  dell'ipotetico  *gjar[u]  onde  ^ap[sw]  e  simili. 

*  Il  preciso  parallelo  fonetico  richiederebbe  S  p  di  contro  a  t  tt; 
e  veramente  parrebbero  ricorrere  S  e  p,  per  g  originario  e  sanscrito, 
in  SeX^Js  (8oX({)ó(;),  utero,  e  Ppécpo;  ('Pspccos),  embrione,  che  entrambi 
si  ricondussero  al  sscr.  gdrbha-,  nel  quale  si  riuniscono  amendue  i 
significati.  Ma,  a  tacere  della  differenza  che  corre  tra  la  condizione 
del  suono  iniziale  della  risposta  etereglossa  di  Tsaffape?  ecc.  e  quella 
del  suono  iniziale  di  SeXipu;  ecc.  (cfr.  il  testo),  e  d'altre  considera- 
zioni ancora,  v'ha  questo  principalmente  contro  Zekcf\j(;=gdrbha-,  che 
la  equazione  o  gr.  =  ^  sscr.  non  avrebbe  d'altronde  alcun  valido  suf- 
fragio. Il  Curtius  (o.  e,  sec.  ed.,  p.  431  [II,  76])  ben  vorrebbe  far 
passare  tra  gli  esempj  di  S  da^  anche  l'iTn-i^apsto  (e  lo  ^epe^pov)  di  cui 
parla  il  testo;  ma  noi  può  se  non  in  grazia  della  sua  ipotesi,  che  tra 
'ffj  e  C  debba  essersi  avuto ,  per  anello  intermedio  :  dj.  Né  saprei  se- 
guirlo, se  nel  caso  di  CéXXw  =  paXXw,  che  pure  adduce  tra  gli  esempj 
di  B.da  g,  volesse  tenere  la  forma  eaSsXXw  (v.  il  testo)  per  particolare 
e  sicuro  documento  del  8.  Ancora  vuole  il  Curtius  uno  'dj-a-  tra  gì 
(gì),  vivere,  e  il  greco  !^a-w;  e  qui  almeno  rimontiamo  a  uno  gv,  e 
quindi  avremmo,  nel  *8,  caso  parallelo  a  t  =  ky.  Ma  Ca-  potrà  risa- 
lire direttamente  a  gyj-a  (cfr.  Pott,  Wurzel-wórterb. ,  I,  pag.  751,  il 
quale,  del  resto,  ha  pur  toccato  della  parti  colar  somiglianza  tra  que- 
sto substrato  dello  Ca-w  e  lo  zendo  gjà  in  -gjà-i-tij  vita.),  ed  anzi, 
come  stiam  per  accennare  nel  testo,  pure  a  pia-.  —  Intorno  alle  gravi 
questioni  di  fonologia  greca  che  qui  si  son  dovute  preliminarmente 
toccare,  vogliasi  consultare  l'Indice  sotto  ^  e  aff,  e  lo  scritto:  I pro- 
dotti ellenici  di  *+j  (cioè  di  esplosiva  a  cui  sussegue  j)  nel  sec.  voi. 
degli  Studj  critici. 


§  29.  Z  GRECO  DA  g^  E  6j.  143 

Senonchè,  i  moderni  esempj  di  ^  da  *&/,  e  il  corrispondente 
antico  esempio:  XaCo[xat  (*Xap-jo-[jiat,  29,  2.),  ci  dissuadono  affatto 
dallo  stento  di  questi  *gj  ellenici  allato  a  P  da  ^gvi',  e  in  It»- 
-iiapeto,  Upe^pov  e  C^XXoj  noi  vedremo  C  da  pj  (&;'),  non  altrimenti 
che  negli  esempj  testé  ricordati,  ai  quali  aggiungiamo,  antici- 
pando sulle  cose  che  altrove  saranno  compiutamente  svolte,  vtCw 
=  vc,3-jw,  io  lavo  (cfr.  26,  5.).  Locchè  non  toglie  che  anche  nel 
greco  antico  si  abbia  frequentemente,  come  a  suo  luogo  rico- 
nosceremo, C  da  g-j\  ma  v'ebbe  (per  qui  tacere  di  C  da  d-j^ 
pur  ^  da  hj,  e  sempre  ogni  \  per  quel  processo  che  fu  di  sopra 
accennato  (  hj  hz  ecc.  ;  gj  gz  ecc.  )  ed  è  analogo  al  processo  onde 
risulta ,  in  favella  nostra ,  il  doppio  gg ,  così  da  d-j  come  da  b-j 
{*vid-jo  veggio;  *deb-jo,  deggio).  In  ordine  ai  fenomeni  provo- 
cati dal  J,  il  greco  antico,  giova  avvertirlo  sin  d'ora,  è  affatto 
nelle  condizioni  d'idioma  moderno. 


LEZIONE  QUINTA. 

Delle  aspirate  in  generale.  —    Le  aspirate  gutturali  *. 


§  30.  -  Continuando  a  ordinare  il  nostro  studio  secondo  la  serie  di 
suoni  che*  ci  è  offerta  dall'alfabeto  sanscrito,  ora  saremmo  alle 
restanti  due  esplosive  dell'ordine  gutturale,  cioè  'd\V aspirata 
tenue  {kh)  ed  all'  aspirata  media  {gh).  Ma  al  particolare  di- 
scorso intorno  ad  esse,  è  d'uopo  far  precedere  generali  consi- 
derazioni, così  intorno  al  sistema  delle  aspirate  sanscrite,  come 
intorno  alle  corrispondenze  che  queste  trovano  nella  favella 
greca  e  nell'italica. 

E  gioverà,  anzitutto,  alla  sicurezza  della  nostra  esposizione, 
l'avvertenza  che  segue.  Noi  troveremo,  cioè,  nella  continua- 
zione del  nostro  discorso,  che  grammatici,  linguisti  e  fisiologi 
non  sempre  intendano  per  consonante  aspirata  una  esplosiva 
accompagnata  dall'aspirazione  {k-h,  d-h,  ecc.).  Cosi  s'intese,  e 
può  intendersi,  per  tenue  labiale  aspirata,  la  combinazione  pf, 
vale  a  dire  la  tenue  labiale,  a  cui  aderisce,  o  con  la  quale  quasi 
si  fonde,  la  spirante  correlativa.  Noi  tuttavolta,  per  aspira^ 
ta,  senz'altro,  sogliamo  intendere  quel  suono  abbinato,  nel 
quale  alla  esplosiva  succede  lo  h;  e  solo  quando  sia  in  discus- 
sione la  ragion        ^-^'^^'Iva  delle  aspirate,  e  il  contesto  non 


*  Delle  aspirate  in  genere,  ed  in  ispecie  dei  continuatori  latini 
delle  antiche  aspirate,  è  trattato  diffusamente  negli  Stuc^  critici ^  II, 
pag.  109-221. 


§  30.    DELLE   ASPIRATE   SANSCRITE   IN   GENERALE.  145 

escluda  ogni  ambiguità  od  incertezza,  chiameremo  k-h  g-h  ecc. 
aspirate  vere.  Ora  entriamo  senz'altro  nella  non  facile  materia. 
Chi  passasse  a  rassegna,  senza  adoperare  l'occhio  critico,  il 
corpo  delle  radici  che  i  grammatici  indiani  ci  porgono,  potrebbe 
conchiudere,  che  l'importanza  delle  aspirate  tenui  [kh,  Uh,  th, 
th,  ph)  non  sia  nel  sanscrito  gran  fatto  inferiore  a  quella  delle 
medie  {gh,  gh,  dh,  dh,  bh).  Senonchè,  in  primo  luogo,  già 
basterebbe  un  rapido  esame  delle  rispettive  serie  in  ordine  alla 
autenticità  letteraria  dei  singoli  radicali,  per  modificare  assai 
sensibilmente  le  proporzioni  numeriche,  in  danno  della  serie 
delle  tenui.  Che  se  poi  badiamo  alle  ragioni  istoriche,  le  pro- 
porzioni continueranno  a  modificarsi  in  questo  stesso  senso  man 
mano  che  si  risalga  ad  età  anteriori,  sì  per  l'aggiungersi  alla 
serie  delle  medie  la  miglior  parte  di  quella  in  cui  attualmente 
appare  la  semplice  aspirazione  (/ì;  §  34),  e  si  pel  detrarsi  dalla 
serie  delle  tenui  que' numerosi  esemplari,  ne' quali,  come  a' ri- 
spettivi luoghi  sarà  mostrato  (v.  Vlnd.),  lo  sviluppo  dell'aspi- 
razione si  manifesta  seriore  e  si  è  compiuto  in  gran  parte  per 
processo  analogo  od  identico  a  quello  che  ampiamente  si  con- 
tinua negl'idiomi  indiani  di  più  bassa  età,  ognora  piti  in  questi 
accrescendosi,  per  conseguenza,,  il  dominio  dell'aspirata  tenue, 
sì  nelle  radici  per  sé  stesse  e  sì  nelle  loro  combinazioni  con 
elementi  accessorj  *.  Alle  quali  ragioni  istoriche,  prevalente- 


*  Fo  qui  seguire  alcuni  dati  statistici ,  che  hanno  per  base  le  Ra- 
dices  linguae  sanscritae  del  Westergaard.  I  lavori  lessicali  che  a 
queste  succedettero,  e  in  ispecie  il  Lessico  di  Pietroburgo,  portereb- 
bero veramente  una  qualche  alterazione  nelle  singole  quantità,  ma 
di  certo  non  potranno  mutarne  in  sensibil  modo  le  proporzioni.  Ecco 
dunque  le  risultanze  sommarie  de'  miei  spogli  :  -  478  radici  lessi- 
cali sanscrite  contengono  consonante  aspirata  o  Ti;  e  cinque  di  esse, 
aspirata  e  h  ad  un  tempo  {hurRh,  hriRh,  hath,  haith,  haidh);-  in 
208  entra  una  media  aspirata,  comprese  dhràgh  e  dhimdh  che  ne 
avrebbero  due,  e  dhràkh  che  ne  avrebbe  una  di  media  e  una  di  te- 
nue; -  in  166  entra  un'aspirata  tenue,  compreso  sphurMJt  che  ne 
avrebbe  due;  -     e  in  109  (5  delle  quali  già  comprese  fra  le  categorie 

Ascoli,  Fonol.  indo-it.-gr.  10 


146  §  30.    DELLE  ASPIRATE   SANSCRITE   IN   GENERALE. 

mente  intrinseche,  venendo  finalmente  ad  unirsi  una  poderosa 
ragione  estrinseca,  quella  cioè  della  comparazione  eteroglossa, 
la  quale  in  ispecie  ne  mostra  come  le  lingue  europee  sien  con- 
cordi nel  dare  di  regola  alla  tenue  dentale  aspirata  del  san- 
scrito, vale  dire  alla  sola  che  offra  un  qualche  maggior  campo 
a  conclusivi  raffronti,  la  risposta  stessa  che  alla  semplice  sua 


precedenti)  entra  h.  Delle  208  in  cui  si  contiene  aspirata  media, 
95  sono  bene  esemplate;  88  noi  sono  punto;  8  noi  sono  se  non  dal 
Bhattikàvja  (poema  composto  con  intendimenti  grammaticali);  9  noi 
sono  che  da  autori  di  assai  bassa  età;  e  intorno  alle  residue  8  rimasi 
incerto.  Delle  166  in  cui  si  contiene  aspirata  tenue,  46  son  bene  esem- 
plate; 104  noi  sono  punto;  4  noi  sono  che  dal  Bhattikàvja',  9  lo  sono 
sol  da  autori  di  molto  bassa  età;  e  circa  le  residue  3  rimasi  dubbio. 
Ma  i  più  cauti  ed  elementari  esperimenti  etimologici  bastano ,  come 
a  suo  luogo  vediamo,  a  togliere  ogni  fede  nell'aspirazione  originale 
di  meglio  di  un  terzo  delle  stesse  46  radici  lessicali  bene  esemplate 
in  cui  s'abbia  aspirata  tenue  {iRh,  [uAh],  unAh,  praHh,  murKh 
jakh,  jukhy  vànKh,  hhid^  P,had,  hhal,  skhaly  sphut,  sphur,  phal^ 
phull,  sthà,  sthag,  sthiv;  e  ancora  cfr.  ìlhà  e  flhur)-,  e  circa  la  metà 
delle  restanti  ci  offre  uno  th  all'uscita  {katth^  kvath,  granth,  nàth  ^ 
prathj  prauth  (pruth),  mathy  mith  e  maith,  vjath,  gnath^  arthy 
kath)^  contro  la  originalità  della  qual  consonante  dice  generalmente 
non  poco,  già  per  sé  solo,  il  nudo  fatto  che  in  realtà  essa  mai  non 
occorra  in  principio  di  parola.  In  alcune  altre,  finalmente,  lo  kh  ini- 
ziale è  grandemente  sospetto  di  genesi  pracritica  {khàdj  khjàj  khid\ 
cfr.  khany  e  consimili  tra  quelle  che  occorrono  solo  in  tarda  età). 
Se  all'incontro  passiamo  alle  95  bene  esemplate  per  l'aspirata  me- 
dia, stentiamo,  dall' un  canto,  a  rinvenirvi  un  qualche  singolo  esem- 
plare in  cui  l'aspirata  possa  sospettarsi  di  età  seriore  {uggh  è  un 
esemplare  sui  generis,  di  cui  v.  il  §  34),  e  vi  abbiamo,  dall'altro, 
l'aspirata  di  ciascun  ordine  così  al  principio  come  all'uscita,  e  un 
tal  complesso  di  radicali,  che  si  per  la  sua  funzione  nel  sanscrito,  e 
sì  pei  riflessi  che  ritrova  nelle  lingue  sorelle,  si  addimostra  cospicua 
parte  del  miglior  patrimonio  ariano  dell'India  (ghar,  sagh,  e  cfr. 
§  34;  dhar,  dhà,  dhù,  vardh,  bandh,  indh;  bhar,  bhà,  bhù,  grabh^ 
lubh\  ecc.  ecc.).  Di  più  altrove,  ed  anche  in  questo  stesso  Corso. 


§30.    DELLE   ASPIRATE   SANSCRITE   IN   GENERALE.  147 

tenue  esse  danno,  dove  all'incontro  tre  di  esse  costantemente 
distinguono  i  frequenti  riflessi  delle  medie  aspirate  del  sanscrito 
da  quelli  delle  semplici  sue  medie;  slam  condotti  a  conchiu- 
dere, che,  in  ordine  alla  quantità  degli  esemplari  i  quali  pos- 
sano ripetere  la  propria  ragione  specifica  dalle  condizioni  ori- 
ginarie della  favella  indo-europea,  le  tenui  aspirate  non  solo 
cedano  di  gran  lunga,  nel  sanscrito,  alle  medie,  ma  anzi  risul- 
tino in  quantità  tanto  esigua,  da  rendersi  mal  certa,  se  pur 
altro  non  fosse,  per  la  sua  stessa  esiguità.  Son  quindi  pochi 
gli  esempj  ne' quali  le  risposte  greche  ed  italiche  accennino  ad 
assicurare  originalità  all'  aspirazione  sanscrita  della  tenue,  e 
se  ne  tocca  a  suo  luogo;  ma  lo  zendo,  all'incontro,  accompagna 
costantemente,  per  un  certo  strato  glottologico,  la  tenue  aspi- 
rata sanscrita  con  la  propria  tenue  aspirata;  locchè  viene  a 
dire,  che,  per  una  determinata  e  ragguardevol  parte,  le  tenui 
aspirate  del  sanscrito  risultin  tuttavolta  pre-indiane,  apparten- 
gano, cioè,  al  periodo  che  diciamo  indo-irano.  Alcuni  esempj, 
che  facciam  tosto  seguire,  avranno  cosi  a  rappresentarci,  dal- 
l'un  canto,  come  l'Europa  non  faccia  differenza  tra  la  tenue 
aspirata  dentale  del  sanscrito  e  la  non  aspirata;  e,  dall'altro, 
sin  dove  lo  zendo  concordi  col  sanscrito  nella  aspirazione  della 
tenue:  sscr.  ràtha-,  z.  ratha-,  carro,  lat.  rota,  alto-ted.  rad 
(e  non  diversamente:  sscr.  ta-m,  z.  te-m,  gr.  to'-v,  lat.  \s-tu-m, 
alto-ted.  de-n)\  e  cosi  ancora:  sscr.  pràthas,  z.  frathanh,  lar- 
ghezza, distesa,  gr.  T:XaTo?;  sscr.  sthd,  stare,  lat.  sta-,  gr.  2TH, 
german.  sta  {con.  st  rimpetto  a  sth  sscr.,  com'è  rimpetto  a  5^ 
sscr.  nel  german.  ist  =  asti,  est),  dove  però  anche  lo  zendo  ri- 
sponde per  gtd.  Un  caso  di  ph  sanscrito,  in  cui  la  risposta  euro- 
pea ugualmente  accenni  a  semplice  tenue,  è  gapha-,  unghia  del 
cavallo,  anglo-sassone  hòf  (pp.  50  n.,  63),  alto-tedesco  huof*. 


r  *  Circa  la  vocale,  le  voci  germaniche  non  differiscono  dall'indiana 
se  non. per  la  quantità,  poiché  l'ó  anglo-sassone  e  Vuo  alto-tedesco 
rivengano  ad  à  originario,  p.  es.  bródor,  pruodar,  fratello,  =  bhrà- 
tar  sanscrito,  fràter  latino. 


148  §  30.   DELLE   ASPIRATE   SANSCRITE  IN    GENERALE. 

La  comparazione  verte  dunque,  per  la  massima  parte,  in- 
torno a  quelle  aspirate  che  nel  sanscrito  son  medie.  Circa  la 
costituzion  fonetica  delle  quali,  si  è  potuto  o  voluto  disputare; 
poiché,  dall' un  canto,  se  i  grammatici  indiani  sono  concordi 
nel  porre  gh  dh  ecc.  tra  i  suoni  esplosivi,  gran  fatto  all'in- 
contro non  convengon  tra  di  loro  nella  descrizione  che  di  gh 
dh  ecc.  essi  ci  porgono;  e,  dall'altro,  surse  dal  campo  della 
fisiologia  la  risoluta  obiezione,  che  non  si  possa  dare  tal  suono 
composto  in  cui  a  esplosiva  sonora  {g  ecc.)  immediatamente 
sussegua  l'aspirazione  [h;  che  è  sorda  e  continua);  e  insieme 
l'ipotesi,  che  gh  dh  ecc.  si  avessero  a  tenere  per  sonore  con^ 
tinue  (omogenee  quindi  a.  j,  z  ecc.),  o,  in  altri  termini,  per 
sonore  spiranti,  e  quindi  per  suoni  semplici,  anziché  per  so- 
nore aspirate,  che  sarebber  suoni  abbinati,  doppj  *.  Si  aggiun- 
geva la  singolare  discrepanza  tra  le  medie  aspirate  sanscrite, 
dall'una  parte,  e  i  loro  riflessi  greci,  e  pur  proto-italici,  come 


*  E.  BrUcke,  Grundzuge  der  physiologie  und  systematik  der  sprach- 
laute  fùr  linguisten  und  taubstummenlehrer,  "Wien,  1856,  p.  59,  85; 
del  quale  autore  però  si  considerano  o  si  confutano  da  qualche  lin- 
guista le  opinioni  qui  allegate,  senza  tener  conto  di  ciò  che  più  tardi 
egli  ebbe  a  dire,  intorno  allo  stesso  subietto  (Uber  die  aspiraten  des 
altgriechischen  und  des  sanskrit),  nel  Giornale  pei  ginnasj  austriaci, 
Vienna,  1858,  p.  698-9.  L'Ebel,  Zeitschrift  s.  e,  XIII,  268-9,  ac- 
cennava a  qualcosa  di  intermedio,  ad  uno  bh,  p.  e.,  che  fosse  una 
muta  (cioè  un'esplosiva)  assai  vicina  a  w»  E  il  Brucke,  nel  luogo 
ultimamente  citato,  applicando  alle  medie  la  teoria  statuita  per  le 
tenui  dal  Raumer  (Giornale  pei  ginnasj  austriaci,  Vienna,  1858, 
pag.  370,  =  Oesammelte  sprachwissenschaftliehe  schriften,  p.  386-7), 
viene  all'ipotesi  della  esplosiva  combinata  colla  corrispondente  con- 
tinua, quindi  p.  e.:  bv  per  media  labiale  aspirata,  ipotesi  che  s'in- 
contra colle  afferra  azioni  indiane  di  cui  tocca  la  nota  che  segue.  Alle 
quali  mi  fermerò  piti  che  non  avrei  fatto  se  non  mi  sopraggiungeva, 
durante  la  stampa,  l'opera  di  Gugl.  Scherer:  Zur  geschichte  der 
deutschen  sprache  (Berlin,  1868),  nella  quale  si  sostiene  la  mede- 
sima sentenza. 


§  30.    DELLE   ASPIRATE   SANSCRITE  IN   GENERALE.  149 

a  suo  luogo  apprendiamo  (§32),  dall'altra;  i  quali  sono  sordi 
anziché  sonori,  e  condussero  a  sospettare  che  alla  fin  fine  non 
si  tratti  se  non  di  aspirate  originariamente  sorde,  le  quali 
sieno  diventate  sonore  (medie)  dopo  avvenuto  il  distacco  tra 
la  favella  ariana  dell'Asia  e  quella  degl'Itali  e  de' Greci. 

Ma  son  tutte  dubitazioni  od  ipotesi,  che  veramente  non  reg- 
gono a  martello.  Qualche  ondeggiamento  ne' vecchi  grammatici 
indigeni,  fuorviati  talvolta,  nelle  infinite  loro  sottigliezze,  da 
pregiudizj  teoretici,  non  può  contrabbilanciare  l'autorità  del- 
l'odierna pronuncia  indiana,  avvalorata  da  argomenti  istorici, 
ed  iu  fondo  confermata,  a  ben  vedere,  dal  complesso  delle  sen- 
tenze di  quegli  stessi  grammatici.  *  Le  testimonianze  sono  con- 


*  Nel  Pràtigdkhja  del  Rgveda  (xiii,  2;  ed.  Regnier,  Journ.  asiat., 
avril-mai  1858,  pag.  291)  è  detto,  che  la  natura  delle  aspirate  sonore 
(gh  dh  ecc.)  e  della  spirante  sonora  (^)  è  fiato-e-suono  (v.  sopra, 
pag.  17).  Quanto  alle  prime,  questa  definizione  si  coucilierebbe  otti- 
mamente colla  loro  pronuncia  attuale  (v.  sopra,  pag.  12),  che  vi  fa 
susseguire  un  elemento  sordo  (fiato)  ad  uno  sonoro  (suono);  e  circa 
lo  h  (y.  pag.  13-4  e  il  §  34)  è  da  considerarsi,  che  le  sue  ragioni  eti- 
mologiche volendolo,  per  gran  parte  degli  esemplari,  tra  le  sonore, 
alle  quali  la  grammatica  pur  lo  ascrive,  e  la  pronuncia  indiana  vo- 
lendolo, all'incontro,  sempre  ormai  fra  le  sorde,  per  un'alterazione 
del  valor  fonetico  che  gli  era  primamente  proprio  ne' molti  esemplari 
a  cui  alludiamo,  alterazione  che  del  resto  non  si  è  di  certo  compita 
tutta  ad  un  punto  né  contemporaneamente  in  tutti  gli  esemplari;  ne 
viene,  che  la  doppia  natura  di  fiato-e-suono  sussisterebbe,  comechè 
in  senso  diverso,  anche  per  esso  (v.  ancora  la  1."  n.  al  §  34).  Questi 
potrebbero  essere  i  fondamenti  istorici  dell'allegata  sentenza;  ma 
parrebbe  fare  ostacolo,  per  vero,  una  affermazione  precedente  (ib.  1: 
ubhajà  vataraubhàu,  cfr.  Regnier,  ib.,  301),  giusta  la  quale  le  con- 
dizioni di  fiato  e  suono  si  conseguirebbero  entrambe  per  una  postura 
intermedia  della  glottide,  tra  V allargato,  cioè,  che  dà  le  sorde  (fiato), 
e  il  contratto,  che  dà  le  sonore  (suono);  dal  che  si  vuole  inferire  che 
le  aspirate  sonore,  alle  quali  di  poi  si  attribuisce  la  natura  di  fiato-e- 
suono,  non  s'intendano  constare  di  doppia  emissione,  ma  bensì  di  una 
emissione  sola,  che  stia  tra  il  sordo  e  il  sonoro.  E  in  effetto,. un  altro 


150  §  30.    DELLE   ASPIRATE  SANSCRITE   IN    GENERALE. 

Cordi  neir  aflfermarci ,  che  le  medie  aspirate  suonino  in'  bocca 
degli  odierni  Indiani  quali  medie  susseguite  da  Un'aspirazione 


FratìQdkhyà  (Tàittirija-Pràtigàkhja,  ed.  Whitney,  New-Haven,  1869| 
II,  6,  9)  afferma  in  modo  esplicito,  che  nello  h  e  nelle  medie  aspi- 
rate l'emissione  è  ha-kàra,  cioè  questa  intermedia  tra  fiato  e  suono. 
Ma,  limitando  qui  il  discorso  alle  medie  aspirate,  la  ambigua  natura 
tra  sordo  e  sonoro,  e  il  principio  della  unicità  fonetica,  contrastano 
dall' un  canto  colla  pronuncia  attuale  e  colla  storia,  e  dall'altro  col 
complesso  delle  determinazioni  degli  stessi  grammatici ,  pei  quali  pur 
si  tratta  costantemente  di  base  media,  a  cui  si  combina  spirante  (saus^ 
man,  combinata-con-spirante ,  =  aspirata);  e  la  sentenza,  di  cui  ra- 
gioniamo, dovrà  aversi  per  uno  spediente,  al  quale  conducesse  la 
teoria  della  con-germinazione  anziché  della  con-giunzione  del  requi- 
sito specifico  delle  aspirate  ecc.  (Rgv.  Pratig.,  ib.,  6),  od  altra  squi- 
sitezza consimile.  Nello  stesso  Pràtigàkhja  del  Rgveda  (ib.,  5)  si  ag- 
giunge, che,  secondo  alcuni,  V aspiramneto  delle  aspirate  avviene  per 
spirante  omorganiea,  nelle  sonore  per  [spirante]  sonora  (cioè  per  h; 
ha-kàraina,  dice  il  commentario,  ap.  Regnier,  ib. ,  308,  alla  quale 
espressione  non  è  possibile  dare,  in  questo  caso,  il  valore  che  testé 
vedemmo  convenirle  nel  Tàittirija-Pràtigàkhja).  Intendono,  che  nelle 
aspirate  sorde  succeda  alla  tenue  una  continua,  e  quindi  Vi  si  abbia: 
/j+una  specie  di  visarga  (gihvàmùlìja,  cfr.  p.  14),  *  +  «,  t  +  s,  ecc., 
mentre  nelle  aspirate  sonore  avremmo:  media  +  h,  vale  a  dire,  astra~ 
zion  fatta  dalla  sottigliezza  della  doppia  natura  di  h,  la  loro  pronun- 
cia attuale.  Che  poi  le  aspirate  tenui  avesser  mai  suonato  ts  ts  ecc. , 
è  sentenza  che  non  ha  per  sé  il  minimo  argomento  positivo,  né  dall'ef- 
fettiva pronuncia,  uè  dall'istoria;  e  non  vale  di  certo  a  confermarla, 
anzi  ha  l'effetto  opposto,  il  veder  che  sia  senz'altro  estesa,  e  di  certo 
per  mero  arbitrio,  anche  alle  aspirate  medie,  da  un'autorità  a  cui  ve- 
diamo ricorrere  il  commentatore  del  Pràtigàkhja  dell' Atharva  (1, 10). 
Né  tampoco  può  smuoverci  il  veder  che  questa  sentenza  ora  trovi, 
come  avemmo  ad  accennare  nella  nota  che  precede ,  un  nuovo  e  ri- 
soluto fautore  europeo,  nello  Scherer;  poiché  l'acuto  alemanno  sem- 
bra non  volersi  dare  alcun  pensiero  delle  obiezioni  che  insurgono  dai 
fatti.  Come  sostenere  così,  senza  alcuna  prova,  che  bv,  per  limitarci 
all'esemplare  labiale,  abbia  potuto  farsi  5 /i?  Qui  naturalmente  si  ri- 


§  30.   DELLE  ASPIRATE  SANSCRITE   IN   GENERALE.  151 

'ben  distinta  {g-h  ecc.),  sia  che  le  leggano  nel  sanscrito  o  sia 
che  ne  proferiscano  la  integrale  continuazione  ne' volgari  san- 


producono  le  difficoltà  stesse  che  nel  testo  si  oppongono  alla  ipotesi 
della  semplice  spirante;  e  sono:  la  mutazione  per  sé  medesima  inau- 
dita, e  l'essere  affatto  aliene  dalle  aspirate  le  lingue  che  nell'India 
reagirono  sulla  favella  ariana.  Lo  bv  poi  si  sarebbe  ridotto,  secondo 
lo  Scherer  (o.  e,  47),  a  p/*  greco,  'ponendosi  la  fricativa  sorda  al 
posto  della  sonora*.  Egli  dunque  vorrebbe:  hv  hf  pf.  Ma,  a  tacere 
della  stranezza  di  questo  arbitrario  hf,  ha  egli  pensato  lo  Scherer 
a  invalidare  l'affermazione,  tanto  ben  fondata  e  sostenuta,  di  muo  jph 
proto-greco?  Intanto  noi  ritorniamo  alle  Indie,  per  avvertire  che  un'al- 
tra autorità  ancora,  citata  dal  commentatore  medesimo  (ib.,  Whit- 
NEY,  Journal  of  the  Am.  Orient.  Soc,  VII,  346,  591),  descrive  bensì 
distesamente  le  tenui  aspirate  secondo  la  sentenza  a  cui  alludiamo 
(<+s,  ecc.),  ma  delle  aspirate  medie  dice  solo,  che  sono  le  medie 
con  la  spirante  seconda:  ùsmanà  fia  dvitijaina.  Le  quali  parole 
direbbero  secondo  l'interpretazione  più  ovvia,  adottata  dallo  Whit- 
ney,  'colla  spirante  che  è  seconda  nella  serie*.  Ma  in  qual  serie  la 
cerchiamo?  Sarà  forse  la  seconda  nella  seconda  sezione  delle  spiranti 
[lo  gihvàmùlija],  giusta  l'ordine  del  Prà^ipàft/y a  del  Rgveda ?  Nes- 
suno può  crederlo  ;  e  confesso,  che  a  me  piuttosto  pare  di  aver  dinanzi 
una  di  quelle  costruzioni  che  si  direbbero  di  composto  disciolto,  e  tra- 
durrei: colla  spirante  per  accompagnatore,  per  secondo  membro;  e 
pur  qui  dovrebbe  per  ùsman  intendersi  quel  solo  ùsman  che  a  medie 
si  convenga,  cioè  il  sonoro:  h.  L'ultima  allegazione  del  commenta- 
tore del  Pràtigàkhja  dell' Atharvaveda,  è  preceduta  dalla  breve  no- 
tizia che  segue:  'dice  un  altro:  la  quarta  [cioè  la  media  aspirata,  si 
ottiene]  per  mezzo  del  h  (apara  àha  Raturthau  hakàrainaiti ',  o  vor- 
remo qui  attribuire  a  ha-kàra  il  significato  di  emissione  intermedia, 
che  deve  spettargli  nel  passo  del  Tàittirija-Pràtigàkhja  aìlegaiio  di 
sopra?)*.  -  Io  penso,  che  la  dottrina  indiana  àeìV  aspiramento  per 
spirante  omorganica  possa  avere  avuto  la  sua  buona  ragione  in 
qualche  antica  sentenza,  più  tardi  frantesa,  che  alludesse  al  variar 
dello  h  secondo  l'organo  diverso  della  esplosiva  a  cui  succede,  così 
a  un  di  presso  come  s' hanno  tre  diversi  ùsman,  che  in  fondo  non 
ne  costituiscono  se  non  uno  solo  (il  visarga),  determinati,  piti  o  men 
decisamente,  dalla  consonante  che  sussegue. 


152  §  30.    DELLE   ASPIRATE   SANSCRITE   IN   GENERALE. 

scritici  viventi  *.  Le  trascrizioni  indigene  in  caratteri  arabici 
rendono  l'aspirata  media,  del  pari  che  la  tenue,  per  due  ca- 
ratteri, il  primo  de' quali  rappresenta  la  semplice  esplosiva,  me- 
dia 0  tenue,  ed  il  secondo  uno  h  inglese  o  tedesco.  Né  può  cre- 
dersi in  alcun  modo  che  questa  pronuncia  abbinata  sia  fenomeno 
di  età  recente.  Vedemmo,  discorrendo  dell'alfabeto  (p.  12),  come 
lo  dh  del  pracrito  dhzdà,  figlia,  consti  etimologicamente  de' due 
suoni  che  stanno  distinti  e  divisi  nella  forma  archetipa:  duhitd; 
e  se,  nel  medesimo  idioma  pracrito,  le  antiche  medie  aspirate, 
così  come  le  tenui,  assai  frequentemente  si  riducono  al  solo  h 
(quindi,  a  cagion  d'esempio:  ahi  =  sscr.  ahhi,  ad-;  uhaja  =  sscr. 
ubhàja-,  amendue;  come  naha-  =  sscr.  nakhà-,  unghia,  o  lihanti 
?:  sscr.  likhànti,  pingunt,  scribunt),  e  pur  l'idioma  palico,  d'ac- 
cordo col  pracrito,  dice  lahu-  e  hauti  {hòti;  pracr.  hodi)  pei 


*  Così  per  es.  lo  Shakespear,  del  bh  indostano:  'as  b  with  aa 
aspiration,  sensibly  expressed,  yet  closely  as  one  individuai  lettre.' 
Il  missionario  citato  a  pag.  108  in  n. ,  insegna  anch'agli:  ^bha  secun- 
dum  b,  quod  aspirationem  sibi  adiungit,  dicendo  bha^ ;  ma  allo  dh 
attribuisce  stranamente  fuii^ione  doppia:  'est  secundum  d  asperum, 
cui  debetur  aspiratio  h,  et  etiam  respondet  ad  graecorum  8  delta.'*  Il 
fisiologo  BrIìcke,  dal  quale  erano  stati  primamente  mossi  gli  scru- 
poli, di  sopra  toccati,  circa  l'ammissibilità  di  vere  aspirate  medie, 
potè  poi  studiare  dal  vero  la  pronuncia  delle  aspirate  dell* indostano; 
e  le  risultanze  della  sua  indagine  si  hanno  sommariamente  nelle  tra- 
scrizioni che  ora  seguono  (v.  Uber  die  aussprache  der  aspiraten  im 
hindustani,  nei  Rendiconti  dell' Academia  di  Vienna,  Classe  fìlos.- 
istor. ,  XXXI,  219-24).  Sono  da  leggersi  secondo  pronuncia  tedesca, 
e  la  lineetta  indica  una  pausa,  comechè  minima.  Media  gutturale 
aspirata  iniziale:  gkhsi,s,  gkhiirsi]  stessa  aspirata  interna:  pi^-Aàlnà, 
pi^'-c/ilana  ;  stessa  aspirata  finale:  ha,g-h.  Può  quindi  conchiudersi, 
che  se,  dall' un  lato,  la  fisiologia  non  aveva  avuto  torto,  resta  sem- 
pre, dall'altro,  che  la  glottologia  avesse  ragione  (cfr.  p.  153-4).  Il 
valor  fonetico  rappresentato  per  gkh-  ò  prezioso  per  la  evoluzione 
delle  aspirate  che  pi^  innanzi  vediamo  compiersi  nel  greco,  nell'ita- 
lico e  nello  zingaro  (§§  31-2). 


§  30,    DELLE   ASPIRATE   SANSCRITE   IN   GENERALE.  153 

sanscriti  laghii-,  levis,  bhàvati,  est,  questa  riduzione  mal  si 
potrà  dichiarare  altrimenti,  che  per  la  progressiva  prevalenza 
del  h  sopra  l'elemento  esplosivo  al  quale  si  combinava,  e  quindi 
attesterà,  per  età  abbastanza  rimote,  un  valore  fonetico  delle 
aspirate  medie  non  diverso  da  quello  che  oggi  si  hanno.  Il  quale 
per  doppia  guisa  si  confermerebbe  dal  pracrito  hahini  (*baghinl) 
=  sscr.  bhagìni,  sorella,  lo  h  essendovi  cioè  migrato  dalla  esplo- 
siva iniziale  alla  mediana,  ed  avendo  poi  supplantata  questa  *. 
Ma  ancora  nel  sanscrito  stesso,  come  si  può  dichiarare  il  feno- 
nomeno  assimilativo  e  metatetico  insieme,  pel  quale,  a  cagion 
d'esempio,  labh,  asseguire, -congiungendosi  col  suffisso  -ta,  dà 
normalmente  lahdhà-,  o  il  fenomeno  di  aspirazion  compensativa, 
pel  quale,  a  dir  di  un  solo  esemplare,  dah  (*dagh),  ardere,  fa 
normalmente  nell' aoristo  vedico:  dhàk  **,  se  non  ammettendo 
tali  medie  aspirate,  quali  ce  le  offre  la  odierna  pronuncia"?  Gh, 
dh  ecc.  son  dunque  nell'India,  e  da  gran  tempo,  esplosive  me- 
die susseguite  da  7ì;  e  se  questo  fatto  ci  libera  dalle  lievi  dub- 
biezze che  le  sofisticherie  de' grammatici  possono  suscitare,  la 
esclusione  a  priori  di  simiglianti  aspirate,  che  dal  campo  della 
fisiologia  fu  avventurata,  se  ne  addimostra,  alla  sua  volta, 
insussistente,  comechè  non  si  voglia  negare  che  un  brevissimo 
interstizio  debba  indispensabilmente  intercedere  tra  il  proferi- 
mento della  media  e  quello  dello  h,  e  quindi  la  media  aspirata 
non  si  possa  dire,  a  tutto  rigore,  un  suono  individuo.  Il  quale 
interstizio  però,  a  ben  vedere,  non  solo  non  ripugna  alla  costi- 
tuzione di  una  qualsiasi  vera  aspirata,  ma  anzi  si  avrà  piut- 
tosto a  riputare  ad  essa  inerente  ;  posciachè  la  ragion  prima 
di  ogni  vera  aspirata  indo-europea  stia  veramente  per  nostra 
sentenza  in  ciò,  che  allo  spiccato  e  quasi  divulso  proferimento 
della  esplosiva  succeda  uno  spirito  aspro,  che   viene  come  a 


*  Cfr.  Lassen  ,  Institutiones  pracriticae,  pag.  203,  210;  e  i  miei 
Stuój  critici,  II,  112. 

**  Cfr.  dhak  da  dagh,  raggiungere,  ap.  Boehtling-Roth ,  s,  dagh 
e  dah. 


154  §  30.    DELLE   ASPIRATE   SANSCRITE   IN   GENERALE. 

congiungerle  il  resto  della  parola.  Cosi  la  genesi  dell'aspirata 
che  è  nei  sanscriti  dhd,  porre,  dhmà,  soffiare,  si  determina,  se- 
condo il  nostro  concetto,  nella  guisa  che  segue:  d'-hd,  d'-hmà, 
e  non  diversamente  quella  dello  th  di  sthd,  stare:  st'-hd.  Del 
che  si  avrebbe,  per  avventura,  la  miglior  dimostrazione  in  for- 
me paleo-irane  sulla  stampa  di  mithra  (Mitra,  amico,  amore; 
sscr.  mitra)  o  *mudhra  (sigillo;  sscr.  mudrà),  cioè  veramente 
mit'-hra  mud'-hra,  ridotti  in  pronuncia  odierna  a  mihr  muhr. 
Ma  riserbando  ad  altro  luogo  considerazioni  men  brevi  intorno 
alla  genesi  delle  aspirate  indo-europee  *,  qui  intanto  ci  rimane 
ancora  questo  doppio  quesito:  l'aspirata  media,  quale  è  oggi  e 
quale  è  da  gran  pezzo  nell'India,  potrà  ella  essere  stata  in  età 
anteriori  una  semplice  continua  sonora  (spirante),  oppure  una 
aspirata  tenue%  E  la  risposta  dovrà  pur  sempre  essere  nega- 
tiva. Poiché  vi  ha  primamente,  che  entrambe  le  ipotesi  hanno 
contro  di  sé  il  fatto  dello  z  indo-irano  (§34),  il  quale  essendo 
una  continua  sonora  ed  esistendo  allato  a  gh  da  cui  solita- 
mente proviene,  attesta  che  gh  sia  consonante  che  dalla  conti- 
nua si  distinguesse  e  fosse  insieme  sonora  anche  nell'età  indo- 
irana.  E  le  ulteriori  comparazioni  ugualmente  non  persuadono 
alcuno  de'  due  supposti.  Bh  sanscrito ,  poniamo ,  incontrerà  ce 
greco  e  /"proto-italico  (§  32),  h  proto-irano,  h  celtico,  h  litu- 
slavo,  h  germanico.  Ora  una  continua  sonora  pre-indiana  non 
ha  conferma  da  alcuno  di  questi  riflessi;  e  il  supposto  della 
tenue  aspirata  pre-indiana  trova  l'ostacolo  gravissimo  della 
media  irana,  litu-slava  e  celtica  **,  laddove  la  divergenza  italo- 


*  Per  ora  mi  limito  ad  aggiungere,  come  al  mio  concetto  non  ri- 
pugni la  media  aspirata  finale  de' volgari  neo-indiani,  siccome  quella 
che  primamente  era  interna;  e  come  lo  favorisca  il  sanscrito,  con 
l'assoluta  sua  esclusione  di  aspirata  finale. 

**  Quanto  alla  germanica,  chi  prenda,  come  fecero  il  Grimm  ed 
il  Raumer,  per  termine  fondamentale  la  figura  greca,  trova  p.  e.  b 
got.  -ph  (cp),  e  quindi  conchiude  che  si  abbia  media  gotica  per  tenue 
aspirata  (o  spirante  sorda)  anteriore,  così  come  nel  secondo  stadio 


§•30.    DELLE  ASPIRATE   SANSCRITE   IN    GENERALE.  155 

greca  si  dichiara,  come  a  suo  luogo  vediamo,  in  modo  affatto 
naturale.  L'ipotesi  del  tutto  arbitraria  che  la  media  aspirata 
indiana  provenga  da  spirante  anteriore,  incontrerebbe  poi  spe-- 
cialmente  questa  difficoltà:  che  se,  dall' un  canto,  il  processo 
fonetico  pel  quale  una  continua  si  converta  in  media  aspirata 
(v,  a  cagion  d'esempio,  in  bh)  è  affatto  enorme  e  inaudito, 
s'aggiunge,  dall'altro,  per  l'India,  che  lungi  dal  potersi  avere 
una  qualche  legittimazione  di  questo  singoiar  processo  nell'in' 
dole  peculiare  delle  lingue  aborigene  che  reagirono  sulla  so- 
vrapposizione ariana  (Lez.  VI),  queste  all'incontro  sono  affatto 
aliene  dalle  aspirate,  siccome  quelle  al  cui  fondo  originale  siffatti 
suoni  son  del  tutto  estranei  *.  L'ipotesi,  finalmente,  che  la  me- 
dia aspirata  indiana  sia  primamente  stata  un'aspirata  tenue,  è 
ancora  sgominata  da  altre  peculiari  ed  assai  gravi  obiezioni. 
Dovrebbe,  cioè,  l'alterazione  di  kh  in  gh  ecc.  risalire,  per  dir 
poco,  all'età  indo-irana,  in  questa  distinguendosi,  come  le  con- 
cordanze zendo-sanscrite  ci  mostrano,  la  serie  delle  tenui  aspi- 
rate [kh,  th,ph),  rimaste  sempre  tali,  dalla  serie  de' suoni  che 
si  continuano  per  medie  aspirate  sanscrite  e  medie  zende.  Ora, 
dove  mai  troviamo  alcun' ombra  di  analogia  per  simigliante  e 


del  tralineamento  germanico,  ma  solo  per  la  dentale,  si  ha  media 
alto-tedesca  rimpetto  a  tenue  aspirata  (o  spirante  sorda)  di  anteriori 
età  germaniche  (v.  p.  63-4).  Ma  non  si  dovrà  piuttosto  ricondurre 
senz'altro  la  media  gotica  alla  media  aspirata  originaria  (b  a,  bh  ecc.), 
qonchiudendo,  che  se  per  questa  parte  non  si  altera  in  favella  proto- 
germanica  il  metallo  della  consonante  (media  per  media),  ciò  dipenda 
dal  trattarsi  nelle  origini  di  media  aggruppata  {b  +  h  ecc.),  e  s'abbia 
quindi  un  caso  analogo  alla  tenue  che  si  mantiene  intatta  quanto 
sussegue  a  s,  e  con  ciò  una  special  riprova  germanica  per  la  media 
aspirata  originaria? 

*  Cfr.  la  Lez.  VI;  e  I'rumpp  nel  Giornale  della  Società  orientale 
germanica,  XV,  728,  conWEiGLE,  ib.,  II,  262-3.  Quindi,  a  cagion 
d'esempio,  i  sanscriti  Vidjàdhara  Gàndharva  Siddha  Cambhu,  di- 
venteranno, passando  nel  tamilo  (idioma  dravidico)  :  Vittijàdara 
Kàndarva  Citta  Cambu\  cfr.  Studj  critici,  II,  114,  in  n. 


156  §  31.    DELLE   ASPIRATE   GRECHE   IN   GENERALE. 

tanto  estesa  digradazion  fonetica  in   cosi  rimota  età,  e  come 
ammetterla  in  tali  congiunture  appunto  (k  +  h,  t  +  h,  ecc.),  le 
quali  tanto  poco  le  son  favorevoli,  anzi  tanto  le  son  contrarie, 
che  i  suoni,  a  cui   per  essa  il  linguaggio  si  sarebbe  ridotto, 
ben  lungi  dal  corrispondere  al  naturale  intento  delle  digrada- 
zioni fonetiche,  cioè  a  quello  di  alleviare  la  pronuncia,  sono 
siffatti,  all'incontro,  che  perfino  si  vollero  fisiologicamente  im- 
possibili'? Tutto   quindi  cospira   ad  accertarne,  che  i   suoni  i 
quali  sì  continuano  per  le  medie  aspirate  del  sanscrito,  diversi 
dalle  pure  medie  fin  dalle  origini,  come  il  riflesso  gotico  vien 
tra  gli  altri  a   mostrarci,  fossero,  sin   dal  periodo   unitario, 
esplosive  sonore  susseguite  da  più  o  men  densa  aspirazione,  e 
che  il  sistema  fonetico  del  sanscrito  non  sia  quindi  men  fedele 
per  questa  parte   al  sistema  originario,  di  quello  ch'egli  sia 
nella  continuazione  della  pura  tenue  e  della  pura  media  *. 
§  31.      Viene  ora  la  volta  delle  consonanti  greche:  •/,  5,  9;  e  prima- 
mente si  domanda ,  se  nell'  antichità  ellenica  fossero  mere  spi- 
ranti, cioè  continue,  così  come  il  sono,  massime  y,  Q  ^  {h  e  f), 
nell'odierna  favella  greca,  oppure  se  non  fossero  vere  aspirate, 
0  meglio  esplosive  susseguite  dì  un  accessorio,  la  natura  del 
quale  è  insieme  involta  nello  stesso  problema.  Che  la  pronuncia 
di  queste  consonanti  le  rendesse  ben   distinte,  nell'antichità, 
dai  suoni  continui  che  in  moderni  tempi  lor  corrispondono,  ed 
anzi  le  mettesse  tra  le  vere  esplosive,  risulta  principalmente 
dal  fatti  che  ora  enumeriamo  :  1 .°  /  e  tp  debbono  avere  assai 
notevolmente  differito  da.  h  e  f,  poiché  i  Latini,  nell' appropriarsi 


*  Cfr.  Curtius,  Zeitschrift  s.  e,  II,  323-8  (Grundzùge  ecc.,  sec. 
ediz.,  373-7);  Grassmann,  ib.,  XII,  81  e  segg.;  Arendt,  loc.  cit., 
pag.  285-308.  Mancano,  a  mio  vedere,  di  ogni  persuasività,  le  consi- 
derazioni del  Raumer  :  Gesammelte  sprachioissenschaftliche  schriften , 
pag.  391-3.  E  chi  volesse  far  valere  per  gh  da  kh  ecc.  la  trascrizione 
greca  2o<p!XYaar^vo;  =  Subhagasainas  (A.  W.  Schlegel,  Indische  biblio- 
thek,  l,  24S)  y  mostrerebbe  di  aver  dimenticato  1' Outvotov  opo;  (Vin-m 
dhja),  i  ravSdcpat  {Oandhàra),  e  altrettali, 


§  31.   DELLE   ASPIRATE   GRECHE   IN   GENERALE.  157 

l'alfabeto  greco,  non  si  adattarono  a  rappresentar  questi  per 
mezzo  di  quelli*;-  2."  nell'antichissimo  alfabeto  greco  che  si 
ricava  da  iscrizioni  di  Thera  e  di  Melos,  isole  del  mare  egeo,  lo  x 
è  ancora  rappresentato  per  KH  (cui  si  aggiunge  QH,  v.  p.  59  in 
nota),  e  (f  per  nH,  delle  quali  rappresentazioni  si  ritocca  tan- 
tosto; -  3.0  l'arcaica  trascrizione  latina  dì  x,  ^,  (^,  è  e,  t,  p;  ~ 
4.0-5."  il  fenomeno  raetatetico,  pel  quale,  a  cagion  d'esempio, 
Tp7  +  i;  (trikh  +  s)  dà  3pt^  (thrik-s),  capello,  capigliatura,  o  la 
normale  reduplicazione  per  mera  tenue,  come  in  Tt-^>)-iji.i  (ti-thé- 
-mi),  pongo,  son  fenomeni  che  male  si  possono  conciliare  con 
l'ipotesi  dell'antica  spirante;  -  6.°  si  aggiungono  quelle  ortogra- 
fie per  le  quali  addurremo  l'esempio  xà^'  cpa'Xapa  (II.,  xvi,  106,  ad 
clavos-cassidis;  per  }<.olt[(x.]  ^a'Xapa;  cfr.,  piuttosto  che  il  restituito 
xocTco^ifxsvof;,  l'esichiano  xàTrcpays  =  xaracpaye),  che  ci  dà  t:  per  t  as- 
similato a  cp,  ed  entra  veramente  nella  regola  di  ■^<f  per  doppio 
f,  ecc.  **.  Questi  argomenti,  ed  altri  consimili,  alcuni  de' quali 
non  tardiamo  ad  incontrare,  persuadono  adunque  che  si  tratti 
di  suoni  esplosivi,  e  rimarrebbe  a  definirsi  la  qualità  dell'ele- 
mento accessorio  pel  quale  si  distinguevano  dalle  pure  tenui. 
Qui  son  due  essenzialmente  le  opinioni  che  si  stanno  di  fronte. 
Per  l'una,  l'aspirata  greca  avrebbe  consistito,  sin  dalle  origini, 
della  tenue  susseguita  dalla  spirante  dell'organo  respettivo  ***; 
quindi  approssimativamente  kh,  ts,  pf;  per  l'altra,  all'incontro, 
avrebbe  primamente  consistito  della  tenue  accompagnata  dalla 


*  La  presenza  di  /^  (\1/)  e  cp,  cioè  di  segni  monografici  per  kh  e ph 
mal  saprebbesi  revocare  in  dubbio  per  quell'alfabeto  greco  onde  il 
latino  deriva.  Occorrono  essi  (a  tacer  dell'etrusco)  negli  antichi  al- 
fabeti greci  ritrovati  in  Italia,  e  non  sono  estranei  se  non  al  solo 
alfabeto  di  Thera  e  Melos.  Cfr.  Kirchhoff,  Studien  zur  geschichte 
des  griech.  alphab.,  sec.  ediz. ,  pag.  133-4,  120,  116. 

**  V.  ancora  Curtius,  op.  cit. ,  sec.  ed.,  p.  370-2;  e  qui  innanzi, 
a  pag.  162. 

***  Cfr.  Ebel,  Zeitschrift  s.  e,  XIII,  265-8;  Raumer,  1.  e,  386,400 
(ma  più  prudentemente  ib.  98),  e  Brucke,  Giornale  pei  ginnasj  au- 
striaci, IX,  696  (699). 


lèS  §  31.    DELLE   ASPIRATE   GRECHE   IN   GENERALE. 

mera  aspirazione:  h;  quindi  kh,  th,ph,  come  nella  odierna  pro- 
nuncia delle  tenui  aspirate  sanscrite.  Ora,  per  la  seconda  sen- 
tenza stanno  apertamente  due  dei  fatti  che  testé  adducemmo  nel- 
l'intento di  accertare  la  qualità  di  esplosive  a  x,  5,  cp.  Imprima 
quello  della  metatesi  (*trikh-s,  thriks);  poiché  se  ^pt'^  è  tsriks , 
non  si  comprende  come  lo  k  mancato  all'  uscita  del  tema  {trikh-) 
si  riversi  sulla  muta  iniziale  in  forma  di  s.  Poscia  quello  di 
KH  =  •/  e  IIH  =  cp  ;  poiché  ben  sarà  vero  che  queste  rappresen- 
tazioni biletterali  fossero  un  ripiego  al  quale  costringeva  il 
non  trovarsi  pronti,  nella  scrittura  fenicia,  rappresentanti  ade- 
quati dì  y  e  di  cp,  ripiego  che  assai  per  tempo  cedette  il  luogo 
all'invenzione  di  appositi  caratteri,  ma  non  per  ciò  potrà  ne- 
garsi che  sia  un  fatto  importante  per  la  nostra  indagine  questo 
dello  H,  cioè  del  carattere  che  insieme  serviva  anche  per  lo 
spirito  aspro,  assunto  alle  funzioni  di  rappresentare  il  suono 
accessorio  che  accompagnava  la  muta  in  x  ed  in  <?.  Dove  an- 
cora va  considerato,  per  ultimo,  il  fenomeno  di  x  x  ti  che  ade- 
rendo a  spirito  aspro  si  facciano  -/,  -^  ?>  come  è  per  esempio  in 
l^oStov  (ciò  che  si  ha  per  un  viaggio),  che  è  pur  del  greco  mo- 
derno e  consta  di  ìm  +  hh-io-.  Del  qual  fenomeno  si  potrà  per 
avventura  disputare  se  propriamente  provi  che  /  5  cp  valessero 
k-h  t-h  p-h  *;  ma  certo  è  che  per  lo  meno  se  ne  addimostri, 
nel  più  irrefragrabile  modo,  come  k-h  Uh  p-h  vengano  a  con- 
tinuarsi per:  i  à  a».  Le  più  antiche  testimonianze  intorno 
alla  pronuncia,  e  le  ragioni  intrinseche  della  lingua,  cospirano 

*  Così  l'Ebel,  1.  e,  p.  268,  vuole  che  le  figure  jonie  àvr'  'tirTrou 
da  cavallo  (stando  a  cavallo),  sTtopao)  (iTrt'  +  ópato),  osservo,  e  simili ^ 
allato  alle  attiche:  àcp'  ^tczou,  ecpopaw  ecc.,  provino  contro  ^=p'h  ecc.; 
posciachè,  die' egli,  se  àcp"t7nrou  scopai»  sono  ap-h  (h)ippù  ep-horaó , 
non  s'ha  più  alcuna  differenza  tra  queste  figure  e  le  jonie.  L'obie-' 
aione  è  speciosa,  ma  non  si  regge  bene;  poiché  la  differenza  starà 
veramente  in  ciò,  che  lo  spirito  fosse  poco  o  punto  sensibile  in  prò-' 
nuncia  jonia,  e  quindi  vi  si  avesse  quasi  apippù  per  Vaphippù  degli 
Mtici.  Cfr.  p.  e.  KUhner,  Ausfùhrliche  gramm.  d.  griechisch.  spr. ,' 
sec.  ed.,  Annover,  1869,  p.  100-1. 


§  31.    DELLE   ASPIRATE   GRECHE  IN   GENERALE.  l59 

quindi  a  persuaderci  che  il  primo  valor  fonetico  rappresentato 
da  X  5  cp  fosse  k-h  t-h  p-h,  ed  è  persuasione  che  avrà  piena 
conferma  dalle  ragioni  comparative.  Ma  non  resta  per  ciò  men 
vero,  che,  a  tacer  d'altro,  lo  5  soleva  ridursi,  fra'Laconj,  a  a; 
che  inoltre,  sin  da' tempi  di  Quintiliano,  lo  cp  più  non  doveva 
essere  una  tenue  aspirata  alla  indiana,  se  egli  lo  metteva  tra' 
suoni  dolcissimi,  tra  le  grazie  migliori  dell'invidiata  favella 
de'  Greci  *  ;  e  che ,  finalmente ,  nella  odierna  pronuncia  degli 
EUeni,  /.  (=  eh  gutt.  ted.  **;  h)  e  o  {=  f  it.)  vanno  a  dirittura 
tra' suoni  spiranti  o  continui,  e  ^,  alla  sua  volta,  che  si  ac- 
costa allo  th  sordo  dell'inglese,  o  li  rasenta,  o  affatto  v'entra 
esso  pure.  La  evoluzione  fonetica,  per  la  quale  da  p-h,  a  ca- 
gion  d'esempio,  si  viene  a  /*,  deve  naturalmente  essersi  com- 
piuta a  grado  a  grado,  e  non  in  tutte  le  congiunture,  o  in 
tutti  gli  esemplari  di  una  stessa  congiuntura,  ad  un  tempo,   né 


»  Inst.  or.,  XII,  10,  27.  28;  v.  Studj  critici,  II,  205-6.  Ma  dal 
passo  di  Platone  nel  Cratilo,  in  cui  cp,  <|/,  d  e  C,  si  dicono  lettere  ven- 
tose (xvsufAaTwSv])  nulla  od  assai  poco  ci  è  dato  inferire.  —  La  nota 
sentenza  di  Prisciano  (sesto  secolo),  giusta  la  quale  non  naolto  dif- 
feriva il  gr.  ^  dal  f  lat.  (I,  14:  hoc  tamen  scire  debemus,  quod  non 
flxis  labris  est  pronuntianda  /",  quomodo  ph  [<p] ,  atque  hoc  solum 
interest;  cfr.  ib.  25),  si  può  forse  sospettare  di  essere  un  po' troppo 
livellatrice,  stante  il  suo  proposito  di  volere  f  tra  le  mute  anziché 
tra  le  semivocali,  volerlo  cioè  àcpwvov  piuttosto  che  :^[jLt'iytovov,  come 
con  suo  stupore  gli  artium  scriptores  facevano.  'Sciendum  tamen 
(aggiunge),  quod  hic  quoque  error  a  quibusdara  antiquis  Graecorum 
grammaticis  invasit  Latiiios,  qui  <p  et  ^^  et  /  semivocales  putabant, 
nulla  alia  causa,  nisi  quod  spiritus  in  eis  abundet,  inducti.'  È  noto 
che  Dionisio  Trace  pone  i,  5,  cp,  come  sempre  si  fa  ancora,  tra  le 
à^tova,  dove  Sesto  Empirico,  all'incontro,  pur  tenendo  conto  dell' o- 
pione  di  coloro  (Ti've;,  Ivtot)  che  a  questo  modo  le  collocano,  le  manda 
fra  le  ^^ixi^wva;  circa  le  quah  denominazioni,  non  voglionsi  mai  di- 
menticare i  contesti.  V.  p.  e.  Lersch,  Die  sprachphilosophie  der  al- 
ien, 11,73,  e  cfr.  ib.,  262-4. 

*•  Innanzi  ad  e  ed  i,  x  suonerebbe  come  lo  eh  palat.  dei  Tedeschi. 


Ì60  §  31.    DELLE   ASPIRATE   GRECHE   IN   GENERALE. 

ad  un  tempo  e  a  un  modo  stesso  (massime  per  ^)  nelle  varie 
contrade;  e  non  saprebbe  d'altronde  negarsi,  che  lungo  i  secoli 
venissero  surgendo,  per  successivi  inaspiramenti,  tali  esemplari 
di  X  ^  <p,  che  non  avranno  mai  avuto  il  pieno  valore  di  k-h  t-h 
p-h  *.  Primo  a  volgere  in  spirante  dev'essere  stato  lo  p-h,  co- 
me è,  tra  l'altre,  mostrato  dall' aversi  costantemente /*=  cp  nelle 
voci  greche  venute  agli  idiomi  romanzi  pel  tramite  del  latino, 
quando  all'incontro  vi  si  ha  costantemente  e  =  /.  e  ^  =  ^;  p.  e.,  in 
favella  italiana,  filosofìa  (nell'antico  irland.:  felsuh,  philoso- 
phus,  fellsube,  philosophia)  =  ©iXoaocptoc,  ma  corda  =  jo^H,  chi- 
tarra^ xt^ocpx.  Lo  5  moderno,  che  tuttavolta  ha  qualche  buon 
diritto  a  restar  tra  le  esplosive,  e  può  dirsi,  per  approssimazio- 
ne, suono  intermedio  tra  ^s  e  'f,  è,  del  resto,  il  miglior  testimo- 
nio istorico  della  via  che  tennero  le  antiche  aspirate  greche  per 
volgere  in  spiranti,  appunto  perchè  t-h  si  è  per  questa  via  ri- 
dotto a  foggie  varie,  in  parte  da  lui  e  tra  loro  acusticamente 
assai  rimote.  La  base  delle  diverse  alterazioni  di  t-h  si  può  rap- 
presentare graficamente  per  ts,  e  quindi  vi  abbiamo  la  tenue 
susseguita  dalla  continua  che  a  lei  corrisponde,  anziché  dalla 
mera  aspirazione;  il  qual  fenomeno  avviene,  di  necessità,  quan- 
do il  contatto,  formatosi  per  la  produzione  della  tenue  (p.  18), 
si  discioglie  in  scarsa  misura,  anziché  prosciogliersi  di  un  tratto 
largamente,  come  è  d'uopo  perchè  dietro  a  lei  si  produca  lo 
h  **,  Ora,  di  questa  guisa,  k-h  darà  kh  (muta  e  continua  gut- 


*  Si  allude  principalmente  alle  combinazioni  y^-  -/5-  <p5-  -;p5-.  Due 
aspirate  sanscrite,  all'incontro,  non  si  combaciano  mai;  ed  è  un'ec- 
cezione solo  apparente  il  raddoppiarsi  di  qualche  aspirata  in  orto- 
grafie insolite  ihhRh,  dìidh  rdhdhy  dhdh).  Le  aspirate  sanscrite,  sì 
tenui  e  sì  medie,  non  occorrono  se  non  dinanzi  a  vocali,  a  semi- 
vocali ed  a  nasali.  V'ha,  del  rimanente,  questo  di  comune  al  san- 
scrito ed  al  greco,  che  entrambi  gl'idiomi  aborrano  dal  tipo  radicale 
in  cui  s'abbia  insieme  aspirata  iniziale  ed  aspirata  uscente  (v.  Vlnd.); 
dal  che  nuovamente  si  conferma  la  qualità  di  aspirate  vere  pei  ri- 
spettivi suoni  indiani  e  paleo-greci. 

**  Brùcke,  op.  cit. ,  p.  59;  cfr.  Raumer,  Die  aspiration  xmd  die 
lautverschiebung ,  §§  43,  52,  60,  Ebel,  1.  e,  p.  265-6. 


§  31.    DELLE   ASPIRATE   GRECHE   IN   GENERALE.  161 

turale),  che  assai  naturalmente  finisce  per  ridursi  al  sem- 
plice U',  e  p-h,  alla  sua  volta,  darà  pf  {mxkÌB.  e  continua  la- 
biale), che  altrettanto  naturalmente  si  riduce  a  poco  a  poco 
al  semplice  /!  Ma  dato  uno  t-h,  il  cui  t  sia  il  t'"  del  fisiologo 
Briicke,  sia,  vale  a  dire,  un  t  qual  si  produce  a  denti  un 
po'  schiusi  e  colla  fessura  otturata  dall'  orlo  della  lingua ,  e 
quale  da  noi  si  arguirà  anche  altronde  che  fosse  proprio  al- 
l'antica Grecia  (v.  Lez.  VII),  allora  l'appendice  fricativa  sarà 
a  un  di  presso  quello  g  [e,  z)  spagnuolo  che  'se  forma  con  la 
estremidad  de  la  lengua  casi  morbida  de  los  dientes  no  apre- 
tados*,  il  suono,  cioè,  che  rappresenteremo,  un  po'  per  conven- 
zione, collo  p  dell'alfabeto  islandese  (al  quale  togliamo  anche 
la  corrispondente  continua  sonora:  cf)  e  facilmente  degenera 
in  suoni  diversi,  come  ha  tentato  descrivere  il  medesimo  fisio- 
logo *,  e  come  noi  stessi  avremo  occasione  di  avvertire  in  ap- 
presso. Delle  combinazioni  intermedie  che  noi  dunque  scrive- 
remmo: kh  ip  pf,  può  veramente  conchiudersi  che  all'odierna 
pronuncia  degli  EUeni  poco  di  più  rimanga  che  la  parte  acces- 
soria {/_  =  li,  ^  =p,  ^  =f)',  6  se  dello  3-  ebbi  a  dire  poco  stante, 
che  pure  in  moderne  età  serbi  qualche  diritto  ad  essere  anno- 
verato tra  le  esplosive,  con  ciò  in  ispecie  alludevo  alle  sorti 
dello  5  nelle  colonie  greche,  tutt' altro  che  paleo-elleniche,  della 
Terra  d'Otranto  **,  dove  la  pronuncia  sua,  al  punto  dell'im- 
migrazione, si  avrebbe  a  rappresentare,  al  modo  nostro,  per  ^p; 
il  qual  suono,  avversato  eziandio  dall'influsso  italiano,  venne 


*  Op.  cit.,  p.  39.  —  Con  p  rappresenteremmo  dunque  lo  th  sordo 
dell'inglese  (p.  e.  in  thief,  ladro),  e  con  d  lo  th  sonoro  pur  dell'in- 
glese (p.  e.  nell'artic.  the). 

**  Le  notizie  intorno  ai  dialetti  greci  di  queste  colonie  sono  attinte 
per  la  maggior  parte  dalla  Fonologia  che  di  essi  ci  porge  un  mio 
caro  discepolo,  il  dott.  Giuseppe  Morosi,  ne' suoi  pregevoli  Stuàj  sui 
dialetti  medesimi,  fatti  sul  luogo  e  ora  in  corso  di  stampa.  Mi  valgo 
eziandio  dei  Saggi  dei  dialetti  greci  delV  Italia  Meridionale ,  raccolti 
ed  illustrati  da  Domenico  Comparetti,  Pisa,  1866  (p.  45-81),  che 
son  poi  la  fonte  principalissima  per  le  colonie  calabresi. 

Ascoti ,  Fonai,  indO'U.'C/r.  Il 


102  §  31.    DELLE   ASPIRATE   GRECHE    IN    GENERALE. 

a  determinarsi  ora  in  puro  t  {^p,  t)  ed  ora  in  i  (=  ,s  francese; 
'kl,  i),  secondo  che  ora  vediamo: 

1  ''■'.  In  tutte  quelle  colonie  ò  t  costantemente  per  5  iniziale  (ma  non 
vedo  eserapj  per  3-  iniziale  innanzi  a  liquida):  tdnato  =  ^y.vxTo:; , 
morte;  ti'do  =  S-iloa,  vog'lio;  fermò  =  S'i^aó^ ,  caldo ;.  ifero  =  .3"£po; , 
messe;  f?"o  =  ^éTo;,  zio;  ;^eó  =  .S-òói; ,  dio;  talassa  ■=  ^iXxnax  {mes  's  ti 
ttdlassa,  in  mezzo  al  mare,  Canto  cxxv  ap.  Morosi;  talass  slt^. 
CoMPARETTi,  pag.  50,  51).  Fa  eccezione:  seó  =  ^loq,  dio,  a  So- 
leto  **.         E  in  tutte  è  pur  t  per  5  interno,  ^^quando  sussegua  a 


*  Morosi,  pag.  107;  cfr.  131-2.  Dì  ^  ridotto  a  x  in  altri  dialetti 
neo-greci  tocca  il  Mullach,  Grammaiik  der  griecMsch.  vulgarspra- 
che  in  historischer  entwicklung ^  p.  28,  89;  vedi  ancora  la  n.  *  della 
pagina  che  segue,  e  la  n.  a  pag.  164  per  x  da  /.  Questi  fenomeni 
neo-ellenici  mi  pajono  assai  infelicemente  giudicati  da  Enr.  Roscher, 
nella  sua  Memoria  De  aspiratione  vulguri  apud  graecos  (ap,  Curtius, 
Stud.  zur  griecMsch.  u.  lateinisch.  gramm.,  fascic,  li,  63-127),  117, 
la  quale  va  ricca,  del  resto,  di  erudizione  bene  ordinata  {y.  Aspi7''a- 
menti).  —  11  8  non  è  mai  fricativo  (e?)  in  Terra  d'Otranto,  com'è 
nella  moderna  Grecia;  ma  è  sempre  schiettamente  esplosivo  (d),  così 
iniziale  come  interno  (Morosi,  p.  106).  Questo  fatto  può  egli  infir-' 
mare  l'induzione  che  il  t  per  ^,  della  stessa  Terra  d'Otranto,  sia 
documento  di  ^  non  peranco  ridotto  a  mera  fricativa?  Non  parmi 
affatto;  è  ben  piuttosto  avremo  a  dire,  che  o,  alla  sua  volta,  fosse 
primamente,  in  queste  colonie,  uno  dd  collo  d  appena  incipiente,  il 
quale  d  venisse  poi  a  dileguarsi,  come  si  è  dileguato  anche  l'elemento 
fricativo  dello  tp  iniziale,  dove  all'incontro  nello  tp  (onde  dd  ^d)  me- 
diano la  fricativa  dev'essere  stata  piti  gagliarda,  ed  ha  vinto. 

**  Non  è  inopportuno,  ricordare,  come  fa  il  Morosi,  il  laconio  ciò'; 
= -^có;,  comechè  mi  paja  piti  probabile  che  si  tratti  di  riproduzione 
del  fenomeno,  anziché  di  continuità  isterica.  Anche  dubiterei  se  que- 
sta di  seó  =  5ìo;  sia  proprio  l'unica  eccezione;  poiché  in  hiatéra .{e 
iatéra)  =  romaico  ^\j\^]v.xi^x^  figlia»  è  impossibile  tener  lo  ?i  pel  se- 
condo elemento  del  paleo-ellenico  th,  ma  ben  piuttosto  avremo:  'ciuoc- 
Tepa  (cfr.  l'equivalente  zaconio  ffuaxv] ,  che  si  pronuncia  sdii),  onde  si 
ottiene  normalmente:  sjatéra,  sjatóra,  e  da  questo,  con  pronuncia  ral- 
lentata (cfr.  jp.  e.  il  calabr.  liuri  =  napol.  sore ,  fiore)  :  hiatéra.  Quanto 


§  31.    DELLE   ASPIRATE   GRECHE   IN    GENERALE.  1.631 

consonatite:  ecjherti  -  l^i^ò(\  [■^y^'p'^'ì]  (Comp. ,  p.  55) ,  dèstossi  ; 
irta  =  ^i\k^x  [-^X^ov],  venni  *;  eclisti  =  èxÀsia^yj  (Comp.,  p.  49), 
si  chiuse  **;  spitta  =  (jTttv^/j'p,  scintilla;  patterò  =  7r£v.3-ipo?,  suo- 
cero; «nfrepo  =  cév^pwzo;,  uomo.  A  5  iftterrio,  tra  votali, 
risponde  il  dialetto  di  Sternatia  parte  ancora  col  puro  t  e  "parto 
con  d',  gli  altri,  di  regola,  col  s  italiano  di  deriso,  cioè  collo  z 
della  nostra  trascrizione.  Quindi,  nel  dialetto  di  Sterriatia:  ■itela 
na  mata  =  romaico  vj^iXx  vx  (xa^-w,  vorrei  apprendere  ***;  litàri 
-  Xt.3-ocpiov,  pietra;  spati  =  rom.  UTta^i'ov,  spada;  pidami  =  <y^(r 
^ait-y],  spanna;-  mentre  negli  altri  si  direbbe:  ikela ,  liàdxi.ix 
spazi  ****;  e  così,  a  recare  un  diverso  esempio,  pezénno  =  rem. 


è  finalmente  allo  gh  che  occorre  di  continuo  in  g fiorò  =  romaico  5(opò> 
(^ìope'w;  in  Terra  d'Otranto:  toro),  io  vedo,  de' canti  di  Bova  (Ca- 
labria; ap.  CoMPARETTi),  e  pur  dovrebb' essere,  secondo  il  Morosi: 
(pag.  108),  una  continuazione  del  secondo  elemento  dell'antica  aspi- 
rata, a  me  pare  abbastanza  chiaro,  all'incontro,  comeichò  non  mi 
sia  dato  di  scernerne  il  preciso  valore  fonetico  (si  alterna  con  chy 
G.  XXXIV,  XXXV,  e  g,  C.  xxxi),  che  esso  surga  di  pianta  in.  bassi- 
tempi,  e  si  tratti  di  tioró  (3-eopw)  djoré  {joró)  gh[j}oròy  cfr.  il  Mo-, 
rosi  stesso,  p.  116  (3).  11  Witte  (ap.  Compar.  ,  p.  88,  92)  rendei^ebbe. 
il  suono  iniziale  del  nostro  verbo,  ora. per  eh,  ed  ora  per  gh  {ì).l 

.  *  Pur  nel  volgare  di  Grecia,  oltre  il  p,  anche  il  puro  f:  i^p^xj» 
vìpToc;  e  analogamente:  y^d'iitaxs.  =  ypx(^zG^i,  siete  scritti,  va  ypac^rw  ^ 
Yfacp^co,  che  io  sia  scritto.  V.  Mullach,  o.  c,  p.  287,  271,  273;  cfr. 
Curtius,  Zeitschrift  s.  e,  VI,  237-8,  e  la.n.  *  della  p.  preced. 

.'**  Notevole  sarebbe  crematza  =  [s]>cp£{A(X(r.&7),  fa  appeso,  che  il  Com- 
p.aretti  (1.  e,  pag.  71,  cfr.  p.  xvi)  ha-da.  Calimera,  pure  in  Terra 
d'Otranto;  quasi  collo  st  rovesciato.  Ma  il  Morosi,  pur  da  Calimera 
(,Canto  Lxxviii):  na  cremasti  (cioè  in  trascrizione  romaica:  va  xpe- 
fAiatf^-vi),  che  sia  impiccato;  e  cfr.  ap.  Comp.,  nel  num.  xliv  :  .-sii-  = 
-!75-,  bis. 

,  ***  Canto  CLXV  ap.  Morosi,  il  qual  però  nella  Fonologia  scrive  idéla. 
A  Zollino,  che  poco  dista  da  Stern^tia,  avremmo  ,( Canto  cxxxiii  : 
itela  na  su  mazo ,  vorrei  apprenderti  (insegnarti). 

****  Nel  dialetto  di  Bova  (Calabria;  v.  n.  a.p.  161  )  trovo  per.<3-  ini- 
Zriale:  thelo  =  ^iXo),  voglio-,,  na  tlierio  =  .^spt[.<7](o,  che  io  mieta;  Tha- 


164  §  31.   DELLE  ASPIRATE   GRECHE   IN    GENERALE. 

Tti^ai'vw  (■jrat^at'vio) ,  muojo,  insieme   col   più  genuino  peéinisco 
=  àTTo^-vyfoDioj ,  id. 

Di  cp,  all'incontro,  che  suoni  diversamente  dal  semplice  f,  non 
veggo  alcun  esempio,  né  tra  i  coloni  greci  dell'Italia,  né  al- 
trove. Ma  kK  dicon  suonare  ancora  talvolta  lo  /  in  pronuncia 
neo-greca;  e  in  Terra  d'Otranto  è  bensì,  di  regola,  un  sem- 
plice/i {halàzi  =  yjxloiZ,io\),  grandine;  hrono  =  yoóyo:;,  anno;  ehi, 
ei,  =  lyzi,  ha,  ecc.),  ma  pur  vi  ha  traccia  di  ^^,  e  qualche  esera- 
pio  ài  k  :  i::  t:  à  *. 


lassia;-  per  3-  interno,  preceduto  da  consonante:  efté  (e  così  in  Terra 
d'Otranto:  afte)  =  e/.S-£'? ,  jeri ;  na  'rto  =  rom.  vx  'p-^oj,  che  io  venga; 
ottria  =  ex-^pi'ix  (rom.  ò-y^-) ,  nimicizia  ;  -  tra  vocali  :  ecitten  =  èxéi^sv ,  di 
là  (C.  XIII  e  XIX);  ettutte  «=■  rom.  eSw^ev,  di  qui  (Comp.  ;  C.  v  e  xxv), 
ne'  quali  eserapj  è  probabilmente  preceduta  una  figura  nasalizzata 
(ecinten  ecc.,  cfr.  putte  nel  C.  xvi),  e  quindi  la  differenza  che  è  tra 
di  essi  ed  i  seguenti:  stathi  =  rom.  ctx^/ì,  stia  (cong.  aor.  in  funz. 
d'inf.);  alithia  =  àXvj'5-ctot,  verità;  mathenni  =  rom.  {/.st^-xt've ,  apprendi 
(imperat.);  clotho  =  xltó^'à,  torco;  ennethe  =  rom.  eyvs^c?,  filavi;  ithe- 
Zesvj^sXs;,  volevi.  Avremmo,  in  fondo,  sì  per  5  iniziale  (^^)  e  sì 
pel  mediano  tra  vocali  (-^-),  un  suono  stesso  (th;  presso  il  Witte: 
dh;  me  dhelu,  idhela)^  ma  quale  precisamente  egli  sia,  non  ci  è  dato 
rilevare.  Giova  intanto  esaurire  questi  canti  di  Bova ,  notando  ancora 
gl'isolati  riflessi  che  seguono:  afuda  =  rom.  ^ouS-x,  ajuta  (imperai.), 
afudia  =  rom.  *pou3^£','x,  ajuto  (v.  Comparetti,  pag.  87-8;  e  anche  a 
Martano,  in  Terra  di  Otranto,  fidò  =  jBori^w,  io  ajuto,  afidia  =  ^07\- 
5et!x,  ajuto,  Morosi,  p.  107);-  e  cats'ora  (ap.  Comp.,  C.  xxvi)  =  rom. 
xa^'wpa,  ogni  ora,  allato  a  caia  pezzo  (ih.,  C.  xxi),  ogni  pezzo.  Fi- 
nalmente, potrebb' essere  utile  indizio  lo  th  di  spithia  (C.  ix,  xiii, 
dove  il  Witte  ha  spitia ,  e  xv  ) ,  spesso ,  se  veramente  si  tratta  della 
riproduzione  della  parola  italiana. 

*  Il  Morosi  ci  off're  (pag.  105)  per  A  =  ^  gli  esempj  che  seguono: 
érkome  =  cpyo[jLai,  vengo;  Cristo,  XpisTo';;  vascelli  =  [/.aff/aXr],  ascella, 
nei  quali  avremmo  y  aggruppato  ad  altra  consonante.  Aggiunge  cor- 
dónno,  cui  ragguaglia  a  -/opTto  (=  rom.  -/opxai'vto?,  pascere  ecc.).  Ma 
astdcia  o  astdgia,  spiche  (òtjrotyu;,  rom.  xarx/y),  e  arcigno,  comincio 


§   31.    DELLE   ASPIRATE   GRECHE   IN    GENERALE.  165 

Rifacendoci  alla  grecità  antica,  troviamo  dunque  cTie  7^9 
vi  avessero  il  valore  di  vere  aspirate  tenui;  ma  già  avemmo 


(cfr.  'rsignasane,  cominciarono,  ap.  Compar.,  p.  58),  qui  non  ispet- 
tano,  d'altro  non  vi  si  trattando  se  non  del  fenomeno  neo-greco, 
già  di  sopra  ricordato,  pel  quale  y  volge  in  suono  palatino  dinanzi 
ad  e  ed  i,  fenomeno  che  in  Terra  d'Otranto  non  si  mostra  però  co- 
stante, di  guisa  che  vi  abbiamo  simóna  (scimóna)  =  rom.  j^sifxwva;, 
inverno,  allato  a  Móni  =  rom.  /toviov,  neve.  Calimera  (sempre  Terra 
d'Otranto)  ci  darebbe  poi  talora,  ma  quasi  esclusivamente  iniziale, 
gh  (vera  gutturale  aspirata)  per  y:  ghaldzi  =  haldzi  =  yx\xC,\.o^^  gran- 
dine, egho  =  eho  =  syto,  ho,  ecc.  ;  ed  è  lo  hli,  accennato  nel  testo,  con 
media  per  tenue,  come  occorre,  a  cagion  d'esempio,  in  damàzo  =  'tu" 
mdzo  (.Jauaa^w,  fo  le  meraviglie)  appunto  a  Calimera.  Curioso  ricorso, 
pel  quale  si  ritorna  alla  figura  fonetica  delle  origini  {gh  kh  kU  [1i]gh)'j 
V.  appunto  yàXaS;»  ed  tyw  neW  Indice.  —  Nei  canti  di  Bova  (Calabria) 
abbiamo:  echo  echei,  s/w  ^/n,  ho  ha;  monacho,  (aovx/o;,  solo;  zichi, 
"^'jyjri,  anima;  [na]  chiso,  yufjta,  che  io  versi;  acharo,  rom.  à;^apo-v, 
sgraziato,  spiacevole,  cattivo;  dichia,  Tsty(''«»  mura  (pi.);  cheria  chi- 
ria,  rom.  xepiQc,  mani;  chili,  chilucia  (diminutivo  italianeggiante ; 
cfr.  qui  sotto:  gortuci),  rom.  ytl'kiv.  yetXaxia;  erchome  erchesai,  sp- 
yofxat  ipyidxi,  vengo  vieni;  chhnonia,  y&i\t.Qyix,  stagione  invernale; 
chorta,  rom.  yò^tv.,  erbe;  chrono,  xpóvo(;,  anno;  chilia,  xt'^ta,  mille; 
chuma,  yJo[i.x,  terra.  Sempre  dunque,  in  sino  ad  ora,  ■/  riflesso  per 
eh  (con  gh  due  volte:  managhi  =  {xovx/yj',  sola,  C.  xxix),  sulla  cui 
pronuncia  ci  mancano  però  dati  precisi.  All'  incontro  è  la  pura  tenue 
in  ercommo  (C.  xxvi)  =  epj^oujxouv ,  1.  sing.  imperf.,  allato  ad  ercho- 
me ecc.  testé  veduti;  Cristo  (p.  42);  zicrada  (C.  xx),  rom.  ij^u/paSa, 
freddo  (sost.);  crisi  (pag.  42),  rom.  xpi>t7v[,  aurea,  e  crisomandili 
(C.  xxxvi),  rom.  ^pu(To-[AavTi'Xtov,  pezzuola  d'oro;  nei  quali  quattro 
esempj  è  /  aggruppato  ad  altra  consonante.  Mi  restano:  apocondria 
(G.  VII),  uTioyovSpt'a ,  che  però  è  probabilmente  la  voce  italiana;  gani 
(C.  XXV),  rom.  /avv],  perda;  gortuci,  erbetta  (  v.  qui  sopra:  chorta 
e  chilucia);  e  finalmente:  jereta  =  vora..  /atpsTa,  saluta  (imperat.)» 
dove  -/  dinanzi  ad  e  subì  l'alterazione  palatina,  di  sopra  discorsa, 
alla  quale  sarebbe  all'incontro  sfuggito  in  chimonia  ecc.  —  Nel  ro- 
maico volgare  ricorre  ffx  per  l'antico  a/,  Mullach,  1.  e,  p.  300;  « 
altri  -X-  per  -/-  si  hanno  in  qualche  speciale  dialetto,  ib.  94. 


■1G6  §  31.    DELT.E   ASPIRATE    GRECHE  IN    GENERALE. 

d'altronde  occasione  d'avvertire,  che  il  greco  risponda  con  que- 
ste aspirate  alle  vere  aspirate  medie  del  sanscrito,  e  ancora  di 
accennare,  come  la  qualità  di  aspirate  vere  sia  appunto  con- 
fermata ai  sscr.  gli  dh  oh  dal  fatto  che  essi  nel  greco  si  riflet- 
'tano  per  kh  th  ph.  Gli  è  che  questa  discrepanza  fonetica  tra 
greco  e  indiano,  onde  a  prima  vista  sembra  venire  un  sin- 
golare screzio  nel  generale  sistema  delle  corrispondenze  indo- 
greche,  le  quali  costantemente  ci  danno,  all' infuori  di  questo 
riscontro  di  aspirate,  tenue  contro  tenue,  e  media  contro  me- 
dia, veramente  si  risolve  in  un  ordinario  fenomeno  di  assimi- 
lazione regressiva  *,  pel  quale  il  primo  elemento  dell'aspirata 
originaria  si  renda  omogeneo  al  secondo;  di  guisa  che  g-h  d-h 
b-h  si  facciano  k-h  t-h  p-h  per  processo  non  diverso  da  quello 
che  dalla  combinazione  etimologica  g-s  ci  porta  a  h-s  greco  o 
latino,  come  in  Xil^  (leg-so),  dirò,  in  rex  (reg-s),  e  simiglianti. 
•E  secondo  il  nostro  concetto  della  genesi  delle  aspirate  indo- 
europee, al  quale  in  sul  principio  del  discorso  accennammo,  la 
trasmutazione  si  descriverebbe  piti  compiutamente  col  dire,  che 
cessato,  in  favella  greca,  l'interstizio  separativo  tra  l'esplo- 
siva sonora  e  il  sordo  h,  ne  viene  l'aderenza  dei  due  elementi, 
la  quale  di  necessità  importa  che  si  tolga,  per  assimilazione^ 
la  differenza  fonetica  onde  essi  contrastano  fra  di  loro  **.  Vi- 
cenda analoga  a  questa  che  intercede  tra  sanscrito  e  greco, 


,     *  C.  A-RENDX,  Beitràge  s.  e,  II,  306;  cfr.  Alb.  Ag.  BE^fARY,  Die 
rómische  lautlehre,  p.  117. 

**  Rappresentandoci,  a  cagion  d'esempio,  per  d-a  la  sillaba  ori- 
ginaria e  sanscrita  dha,  —  vale  a  dire:  l'esplosiva  spiccatamente 
pronunciata,  alla  quale  succede  il  breve  interstizio  (che  non  turba 
r  unità  :  della  sillaba),  susseguito  alla  sua  volta  dallo  spirito  aspro, 

.che  aderisce  al  suoijo  a  cui  precede,  —  se  ne  ottiene  la  figura  irana, 

.celtica  e  litu-slava  {da)  pel  dileguo  dello  spirito  aspro,  e  la  greca 
(e  pur  la  proto-italica,  §  32)  pel  dileguo  dell'interstizio,  cioò   per 

J'aderenzi^  dello  spirito  alja  esplosiva  (d-a,  onde  necessariamente 
th-al. 


§  31.    DELLE    ASPIRATE    GRECHE   IN   GENERALE.  167 

ricorre  tra  il  sanscrito  medesimo,  o  meglio  tra  gli  odierni  vol- 
gari pracritici,  e  l'idioma  zingarico;  il  quale,  mentre  in  ge- 
nerale concorda,  nel  suo  sistema  fonetico,  col  sindio,  coli' in- 
dostano,  ed  altri  volgari  neo-indiani  di  ceppo  sanscrito,  se  na 
stacca  per  ciò,  che  alla  aspirata  media  esso,  costantemente  ri- 
sponda per  tenue  aspirata,  la  quale  poi  finisce  per  ridursi  a 
pura  tenue,  come  ora  ci  mostreranno  i  pochi  esempj  a  cui  dob- 
biamo qui  limitarci: 

2.  SsGV.  ffhàsd-,  ìndost ghas,  foraggio,-  z'ingar.  khas,  fleno;  sscr. 
dhàv-'ana-,  il  lavare  (nettar  lavando),  indòst.  dhó-nà,  lavare,  - 
zingar.  thau-'dva,  tovdva,  io  lavo;  sscr.  bhù-,  bhùmi",  indosti 
bhùm,  bhid,  terra,-  zingar.  phuv,  puv,  pu,  id,  *. 

*  Rimarrebbe  di  toccare  ancora  di  y  3-  o,  in  quanto  per  essi 
si  continuino  altri  suoni  originarj  che  non  sìeno  gh  dh  hh ,  e 
d'investigare,  se  del  tramutarsi  delle  medie  aspirate  originarie 
in  tenui  aspirate  greche,  che  è  fenomeno  anteriore  all'età  cui 
risalgano  i  più  vetusti  monumenti  di  favella  ellenica  in  sino  a 
noi  pervenuti,  pur  v'abbiano  riprove  per  entro  a' confini  della 
stessa  favella  greca.  Ma  queste  indagini  gioverà  riservare  ai 
particolari  discorsi  intorno  allò  singole  aspirate  e  ad  altri  luo- 
ghi ancora;  e  qui  all'incontro  converrà  che  senz'altro  il  ra- 
gionamento ora  si  volga  ai  continuatori  italici,  ed  in  ispecie 
latini,  delle  medie  aspirate  originarie  ed  indiane. 
.  Mentre  l'etrusco,  idioma  ariano  sicuramente  anch'esso,  co-  s  32, 
mechè  non  investigato  a  sufficienza  perchè  ci  sia  dato  di  ab- 
bracciarlo in  questo  nostro  studio,  ci  mostrerebbe  ancora  ve- 
gete, almeno  in  parte,  le  aspirate  tenui,  già  pel  solo  fatto  che 
nella  scrittura  etrusca  sieno  in  uso,  allato  a  H  ed  a  8  {h  e  /"), 
tutte  e  tre  le  aspirate  dell'alfabeto  greco;  all'osco,  all'incontro, 
e  all'umbro  e  al  latino  le  tenui  aspirate  già  affatto  mancavano, 


*  V.  StuOj  critici,  II,  110-13.  Notevolissimo,  inoltre,  che  si  ritrovi 
nello  zingarico  l'intero  processo  ph  pf  f,  quale  pel  greco  lo  abbiamo 
di  sopra  eruito;  quindi  nella  voce  per  'terra':  phuv,  pfuv,  fu.  V.  Zi" 
geunerisches ,  p.  83.  —  E  v.  sopra,  la  n.  a  pag.  152. 


168       §  32.    CONTINUATORI   ITALICI    DELLE    ASPIRATE   ORIGINARIE. 

od  eran  li  li  per  mancare,  nel  più  antico  periodo  a  cui  ci  porti 
la  notizia  che  di  essi  abbiamo;  poiché  troviam  che  gli  Osci, 
gli  Umbri  ed  1  Latini  abbiano  rinunziato,  nelle  loro  scritture, 
alle  lettere  X  0  <I>,  che  l'alfabeto  greco,  pur  da  essi  assunto, 
loro  porgeva  *.  Né  di  medie  aspirate,  suoni  rimasti  affatto 
estranei,  come  appena  occorre  avvertire,  pure  all'etrusco,  re- 
sta alcuna  traccia  nell'osco,  nell'umbro  o  nel  latino.  Per  le 
quali  favelle,  considerate  nella  loro  condizione  istorica,  non  può 
dunque  discorrersi  di  aspirate,  ma  solo  di  suoni  che  stieno  in 
istretta  connessione  fisiologica  con  esse,  e  sono  due  soli:  le  spi- 
ranti f  e  h',  la  prima  delle  quali^è  rappresentata  negli  alfabeti 
degli  Osci. e  degli  Umbri  per  un  carattere  ad  essi  comune  con 
l'etrusco  (8)  ed  estraneo,  cioè  aggiunto  dagli  Itali,  al  greco, 
dovechè  i  Latini  la  rappresentano  pel  digamma  de' Greci  (F), 
più  convenientemente  adoperato  dagli  altri  alfabeti  italici  ad 
esprimere  il  t);  -  e  la  seconda  è  in  tutte  le  scritture  italiche 
espressa  per  H,  cioè  per  quella  consonante  fenicia  che  tra  i 
Greci  vedemmo  anche  adoperata  a  significar  lo  spirito  aspro 
ed  il  secondo  elemento  della  tenue  aspirata  dell'ordine  guttu- 
rale [kh  qh)  e  del  labiale  {ph). 


*  Lo  0  veramente  occorre  due  volte  nelle  tavole  engubine  (umbro), 
ma  in  funzione  non  diversa  dal  T  (Aufrecht  e  Kirchhoff,  Die  um- 
hrischen  sprachdenhmàler,  I,  §  1),  e  lo  stesso  si  avrà  a  dire  dei  cor- 
rispondenti segni  che  occorrono  in  due  epigrafi  s abelliche  (Corssen, 
Zeitschrift  s.  e,  X,  5,  29).  Pur  nelle  epigrafi  etrusche  si  oscilla, 
per  vero,  tra  aspirata  e  pura  tenue,  come  è  i)er  doppio  esempio  in 
\1/FES0NAL  (xfes5nal)  allato  a  cfestnal,  od  in  an\Ì/arv,  laf0n,  al- 
lato ad  ancaris',  lavtn;  ma,  a  tacer  d'altro,  c'è  imprima,  che  vi 
occorrono,  e  non  iscarse,  tutte  e  tre  le  aspirate  (così  O  in  ta<I>ane, 
SEM^A\|/Ls);  e  si  ha  poi  la  decisa  prevalenza  dell'una  o  dell'altra 
figura,  come  in  larcna  lar\|/na,  dove  è  rara  l'aspirata,  affatto  rara 
anche  in  lavtn  laf0n,  quando  in  lar0  lart,  o  in  arn0  arnt,  di 
gran  lunga  prevale.  Non  poca  importanza  hanno  eziandio  le  antiche 
trascrizioni  di  voci  etrusche,  quali  Thania  Achonia.  Pur  nell'etru- 
sco, la  prima  a  cedere  dev'essere  stata  la  labiale  (0),  e  piìi  di  tutte 
resistente  la  dentale  (0). 


§  32.   CONTINUATORI  ITALICI  DELLE  ASPIRATE  ORIGINARIE.         169 

Che  se  ora  ci  poniamo  a  considerare,  coni'  è  principalmente 
voluto  dall'  attuale  nostro  assunto ,  quali  sieno  i  riflessi  delle 
medie  aspirate  originarie  sanscrite  negli  antichi  idiomi  italici 
a  cui  la  nostra  indagine  si  estende,  troveremo  imprima,  che 
questi  appunto  rispondano  a  quelle  aspirate  per  h  e  per  f,  con- 
trapponendo, cioè,  allo  gh  il  loro  h,  e  così  allo  dh  come  allo 
hh  il  loro  f\  p.  e.:  lat.  hietn-s  =  "gìijama-  (sscr.  hima-,  freddo, 
gelo,  V.  §34,  e  35, 1.);  lat.  fù-mo-  =  sscr.  dhù-mà-,  fumo;  rad. 
lat.  ed  umbra:  fer-  =  sscr.  hhar,  portare;  rad.  lat.  osca  ed  um- 
bra: fu- =  sscv.  hhù,  divenire,  essere.  Senonchè,  mentre  nell'osco 
e  nell'umbro  queste  corrispondenze  si  mostrano  costanti,  cioè  si 
riscontrano  non  solo  iniziali^  quali  erano  negli  esempj  testé 
veduti,  ma  sì  ancora  interne,  cosi  tra  vocali  come  tra  vocale 
e  liquida,  —  e  quindi  nell'osco:  mefìo-  =  sscr.  màdhja-,  medio, 
e  nell'umbro:  tefe  =  sscr,  tùbhjam,  tibi,  rufro-,  rosso,  =  sscr.  ru- 
dhirà-  (sangue,  cioè  il  rosso;  gr.  l-pu5po-,  rosso),  —  nel  latino, 
all'incontro,  avvien  di  regola,  che,  in  mezzo  alla  parola,  gli  ori- 
ginarj  dh  e  hh  sieno  riflessi,  anziché  per  f,  il  primo  ora  per  d 
ed  ora  per  &,  e  il  secondo  per  h,  e  che  gh  interno,  finalmente, 
ed  anche  iniziale  dinanzi  a  liquida,  vi  sia  riflesso,  quando  afi*atto 
non  tenda  a  dileguarsi,  per  g.  Cosi  all'osco  mefio-  (=  sscr.  mà~ 
dhja-)  e  all'umbro  rufro-  (=  rudhirà-),  testé  addotti,  il  latino 
risponderà  per  medio-  e  rubro-,  e  all'umbro  tefe  (=  sscr.  tùbh- 
jam) per  tibt;  e  al  sanscrito  Uh  (=  *ligh,  gr.  AIX  Xei^w,  v.  §  34, 
e  35,  8.),  leccare,  per  ling-ere,  come  al  sanscrito  mih  (=  *migh, 
gr.  MIX  o-ay-iw) ,  spandere  acqua,  per  mm^-ere.  Il  fonologo  ha 
quindi  innanzi  a  sé  il  doppio  quesito,  del  come  si  dichiari  che 
le  medie  aspirate  originarie  si  continuino  nell'osco,  nell'umbro 
e  nel  latino  per  h  e  f  {h  =  gh,  f=dh  e  bh),  e  che  il  latino, 
date  certe  congiunture,  le  continui  per  vie  sue  proprie,  con- 
trapponendo ad  esse  le  pure  sue  medie  {g  =  gh,  d  e  b  =  ah, 
b  =  bh). 

Della  prima  parte  del  problema  si  può  dire,  che  sia  presso- 
ché risolta  in  anticipazione,  poiché  in  fondo  vi  si  tratti  di  esito 
non  diverso  da  quello  che   incontrammo   in   Grecia.  L' Italia 


170         §  32.    CONTINUATORI   ITALICI  DELLE  ASPIRATE  ORIGINARIE. 

antica'  rispondendo  per  h  all'origin.  gli  e  per  /"allo  hh  origin., 
altro  non  fa  se  non  precedere  ed  avanzare  la  Grecia  su  quella 
via,  per  la  quale  le  antiche  medie  aspirate,  fattesi  aspirate  te- 
nui in  seguito  all'adesione  dello  spirito,  si  riducono  a  poco  a  poco 
a  mene  spiranti,  ed  anzi  la  gutturale  a  mera  aspirazione,  che 
assai  facilmente  del  tutto  si  dilegua.  Cosi  il  f  latino  di  fero^ 
che  risale,  insieme  col  9  greco  dell'equivalente  cj-apoj,  all'origi- 
nario hh  del  sscr.  hhar  (ferre),  equivale  anche  foneticamente 
alla  spirante  neo-greca  dello  stesso  9^0:0;  e  il  h  latino  di  hu- 
mus che  risale  a  gh  originario  insieme  col  7.  del  greco  -/ay-xt 
(per  terra),  altro  non  è  che  un'ulteriore  debilitazione  di  quella 
spirante  che  si  sente  nella  pronuncia  odierna  dello  stesso  /aaai. 
'Rimane,  per  questa  prima  parte,  il  f  italico  per  dh  originario; 
4al  quale  dh  {oàoh  ì(/ì  proto-italico)  si  sarebbe  dovuto  avere, 
■parallela  a  /"  da  hh  {ph),  quella  spirante  a  cui  inclina  0  si  ri'^ 
duce  il  moderno  Sr  de' Greci  0  lo  th  sordo  degl'  Inglesi,  e  noi 
■stabilimmo  di  rappresentare  per  p.  Ma  gli  è  notorio,  come  que- 
sta fricativa,  che  si  ottiene  frammettendo  la  lingua  a' denti, 
.acusticamente  si  approssimi  a  /*  e  in  esso  f  agevolmente  dege- 
neri *,  come  appunto  avviene,  a  tac;er  per  ora  d'  altre  ana- 
logia,  dello  th  sordo  inglese  che  fra  gli  stessi  indigeni  passa 
talvolta  in  f,  0  dello  5  neo-ellenico  che  i  Russi  non  sanno  ren-r 
derè  se  non  per  /"**;  di  guisa. che  nel  f  del  latino  fù-mo-,  a 
cagion  d'esempio,  rimpetto  alle  sue  figure  anteriori:  pù-mo, 
Jhù-mo-  {=  sscv.  dhù-ma-.),  si  avrebbe  quello  stesso  fenooieno 
.fonetico  che  per  l' idéntico  radicale  molti  secoli  dipoi  si  ripro- 
'duce  in  fumiàm\  cioè  nella  veste  russa  del  greco  5u-u.-ia-aa, 
'profumo.  Il  grandissimo  tratto  di  tempo,  onde  l'Italia  anticipa 
.sulla  Grecia  nella  riduzione  delle  antiche  aspirate  a  mere  spir 


'     *  Là  miglior   dimostrazione  empirica  dello   scarso  distacco   fisico 
tra  J)  e   f,  sta  nella   difficoltà  di  proferire,  con  chiara  distinzione 
dei  due  componenti,  la  combinazione  pf. 
**  Cfr.  Studj  critici,  II,  122;   Arendt,  Beitràge  s.  e,  II,  425, 

'BaliCKE,  Giornale  pei  ginnasj  austriaci,  IX  (1858),  C92. 


§  32.   CONTINUATORI  LATINI  DELLE  ASPIRATE  ORIGINARIE.  171 

fanti,  può  misurarsi  dal  fatto,  al  quale  già  avemmo  occasione 
(li  accennare,  del  non  aver  convenuto  agli  Osci,  agli  Umbri 
ed  ai  Latini  di  adottare,  per  7i  e  per  /*,  lo  7.  e  lo  9  dell'alfa- 
beto greco. 

Ben  più  ardua  è  la  seconda  parte  del  problema:  come,  cioè, 
—  a  parlar  per  esempj  greci  e  latini,  che  in  fondo  qui  fanno  al 
caso  quanto  gli  osco-umbri  e  latini  e  servon  meglio  perchè  na- 
turalmente occorrono  in  maggior  copia  — ,  come  sia  che  al  7  di 
yi-GYM  (aprir  la  bocca)  risponda  lo  li  di  hi-sco,  mentre  al  7.  di 
-lyyo)  risponde  il  g  dell'equivalente  ango;  al  <f  di  aXsyoj  (ardere, 
risplendere)  il  /  di  fulgeo,  mentre  al  9  di  vlcpo;  (nube)  il  b  di 
nùbes.  Trattandosi,  come  ormai  sappiamo,  nella  massima  parte 
degli  esemplari  che  possano  ricondursi  alle  origini,  di  aspirata 
media  originaria,  e  così  avendosi  il  sscr.  bharg  per  parallelo 
di  oXe'vov  fulgeo,  e  il  sscr.  nàbhas  per  vsz-o?  nùbes,  facilmente 
si  viene  al  supposto,  che  dove  il  latino,  seconde  le  norme  ;già 
indicate,  contrapponga  la  sua  pura  media  alla  media  aspirata 
originaria  e  sanscrita,  egli  veramente  conservi  il  metallo  ori- 
ginario della  consonante,  e  solo  perda  l'aspirazione,  come  già 
sentimmo  che  tra  l'altre  facciano,  ma  indifferentemente  in  ogni 
postura,  la  voce  litu-slava  e  la  celtica.  Senonchè,  a  ben  vedere, 
le  difficoltà  a  cui  questo  supposto  va  incontro  sono  tali,  che  a 
dirittura  si  debbano  dire  insuperabili.  Già  il  fatto  per  sé  stesso, 
'Che  un'aspirata  originaria  si  continui,  per  via  diretta  e  nor- 
male, in  due  modi,  a  doppio  titolo  tra  di  loro  diversi,  come 
sarebbe,  a  cagion  d'esempio,  lo  bh  riflesso  in  principio  di  parola 
per  sorda  continua  (oppur  sorda  aspirata)  e  nel  mezzo  all'in- 
contro per  pura  sonora  ^sp^o$^^;a ,  onde  si  otterrebbe  la  figura 

bh 

f-  -b-, 

non  avrebbe  a  favor  suo  alcuna  adeguata  analogia,  né  in  fa- 
vella latina,  nò  in  alcun  altro  idioma  della  famiglia;  e  quindi, 
se  altro  pur  non  fosse,  non  potrebbe  concedersi  cosi  di  leggieri. 


172        §   32.    CONTINUATORI   LATINI   BELLE   ASPIRATE  ORIGINARIE. 

Ma  si  aggiunge,  imprima,  che  ammettendo,  per  rimanere  al- 
r  esempio  dello  bh,  un  b  latino  che  immediatamente  risalga 
allo  bh  originario,  che  sia,  vale  a  dire,  questo  bh  stesso,  de- 
trattane solo  l'aspirazione,  si  disvelle  il  latino  dal  sistema  fone- 
tico delle  altre  lingue  italiche,  si  turban  cioè  le  ragioni  di  quel 
periodo  proto-italico,  in  cui  il  lat.  Ubi,  a  cagion  d'esempio, 
pur  dovea  coincidere  col  tefe  degli  Umbri,  o  il  lat.  amb-  col- 
V amf-r  (=  gr.  àacp-i)  degli  Osci  *.  E  v'ha,  finalmente,  che  quanto 
ci  è  stato  facile  il  darci  ragione  del  come  venga  a  riflettersi, 
neiritalico  /',  oltre  che  lo  bh  (*ph,  <?)  originario,  anche  l'ori- 
ginario dh  (*th,  5),  altrettanto  sarebbe  difficile,  e  può  anzi  dirsi 
impossibile,  il  dare  una  dichiarazione  persuasiva  del  b  latino 
che  per  una  intera  serie  d'esempj  risponde  allo  dh  originario 
(  p.  e.  lat.  rubro-  =  umbro  rufro-  =  gr.  s-pu5po-  =  sscr.  rudhirà-) , 
quando  si  voglia  persistere  nella  teoria,  che  la  media  latina, 
in  cui  si  riflette  l'antica  media  aspirata,  altro  appunto  non  sia 
che  una  media  aspirata,  da  cui  l'aspirazione  si  dileguasse. 

Queste  difficoltà  di  ordine  generale,  ed  altre  che  intralcia- 
vano lo  studio  dei  singoli  fatti,  si  elirainan  tutte,  all'incontro, 
quando  si  ricomponga  l'istoria  dei  continuatori  latini  nel  modo 
che  segue: 

I.  Nell'idioma  proto-italico,  vale  a  dire  nell'idioma  a  cui  con- 


*  Rimarrebbe  una  sola  via  per  conciliare  la  continuazion  latina, 
intesa  nel  modo  da  noi  impugnato,  col  fatto  incontrastabile  dell'unità 
osco-latino-umbra;  e  sarebbe  questa:  che  bh  interno  si  mantenesse 
talquale  nel  periodo  di  questa  unità  italica,  e  si  riducesse,  dopo  la 
separazione,  a  h  latino,  mentre  nell'osco  e  nell'umbro  volgeva  in  /", 
come  a  /■  si  trova  sempre  ridotto ,  in  tutti  e  tre  gli  idiomi ,  lo  bh 
originario  iniziale.  Ma  che  l'umbro  (o  l'osco)  e  il  latino  ancora  pos- 
sedessero entrambi,  nei  primordj  della  loro  vita  individuale,  lo  bh 
mediano,  è  ipotesi  per  sé  stessa  assai  stentata,  la  quale,  d'altronde 
(sempre  ancora  tacendosi  delle  ragioni  italo-greche,  a  cui  tutta  volta 
ci  ò  impossibile  non  concedere  molta  importanza),  non  isfugge,  senza 
nuovi  stenti,  alla  obiezione  di  cui  prima  dicemmo,  e  ad  ogni  modo 
poi  incappa  in  quella  che  ancora  ci  resta. 


§   32.    CONTINUATORI   LATINI   DELLE   ASPIRATE   ORIGINARIE.         173 

vergono,  come  a  fonte  comune,  il  latino,  l'osco,  l'umbro,  e  gli 
altri  dialetti  paleo-italici  che  lor  vanno  congiunti,  la  media 
aspirata  originaria  si  è  costantemente  ridotta,  per  vicenda  ana- 
loga a  quella  che  si  è  compita  in  favella  paleo-greca,  ad  aspi- 
rata tenue;  e  quindi  s'ebbero,  a  cagion  d'esempio,  i  proto-ita- 
lici: *hhiem-  (orig.  ghjam-),  lat.  hiems,  *ankìi-o  (orig.  angh-)^ 
lat.  ango;  *thùmO'  (orig.  dhùma-),  lat.  fumu-s;  *methio-  (orig. 
madhja-),  lat.  mediu-s,  *ùther  (orig.  ùdhar),  lat.  uber;  *pher-o 
(orig.  hhar),  lat.  fero,  *luph-et  (orig.  lubh-),  lat.  lubet,  *alpho-t 
lat.  albus. 

II.  Assai  anticamente,  durante  cioè  ancora  l'unità  paleo-ita- 
lica, queste  aspirate  tenui  proto-italiche  volsero  in  spiranti, 
come  avvenne,  più  tardi,  anche  delle  corrispondenti  aspirate  te- 
nui paleo-greche.  Nel  periodo  proto-latino,  vale  a  dire  nel  pe- 
riodo in  cui  il  latino,  staccatosi  dagli  altri  idiomi  italici,  entra 
nella  sua  vita  individua,  abbiam  quindi,  continuando  cogli  eserapj 
già  addotti,  le  figure  che  seguono:  hieyn-,  anll-o,  fer-o,  luf-et^ 
alfo:  La  spirante  dentale,  j),  che  avremmo  a  trovare  al  posto 
di  th,  erasi  nel  maggior  numero  de' casi  ridotta  a  f,  durante 
ancora  l'unità  paleo-italica,  secondo  le  analogie  che  di  sopra 
toccammo  (p.  170).  Solo  per  un  certo  numero  di  J^  interni  man- 
tenevasi  ancora  il  carattere  dentale  nel  periodo  proto-latino, 
carattere  che  pure  in  questi  esemplari,  per  quanto  ci  è  dato 
vedere,  andò  perduto  negli  altri  idiomi  paleo-italici.  Così  le  fii- 
gure  proto-latine  degli  esempj  di  sopra  addotti  per  l'aspirata 
dentale  proto-italica,  eran  queste:  fumo-,  mepio-  (osco:  mefìo-) 
ùfer.  Lo  stadio  fonetico  rappresentatoci  dalla  ricostruzione  pro- 
to-latina: Jiiem-,  fer-o,  luf-et,  alfo-,  fumo-,  ùfer,  è  lo  stadio  a 
cui  l'osco  e  l'umbro  si  sono  di  regola  fermati. 

III.  Le  aspiranti  proto-latine,  li  e  f,  all'  incontro,  se  interne  ed 
in  ispecie  se  precedute  da  liquida  (e  lo  li  pure  iniziale  dinanzi  a 
liquida)  volsero  col  tempo,  insieme  collo  p  (v.  II),  nelle  rispet- 
tive medie;  quindi:  ang-o  (gr.  ay/w),  luh-et,  albo-  (umbro  alfo-), 
uber  (gr.  ou5xp),  medio-,  il  qual  fenomeno,  a  dire  di  una  sola 
analogia  eteroglossa,  non  è  diverso  da  quello  per  cui  allo  h  prò- 


171        §-32.    CONTINUATORI    LATINI    DELLE    ASPIRATE    ORIGINARIE. 

to-germanico  dei  gotici  svaihra-,  suocero,  fraikan,  domandare, 
risponde  il  g  anglo-sassone  degli  equivalenti  sveger  é  fregnan^\ 
Fra  la  sorda  spirante  proto-latina  e  la  media,  quindi  p.  e.  tra 
p  e  d,  dev'essere  intervenuto  lo  stadio  della  spirante  sonora: 
mepio-  medio-  medio-,  il  qual  processo  avrebbe  opportuno  ri- 
ncontro nelle  serie  germaniche  di  cui  ci  sarà  esempio:  hropar 
got.,  hrodor  anglo-sass.,  hroeder  oland.,  fratello.  Un'altra  evo- 
luzione latina,  che  si  presenta  analoga  in  quanto  riduce  sonoro 
un  elemento  sordo  ed  insieme  costituisce  uno  screzio  tra  il  la- 
tino e  gli  altri  idiomi  paleo-italici,  non  dissimile  da  quello  che 
interviene  in  ordine  alla  continuazione  delle  aspirate  originasrie, 
è  il  passar  di  s  in  r,  tra  vocali  oppur  tra  vocale  e  consonante 
sonora  (v.  Lez.  XIV);  quindi,  p.  e.,  veter-are  veter-no-  :  "ve- 
tes-nò-  {vetus)  :  :  rub-ro-  :  *ruf-ro-  (umbro  rufro-). 
.  IV.  Sin  dal  periodo  proto-latino,  la  spirante  gutturale,  Ji,  era 
già  ridotta,  in  molte  voci,  a  semplice  aspirazione  [h],  od  era 
anche  del  tutto  dileguata;  così  p.  e.  in  veh-o  (ve'o;  cfr.  l'osco 
veia,  §  35,3);  le  quali  voci  naturalmente  si  sottrassero  alla 
alterazione,  testé  descritta,  di  spirante  in  media. 
8  33.  Serbata,  del  resto,  ai  luoghi  opportuni  la  considerazione  di 
altri  uffici  etimologici  delle  spiranti  latine  testé  discorse,  qui  in- 
tanto gioverà  compendiare,  in  un  quadro  sinottico,  l' istoria,  da 
noi  ricostrutta,  dei  continuatori  latini  delle  medie  aspirate  ori- 
ginarie (cfr.  §  35)  : 

aspirate  originarie  (e  sanscrite) .         gh,  dh,  bh. 

aspirate  proto-italiche  (e  pa- 
"  leo-greche) khiy),  th{S-  ,  phio). 


spiranti  proto-latiae    ....  h,  -Ji-  f\  f. 

(Continuatori  latini h-  g^,    -/;-,      -d-,     f-    -')-,     f-    - 


'  *  V.  Studj  critici,  II,  119-22.  —  Per  effetto  di  questa  regola, 
iron  v'hanno  combinazioni  di  consonanti  in  singola  parola,  proprie  al 
latino  classico,  in  cui  entri  h  (an-helare  ò  un  composto,  v.  §  35); 
e- quello  in  cui  entri  /,  si  riducono  quasi  esclusi«vamente  a  fi  e  (r  ini- 


§    34:    h    SANSCRITO    (i'    INDO-IRANO)    =  gli    ORIGINARIO.  175 

Anche  nel  sanscrito  occorre  una  spirante  fra  i  continuatóri  §  34. 
delle  medie  aspirate  originarie,,  e  vi  ha  molteplice  funzione.  E 
lo  h,  che  troveremo  assai  di  frequente  al  posto  dello  gli  (§  35), 
e  talvolta  pure  a  quello  di  dh  (§  53)  e  di  Jbh  (§  61).  E  av- 
venendo nell'indianità  seriore,  come  già  avemmo  occasione  di 
avvertire  (pag.  152-3),  che  l'aspirata  sanscrita,  sia  media  o 
tenue,  e  in  ispecie  se  interna,  con  molta  frequenza  si  riduca, 
al  solo  h,  cioè  si  spogli,  com'è  concordemente  ammesso,  del 
suo  elemento  esplosivo;  era  ovvia  la  conghiettura ,  che,  pur 
nello  h  sanscrito  per  media  aspirata  originaria,  non  si  avesse 
fenomeno  diverso  .da  questo.  Senonchè,  a  questa  conclusione^ 
(che  per  alcuni  singoli  casi,  come  in  appresso  riconosceremo, 
è  conforme  a  verità)  contrastava  imprima  il  fatto,  che  già  a 
suo  luogo  accennammo,  dell'aver  lo  li,  in  grammatica  e  in 
lingua  sanscrita,  titolo  e  funzioni  di  consonante  sonora;  e  Con-: 
trastava  poscia,  più  gagliardamente  che  mai,  la  risposta  che 
lo  h  sanscrito  suole  trovare  in  favella  iràna,  ed  è  z.  ho  z 
irano  è  in  ispecie  la  costante  risposta  dello  h  sanscrito  nella 
più  solita  sua  funzione,  che  è  quella  di  continuatore  dello, ^/i 
originario,  alla  quale  il  nostro  discorso  deve  quasi  esclusiva- 
mente qui  intendere;  e  quindi,  a  cagion  d'esempio,  zendo  azag- 
-■^(2  =  sanscrito  ahag-lia  (greco  ày/.Q?  ts,  lat.  angor-que).  Ora, 
pur  qui  è  affatto  manifesto  che  si  tratti  di  alterazione  che 
risale  al  periodo  indo-irano  (cfr.  §  36);  e  non  solo  manca,  dal- 
l'un  lato,  qualsiasi  indizio  o  probabilità  analogica  che  per- 
metta d'imaginar  più  genuino.  Cioè  meglio  conforme  alla  pro- 
nuncia indo-irana,  lo  h  sanscrito  che  non  lo  z  dello  zendo,  di 


ziali;  poiché,  del  pari  che  i  composti  (infelix,  anfractus,  ciniflo- 
nes,  ecc.),  non  entrano  nel  conto  i  nomi  proprj  non  latineggiati,  come 
Alfìus,  Rufrius,  e  altrettali,  ed  Aprica  meno  ancora,  e  mal  vi  può 
entrare  l'antiquata  voce  nefrundines,  che  si  appaja  col  prenestino  we- 
frones  (il  Corssen,  Aussprache  ecc.,  2.  ed.,  p.  147,  si  confonde  circa 
la  cittadinanza  dei  due  termini).  Circa  mferus  ecc.,  v.  V  Ind.  e  gli 
Studj  crii..,  II,  171-2.. 


17G  §  34.    li  SANSCRITO    [Z    INDO-IRANO)   =  gh   ORIGINARIO. 

guisa  che  z  si  possa  reputare  come  un'  evoluzione  di  h  ;  ma 
vi  ha  ancora,  dall'altro,  che  la  favella  irana  offerendo  sem- 
plice media  per  media  aspirata  originaria  (p.  154, 166),  ne  viene 
che  z  per  gh  vi  sia  altrettanto  legittimo  e  genuino  dello  z  per 
g  (§  25);  e  vedremo  a  suo  luogo  (§  53  e  Lez.  XIV)  come  questa 
illazione,  e  quelle  che  seguono,  non  vadano  turbate  per  lo  in- 
contrarsi di  h  sscr.  e  z  irano  in  altre  funzioni  etimologiche  che 
non  sia  la  continuazione  dello  gh  originario.  Si  aggiunge,  che 
lo  h  sanscrito,  come  tra  non  molto  apprenderemo  (§§  42,  44), 
va  incontro  a  tali  vicende,  che  solo  si  chiariscono  dall'affinità 
grandissima  che  deve  essere  stata,  di  regola,  in  una  fase  an- 
teriore, tra  il  suono  che  ora  è  h  sanscrito,  q  \o  z  irano.  Cosi 
adunque  come  nella  continuazione  del  g  originario  vedevamo 
impuntarsi  una  parte  degli  esemplari  dello  g  sanscrito,  e  lo 
zendo  z,  in  uno  z  indo-irano  (p.  105,  107,  117-8),  saremo  del 
pari  ora  condotti  a  stabilire  una  consonante  sonora  indo-irana 
poco  da  questo  z  diversa,  alla  quale  faccian  capo  lo  h  sscr.  e 
lo  zendo  z  nella  continuazione  dello  gh  originario;  e  quanto  è 
alla  differenza  acustica  che  intercede  fra  il  suono  indo-irano 
(non  dissimile  dallo  J  francese)  e  l'attuale  h  del  sanscrito,  mi 
limiterò  per  ora  a  citare  le  sillabe  latine  gè,  gi,  che  nel  por- 
toghese, come  nel  francese,  suonano  ze  zi,  e  nello  spagnuolo 
all'incontro:  he  M.  Questa  alterazione  indo-irana  dello  gh  ori- 
gin.,  la  quale  sarà  da  noi  rappresentata  per  z,  presuppone,  alla 
sua  volta,  affezioni  della  gutturale  aspirata  (gh^  gh^,  cfr.  §  36) 
non  diverse  da  quelle  che  inducevamo  per  g  e  z  provenienti 
dal  semplice  g  (p.  118,  128).  Ma  quanta  parte  dell'antica  aspi- 
razione in  sé  conservasse  lo  z  indo-irano,  mal  si  tenterebbe 
definire  in  preciso  modo.  Di  certo  l'antica  aspirazione  valse  ad 
imprimergli  quel  particolar  carattere,  pel  quale,  di  regola,  ri- 
mase distinta,  in  favella  indiana,  la  continuazione  alterativa 
dello  gh  da  quella  del  semplice  g  {z,  g);  ma  non  veggo  indizj 
abbastanza  sicuri  per  stabilire  che  durasse  uno  zh  (il  qual 
sarebbe  una  doppia  continua)  nel  periodo  in  cui  avvenne  il 
distacco  dei  due  rami  asiatici  o  nelle  prime  età  dell'indiano; 


§  .'M.    /t   SANSCRITO    (i'   INDO-IRANO)    =  gli   ORIGINARIO.  177 

ed  anzi  ne  veggo  tali,  che  debbono  farci  ritenere  la  primitiva 
pronuncia  indiana  assai  più  vicina  a  i  che  non  a  zh  *.  Del 
rimanente,  come  la  connessione  etimologica  ò\h  e^,  o  g  &  g  {z), 
si  manifestava  dalle  stesse  favelle  degl'Indi  e  degl'Irani  per  la 
vece  che  sempre  ancora  queste  ci  offrono  tra  il  suono  originario 
e  l'alterazione  sua  (§§  13,  15,  24,  25),  cosi  anche  nella  con- 
tinuazione dello  gh  si  avvicenderanno  nel  sanscrito:  gh  eh,  e 
rispettivamente  nello  zendo:  g  {gh)  e  z**;  e  qui  pure,  quando 


*  Dello  'zh,  che  ad  ogni  modo  sarebbe  la  figura  genealogicamente 
corretta,  può  a  prima  vista  parere  integrai  continuazione  lo  gh  del 
verbo  sanscrito  uffc/h  lujghdti,  abbandonare,  che  veramente  consta 
del  prefisso  ud  (onde,  per  assimilazione:  i(^)  e  della  rad.  hlà],  ab- 
bandonare. Alla  qual  forma,  che  non  risale  ai  piti  antichi  periodi 
della  lingua,  si  aggiungerebbe  il  pracrito  ghina,  abbandonato,  per 
l'equivalente  hina  del  sanscrito  (Lassen,  Institution.  Iwg.  pracrit.., 
pag.  199).  Senonchè,  l'esser  queste  forme  di  bassa  età  ed  affatto 
solitarie,  già  senz'altro  dissuaderebbe  dal  riconoscervi  l'antichissi- 
mo zh;  e  il  miglior  modo  di  dichiarare  questo  gh  seriore,  o  pracri- 
tico,  è  di  certo  quello  di  ripeterlo  normalmente  dalla  combinazione  hj, 
alla  quale  vedremo  risalire  lo  gh  pracritico  di  un  obliquo  singolare 
del  pronome  di  prima  e  di  seconda,  e  di  altre  forme  {saggha-  «  sahja- 
§  40,  5;  maggha  =  mahja-,  tuggha  «=  'tuhja-,  §  61).  Allato  alla  con- 
jugazione  ha  gd-hà-ti  hina-,  avremmo  così:  ha  'hja-ti  'ùd-hja-ti  (cfr. 
dà  dà-ti  djd-ti,  recidere),  onde  normalmente p'/ia-^i  (e  (\mnai  ghina-) 
e  ug-gha-ti.  Di  altri  fenomeni,  che  parrebbero  stare  per  zh,  v.  ai 
§§  42  e  44.  I  migliori  indizj,  all'incontro,  per  la  pronuncia  vicinis- 
sima a  z,  sarebbero  nei  casi  di  coincidenza  del  continuatore  di  gh 
con  quello  di  g,  tra' quali  primeggerebbe:  ustra-,  bufalo,  cammello 
(a  ustra-  zendo,  cammello;  cfr.  vas-tar  §44),  cioè  quello-che-porta 
o  tira,  dall' indo-irano  vaz  uz  (zendo  vaz  uz,  sscr.  vah  uh,  %  35,  3), 
portare,  tirare;  e  nella  forma  indo-irana  della  voce  per  cuore,  di 
cui  alla  Lez.  XIV. 

**  Per  la  esatta  ragione  di  gh  allato  ^  g,  o  dà  z  allato  a  z,  nella 
continuazione  zenda  dello  gh  orig. ,  v.  la  Fonol.  ir.  ai  rispettivi  §§. 
Circa  la  vece  sanscrita,  v.  in  ispecie  la  nota  al  §  36,3  11,  in  f. 

Ascoli,  Fonol.  indo-it.-gr.  12 


178         §  35.    RIFLESSI    INDO-ITALO-GRECl   DELLO  gh    ORIGINARIO. 

le  due  figure  fonetiche  appajano  distribuite  fra  nome  e  verbo, 
l'anziana  è  del  nome.  Lo  ^  e  \o  gh  hanno  d'altronde  per  re- 
duplicatore comune  lo  g  (cfr.  p.  103  e  Reduplicazione)',  così: 
ha  gà-hd-ti,  abbandonare;  ghrà  gi-ghra-ti,  mandare  odore, 
odorare  *. 
§  35.  I  cenni  che  precedono ,  diligentemente  richiamati  appresso  ai 
singoli  casi,  potranno  bastare  a  renderci  chiara  la  serie  delle 
corrispondenze  indo-italo-greche  per  lo  gh  originario,  parte  della 
quale  ora  ci  facciamo  a  mostrare: 

1.  Sscr.  himd-m  Cghjama-,  'zjama-,  v.  V  Ind.),  gelo,  freddo,  himà 

inverno  (e  quindi:  anno;  p.  e.  gaia  hirnà;,  cento  anni,  r^u.,  I,  64, 
14,  II,  33,  2;  cfr.  zendo  thri-gatò-zima ,  trecent'anni);  -  gi\ 
ystu-ax-,  -/et.ti(.wv-  ()(^eiaa,  •/Et[j.wv),  inverno,  intemperie  invernale 
(e  se  è  genuina  la  glossa  esichiana:  y£ttx«[v]«  /st[xa)va,  la  quale 
è  suffragata  anche  dal  derivativo  x,£t[ji.tvi,  gelo,  se  ne  ricava  un 
fem.  x^^V-^^1  ^^^  sarebbe  tal  quale  l'equivalente  lituano  zèmà\ 
V.  §  36,  I,  e  cfr.  il  fem.  sscr.  himà),  yelu.-z--{ko~^^  '/t'[;.-£-5-Ào-v, 
gelone  ;  -      lat.  hiem-s  **. 

2.  Sscr.  hjas  Cghjas,  'zjas) ,  jeri;  -       gr.  /.5e?  ( v.  Jnd.),, jerì;  -       lat 

her-i  Cìies-i),  hes-terno-. 

3.  Sscr.  vah  vdh-a-ti  ('vagh,  'vaz;  zendo  vaz),  vehere,  ferre,  vdha-a 

(cioè:  il  conducente),  carro,  via;  -  lat.  (§  32,  IV)  veh-o,  veh-i- 
-culo-,  veh-es,  e  con  totale  dileguo  del  h:  via,  umbro  ve  a 
(1.*  tav.  eug.)  e  via  (3."  tav.  eug.),  osco  viù;  cui  si  aggiunge- 
rebbe l'osco  veia,  plaustrum,  serbatoci  da  Paulo.  Del  riflesso 
greco  tocchiamo  più  tardi  (s.  /').  Lo  gh  è  ancora  intatto  nel 
nome  sscr.  augha-  (v.  Ind.),  propriamente:  che-porta,  trascina 


*  Cfr.  àncora,  circa  lo  h  sscr.,  la  Lez.  XIV,  e  St.  crìi.,  II,  126 
e  segg.;  e  circa  lo  z  indo-irano,  il  luogo  ult.  cit.  e  il  §  36. 

**  Intorno  al  greco  X'°"*'*'  (X'^'^)  ^  '^^^^  zendi  zojana  zaèna,  vedi 
l'Indice;  intorno  al  lat.  hiber-nu-s  (hlber  ~  'hinfer-  'hinfro  «=  j^L^t.tB'ko-, 
cfr.  §  54),  gli  Studj  crii.,  II,  97-8;  e  circa  V Imaùs  di  Plinio  (sscr. 
Himavant-  a  Himàlaja-),  ghiaccioso,  nevoso,  gli  Studj  orient.  e  lin- 
guist.,  l,  268. 


§  35.    RIFLESSI   INDO-ITALO-QRECI   DELLO  gh  ORIGINARIO.  179 

e  quindi:  corrente,  fiotto,  e  anche:  frotta  (così  il  nostro  frotta 
riviene,  insienie  con  fiotto^  a  fluctus  *). 

4.  Sscr.  torh  ta-tdrh-a  (3.  sg.  perf.  att.) ,  fracassare  ;  -     lat.  (§32,  IV) 

trah-o,  trah-ax,  trah-a^  trah-ea.  La  stessa  successione  dì 
significati  (rurapere,  lacerare,  distrahere,  trahere)  sì  riproduce 
ne' normali  continuatori  germanici  (p.  64)  della  radice  origina- 
ria e  sanscrita:  dar,  dirumpere;  cioè:  got.  tairan  (ga-tairau) 
destruere,  alto-ted.  ani.  zeran,  id. ,  zerjan,  moderno  zerren, 
distrahere,  trahere.        [Cfr.  Studj  critici,  II,  p.  146  e  seguenti.] 

5.  Sscr.  plihan-  ('splaghan  v.  Indice,  'splaz'an  'splzan,  zendo  gpe~ 

reza),  milza;  -  gr.  cnrXaYX^*»  l6  viscere,  c7rXv]'v  {'splehen,  vedi 
VJnd.)',-      lsit.lièn  Cplehèn,  'plièn,  v.  §  32,  IV,  e  l'Ind.). 

6.  Sscr.  ràh,  scorrere,  correre,  raghù-s,  che  è  in  rapido  corso,  la- 

ghù-s,  rapido,  leggero,  minuto,  insignificante;  -  gr.  6-Xa;(u-(; 
V.  Ind.),  minuto,  lieve,  insignificante;  al  superlat. :  l-Xijiaio-c,  = 
sscr.  Idghistha-s ;  lat.  (§32,  IV)  lèv-i-s  ('leliu-i~s).  Come 
lev-i-s  Cle1iu-i-s)  ad  ì-Xóiju-^,  così  sta  brèv~i-s  CbreTm-i-s)  allo 
equivalente  Ppàp'-;. 

7.  Sscr.  mih  mdih-a-ti  {'migh  'miz\  zendo  miz) ,  urinare,  maighd- 

(zendo  maègha),  nube  (propriamente:  spanditore  d'acqua**);  - 
gr.  Ò-IXI-/-SW  (V.  Ind.),  urino,  o-}xt.-/^ii.x ,  urina,  o-y.r/-X7^  (v.  Ind.), 
nebbia,  nuvolo;  -  lat.  mèjo  ('meih-o  ***)  e  mingo  ("minho, 
§  32,  III);  —  'meiho  (mejo):  mingo  :  :  Xet'yco  :  Ungo  (n.  8). 

8.  Sscr.  rih  rih-d-ti,  leccare,  Uh  U-ldih-a  (3.  sg.  perf.  att.),  id, 

{'Ugh  'Uz,  cfr.  l'armeno  Uz-an-el)-,  -  gr.  AIX,  X£r/-w,  lec- 
co;-     lat.  Ung-o  (LIH  im/i-o,  §  32,  III;  cfr.  n.  7). 

9.  Sscr.  à'h-'as   (rad.  'angh,  'anz)i  zendo   àz-og[-Jia],    strettezza. 


*  Anche  ra/ia- (V.  sopra)  direbbe  ^fiotto'  (Bopp):  dadarga....  nadi: 
punja-vahà: ,  vide  fiumi  dalle  onde  pure  {sàvitrjupàkhj.,  4,  30-31). 

**  Si  aggiunge:  mih,  nebbia;  e  in  una  raccolta  indigena  di  parole 
che  hanno  piti  significati,  V Anaikàrthasàgraha  di  Haimaìiandra ,  sì 
adduce  anche  mihira,  nube,  dì  cui  il  Fick,  o.  c.  ,  p.  144,  si  vale  per 
stabilire  la  forma  indo-europea  'migh-rà,  che  genererebbe,  oltre 
che  mihira,  il  greco  ò-iAr/Xy] ,  il  lituano  mig-là,  e  il  paleo-bulgar. 
mìg-la. 

***  Circa  'meih-o  'meij-o  mèj-o,  v.  Studj  critici,  II,  146. 


180  §  35.    RIFLESSI    INDO-ITALO-GRECI   DELLO  gh    ORIGINARIO. 

angustia,  sanscrito  e  zendo  agha-,  dannoso,  malo;  periglio, 
danno;  -  gr.  ol^i-m,  stringo,  strozzo,  ax,~°?»  angustia  (cfr- 
p.  182);-  lat.  ang-o  Ccinli-o,  §  32,  III),  ang-or,  ang-us-to-' 
10.  Sscr.  dhi-s  m.  e  f.  Cccghi-  'azi,  zendo  azi-),  biscia,  vipera; - 
gr.  6)(_t-;  (cfr.  §  36,  v.  1.  f.)  m.  e  f.,  vipera;-  lat.  angui-s 

{'anìivi-,  §  32,  III;  e  cfr.  §  .36). 

I  quali  esempj  ci  danno  imprima  la  giusta  misura  della  fre- 
quenza dell'alterazione  sanscrita  (indo-ìrana)  dello  gh  origina- 
rio; la  quale  se  già  a  primo  tratto  non  apparisce  meno  estesa 
di  quella  dell'originario  g  (§§23,25),  avrà  poi  a  risultarci,  per 
più  attento  esame,  ben  più  profonda  di  questa,  tanto  che  la 
quantità  del  danno  patito  dalla  media  gutturale  aspirata  ori- 
ginaria debba  dirsi  superiore  pur  di  quella  a  cui  è  soggiaciuta 
la  originaria  tenue  (v.p.  107)*.  E  nei  continuatori  dello  gh 
avremmo  d'altronde,  tra  lingua  e  lingua,  più  di  un  saggio  di 
equivalenza  fonetica  ed  etimologica,  la  quale  implichi  tutta- 
volta  diversità  istorica  dei  suoni  coincidenti.  Poiché,  secondo 
i  ragionamenti  che  facemmo  precedere,  se,  a  cagion  d'esempio, 
coincidono  in  hima  hiem-  (35,  1.)  lo  h  del  sanscrito  q\o  h  la- 
tino, la  ragione  evolutiva  dei  due  h  riman  tuttavolta  affatto 
diversa,  avendosi  per  la  spirante  indiana:  ghgh  zh  z  h  {%34:), 
e  per  la  latina:  ghkhkhhh  (§33);  e  cosi  la  coincidenza  del 
g  latino  col  g  del  gotico,  p.  e.  in  angustus  ed  aggvus  (angvus; 
stretto),  del  pari  che  ogni  altra  normale  coincidenza  di  medie 
latine  e  medie  gotiche,  non  esclude  la  diversa  istoria  dei  due 
suoni,  altro  non  essendo  la  media  gotica  se  non  la  continua- 
zione del  primo  elemento  della  media  aspirata  originaria  (p.  154, 
169),  dovechè  la  media  latina,  nella  funzione  che  qui  si  consi- 
dera, ci  risultava  trasformazione  seriore  della  spirante  italica 
(§32,  III).  Ancora  va  considerato,  circa  i  continuatori  latini  dello 
gh  originario,  che  uno  stadio  di  maggiore  robustezza,  che  non 


*  V.  §  36,3,11,  e  la  nota;  ma  considera  tuttavolta  l'ultima  parte 
di  questa. 


§  35.    RIFLESSI    INDO-ITALO-GRECI    DELLO  gli   ORIGIXARIO.  181 

sia  quello  della  semplice  aspirazione,  ci  sta  dinanzi  nelle  com- 
binazioni et  cs  di  vec-tO'  vec-si,  trac-to-  trac-si;  le  quali  forme 
a  buon  diritto  coincidono  con  mino-to-  mic-to-  mine-si  mie-si, 
linc-to-  line-si,  poiché  nelle  fasi  anteriori  punto  non  differisce 
la  uscita  di  veli-  vekK,  trali-  trakJi  (35,  3.  4.)  da  quella  di  minJi 
minkJi,  Unii  linkU  (35,  7.  8.).  Altro  documento  della  vigoria  che 
aveva  in  fasi  anteriori  lo  h  lat.  da  gli  orig.,  s' incontrerebbe 
eziandio  nelle  forme  an-hèlus  an-hèlare,  le  quali  contengono  la 
stessa  base  che  è  in  hd-l-are  e  hio  e  yi-cx^  (io  sbadiglio),  base 
con  gh  iniziale  originario,  come  è  in  ispecie  confermato  dai  pa- 
ralleli germanici  e  slavi,  -  e  ci  mostrano  V*amf-  amb-  di  amh- 
-edo  ecc.  (§60),  che  si  ottunde,  nello  stringersi  allo  h,  come 
fa  dinanzi  a  suono  esplosivo  in  an-eeps  e  altrettali,  od  in  an- 
-fractus*.  Poi  domanda  la  nostra  attenzione  lo  liv  (gv)  dell'ul- 
timo fra  i  riflessi  latini  dinanzi  rassegnati  (anguis,  *anlivis), 
intorno  al  quale  surge  il  quesito,  se  il  v  continui  una  parassita 
ante-italica,  oppur  se  non  sia  uno  sviluppo  semplicemente  ita- 
lico 0  latino,  quesito  che  si  coordina  ai  ragionamenti  da  noi 
tenuti  nello  studiare  il  v  che  abbarbicavasi  a  k  oà  a,  g  origi- 
nario (§§  19,  26).  La  risposta  litu-slava,  e  un  termine  greco 
non  peranco  addotto,  verranno  tra  non  molto  (§36)  a  farci  ri- 
tenere di  antica  radice  pure  il  v  latino  di  anguis  {*anJiuis), 
come  altrettanto  antico  ci  apparirà  quello  di  ninguit,  esemplare 
che  entra  anch'esso,  col  suo  parallelo  greco,  nella  continuazione 
dello  gh  originario.  All'incontro,  pel  v  di  lingua  allato  a  Ungo 
{"Unlio,  35,  8.  ),  il  quale  del  resto  non  ha  per  sé  che  la  sola  au- 
torità della  lezione  dei  nostri  manuscritti  di  Prisciano  **,  non  si 


*  Circa  an-helar e '=>'aìnf-\-halare,  v.  Pott,  Wurzel-wdrterb.,l,83-i. 

**  X,  11:  haec  tamen  non  videntur  in  uo  divisas  terminare,  in  qui- 
bus  u  vim  literae  amittit,  unde  in  guo  quidem  syllabam  terminantia 
huiuscemodi  servant  regulam  in  go  terminatoruin ,  sicut  et  quae  in 
quo  finiuntur,  rationem  sequuntur  in  co  desinentium:  dicimus  igitur 
unguo  unxi  et  linguo  linxi,  ut  pingo  pinxi ....  Cfr.  Corssen,  Beitr. 
z.  lat.  formenl.,  p.  68. 


182  §  35,    RIFLESSI    INDO-ITALO-GRECI    DELLO   gh    ORIGINARIO. 

vede  affatto  alcun  indizio  di  esistenza  ante-romana.  Per  la  parte 
greca,  finalmente,  il  penultimo  degli  eserapj  da  noi  riferiti 
(ay/ojecc.)  ci  conduce  a  toccare  di  tal  fenomeno,  che  interessa 
alla  sua  volta  l'istoria  generale  delle  aspirate.  Poiché,  se  ad 
àyx-w,  stringere,  rivengono  manifestamente,  da  un  lato,  ày-z-ou 
ay-/-:  (da  presso*),  mal  si  potrebbe,  dall'altro,  per  le  lievi 
dubitazioni  del  Pott  ** ,  staccarne  l' equivalente  lyyu-S-t  eyyu-? 
(da  presso),  quando  in  ispecie  si  consideri  la  coincidenza  mor- 
fologica del  greco  lyyó-  col  sscr.  ahù-  (*anghù),  stretto,  strettura, 
e  col  got.  aggvu-  (angvu-),  stretto.  Ora  la  semplice  media  greca 
per  media  aspirata  originaria  o  per  la  corrispondente  aspirata 
tenue  del  greco  stesso ,  è  fenomeno  che  occorre  in  tutte  e  tre 
le  serie  di  consonanti  (cfr.  §§  52,  60),  comechè  affatto  raro  per 
la  gutturale  e  per  la  dentale,  e  solo  un  po'  men  raro  per  la 
labiale;  ma  sempre  si  tratterà,  negli  esempj  sicuri,  di  media  in- 
terna preceduta  da  nasale.  Quindi,  non  contemplandosi  qui  i  casi 
pei  quali  v'abbiano  testimonianze,  o  probabilità,  che  le  due  pro- 
nunzie risalgano  entrambe  ad  età  remotissima  od  abbian  fonda- 
mento nell'indecisione  del  suono  originario  ***,  ci  resta  il  doppio 
quesito,  se  in  lyyu-;  =  *engìius ,  ed  altrettali,  si  tratti  di  vera 
aspirata  che  smarrisca  nella  Grecia  la  sua  aspirazione,  e  quindi 
ce  ne  vengano  altrettanti  documenti  che  ancora  fosser  medie 
aspirate,  nelle  prime  età  greche,  le  consonanti  che  rispondono 
alle  medie  aspirate  originarie  e  sanscrite,  oppur  se  non  vi  si 
tratti,  come  nel  latino  {*minJio  mingo  ecc.),  di  tenue  aspirata 
scesa  a  spirante  sorda,  la  qual  poi  diventi  media  per  effetto 
della  precedente  nasale.  Io  mi  decido  per  la  seconda  sentenza, 
considerando,  che  se  ci  atteniamo  alla  prima,   l'efficacia  della 


*  Così  presso  è  da  pressum ,  conformità  ideologica  già  registrata 
dal  DiEz,  nel  suo  Etymolog.  wórterb.  d.  romanischen  sprachen. 

**  Etymolog.  forschung.,  2.  ed.,  I,  276,  n. ;  e  cfr.  il  nostro  Indice. 

***  Si  allude  all'attenenza  che  è  tra  il  gr.  ysvu-;,  mascella  (  inferiore), 
e  l'equivalente  sscr.  hanu-s,  e  in  altrettali.  Vedine  Vlnd.  s.  yóvù-?  e 
anche  il  §60. 


§  36.  ETÀ.  E  VAUIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  gfl  ORIGINARIO.     183 

nasale  rimane  enigmatica,  dove,  all' incontro,  per  ng  da  n/i,  ecc., 
vale  a  dire  pel  fenomeno  di  spirante  sorda  che  si  renda  sonora, 
e  finalmente  consonante  media,  perchè  le  corde  vocali  restino 
nell'attitudine  medesima  in  cui  sono  nel  proferimento  della  na- 
sale, non  solo  s'  ha  questa  ragione  fisiologica,  ma  insieme  si 
hanno,  come  ho  altrove  compiutamente  mostrato,  oltre  le  ana- 
logie latine  e  le  germaniche,  paralleli  albanesi  assai  conclu- 
denti.* È  fenomeno  affine  l'aversi  iig  7id  mb,  da  nk  nt  mp  an- 
teriori, nel  greco  moderno  e  nell'albanese.  E  l'esistenza  di  un 
modesto  numero  di  voci  in  cui  •/  ^  cp  fosser  vere  spiranti  in  rimoti 
periodi  ellenici,  la  quale  è  presupposta  dalla  dichiarazione  che 
noi  adottiamo,  punto  non  ripugna,  ed  anzi  ben  si  adatta,  al- 
la istoria  generale  delle  aspirate  greche  (p.  159-60).  Intanto,  per 
esaurire  il  discorso  di  ng  ^nli,  noteremo  ancora  che  (jLdcyyavov, 
ammaliamento,  andrà  con  [X7]xavy(,  arte,  mezzo,  stromento,  dove 
s'  hanno  i  paralleli  ideologici  del  sanscrito  krtjd ,  faccenda, 
opera,  ammaliamento,  e  degV  iÌ3i[ÌQ.m  fattura,  fattucchiero,  ecc.  ;- 
e  finalmente  l'esichiano  à^ypia  (Xutiv);  quindi:  affanno,  dolore;  e 
senza  la  nasale:  ày^ise;  =i  XuTcat ) ,  che  anch'esso  potrebbe  rive- 
nire, come  lyyu;,  ad  ay/-co,  stringere  (angustiare). 

Ora  converrà  che  ritorniamo  alle  alterazioni  asiatiche  dello  e  36. 
gh  originario,  per  iscrutarne  l' età  e  la  genesi,  alla  luce  dei  ri- 
scontri litu-slavi,  i  quali  insieme  ci  ricondurranno  a  compir  lo 
studio  de'  continuatori  italo-greci  di  questo  suono.  E  quanto 
avemmo  a  dire,  ne' corrispondenti  luoghi,  intorno  alle  conti- 
nuazioni di  ^  e  di  ^  **,  ed  in  ispecie,  con  discorso  che  sarà  po- 
tuto parere  soverchiamente  sottile,  intorno  alla  continuazione 
del  secondo,  avrà  qui  ora,  dal  parallelo  dell'aspirata  media,  com- 
piuta ed  assai  notevole  conferma. 

Già  avemmo  ad  affermare,  e  a  mostrar  con  parecchi  esempj ,  la 
speciale  e  continua  concordanza,  fra  sanscrito  e  zendo,   anche 


I 


*  Studj  critici,  II,  120-22, 124. 

**  Si  confrontino,  per  tutto  quanto  concerno  il  presente  paragrafo, 

§§15,19,25,26. 


184    §  36.  ETÀ  E  VARIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  gh  ORIGINARIO. 

rispetto  al  fenomeno  di  spirante  da  gh  originario,  e  a  riportar 
quindi  all'età  indo-irana  pur  questo  scadimento  di  antica  gut- 
turale (§§34,35)*.  Vedemmo,  all'incontro  (§§31,32),  come 
la  spirante  italica  [li,  h),  e  tanto  più  quella  del  greco  seriore, 
per  lo  gh  originario,  dipenda  da  un  principio  generale,  che  si 
attua  costantemente  nel  gruppo  greco-italico,  per  tutte  le  aspi- 
rate e  per  sue  proprie  vie;  e  come,  in  ispecie,  essa  presupponga 
l'esplosiva  aspirata  mantenutasi  per  lunga  serie  di  secoli  dopo 
che  era  avvenuto  il  distacco  della  favella  degl'  Itali  e  de'  Greci 
da  quella  degl'Indi  e  dei  Persi.  Quindi  rimane  affatto  escluso 
che  si  possa  ripetere  una  qualsiasi  speciale  consuonanza,  tra  i 
continuatori  italo-greci  e  gl'indo-irani  di  gh  originario,  da  al- 
terazioni che  si  fosser  consumate  prima  di  quella  divisione.  E 
le  favelle  dei  Germani  e  dei  Celti  ci  mostrano,  alla  lor  volta, 
g  per  gh  originario,  secondo  l'analogia  generale  di  cui  pur  già 
toccammo  (p.  154,  169);  quindi  pure  in  esse  non  mai  si  ripro- 
duce lo  scadimento  indo-irano  {z  da  gh)  del  quale  ora  si  parla  **. 
Ma,  anche  per  questa  parte,  le  cose  mutano  affatto  di  sembianza, 
quando  ci  volgiamo  al  gruppo  litu-slavo.  Il  quale  nuovamente 
qui  ci  offre  una  particolar  concordanza  coli' indo-irano,  rispon- 
dendo per  z  e  z  ***  allo  z  asiatico  {z  dello  zendo,  h  del  sanscrito) 
per  gh  originario,  come  si  può  vedere  da'  seguenti  esempj  : 


*  Vediamo  tantosto  (  p.  190  )  come  si  dichiari  1'  apparente  discor- 
danza che  è,  tra  sanscrito  e  zendo,  in  duhitdr-  s. ,  dughdar-  z.,  fi- 
glia. Tocchiamo  pure  di  han  s.  allato  a  gan-  z.  (p.  192-3  n.),  e  di 
drag  che  nello  zendo  si  aggiunge  a  dare z  =  sscv.  dark  (p.  189  n.). 

**  Esempj  celtici  e  germanici  per  la  continuazione  di  gh  originario, 
mantenutosi  gh  o  fattosi  z'  indo-irano,  sarebbero,  dall'  irl.  ant.  :  gaim, 
inverno  (35,1.),  Ug-im,  io  lecco  (35,8.),  dall' irl.  seriore  (Stokes, 
Irish  glosses,  p.  118):  sealg  (*selg),  milza  (35,  5.,  36,  1.);  e  dal  got.: 
gistra-,  jeri  (35,2.),  vig-a,  via  {vag-en,  carro;  35,3.). 

***  Quindi  lo  stesso  rappresentante  lituano  {z)  e  slavo  (i)  clie  ave- 
vamo nella  continuazione  alterativa  dì  g  originario,  com'  è  consen- 
taneo all'indole  della  favella  litu-slava,  che  non  discerne  tra  media 
pura  e  media  aspirata  dell'idioma  primitivo. 


§  36.  ETÀ  E  VARIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  gh  ORIGINARIO.     185 
Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e  antico  bulgaro. 

\'zjama,  z.  zima-,  s.  himà  (35,  1.),  1.  ziìmà,  b.  zima,  id. 

inverno. 

'vaz,  z.  vaz,  s.  vah  (35, 3,),  vehere.  1.  vcz-ù,  b.  vez-o,  veho. 

'tarz,s.tarh(àisceTpere,v.3ù,4.).  h.  trùz-ati,  veliere. 

'splazan,  z.  gpereza.,  s.  plihan,  h.  slezena,  id. 

milza  (35,  5.). 

'miz,  z. miz^ s. mih, urinare (35, 7.)  1.  my'z-ti ,  id. 

'liz,  s.  Uh,  leccare  (35,  8.).  1.  lez-ti,  b.  liz-ati,  id. 

*an;s M-,s.ft/iM-, angusto  (cfr. 35, 9.  h.  ozù-ku,  angusto. 

e  p.  186). 

'darz,  z.  darez,  s.  dark,  fermare,  b.  rad.  druz-,  tener  fermo  *. 

fissare,  consolidare. 

Il  valore  della  quale  concordanza  è  pur  qui  accertato,  imprima, 
dal  trovarsi  ancora  concordi  il  litu-slavo  e  l' indo-irano  nei  casi 
non  gran  fatto  frequenti  di  conservazione  indo-irana  àell'  antica 


*  Questo  esempio ,  non  meno  saldo  degli  altri ,  ha  d'  uopo  tutta- 
volta  di  qualche  schiarimento.  Il  Lessico  di  Pietroburgo  pone  allato 
al  sanscrito  dark  il  paleo-bulgarico  drùz-ati,  tener  fermo,  padro- 
neggiare (cfr.  Curtius,  num.  316),  e  ben  si  appone  di  certo.  Ma 
drùz-ati  non  farebbe  prova  per  z  si.  e  /i  sscr.,  poiché  il  suo  z  tanto 
potrebb' essere  il  prodotto  di  z-j,  quanto  quello  di  g-j  {'drùz-jati 
'drùg-jati).  All'incontro  avremo  netto  ancora  il  tipo  druz  nel  pa- 
leo-bulgarico drùz-ati,  druz-noti,  audere,  che  mal  si  è  tentato  di 
raccostar  direttamente  al  sscr.  dhars,  poiché  lo  z  si.  non  può  rispon- 
dere allo  s  sscr.  (cfr.  Schleicher,  Formenlehre  der  kirchensl.  spr., 
p.  117-8).  La  successione  ideologica:  tener  fermo,  sostenere,  opporre 
resistenza,  osare,  ha  molteplici  conferme.  Così  il  greco  roXacc,  audacia, 
dice  veramente:  la  forza  di  sostenere,  sopportare;  e  il  sscr.  dhar-s, 
audere,  rampolla  alla  sua  volta  da  dhar,  tenere,  portare  (v.  Vlntro- 
duz.  alla  MorfoL,  s.  vv.,  e  nella  Fonologia  irana  il  gruppo  in  cui 
entra  l'armeno  v-sta-h,  confidente,  ardito).-  11  significato  di  'le- 
gare' (tener  fermo,  fissare,  legare)  si  manifesterebbe  nello  zendo  cZc- 
reza-,  vincolo,  catena,  e  nel  lituano  dìrza-s,  correggia,  donde  ulteriore 
conferma  al  nostro  riscontro  fonetico. 


186   §  36.  etX  e  varietà  delle  alterazioni  dello  gh  originario. 

gutturale.  Dove  in  primo  luogo  si  vuol  notare,  come  la  vece 
ìndo-irana  di  z  e  gh,  che  avvertimmo  tra  il  verbo  miz,  uri- 
nare, e  il  nome  ìnaigha-,  nube  (35,7.),  avrebbe  ora  il  suo  ri- 
scontro nel  lituano  mig-là,  paleo-bulgaro  mìg-la,  nehwÌQ.,  allato 
al  lituano  m?/i-  (36,1.),  urinare.  Si  aggiungerebbero,  tra  gli 
altri,  dallo  slavo  antico:  ligù-ku,  le  vis,  allato  al  sanscr,  laghù- 
(35,  6.;  cfr.  si.  oiw-M  =  sscr.  ahù-,  36,  1.),  e  stig-no-ti,  arrivare, 
allato  al  sanscr.  stigli  siigh-nu-tdi,  ascendere  *,  gr.  czdyM,  pro- 
cedo **.  Dall'altro  canto,  non  v'ha  pur  un  solo  valido  esempio, 
in  cui  il  gruppo  litu-slavo  abbia  ridotto  a  suono  continuo  l'an- 
tica gutturale  aspirata,  e  l' indo-irano  la  continui  per  suono 
esplosivo  ***  ;  e  la  reale  divergenza  tra  lituano  e  slavo  si  ri- 
duce anch'essa,  per  tutta  quanta  la  continuazione  di  gh  ori- 
ginario, a  proporzioni  affatto  insensibili****.  Resterebbe  la  serie. 


*  Questo  verbo,  addotto  dai  grammatici  indiani,  non  è  peranco 
esemplato;  ma  trova  piena  conferma  ne' riscontri  europei,  ed  in  ispe- 
cie,  per  l'aspirata,  nel -riscontro  greco,  allegato  dal  testo. 

**  Pei  riscontri  lituani,  ed  altri  esempj,  vedi  intanto  lo  Schleicher, 
nel  Compendio,  §§  178,  187.  E  anche  spoglio  di  quel  po'  di  artificio 
che  il  FiCK  ci  mette  (o.  e,  13),  ben  si  potrà  aggiungere  l'esempio 
da  lui  statuito:  lit.  alga,  prezzo  (salario),  sscr.  arghd-,  pregio,  prezzo. 

***  Si  potrebbe  per  vero  citare  il  lituano  zèr-iù  {zèr-u  ap.  Nessel- 
mann),  ardere,  risplendere,  a  cui  si  trovano  anche  paralleli  slavi, 
di  contro  al  sscr.  ghar,  che  si  traduce  splendere,  e  che  in  effetto, 
ne' suoi  rampolli,  mostra  piuttosto  il  valore  di  ardere,  riscaldare, 
Senonchè,  a  tacer  d' altro,  lo  ghar  originario  e  sanscrito  {gar  zendo) 
ha  intanto  la  sua  normal  continuazione  litu-slava  nel  paleo-bulgar. 
gor-je-ti,  ardere,  cui  pongono  a  fianco  il  lituano  garas  vapore.  Ora 
si  può  consultare,  intorno  a  questo  gruppo,  il  secondo  voi.  del  Wur- 
zeh-icòrterbuch  di  Pott,  p.  252. 

****  11  paleo-bulg.  stìza,  semita,  allato  allo  stig-no-ti,  arrivare,  che 
testò  citammo,  od  al  lituano  staìg-ù-s,  precipitoso,  non  costituisce  già 
uno  screzio  radicale;  ripetendosi  la  forma  collo  z  da  fenomeno  se- 
riore, peculiarmente  slavo  {'stig-ja;  Schleicher,  Formenl.  d.  kirchensl. 
spr.,  p.  151,  Compendium,  §  182,5).  Meglio  ancora  è  manifesta  la 


i 

■P  §  36.  ETÀ  E  VARIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  gh  ORIGINARIO.     187 

in  cui,  a  primo  aspetto,  par  che  litu-slavo  e  indo-irano  discor- 
dino all'incontro  per  ciò,  che  il  secondo  gruppo  abbia  il  suono 
continuo  e  l'altro  l'esplosivo.  Esempj: 

Sanscrito  e  zendo.  Lituano  e  antico  bulgaro. 

2.  'daz\  z.  daz,  s.  dah,  abbraciare.      1.  deg-ù,  abbrucio. 

'duzUar,  s.  duhitdr  (del  riflesso      l.  dukter-{'dug-ter~),  nom.  duktc\ 

irano  si  parla  tantosto),  figlia.  figlia  *. 

'sniz\  i.gniz,  nevicare.  1.  swì^-^z, nevicare, SMé''^a-s, neve; 

b.  snjegu,  neve. 
*ai:'2,z.aÌi-,s.d/it-,  biscia  (35, 10.).     \.  angi-s,  id.  **. 


modernità  dello  screzio  in  zlù-tù  paleo-bulg.  (  con  z,  non  con  z),  giallo, 
accanto  al  lituano ^èZ-?a-s,  id.,  e  simiglianti;  dove  l'alterazione  slava 
proviene  dal  l  attiguo;  cfr.  Schleicher,  Compendium,  §  182,  e  il  pres* 
voi.  a  p.  55.  Ad  altre  apparenti  divergenze  arriviamo  tantosto.  Diver- 
genza reale  vi  avrebbe  all'incontro  fra  gosl  paleo-bulg.  e  zàsì-s  li- 
tuano, oca,  allato  all'  equivalente  sscr.  hàsd-  hàsi.  Ma  il  caso  essendo 
così  isolato,  può  surgere  il  dubbio,  che  lo  slavo  abbia  assunto  la  de- 
nominazione germanica  di  questo  palmipede  {gans[i]). 

*  Il  riflesso  paleo-bulgar.  d'usti,  gen.  dusier-e^  ripete  dall'i  l'alte- 
razione di  kt  in  su. 

**  L'equivalente  paleo-bulg.  àzl  (addotto  da  un  less.  del  1704,  e 
confermato  dai  riflessi  de'  moderni  idiomi  slavi  ;  cfr.  Miklosich,  Lexi- 
con palaeoslovenico-graeco-latinum ,  1862-65,  p.  1163,  e  qui  sopra, 
l'ult.  n.  a.  p.  114),  ripete  il  suo  z  dalla  vocale  che  sussegue.  -  Due 
nuovi  esempj,  per  la  serio  a  cui  ora  siamo,  son  proposti  dal  Fick, 
o.  e,  p.  19,  148;  cioè:  il  Ht.  ig-iju,  conseguo,  ottengo  con  fatica, 
mi  do  pena,  allato  al  sscr.  ih  ih-a-tai,  agognare,  darsi  pensiero; 
e  i  lit.  pa-jegù-s,  róbnsio,  jég-iii,  son  forte,  allato  al  sscr.  jaM-,  zendo 
ja-zu-,  che  traducono:  grande.  Senonchè,  circa  il  primo  è  d'avvertire, 
che  difficilmente  esso  ò  diverso  dal  composto  t-gyiù  (,%  non  è  diverso, 
nella  pronuncia,  da  i\  ed  ?/  lo  ò  solo  per  la  quantità),  conseguo,  co- 
mechò  il  Nesselmann  (  Worterbuch  der  littauischen  sprache,  24,  254  ) 
li  tenga  divìsi.  Circa  il  secondo,  si  desidererebbe  maggior  convenienza 
ne' significati;  ma  è  caso,  tuttavolta,  ben  degno  di  considerazione. 
V.  ancora  l'ultima  nota  a  questo  paragrafo. 


188     §  36.  ETÀ  E  VARIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  fjh  ORIGINARIO. 

Ma  aguzzando  l'occhio  noi  ci  faremo  capaci,  che  simili  diver- 
genze hanno  lor  proprie  ragioni,  e  lungi  dal  togliere,  crescono 
importanza  alla  serie  in  cui  coincide  la  alterazione  indo-irana  e 
la  litu-slava;  coincidenza  che  qui  anzi  risulta  più  esatta  che  mai. 
Come  riuscivamo  a  scoprire,  nel  g  sanscrito,  due  diversi  gradi 
di  alterazione  del  g  originario  (§§25,  26),  l'uno  de'  quali  ci  era 
rappresentato  dal  tipo  varg  vrk-tà ,  e  V  altro  dal  tipo  marg 
mrs-tà,  cosi  nel  h  sanscrito  {z  indo-irano)  ne  scopriremo  due 
diversi  dell'originario  gh;  nel  primo  de'  quali  si  ha  la  costante 
vece  grammaticale  ài  h  q  gh  (cfr.  p.  104-5),  mentre  nel  secondo, 
che  è  il  più  solito,  avremo  dh  {*z-^t,  v.  §44)  per  prodotto  di 
h-t  0  h-th  (cfr.  p.  105).  Si  osservino: 

3.  I.  Continuazione  di  gh  orig.  parallela  a  quella  di  g  orig.  del  tipo 
varg  vrk~td~  ('vrg-td):  duh,  mungere,  3.  sg.  del  fut.  att.  : 
dhauk-sjdti  (v.  Metat.  delVaspiraz.),  partic.  perf.  pass.:  dug-dhd 
{]^ev 'dugh-ta,  v.  §  40,  ap.  5);  dah,  abbruciare,  parile,  perf. 
pass.:  dag-dhd',  snih,  amare,  3  sg.  fut.  att.:  snaik-sjd-ti ^ 
partic.  perf.  pass.:  snig-dhd-, 

II.  Continuazione  di  gh  orig.  parallela  a  quella  di  g  orig.  del 
tipo  marg  mrs-td  (che  è  il  caso  infrequente  per  g  e  solito  per 
gh,  cfr.  p.  106-7  e  180):  vah,  vehere,  tarh,  discerpere,  mih, 
mingere,  Uh,  Ungere,  darh,  firmare  (36, 1.),  daranno  bensì  an- 
ch'essi figure  sigmatiche  sulla  stampa  ài  vak-sjd-ti,  vehet;  ma 
se  passiamo  alle  figure  residue,  che  possono  esserci  rappresen- 
tate dal  partic.  perf.  pass,  in  -td,  avremo  ùdhd  trdhd  midhd 
lidhd  drdhd  (cioè  'uz-k-ta  trz+ta  ecc.,  v.  §  44)  *. 


*  La  grammatica  indiana  statuisce,  che  il  tipo  duh  dug-dhd-  sia 
proprio  delle  radici  che  incominciano  per  d,  e  il  tipo  mih  midhd-  sia 
di  tutte  le  residue;  e  la  special  concordanza,  tra  la  voce  asiatica  e 
la  litu-slava,  che  stiamo  per  avvertire,  manterrebbe  tutta  la  sua  im- 
portanza anche  data  questa  regola,  tanto  più  che  si  estenderebbe  anco 
all'eccezione.  Giova  tuttavolta  considerar  più  d'appresso  quest'affer- 
mazione de'  grammatici.  I  complessi  radicali,  sulla  formola  d-..-h,  si 
riducono  veramente  a  questi  cinque:  dah  dih  duh  druh  darh.  Ora  il 
quinto  di  essi  ci  dà,  come  il  testo  mostrava,  il  partic.  drdhd-,  e  non  se 


§  36.  ETÀ  E  VARIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  gh  ORIGINARIO.     189 

Ora,  ei  non  può  essere  opera  del  caso,  che  il  litu-slavo  risponda 
per  g  quando  il  sanscrito  ci  offre  il  tipo  duh  dug-dhà-,  e  allo 
incontro  risponda  per  z  {z)  quando  il  sanscrito  ci  mostra  l'altro 
tipo  darìi  drdhà-  {*drz  ^ia)\  così  come  rispondeva  con  seg 
al  sscr.  sag  sak-tà-,  mentre  con  melz  al  sscr.  marg  mrstà- 
(p.  117).  Quindi  legittimo  il  lituano  deg-ìb  allato  al  sscr.  dah 
{dag-dhà-),  abbruciare  (36,2.),  quanto  son  legittime  le  radici 
litu-slave  vez  trùz  miz  liz  drùz  (36,  L),  rimpetto  ai  paralleli 
sanscriti  che  testé  rassegnammo  (36,3.11),  la  cui  uscita,  nel 
congiungersi  con  qualsiasi  suono  esplosivo,  più  non  si  mani- 
festa per  esplosiva  gutturale,  ma  si  per  linguale  continua.  Le- 
gittimo quindi  ancora  il  lituano  duk-ter  (dug  +  ter),  figlia,  allato 
all'equivalente  sanscrito  duh-i-tàr  (36,  2.),  poiché  non  d'altro 


ne  ha  alcuna  figura  verbale  che  ritragga  il  tipo  duh  dug-dlid  [un'  an- 
tica oscillazione  attesta  forse  lo  zendo  drag  drakh-ta-,  allato  a  darez 
deres-td,  pure  dello  zendoj ,  eccezione  assai  importante,  che  lo  stesso 
Benfey  (  Volisi,  gramm. ,  §  66,  5  )  ha  omesso  di  avvertire.  Di  druh 
dicono  i  grammatici  che  ammetta  amendue  gli  aspetti ,  ma  veramente 
non  vedo  esemplato  se  non  il  tipo  drug-dhà-.  E  a  druh  aggiungen- 
dosi gli  altri  tre  {,dah  dih  duh),  resta  notevole,  senz' alcun  dubbio, 
la  relativa  abondanza  del  tipo  dug-dhd-  tra  i  complessi  radicali  che 
incominciano  per  d.  Ma,  all' infuori  di  questi,  pur  lo  avremmo,  ol- 
treché in  snih  snig-dhd,  addotto  dal  testo,  che  è,  per  quanto  io  posso 
vedere,  il  solo  tipo  esemplato  in  questo  verbo,  a  cui  la  grammatica 
li  concede  entrambi,  anche  in  muh,  turbarsi,  di  cui  ricorre  così  mug- 
-dhd  come  mùdhd-;  e  ancora  comparirebbero  l'uno  e  l'altro  in  snuhy 
che  non  vedo  esemplato.  Cfr. ,  per  simiglianti  oscillazioni,  la  fine 
della  n.  a  p.  106.  -  Del  rimanente,  la  vece  tra  h  e  gh,  in  quanto 
s'abbia  la  prima  figura  nel  verbo  e  l'altra  in  formazioni  nominali, 
vece  solita,  come  è  naturale,  dove  ricorra  g-dh  per  entro  al  verbo 
stesso  (quindi:  dah,  ni-dàghd-,  calore;  duh,  dugha-,  che  porge  latte, 
e  anche  nel  partic.  medio:  dughdna-  =  dùhàna-',  dih,  san-daigha- = 
san-daiha-,  dubbiezza;  druh,  -drdugha-  =  drauha-,  offesa),  occorre 
anche  nell'altra  categoria,  e  così  già  incontrammo  augha-  maighd- 
allato  a  vah  mih  (35,  3.  7.).  Cfr.  la  n.  a  p.  107,  in  f. 


190    §  36.  KTÀ  E  VARIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  gh  ORIGINARIO. 

vi  si  tratti  che  della  radice  duh,  mungere,  allattare  *,  che  ap- 
punto dà,  come  già  vedemmo,  il  participio  dug-dhà,  e  dà  quindi , 
nello  zendo,  dugh-dhar-,  figlia  **,  pure  in  questo  sostantivo 
zendo  incontrandosi  immediatamente  l'uscita  del  radicale  con  la 
consonante  del  suffisso,  dal  che  dipende  l'apparente  divergenza, 
fra  sanscrito  e  zendo,  circa  l'abito  radicale  dello  stesso  nome 
{duh-i-tar,  dugh-dhar)  ***.  Per  tal  modo,  anche  delle  due  con- 
tinuazioni alterative  dello  gh  originario,  le  quali  ci  potremmo 
raffigurare,  ne' lor  primordj,  per  gh^,  del  pari  che  delle  ana- 
loghe dell'originario  k  (ks  §§  14, 15),  e  del  g  originario  (gS  §  25), 
la  favella  asiatica  ha  comune  la  più  profonda,  e  più  antica,  con 
la  litu-slava,  e  l'altra  no;  e  circa  la  dichiarazione  cronologica 
della  special  comunanza,  che  pur  ne  viene  tra'  due  gruppi,  dob- 
biamo riferirci  a  quanto  pei  fenomeni  analoghi  ne  abbiam  detto 
ne'  discorsi  precedenti  ****.  Ma  ancora  una  corrente  alterativa 
incontravamo  nell'istoria  delle  altre  gutturali,  quella,  cioè,  la  cui 
base  volemmo  rappresentare  per  k^  gy  *****^  e  soleva  determi- 
narsi per  kv  gv  nel  fondamento  di  varie  favelle  europee  e  per 
kj  gj  nelle  asiatiche  (onde  H g,  coincidenti  con  l'esito  esplosivo 
di  k^  gi),  mentre  nel  litu-slavo  qui  trovavamo  costantemente  illeso 
il  k  ed  il  g.  Ora,  ei  non  vorrà  di  certo  esser  caso  fortuito  se  la 


*  la  questa  voce  per  ^figlia',  si  è  voluto  vedere  ^la  mungente', 
dall'ufficio  affidato  alla  giovane  donna  nella  famiglia  patriarcale.  Io 
piuttosto  ci  vedo  una  semplice  indicazione  del  sesso,  cioè  ^che  allatta , 
che  dà  latte,  femina',  senso  che  si  conviene  a  una  derivazione  da  duh 
(dugh);  v.  gli  Studj  orientali  e  linguistici^  I  (1854),  102,  e  il  dùglia- 
citato  in  sulla  fine  della  n.  che  precede. 

**  Vedi,  in  ispecie  per  -dhar  =  '-tar,  la  Fonol.  irana,  s.  v.,  e  in- 
tanto cfr.  lo  zendo  ukhdha,  parlato,  'uk-ta-  (  15,  2.). 

***  La  sibilante  si  avrà  quindi  pur  nella  risposta  irana,  là  dove  segue 
o  susseguiva  vocale;  si  confrontino  p.  e.  le  voci  neo-persiane:  dukh- 
-tar^  figlia,  dùkh-tan,  mungere,  dùs,  mungi!,  dùs-i-dan ,  mungere 
(s  =  *i,  v.  Fon.  ir.  s.  v.). 

****  V.  p.  56-7,  118.  *****  V.  p.  84-85, 127-28. 


§  30.  ETÀ  E  VARIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  gii  ORIGINARIO,     191 

stessa  attinenza  si  ripete  nella  continuazione  dello  gh,  e  quindi 
le  voci  per  neve,  nevicare  (36,  2.)  si  ragguaglino  nel  modo  che 
segue: 

4.  'snighv~\  indo-irano:  'sniz,  zendo:  gniz,  nevicare;-  base  greca, 
italica,  germanica:  'snigh^'-;  gotico:  snai[h]v-s* ,  neve;  greco: 
*vt/  /'-  vfcp-st  { cp  :  j^  :  :  X  :  x/-,  p  :  y/*),  nevica  ;  latino  :  'niìiv-  'ninUv- 
(§  32,  III,  e  cfr.  p.  126,  ISO-l) ,  nic-s  nlv-is,  ningv-i-s  (neve),  «m- 
gv-i-t**;-  forma  li tu-slava  swi^-,  come  si  vede  dalle  voci  che 
già  adducemmo  (36,2.). 

Al  quale  esempio  troveremo  ancora  analoga  la  voce  per  ""angue' 
(35, 10.,  36,  2.);  poiché,  dall' un  canto,  il  termine  asiatico,  il  la- 
tino ed  il  lituano  {azi,  animi,  angi)  qui  si  stanno  nuovamente 
fra   di  loro  in   quella  identica  attenenza;  e,  dall'altro,  si  ag- 


*  Cfr.  p.  69-70. 

**  V.  Curtius,  o.  c,  num.  440,  e  la  nota  che  qui  sussegue.  Le 
voci  per  'neve'  mi  costringono  ancora,  mio  malgrado,  a  censurare 
due  uomini,  che  per  vario  modo  sono  assai  benemeriti  de'  nostri  studj. 
Afferma  cioè  il  Corssen,  con  singolare  imperturbabilità  {Kritische 
beitràge  ecc.,  p.  55,  Aussprache  ecc.,  2.  ed.,  p.  85),  che  Vu  di  ninguis 
non  sia  di  mero  sviluppo  fonetico,  ma  sia  all'  incontro  il  suffisso  u 
come  in  le-u-i-s  {leìi~u-i'S  £-Xa;(_-u-;  lagh-ù-s,  35,6.),  suffisso  ch'egli 
ritrova  anche  nel  parallelo  paleo-bulgarico,  al  quale  affibbia  costan- 
temente un  u  finale.  Ora,  prescindendo  dalle  ragioni  comparative  che 
sono  svolte  nel  nostro  testo,  l'w,  onde  veramente  si  chiude  il  paleo- 
bulg.  snjegié,  è  il  normale  rappresentante  sì  dell' a  e  sì  dell' w  ori- 
ginario e  lituano;  e  quindi  è  affatto  arbitrario  lo  staccare  la  forma- 
zione bulgarica  dalla  lituana,  mentre  l'una,  come  suole,  risponde  con 
esatto  ragguaglio  all'  altra  {snjegù  =  sneja-s  ).  Piti  grave  è  il  peccato 
di  Max  MìIller.  Il  quale,  nell'immaginazione  di  aver  trovato  un 
nuovo  esempio  dì  <p  =  w  orig.  ed  in  Ntopv]  una  dea  della  neve,  esce  a 
parlarci  {Zeitschr.  s.  e,  XIX,  42-3)  di  un  tema  sniv  o  niv  al  quale 
risalgano  i  nomi  dì  questo  frutto  invernale.  Senonchè  il  chiaro  uomo 
tralascia  non  solo  di  dirci  com'egli  ne  ricavi  le  forme  litu-slave,  che 
non  adduce,  ma  tace  ancora  del  modo  in  cui  egli  conciliì,  col  suo 
sniv  originario,  lo  zendo  pn/^,  che  ha  pur  citato. 


192     §  36.  ETÀ  E  VARIETÀ  DELLE  ALTERAZIONI  DELLO  gli  ORIGINARIO. 

giunge  il  greco  o<pt-;,  angue,  che  sta  ad  angui-s  così  precisa- 
mente come  v?'(p-a  (nivera)  a  ningu-em.  Né  può  sturbare  il  greco 
E/i-?,  vipera,  che  già  a  suo  luogo  adducemmo;  stando  ò'cpt-; 
(v.  Ylnd.)  ad  e/t-;  così  come  il  jonio  xorspo;  al  TOTapo?  degli  altri 
dialetti  (§  20)  *. 

Nessuno  dei  casi  che  sapemmo  addurre  per  g  litu-slavo  al- 
lato a  h  sanscrito  (§  36,  2),  vale  dunque  a  scemare  importanza 
al  fenomeno  di  z  (i)  litu-slavo  di  contro  a  h  sanscrito  {z  zendo), 
coincidenza  peculiare,  che  ci  era  imprima  attestata  da  una  serie 
di  esempj  (36, 1 .)  **  ;  e  se  ora,  pressoché  al  fine,  come  siamo,  del- 


*  Il  ragguaglio  ooi-  =  tyi-  =  ahi-  ecc.,  proposto  dubitativamente  dal 
PoTT  nella  prima  edizione  delle  Etymologische  forschungen  (1,144), 
e  poi  affermato  dal  Benfey  (  Wurzellexihon^  I,  144-5)  e  dal  Bopp  {Glos- 
sarium,  s.  ahi),  i  quali  dichiaravano  l'equazione  9  =  x  per  vie  che 
non  potevan  persuadere,  fu  poi  rifiutato  dal  Curtius,  che  si  avven- 
turò a  propugnare  la  derivazione  di  ©(pt;  ('ox^t?)  da  OK  [OH],  vedere, 
cfr.  Spdtxojv  (o.  e,  num.  172,  627).  Ma  il  nostro  ragionamento  compa- 
rativo dovrebbe  pur  togliere  ogni  dubbio.  L'obiezione  della  qualche 
diversità  de'  significati  (Ìyi<;  vipera,  ocpt?  biscia),  è  per  due  versi  in- 
sussistente ;  poiché,  dall'  un  canto,  entrambi  i  valori  si  fanno  proprj 
anche  del  sanscrito  ahi-,  e,  dall'  altro,  andando  a  maggiorità  di  voci, 
piuttosto  si  avrebbe  a  staccare  £/^i?,  che  non  6<oiq,  da  anguis,  angls  ecc. 
E  l'una  delle  due  voci  greche  valendo. pel  genere  e  l'altra  per  una 
specie,  se  ne  attenua,  d'altronde,  la  singolarità  dell'aversi  simulta- 
neamente amendue  le  figure  ne'  dialetti  stessi  ;  singolarità  che  ad  ogni 
modo  non  potrebbe  sgomentarci,  se,  a  dir  di  un  solo  esempio  consi- 
mile, già  avemmo  a  notare,  che  Tzi^t-Tz-xo^,  quinto,  il  quale  presuppone 
TO[X7re,  è  pur  de'  dialetti  che  dicono  ttsvte  (17,4.).  La  lunghezza  me- 
trica della  prima  sillaba  di  ocpi?  ('o/jf  t?)  avrebbe  dunque,  oltreché  la 
stessa  legittimità,  anche  la  stessa  ragion  genetica  della  lunghezza 
dell' t  di  vicp-£i  i'viyjf-). 

**  Né  varrebbe  ad  infirmarla  l'esempio  del  lit.  -jegù-s  allato  al 
88cr.  jahù',  z.  jazu-,  toccato  alla  n.**  di  p.  187,  poiché  non  ci  è  dato 
di  vedere  come  la  radice  se  ne  atteggi  nelle  forme  caratteristiche 
del  sanscrito  o  dello  zendo.  Quanto  è  infine  al  caso  iniziale  di   han 


§  36.  etX  e  varietà  delle  alterazioni  dello  gh  originario.    193 

l'ardua  nostra  indagine  intorno  ai  continuatori  delle  gutturali 
originarie,  la  più  ardua,  per  avventura,  di  quante  occorrono 
al  fonologo  nel  campo  sul  quale  ci  moviamo,  se  ora  volessimo 
tentare  di  raffigurarci  per  sommi  capi,  a  guisa  di  riassunto  che  ci 
raiBfermi  e  ci  rinfranchi,  le  principali  risultanze  che  ne  ricavammo 
in  ordine  all'  istoria  delle  diverse  alterazioni  che  questi  suoni 
hanno  subito^  ce  ne  uscirebbe  il  prospetto  che  qui  si  delinea: 


Indicazione 
approssimativa 
dell'  intacco. 


k.        ki(p.  46,56), 

k^  seriore  (  p. 
51,85), 

ky(p.85), 

g.        gMp.118), 

g^  seriore  (p. 
117-8), 

gy(pag.ll7, 
128), 

gh.      ghM§§34, 
36), 

gh^  Seriore 

(C.S.), 

ghMc.s.), 


Sanscrito. 


P(§11), 

fé  (§§12, 13), 

K(§§  16-19), 
^'(s-t§§24-5), 

g(h-t,%%24-5), 

^(p.l28), 

h  (  'z-d ,  dh , 
p.  188),  ' 

h  (g-dhy  C.S.), 
Ti  (p.  190-92), 


Riflesso 

0  base  del  riflesso 

greco  e  latino. 


^(§11), 

^(§12), 

^^(§§16-19), 
^^(§23), 

^^(§23), 

/7V(§26), 

M(§35), 

[kh(%35)l, 

khv  (^.190-2), 


Lltu-slaro. 


sz,s(%  15,3). 
^(§15,4). 

^(§15,4;p.85). 

i,  i  (§.25,2;  p.  128, 
cfr.  §36). 

Y7(§25,4;p.ll7). 

g{%  25,  4;  p.  117, 
128). 

i,i(§36,l-,p.l89-90). 
^(§36,2;  e.  s.). 
(J(c.s.). 


sscr.,  pulsare,  icere,  paleo-bulg.  ^na-f»,  pellere,  impellere  (Miklosich, 
Lexicon  s.  e.,  p.  131,  cff.  Fick,  o.  c,  p.  64  e  246,  e  Nesselmann, 
o.  e,  s.  gemi  e  ginù),  va  imprima  considerata  l'assiduità  della  vece 
sanscrita  di  h  e  gh  per  entro  alla  stessa  conjugazione  di  questo  verbo 
(jjerf.  gaghàna,  desider.  gighasati,  ecc.),  e  inoltre  la  risposta,  zenda, 
in  cui  si  ha  g  (e  non  z),  che  alla  sua  volta  si  alterna,  nel  verbo, 
con  g  (gh):  gan  ghna-  =  sscr.  Jian  ghna-.  Quindi  ne  abbiam  conferma 
anziché  contrasto  alle  deduzioni  nostre. 

Ascoi-i ,  Fonai,  indo-il.-gr.  13 


.  194  §  37.  ETÀ  E  corrispondp:nze  dello  hh  sanscrito. 

37.  Rimane  che  attendiamo  con  breve  discorso  alla  cronologia  ed 
alle  corrispondenze  della  tenue  aspirata  sanscrita,  kh,  prose- 
guendo, con  particolare  riguardo  a  questo  individuo,  le  conside^ 
razioni  già  svolte,  sulle  generali,  intorno  alla  specie  (p.  145-7). 
E  si  tratterà  di  povera  messe. 

Le  tenui  sanscrite  son  di  frequente  aspirate  quando  susse- 
guano, nella  radice,  a  s  {skh-,  sth-,  sph-,  cfr.  §§  41,  49,  58, 
e  Dilegui);  la  quale  aspirazione  non  si  può  in  verun  caso  affer- 
mare pre-indiana,  poiché,  od  è  affatto  peculiare  alla  favella 
ariana  degl'Indi,  o  se,  per  singoli  casi,  incontra  il  fenomeno 
corrispondente  in  altra  parte  della  famiglia,  l'incontro,  quando 
pur  sia  esatto,  piuttosto  che  a  comunanza  originale,  vuole  es- 
sere attribuito  a  effetto  identico  d'identica  causa.  La  quale  non 
risiederà  punto,  come  alcuni  glottologi  hanno  voluto,  nella  effi- 
cacia aspirativa  della  sibilante,  che  mi  parrebbe  un'azione  af- 
fatto misteriosa;  ma  bensì  in  ciò,  che  la  sibilante  aderendo  assai 
strettamente  alla  esplosiva  che  le  sussegue  (ed  il  sibilo  è,  nel 
sanscrito,  la  sola  specie  di  consonante  che  possa  precedere,  ini- 
ziale, a  un'esplosiva),  la  attrae  come  a  sé  e  la  distacca  dalla 
vocale  che  lor  tien  dietro,  per  guisa  che  uno  spirito  aspro  si 
venga  a  frammettere  tra  questa  e  la  esplosiva  aggruppata  {sk-a, 
si- a,  sp-'a;  cfr.  p.  154).  Comunque,  ad  ogni  modo,  surgesse, 
per  limitarci  alla  gutturale,  l'aspirazione  del  k  sanscrito  nella 
combinazione  skh,  riman  sempre  che  il  semplice  sk  si  avrebbe 
a  riputare,  secondo  la  generale  analogia,  normal  risposta  eu- 
ropea di  questo  gruppo  indiano  ;  e  cosi  il  lat.  scel-us  legittima- 
mente si  raccosta  al  sscr.  skhal  skhàl-a-ti,  vacillare,  shhal-i- 
-tà-,  il  porre  il  piede  in  fallo,  caduta,  peccato,  colpa.  *  Ma 
noi  siamo,  d'altra  parte,  preparati  a  trovare  alcuni  casi,  in 
cui  la  comparazione  accenni  ad  aspirajsione  originale  della  te- 
nue; ed  ora  ci  conviene  toccare  del  modo,  pel  quale  abbia  a 
continuarsi,  in  generale,  nel  greco  e  nel  latino,  una  tenue  aspi- 
rata del  periodo  originario.  Dove  noi  affermeremmo,  comechè 

*  V.  ancora  il  §  41. 


§  37.  ETÀ  E  CORRISPONDENZE  DELLO  kh   SANSCRITO.      195 

la  scarsità  dei  fatti  qui  imponga  la  maggiore  cautela,  che  1 
continuatori  greci  e  latini  delle  tenui  aspirate  coincidano  con* 
quelli  delle  aspirate  medie,  ed  a  buon  dritto,  poiché  la  prima 
evoluzione  ellenica  ed  italica  della  media  aspirata  originaria 
riduceva  questa,  secondo  le  conclusioni  nostre  (§  33),  a  coincidere 
colla  tenue.  Supposto  cosi  un  originario  nkh,  noi  ne  dovremmo 
avere  y-/  greco,  e  *nìi  ng  latino,  cioè  prodotti  non  diversi  da 
quelli  che  avremmo  per  ngh  originario,  che  diventa  nkh  nella 
base  italica  e  nella  greca  *.  Gli  scarsi  amminicoli  di  prova,  che 
intanto  si  possono  addurre  in  ordine  alla  tenue  gutturale  aspi- 
rata, sono  questi  che  seguono. 

1.  Sscr.  gahkha-s,  gahkha-m,  conchiglia;-  gr.  xóy/^o-t;  (5c,c,  =  f, 
§  11),  y.ó'f/ri  (concha),  conchiglia  bivalve,  conca  (vaso  e  mi- 
sura di  liquidi);-  lat.  'conlì-io-s,  cong-iu-s  ** .  -  Sscr.  na-r 
khd-s,  unghia,  artiglio,  nakhard-s,  fatto  a  forma  d'artiglio; - 
gr.  owu/j-  (v.  Ind.),  nomin.  ovul,  unghia,  artiglio;  -  lat.  'onìiuis, 
unguiSf  'red-uhuia,  reduvia  (v.  Ind.',  pipita  o  panereccio).  Qui 
però  insorge  qualche  altra  favella,  e  in  ispecie  la  lituana  col 
suo  nàga-s,  unghia,  artiglio,  ad  accennare  a.  gh  e  non  a  kh 
originario;  e  sappiamo  che  il  greco  ed  il  latino  ugualmente  si 
adatterebbero  ad  una  forma  originale  collo  gh.  Ma  la  tenue 
aspirata  ha  ancora  per  sé  i  riflessi  irani,  p.  e.  il  neo-persiano 
nàkh-un,  unghia.  Ai  precedenti  due  esemplari,  i  quali,  co- 
munque si  consideri  la  ragion  fonetica  dell'elemento  gutturale, 
sempre  rimangono  inconcussi,  se  ne  aggiungerebbe  un  terzo, 
che  non  ha,  quanto  a' significati,  la  stessa  evidenza,  ma  tut- 
ta volta  mi  par  sempre  assai  notevole;  ed  è  il  sscr.  mùkha-m, 
bocca,  fauci,  allato  al  greco  }AUy(^o-;,  pi.  [ji.ux^»  luogo  riposto, 
seno  di  mare,  recesso. 

Giova  finalmente  citare  un  esempio,  in  cui  a  kh  stia  allato, 
nel  sanscrito  stesso,  la  sola  aspirazione,  lo  h,  sordo  in  questo 


*  Cfr.  Stadj  critici,  II,  161-9. 

**  V.,  anche  per  l'esempio  susseguente,  il  l.  e.  nella  n.  che  precede, 
e  Vindice. 


196  §   37.   ETÀ   E   CORRISPONDENZE   DELLO   hìl  SANSCRITO. 

caso,  e  nei  consimili,  sin  dal  suo  nascere,  e  insomma  la  spo- 
glia pracrìtica  dell'  antica  aspirata  *.  E  makhd-,  brioso,  gajo. 
licenzioso,  e  come  sostantivo  maschile:  dimostrazione  di  letizia, 
festa,  premio,  sacrificio,  allato  al  verbo  mah,  rallegrare,  rav- 
vivare, onorare,  celebrare,  onde  mah-i-tà-,  onorato,  celebrato, 
Dalle  quali  voci  sanscrite  mal  si  potrà  staccare  il  latino  mactus , 
macie,  bravo!  da  bravo!  (macte),  celebrato,  onorato  di  offerte 
(mactus  osto,  macte  esto),  consacrato  (mactus  taurus),  e  ne  de- 
riva il  verbo  macie,  propriamente:  celebro,  indi:  offro  sacrificiOj 
sacrifico.  Onde  s' inferirebbe  un  caso  latino  di  c-t  =  *li-t  =  kh-i, 
parallelo  ai  casi  di  c-t  =  *1i-t  =  gh-t  {vec-tu-s  ecc.,  §  35,  p.  181  **). 
Il  n  gutturale,  che  ancora  rimarrebbe  ad  esaurire  la  serie, 
si  considera  più  tardi,  nel  discorso  intorno  al  n  dentale  (§  55). 

*  Cfr.  p.  152,  la  Lez.  XIV,  e  Stuàj  crii.,  II,  128  e  segg. 
**  Pure  intorno  a  makhd-  ecc.  si  voglia  consultare  il  luogo  citato 
nelle  note  precedenti  (p.  168-9),  dove  è  discorso  anche  di  maeellum. 


LEZIONE  SESTA. 
Palatine  e   Linguali. 

All'ordine  delle  gutturali  sussegue  nell'  alfabeto  sanscrito,  che  §  38. 
regola  le  nostre  mosse,  quello  delle  palatine.  Ma  la  pura  tenue 
palatina  del  sanscrito  (It),  e  la  media  corrispondente  {g),  i  due 
suoni  più  importanti  della  serie,  già  furono  ampiamente  con- 
siderati, in  ordine  alla  loro  funzione  etimologica,  nel  nostro 
discorso  intorno  alle  gutturali,  siccome  quelli  che  surgono,  di 
regola,  Tuno  per  alterazione  di  k,  l'altro  per  alterazione  di  g  *', 
e  l'ufficio  etimologico  della  nasale  palatina  (n)  vorrà  alla  sua 
volta  essere  altrove  descritto,  insieme  con  quello  di  altre  na- 
sali (§  55).  Qui  all'incontro  mi  pare  utile,  per  più  rispetti,  che 
ci  soffermiamo  alquanto  a  scrutare  V  entità  fonetica  di  queste 
consonanti  sanscrite  secondo  la  attuale  loro  pronuncia,  e  con 
ciò  pur  quella  delle  consonanti  d'  altre  lingue  che  per  costitu- 
zione fisiologica  rispondono  ad  esse,  quali  sarebbero,  con  mi- 
nime differenze,  e  e  g  italiani  {selce,  argento),  o  eh  ej  inglesi 
{church ,  Joy).  E  ci  risulterà,  nel  progresso  del  nostro  studio, 
sempre  in  più  manifesto,  quanto  grande  sia  l'importanza  della 
sottile  controversia  di  cui  ora  slam  condotti  a  toccare. 

All'idioma  tedesco  mancando  i  suoni  che  noi  rappresentiamo 
per  e  0  ^  **  e  per  g  (selce,  argento),  e  mal  perciò  riuscendo  a 


*  Cfr.  ancora,  per  la  funzione  etimologica  di  R,  i  §§  40  (6)  e  41  (4). 

**  Ji,  in  quanto  rappresenti  l'attuale  pronuncia  della  tenue  palatina 

sanscrita  (e  zenda),  equivale  dunque  a  e,  e  potrebbe,  per  avventura, 


198  §  38.  FISIOLOGIA  DI  ó,  ,<7,  n. 

riprodurli  chi  abbia  per  idioma  materno  il  tedesco,  avvenne  che 
in  Allemagna  sempre  apparisse  soddisfacente  quell'  approssima- 
tiva rappresentazione  che  se  ne  ottiene,  secondo  ortografìa  ger- 
manica, per  tsch  e  dsch,  vale  a  dire,  secondo  la  trascrizione 
da  noi  adottata,  sch  essendo  l'italiano  se  di  scemo,  per  ts  e  ds. 
Ma  ancora  si  aggiunse,  che  i  più  fra  quegli  scienziati  tedeschi 
i  quali  cosi  proficuamente  attesero  alla  fisiologia  de' suoni,  pie- 
namente confermassero  il  concetto  che  deriva  da  tali  modi  di 
rappresentare  lo  e  e  lo  g,  solo  correggendo,  com'  era  naturale, 
la  trascrizione  del  secondo,  con  introdurvi  lo  ;  francese  in  luogo 
dello  sch  tedesco,  vale  a  dire,  siccome  è  richiesto  dalla  natura 
sonora  della  media,  non  più  la  sibilante  sorda  che  noi  trascri- 
viamo per  s,  ma  sì  la  corrispondente  sonora,  che  noi  rendia- 
mo per  i;  così  ottenendosi:  ts  =  é,  dz=g'^.  Laonde  i  glottologi 
tedeschi,  pressoché  senza  eccezione,  si  stimano  sicuri,  che  e  eg 
sieno  suoni  'composti,  nei  quali  cioè  v'abbia,  chiara  e  distinta, 
una  esplosiva  dentale  {t,  d),  susseguita  da  un'appendice  sibi- 


esserci  fatto  rimprovero  di  questa  duplice  rappresentazione  grafica 
d'uno  stesso  suono.  Ma  questa  si  legittima  principalmente  per  ciò, 
che  lo  li  indo-irano  e  lo  e  romanzo  così  concordano  colla  figura  della 
gutturale  onde  etimologicamente  dipendono;  p.  e.:  sscr.  kar^  facere, 
/tarara,  fecit;  lat.  dulcis,  ladino  dóué,  due. 

*  V.  p.  e.  Raumer,  Die  aspiration  und  die  lautverschiebung,  §  47 
e  la  prima  appendice;  Bindsbil,  Ahhandlungen  zur  allgemeinen  ver- 
gleichenden  sprachlehre^  p-  435  e  segg.,  il  quale  però  colloca  tsch  ecc. 
fra  i  suoni  misti,  tra  quelli,  cioè,  in  cui  la  durata  (wahrung)  di  uno 
o  di  ciascuno  degli  elementi  non  equivale  alla  durata  che  ha  quando 
è  singolo  (p.  379,  461);  Schleicher,  Zur  vergleichenden  sprachenge- 
schichte,  p.  149,  il  quale  in  realtà  nulla  modifica  col  distinguere  i 
suoi  dittonghi  (ts  ts  ecc.,  p.  128  e  segg.,  146  e  segg.)  dai  gruppi  di 
consonanti;  Lepsius,  Standard  alphabet,  sec.  ed.,  p.  72;  Brììcke, 
Grundzuge  der  physiologie  ecc.,  p.  67.  Il  Merkel,  nella  sua  Physio- 
logie  deY  menschlichen  sprache  (Lipsia,  1866),  che  mi  soprarriva, 
meglio  parmi  accostarsi,  per  questa  parte,  alla  verità  (p.  205  e  segg., 
cfr.  195  e  segg.). 


§  38.  FISIOLOGIA  DI  ó,  y^  n.  199 

lante  (s,  z)\  il  qual  concetto,  erroneo  come  fermamente  io  credo, 
venne,  tra  l'altre,  ad  impedire  in  sino  ad  ora  la  corretta  in- 
telligenza di  molteplici  fenomeni,  ne' quali  s'involge  l'azixìne  di 
e  0  di  ^  *. 

Noi  siamo  ben  lungi  dal  volere  affermare,  che  non  v'abbia 
differenza  tra  la  qualità  specifica  di  e  e  di  g,  e  quella,  a  ca- 
gion  d'esempio,  di  p  e  di  &,  e  che  e  e  ^  si  abbiano  perciò  a 
collocare,  senz'altro,  fra  le  esplosive  semplici y  cosi  come  a 
buon  dritto  vi  stanno,  senza  riserva  alcuna,  p  e  &.  Ma  questo 
intanto  possiamo  affermare  con  ogni  sicurezza,  che  e  e  g  sono 
suoni  non  meno  momentanei  di  quello  che  sieno  p  e 
h;  e  che  se  quindi  ci  proviamo  a  pronunciare  e  o  g 
per  modo  ch'essi  contengano,  pur  per  la  minima  quan- 
tità di  tempo  che  far  si  possa,  uno  s  o  uno  i,  essi 
cessano  d'essere  quello  che  sono;  come  ugualmente 
cessano  di  essere  quello  che  sono,  quando  si  tenti 
che  un  t  od.  vliì  d  venga  a  formar  parte  della  pro- 
nuncia loro.  Quale  pur  sia  la  rapidità  con  cui  si  possa  pro- 
ferire il  gruppo  ts  0  dz  in  vintsere  o  tindzere,  non  si  otterrà 
mai,  che,  serbatine  distinti  i  due  elementi,  n'esca  il  vincere 
0  il  tingere  della  pronuncia  italiana. 

Ma  tra  i  suoni  assolutamente  semplici  e  i  suoni  giustaposti 
che  si  succedono  l'un  l'altro,  "Vi  hanno  quelli  che  si  possono 
addimandare  complessi,  quelli  cioè,  i  quali  si  ottengono,  a  par- 
lare col  Brilcke,  «  per  ciò  che  le  parti  della  bocca  sieno  simul- 
taneamente accomodate  a  due  consonanti  diverse**  »  Sono  tutti 
continui  i  suoni  che  il  valoroso  fisiologo  fa  entrare  in  questa 
categoria,  e  son  principalmente:  s  e  z.  Cosi  egli  decompone  lo 
5  in  s  +  /i***;  ma  naturalmente  conviene,  che  nello  s  non  si  oda 
netto  né  5  né  Ti. ,  e  afferma  soltanto,  che  la  disposizione,  mercè 
la  quale  si  produce  lo  s,  è  quella  che  si  domanda  nella  produ- 
zione di  li,  modificata  nel  senso  di  quella  che  ci  vuole  per  s  ; 


*  V.  Vlnd.  s.  -  +j  e  il  luogo  cit.  a  p.  142  in  f. 
**  O.  e,  p.  03.  *•**  Ib.,  04. 


200  §  38.  FISIOLOGIA  DI  e,  <j,  n. 

e  rimari  sempre  che  s  sia  veramente  anche  pel  Brticke  suono 
unico,  e  non  già  composto  alla  guisa  di  x  {c-vs)  od  altrettali. 
Ora  io  certo  non  posso  entrare,  senza  perplessità,  a  suggerire 
nuovi  discernimenti  ai  fisiologi;  ma  pur  debbo  avventurarmi  a 
dire,  come  a  priori  non  ripugni  una  special  categoria  di  suoni, 
che  ^\eno  complessi  e  mor/ienfanei.  I  fisiologi  fatican  sempre 
a  descriverci  ed  a  mostrarci  come  si  formino  i  diversi  contatti 
per  la  produzione  delle  varie  esplosive;  ma  importerebbe  an- 
cora, e  per  la  fisiologia  e  per  la  linguistica,  che  si  studiassero 
e  si  descrivessero  1  diversi  modi  pe'  quali  i  contatti  si  prosciol- 
gono. Il  modo  del  proscioglimento  può  produrre,  per  l'istante 
dell'esplosione,  quella  disposizione  medesima  che  si  richiede  a 
formare  una  determinata  continua,  o  affatto  semplice  o  com- 
plessa; e  in  questo  caso  si  otterrà  un  suono  unico  e  momen- 
taneo, ma  pur  complesso,  od  anche  doppiamente  complesso,  per 
causa  di  conformità  parziale  con  un  suono  continuo.  Immagi- 
niamo un'esplosiva,  per  la  quale  la  lingua  formi  il  contatto  a 
un  di  presso  come  è  per  t,  e  passi  poi  rapidamente,  per  l'i- 
stante dell'esplosione,  alla  postura  in  cui  è  nel  proferimento  dì 
s,  ed  otterremo,  non  t  o  s,  ned  entrambi,  ma  l'esplosiva  e,  e 
quindi,  a  corde  vocali  raccostate,  la  esplosiva  g*. 

Della  portata  di  queste  considerazioni  abbiam  tosto  oppor- 
tunità di  fare  esperimento,  riconducendo  il  discorso  alle  pala- 
tine sanscrite.  La  pronuncia  attuale  di  ^  e  ^  equivalendo  pei 
dòtti  alemanni  a  ts  e  dz,  essi  trovano  che  anche  i  fenomeni 
d'assimilazione,  provocati  da  ^  e  da  ^,  riescano  affatto  assurdi 
od  inconcepibili,  se  non  si  ricorra  alla  anteriore  pronunzia  di 
questi  elementi,  la  quale  si  può  a  un  di  presso  raffigurare,  come 


*  Se  fosse  corretto  il  cenno  di  Max  MiIller,  Lectures  on  the 
science  of  lartguage,  II,  141  in  n.,  il  Briìcke  già  avrebbe  conceduto 
che  ó  e  g  sieno  esplosive  complesse  ;  ma  il  Miiller,  il  qual  del  resto, 
inglese  come  si  è  fatto,  giudica  rettamente  circa  l'entità  di  questi 
suoni,  applica  ad  essi,  per  isbaglio,  la  sentenza  che  il  Briìcke  non  por- 
tava se  non  intorno  allo  se  simiglianti  (o.  e,  63  e  segg.,  cfr.  67). 


§  38.   FISIOLOGIA    DI   C,   (/,   n.  201 

la  etimologia  vuole  ed  ognuno  concede,  per  Iv  e  g^  *.  Difatti ,  il 
s  di  anjà-s,  alius,  a  cagion  d'esempio,  passa  normalmente,  per 
assimilazione  parziale,  in  g,  quando  s'incontri  in  uno  k,  e  quindi: 
anjàg-Ua,  aliusque;  e  il  <^  di  anjà-d,  aliud,  passa  nel  caso  stesso, 
per  assimilazione  normale  e  totale,  in  È;  quindi:  anjàk-lia,  aliud- 
que.  Ora,  dato  che  ka  equivalga  a  tsa,  è  assurdo  che  non  ri- 
manga dentale  il  s  che  vi  s'imbatte;  e  cosi  appare  affatto  ca- 
priccioso quel  mostro  fonetico  che  avremmo  in  anjàts-tsa,  poiché 
l'assimilazione  naturale  sarebbe  in  questo  caso  anjat-tsa.  Quindi 
la  conclusione,  che,  per  intendere  quei  fenomeni,  sia  d'uopo  ri- 
portarci a'  tempi  in  cui  li  e  g  erano  ancora  palatine  vere ,  e 
che,  nell'attuale  ortografia  e  pronuncia  del  sanscrito,  si  man- 
tenga, per  questa  parte,  a  dispetto  delle  ragioni  eufoniche,  l'ef- 
fetto eufonico  di  una  causa  che  più  non  sussiste.  Ma  lo  studioso 
italiano  resta  attonito  al  sentir  simili  raziocinj.  Poiché,  quando 
ha  appreso  che  lo  %  e  lo  ^  del  sanscrito  non  differiscan  da  quelle 
sue  esplosive  in-composte  che  noi  trascriviamo  per  e  e  per  g, 
il  caso  di  assimilazione  che  s' ha  in  anjàh-ka  (per  anjàd+Ua 
anjàt-Tia),  e  ogni  altro  fenomeno  consimile,  gli  pajono  le  più 
naturali  cose  del  mondo.  Sono  anzi  fenomeni  che  non  si  fanno 
ben  chiari  se  non  dalla  pronuncia  attuale  di  K  e  di  ^.  E  se  ve 
ne  sono  degli  altri  che  fanno  testimonianza  delle  anteriori  fasi 
della  loro  pronuncia,  come  fu  a  suo  luogo  da  noi  avvertito  (§  13), 
non  sappiamo  tuttavolta  vedere  alcuna  ragione,  per  la  quale  si 
possa  legittimamente  revocare  in  dubbio  la  molta  antichità  della 
pronuncia  attuale.  Anzi  vediamo  che  tutto  induce  a  farla  sicu- 
ramente risalire  in  sino  al  periodp  indo-irano  **;  nel  quale  tro- 


*  Cfr.  p.  e.  Lepsius,  1.  e,  p.  93  (cfr.  72);  Trumpp,  Giornale  della 
società  orientale  germanica,  XV,  700. 

**  Le  antiche  trascrizioni  greche  non  confortano  di  certo  l' ipo- 
tesi di  uno  lì.  che  di  poco  si  scostasse  da  un  mero  k  palatale.  Avremmo 
così:  SavBapo-cpàyo?  e  ilavox-^àXa  (1.  "Piyx)  ^  Jlandra-bhdgd,  nome  di 
fiume  (cfr.  A.  W.  Schlegel,  neìVIndische  bibliothck,  Jndische  Sphina;, 
§  IO,  Lassex,  Indische  alterthurnskunde,  I,  44;  nel  quale  esemplare 


202  §  38.  FISIOLOGIA  DI  e-,  (/,  n. 

vìamo,  che  già  fossero  per  intero  compiute  anche  le  alterazioni 
di  k  in  Q  [darg  drsta)  e  di  ^  in  i  [marz  mrsta)  *,  che  sono 
più  profonde  di  quello  che  non  risultino  le  alterazioni  rappre- 
sentate da  K  e  ^r  secondo  pronuncia  attuale. 

È  ben  chiaro,  del  rimanente,  che  noi  per  ciò  non  trascuriamo 
la  molta  distanza  che  è  tra  T  incipiente  affezione  delle  guttu- 
rali e  la  odierna  pronuncia  delle  palatine  sanscrite.  Già  accen- 
nammo testé  come  la  base  di  queste  possa  per  approssimazione 
indicarsi  per  k"-  g\  sia,  vale  a  dire,  limitandoci  per  brevità  alla 
tenue,  un  k  palatale  (cioè  un  k  formato  al  palato  duro,  e  non  al 
molle  0 pendolo,  dove  si  forma  il  /«  da  noi  chiamato,  secondo  l' uso» 
gutturale),  il  cui  contatto  si  formi  e  si  prosciolga  per  guisa  da 
favorire  lo  sviluppo  della  vocal  palatina,  i,  e  quindi  della  frica- 
tiva che  le  risponde,  cioè  di  j.  La  qual  continua  palatina,  inva- 
dente per  eccellenza,  come  già,  per  piccola  parte,  potemmo  vedere, 
passa  rapidamente,  di  grado  in  grado,  in  suoni  affini  di  forza 
sempre  maggiore,  sospingendo  di  mano  in  mano,  verso  alla  radice 
dei  denti,  il  contatto  dell'esplosiva  che  le  precede,  sì  che  ad  un 
certo  punto  avviene,  sempre  sotto  il  doppio  impulso  della  ten- 
denza ad  agevolare  la  pronuncia  e  dell'affinità  acustica,  che  i 


va  ancora  considerata  la  doppia  corrispondenza  greca  tp  p  per  hh 
sscr.  ;  hhag-  suggeriva  il  greco  tpxy-,  v.  pag.  156  n.,  e  cfr.  Lassen, 
1.  e,  IH,  176);-  ^lacvSpo-xuTTTo;  e  ^xvSpo-xoxTo;  t=  ìiandra-gupta-,  nome 
di  re  (cfr.  Schlegel,  1.  e,  §  5);-  e  la  stessa  radice,  con  la  mede- 
sima trascrizione  greca,  ritornerebbe,  dall' un  canto,  in  adcvSavov  aàv- 
SaXov  (TocvTaXov  =  Randana-,  sandalo,  e,  dall'altro,  per  regioni  asiatiche 
diverse,  in  SàvSy)?,  l'Ercole  assiro  e  cilicio  (cfr.  Phil.  Luzzatto,  Jour- 
nal asiatique,  avril-mai  1851,  p.  470  e  segg.,  Ahrens,  Orient.  u.  oc- 
cid.,  II,  p.  1  e  segg.).  È  affatto  improbabile  che  le  trascrizioni  greche 
riflettano  gRand-  anziché  Uand-  (v.  41,  4.);  e  aàvS-  per  gliand-  sarebbe 
•del  resto  prova  ancora  pili  convincente  del  molto  distacco  fra  M  e  k. 
Né  ci  potrà  turbare  l'isolato  SocvSpàjxv];,  nome  di  re  (=  Randrdmas, 
luna,  Luno;  Schlegel,  ib. ,  §6).  Si  aggiungerebbero:  i  IlpxGioi 
<=  prdRja-,  Lassen,  1.  e,  I,  93,  II,  691)  e  i  llxCocXoct'  {-  panMla-,  ib.). 
*  V.  i  §§  24,  25  e  43. 


§38/ FISIOLOGIA  DI  c,  f),  n.  203 

dae  elementi  si  fondano  in  uno  solo;  onde  abbiamo,  e  pel  san- 
scrito e  per  altre  favelle,  l'approssimativa  serie:  h'  kj  kz  ^'s 
('5)  Ji*,  dove  la  momentanea  complessa  {U)  è  la  risultanza 
individua  di  due  diversi  suoni,  cosi  come  lo  s,  che  è  una  con-^ 
tiìiua  complessa,  è  frequentemente  la  risultanza  individua  di 
due  diversi  elementi  istorici  (di  sk,  di  sj,  ecc.).  Lo  K,  alla  sua 
volta,  per  ulteriore  alleviamento  della  pronuncia,  passa  facil- 
mente da  suono  esplosivo  in  continuo,  che  è  quanto  dire  si  sem- 
plifìca**',  e  ne  surgono  sibilanti  diverse,  che  anch'esse  man 
mano  semplificandosi,  offrono  la  serie:  s,  g,  s  ***.  Cosi  avve- 
niva, che  sul  campo  romanzo  trovassimo  la  serie  che  si  può  de- 
scrivere con  questo  esempio  (v.  p.  44-5):  vaha  vak^a  vaca  vasa  ; 
e  così  nell'India,  oltre  a  *y%  ^(p.e.  ruk-ruTi-,  12,3.  13,  IL),  ave- 
vamo pur  l'altro  esito  dell'affezione,  pel  quale,  continuandosi 
quasi  la  serie  romanza  che  or'  ora  adducemmo,  s'arriva,  a  ca- 
glon  d'esempio,  dall'originario  dik  (11,  16.  13,  13.),  mostrare,  al 
sanscrito  dig-,  e  al  dis-  pracrito****. 


*  Per  la  media:  g\  gj,  g%  {  ^%)^  g.  Cfr.  Schleicher,  Zur  vergi,  spra- 
chengesch.,  149;  Lepsius,  1.  e,  71-2. 

**  Vedemmo  di  sopra,  come  e,  pure  essendo  suono  unico  e  momen- 
taneo, pur  si  risolva  in  t  +  s  +  ìi,  e  così  g  si  risolve  ìa  d  +  2  +j.  Ora, 
la  stretta  complessa,  non  preceduta  da  contatto,  ci  ridurrà  a.  s  +  li 
(  =  s),  s+j  (2);  e  per  semplificazione  della  stretta  stessa,  si  può  fi- 
nalmente arrivare  a'  semplici  s,  z. 

***  Trovammo  nel  toscano,  p.  22-3,  anche  un'altra  continua,  vi- 
cina di,  s,  e  sempre  emanazione  etimologica  di  k.  V.  ancora  Vindice 
s.  ce  ci,  gè  gi. 

****  Va  qui  ancora  toccato  di  un'ipotesi  che  si  è  ripetuta  così  pel  g 
sanscrito  dirimpetto  al  k  originario,  come  per  lo  s  (eh)  francese  di- 
rimpetto a  e  latino  innanzi  ad  a;  l'ipotesi,  cioè,  che  tra  la  guttu- 
rale e  la  sibilante  vi  avesse  lo  stadio  della  fricativa  o  spirante  gut- 
turale, che  noi  trascriviamo  per  li.  Messa  così,  in  questi  casi,  per 
base  della  serie  alterativa  una  spirante,  nel  resto  la  vicenda  non  si 
avrebbe  a  mutare;  poichò,  avanzandosi  nel  palato  la  stretta  per  lo  Ti, 
o  quindi  avendosene  imprima  un  li  palatale,  otterremmo:  lì',  llj,  ''z-i 


204  §38.    FISIOLOGIA    DI   e,    f/,    h. 

La  descrizione  fisiologica  delle  due  aspirate  {ìih,  gh)  potendosi 
dir  contenuta  nella  generale  definizione  che  l'aspirata  si  ottenga 


''Sj  s.  Ma  io  confesso,  che  non  solo  non  vedo  alcun  indizio  che  per- 
suada l'intermedio  dello  /i,  ma  anzi  trovo  che  ogni  cosa  gli  parli 
contro.  E  per  incominciare  dal  fenomeno  sanscrito,  v'ha  imprima,  che 
la  sentenza,  per  la  q[uale  andrebbe  allo  g  attribuito,  in  uno  stadio 
anteriore,  il  valor  dello  H  palatino  che  per  esempio  ricorre  nel  te- 
desco ich  (io),  sentenza  che  ha  per  autor  principale  il  Kuhn  (in  Hoe- 
fer.  Giornale  per  la  scienza  del  linguaggio,  II,  166-74),  non  su  d'altro 
in  fondo  poggia,  se  non  sopra  un  postulato  teorico,  cioè  sopra  ra- 
gioni di  simmetria  fonetica,  per  la  quali  sarebbe  opportuna  l'istitu- 
zione di  questa  spirante  sorda  palatina.  Non  ha  per  sé  alcun  positivo 
fatto;  ha  contro  di  sé  la  pronuncia  tradizionale  e  le  antiche  rappre- 
sentazioni eterografiche;  ed  è  scompigliata  dai  paralleli  etimo-fonetici 
che  abbiamo  in  favella  irana  e  nella  litu-slava;  né  può  essere  cor^- 
ciliata,  quando  non  si  accumulino  ipotesi  sopra  ipotesi,  colla  vicenda 
parallela  che  s'incontra,  ed  in  queste  e  nel  sanscrito,  per  la  media 
(§§  24-25),  dove  per  brevità  ci  limitiamo  a  ricordare,  che  g  zendo 
(foneticamente  non  diverso  da  s)  sta  a  R,  così  come  lo  z  (z)  della 
stessa  lingua  sta  a  ff.  Quanto  poi  alla  differenza  fonetica  che  rimane 
da  statuire,  pel  sanscrito,  fra  ?  e  s  (v.  p.  13),  abbiamo  un'analogia 
opportunissima  nel  toscano,  dove  il  e  di  piace  (p.  22-3)  non  è  più  il 
e  di  selce,  ma  volge,  senza  raggiungerlo,  allo  s  di  scemo.-  E  pas- 
sando al  fenomeno  di  s(ch)  francese  per  e  lat.. innanzi  ad  a,  qui  l'ipotesi 
dello  il,  o  vogliam  dire  di  e  aspirato,  ha  per  autore  il  Diez,  il  quale 
ha  insieme  avventurato  l'arditissima  ipotesi  che  l'aspirazione  possa 
provenire  dall'influsso  del  k  aspirato  di  alcuni  antichi  dialetti  alto- 
tedeschi,  parlati  nella  Francia  o  a'  suoi  confini.  Crede  inoltre  il  Diez, 
che  possa  giovargli  l'analogia  romancia  (ladina)  di  charn  per  car- 
ne, ecc.,  e  ancora  un  indizio  in  favor  suo  vorrebbe  vedere  nel  modo 
grafico  per  quest'alterazione  francese  di  e  latino  (c  +  /i).  Senonchò,  lo 
h  è  fallaeissimum  signum  (cfr.  p.  es.  il  suo  ufficio  nelle  nostre  sillabe 
che  chi;  S.chuchardt,  Vokalismus  des  vulgàrlateins,  I,  73-4);  e  io  eh 
romancio  (ladino)  di  charn  ecc.,  del  quale  anche  il  Roscher  (ap.  Cur- 
tius, Studien  zur  griech.  u.  lat.  gramm.,  II,  153)  con  piena  fede  si  vale 
come  di  un  e  passato  in  aspirata  od  in  spirante,  altro  non  rappresenta 


§  38.  FISIOLOGIA  DI  c-,  f/,  n.  205 

col  far  succedere  uno  spirito  aspro  all'esplosiva  pura,  rimar- 
rebbe ancora,  circa  le  quattro  momentanee,  la  questione,  ab- 
bastanza sterile,  del  nome  dell'ordine  a  cui  ascriverle.  Quello 


che  una  varietà  di  e,  come  già  avemmo  occasione  di  veder  piti  sopra 
(p.  44-5),  ned  altro  rappresenta  lo  gh  inventato  dal  Pirona  per  rendere 
lo  e  friulano.  E  come  «  (eh)  frane,  fta  a  e  lorenese  (Ban  de  la  Roche), 
ladino  e  friulano  nell'antica  formula  ca,  così  sta  ;?  (j)  francese  a,  g 
lorenese,  ladino  e  friulano  nell'antica  formula  ga  (v.  p.  118),  dove 
mancherebbe,  per  giunta,  come  il  Diez  medesimo  ha  veduto,  l'ana- 
logia germanica,  alla  quale  per  la  tenue  egli  allude.  Del  resto,  ben 
lungi  dall'aver  piena  fiducia  nella  propria  conghiettura,  il  Diez  (  Gram- 
matik  der  romanischen  sprachen,  3.  ediz.,  I,  249)  ne  raccomanda  ora 
a' suoi  lettori  una  di  affatto  diversa,  messa  innanzi    da  N.   Delius 
{Jahrbuch  fur  romanische  und  englische  literatur,  I,  357).  Giusta  la 
quale  avremmo  a  dire,  che  primamente  si  avesse  lo  s  (eh)  francese 
in  esempj  sulla  stampa  di  cher  =  carus^  cioè  dinanzi  ad  e  frane,  da  a 
lat.,  ne'  quali  si  tratterebbe  di  fenomeno  congenere   a  quello  degli 
it.  ce  e  ci,  e  che  poscia  simili  esempj,  per  amor  di  coerenza,  con  so 
traessero  la  medesima  mutazione  pur  ne'  casi  in  cui  l' antico  a  si  man- 
teneva {chaleur t=  caXov  ecc.).  Ma  qui  si  risponde,  imprima,  che  se  è 
frequente  lo  scadere  dell'  a  lat.  di  ca  in  e  frane. ,  è  tutt'  altro   che 
raro  quello  in  cui  si  mantenga,  e  che  affatto  ripugna  l'ammettere 
che  un  fenomeno  fonetico  venga  cosi  ad  estendersi,  non  piti  per  la 
causa  sua  efficiente,  ma  quasi  per  ragionamento  etimologico.  E  v'  ha 
inoltre,  che  si  ha  costantemente  ca  ladino  e  friulano  per  ca  latino.  - 
Quindi  sosterremo  con  animo  sicuro,  che  lo  s  (eh)  attuale  del  fran- 
cese altro  non  sia  che  una  semplificazione  dello  e  che  etimologica- 
mente gli  corrisponde  nel  ladino  e  nel  friulano,  e  ancora  si  mantiene, 
dall'una  parte,  nel  lorenese  (Ban  de  la  Roche),  e  dall'altra  si  con- 
serva nella  pronuncia  inglese  delle  parole  importate  di  Francia  (cham- 
bre ecc.,  con  ch<=c,  Diez,  P,  448,  P,  460;  cfp.  il  nostro  ciarnherlano, 
che  anch'esso  vien  di  Francia).  Per  e  che  si  riduce  a  s,  va  pur  qui 
ricordato  il  e  toscano  di  piace,  già  citato  in  questa  stessa  nota,  e  lo 
eh  portoghese  («=>  s)  che  in  Tras-os-Montes  è  ancora  e.  Pure  nel  val- 
lone abbiam  ca  per  ca  lat.,  e  il  fenomeno  non  è  estraneo  pure  al  pro- 
venzale (Diez,  1.  e.  e  sotto  eh  prov.)* 


206  §  38.  FISIOLOGIA  DI  e,  y,  n. 

di  ordine  'palatino  sembra  a  dirittura  un  sacrilegio  ai  dotti  che 
altro  non  vedono  in  K  e  ^  se  non  ts  e  dz;  e  dal  canto  nostro 
potremmo  aggiungere,  che,  per  alcune  varietà  romanze  di  e  e 
di  g,  il  posto  del  contatto  è  assolutamente  a'  denti.  Tuttavolta, 
siccome  le  più  notorie  varietà  di  questi  suoni  vogliono  il  con- 
tatto più  in  su  che  non  per  le  solite  dentali,  cioè  in  prossimità 
della  concavità  palatina,  e  sicoome  nel  sanscrito  e  nello  zendo, 
e  di  solito  pur  negli  idiomi  romanzi,  le  palatine  vere,  che  la 
scienza  ricostruisce,  coincidono  etimologicamente  coi  portati  fo- 
netici che  qui  venimmo  descrivendo,  cosi  noi  ci  arrendiamo  vo- 
lentieri alle  esigenze  dell'uso,  e  continuiamo  a  dir  palatini  lo 
%  e  \o  g  dell'attuale  pronuncia  sanscrita,  ed  i  consimili  suoni 
di  altre  favelle.  Quanto  è  finalmente  alla  ragione  fisiologica 
della  nasale  sanscrita  dell'ordine  palatino,  sembra  oggidì  pre- 
valere, fra  gli  studiosi  europei,  l'opinione  ch'essa  equivalga 
in  ogni  incontro  al  suono  composto  che  noi  trascriviamo  per 
n  {  =  nj).  Ma  quest'opinione,  che  ha  per  sé  l'autorità  di  Gu- 
glielmo Jones,  e  recentemente  si  è  divulgata  per  gli  scritti  di 
Max  MùUer  e  del  Lepsius  *,  non  può  tuttavolta  non  essere 
inesatta.  Il  solito  posto  di  questa  nasale  avrebbe  ad  essere 
secondo  grammatica  sanscrita,  dinanzi  ad  esplosiva  palatina 
{nìi,  ng);  ed  ognuno  vede,  che,  né  in  simile  congiuntura,  co- 
munque s'intenda  costituita  l'esplosiva,  né  riportandoci  alla 
figura  etimologica  anteriore  con  la  gutturale  {nk,  ng),  mai  si 
può  ragionevolmente  ammettere  che  si  sviluppi  o  si  proferisca 
un  j  tra  l'elemento  nasale  e  l'esplosivo  che  sussegue.  Bene, 
all'incontro,  nell'altra  congiuntura  in  cui  occorre  la  nasale  pa- 
latina, cioè  dietro  a.  li  eà  a.  g  {'hna  gna  ecc.),  può  essersi  svi- 
luppato un  y  dietro  di  essa,  ed  anzi  é  sviluppo  naturalissimo, 
poiché  si  tratti  di  doppio  contatto  palatino  a  cui  succeda  vo- 
cale. Quindi  terremo  per  fermo  che  sia  esatta  quella  notizia  che 


*  W  Jones,  Asiatick  researches,  I,  5.  ediz.  (Londra,  1806),  p.  25; 
M.  MiiLLER,  0.  e,  p.  158  (cfr.  152  e  146);  Lepsius,  o.  c,  p.  77. 


§38.  FISIOLOGIA  DI  e,  (jy  h.  -07 

vediamo  accolta  dal  Bopp  *  e  proviene  ili  certo  anch'  essa  da 
osservazioni  d'indologi  inglesi  fatte  sul  luogo,  giusta  la  quale 
il  n  altro  in  fondo  non  è,  nella  prima  categoria  di  combina- 
zioni (p.  e,  jungànti,  jungunt),  se  non  una  semplice  nasale  pa- 
latina, vale  a  dire  una  nasale,  il  cui  contatto  viene  a  formarsi 
in  quella  stessa  posizione,  che  è  richiesta  per  la  esplosiva  sus- 
seguente**; dove,  all'incontro,  nella  seconda  categoria  di  com- 
binazioni (p.  e.  jagnà-,  culto),  il  n  equivarrebbe  a  gn  italiano» 
e  quindi  allo  n  delle  nostre  trascrizioni  romanze.  Ora,  siccome 
nelle  combinazioni  della  prima  specie  si  suole  scrivere  Y  anu- 
svàra  in  luogo  del  proprio  carattere  della  nasale  (p.  14),  cosi 
si  chiarirebbe  il  perchè  lo  Jones  ci  abbia  parlato  sol  del  va- 
lore che  questa  viene  ad  assumere  nelle  combinazioni  della  se- 
conda specie,  nelle  quali  è  esclusivamente  rappresentata  dalla 
lettera  che  ad  essa  è  propria;  e  di  fatto,  altri  eserapj  il  Jones 
non  cita,  tranne  gnd,  conoscere,  gndna-,  cognizione  ***. 


*  Bopp,  Krit.  gramm.  d.  sanskrita-sprache  in  kùrz.  fassung,  3*  ediz., 
§  25;  cfr.  Benfey,  Volisi,  gramm.  d.  sskritspr.,  p.  5,  e  qui  sotto  la  n.  ***. 

**  Quindi  il  t:*  di  Brìicke,  o.  c.  ,  p.  50,  80. 

***  Notevole  che  il  missionario  italiano ,  già  altre  volte  citato 
(p.  108  e  152,  in  n.),  non  ricordi  lo  gn  di  nostra  lingua  nel  descri- 
verci il  n  indiano,  il  cui  nome  egli  rende  per  nghion:  Haec  per  la- 
tìnam  literam  describi  nequit,  cum  plures  simul  prolatae  ejus  sonum 
expriraere  valeant;  palato  enim  simul,  et  naso  cum  aliqua  aspiratione 
erit  pronuncianda.  usus  te  docebit.  -  Abbiamo,  all'incontro,  un  altro 
missionario  italiano  (Clemens  Peanius  alexandrinus,  carmelita  excal- 
ceatus  provinciae  pedemontanae  ) ,  che  neW  Alphabetum  grandonico- 
malabaricum  sive  samscrudonicum ,  Romae  1772,  così  ci  descrive  la 
nasal  palatina  (p.  82):  gna,  ut  gn  italicum,  efformatur  prope  dentes 
cum  aliquo  narium  ministerio.  Ma  va  considerato,  a  tacer  d'altro,  che 
questi  aveva  esercitato  il  suo  ministero  nel  Malabar,  cioè  in  regione 
di  favella  dravidica  (  §  42  ).  -  11  Wilkins  {A  gramm.  of  the  sanscr. 
lang.,  p.  8)  ha  questo  strano  adclitamento : . . .  the  just  articulation 
of  which  {cioè  del  radicale  gnd)  is  found  so  difficult,  and  the  sound 
so  harsh,  that  it  is  frequentìy  softened  into  gjd. 


208  §39.  sk  originario;-  fih  sanscrito,  sk  europeo. 

§  39.  Dopo  questo  ragionaìnento  fonetico,  al  quale  dovremo  in  ap- 
presso non  poche  volte  riferirci,  il  nostro  discorso  si  rifa  eti- 
mologico, e  messa  per  ora  in  disparte  la  media  aspirata,  gh, 
peculiare  all'India,  la  quale  è  nel  sanscrito  di  uso  assai  scarso 
e  di  quasi  nessuna  importanza  per  la  comparazione  europea  *, 
si  rivolge  alla  tenue  aspirata  Uh,  peculiare  all'India  anch'essa, 
ma  di  non  poco  momento  pel  nostro  studio,  si  per  la  genesi  sua, 
6  si  pei  riflessi  che  ritrova  nelle  lingue  affini.  Dai  quali  inco- 
minciando, vedremo  essere  sk  la  costante  risposta  europea  dello 
Uh  sanscrito  **  : 

1.  Sscr.  Hhdjà,  ombra;  gr.  axta,  ombra,  a  cui  si  aggiunge,  da  Esi- 

chio:  (jìioió-ci  ((jxot3c<=  cr/.oT£ivdt),  oscuro.  La  parte  radicale  di 
questo  vocabolo,  riapparisce,  a  dir  solo  di  alcuni  esemplari 
(cfr.  Vlntrod.  alla  Morfei.),  nel  sscr.  Jihad  Rhd-d-dja-ti ,  rico- 
prire,  velare,  nascondere,  nel  got.  ska-d-u-s,  ombra  (ufar-shadv- 
Jan,  eTcì-ffxia^eiv  ),  nel  greco  axo-ro-;,  oscurità,  e  nel  latino  ob- 
-scù-ru-s  (cfr.  sscr.  sku,  §  41  al  pr.). 

2.  Sscr.  Rhid  Jihinddnti  (3  pers.  pi.),  scindere,  discindere;  lat.  SCID, 

scld-i  scind-o  {scindunt  ^  sscv.  Jihinddnti',  pro-scindimus  <=  sscv. 
prd-Rhindmas ',  ab-scindunt  «=  sscr.  dpa-Jihindanti).  Il  lituano  ri- 
sponde ugualmente  per  SKID,  onde  p.  e.  skeda  ***  (  'skaidd,  f.  ), 
scheggia,  ayi^iov,  che  risponde  a  capello,  salvo  il  genere,  al 


*  Non  va  tuttavolta  trascurato,  malgrado  l'onomatopea,  il  paral- 
lelo già  messo  innanzi  dal  Pott  e  dal  Bopp:  sscr.  ghilli-  ghilli-kd, 
grillo,  lat.  grillo-,  ted.  grille.  Saremmo  ad  una  forma  originaria 
*ghrilla-,  cfr.  Vlnd.  s.  bhang,  ed  avremmo,  nella  voce  asiatica,  uno 
gh  men  profondamente  alterato  di  quello  che  soglia  {gh  in  luogo  di 
'z\  h;  cfr.  /i  e  p,  =  A,  il  §  36,  3  e  la  p.  193  in  n.).  -  Circa  la  ge- 
nesi pracritica  di  gh,  v.  intanto:  §  34  n.,  §  40,  5.  e  ult.  n. 

*♦  Pur  la  risposta  gotica  si  mantiene  qui  all'unisono,  il  traligna- 
mento  (p.  63-4)  essendo  impedito  nella  formula  s  +  -  (cioè:  esplosiva 
preceduta  da  s),  cfr.  atd,  ist,  a  p.  147. 

***  Nesselmann,  1.  e.,  dal  lessico  dello  Szyrwid  (1713),  ed  è  forma 
che  si  ripete  nello  «Aaida  lettone. 


§  39.   Sk   ORIGINARIO  ;  -   Rh  sanscrito  ,   Sk   EUROPEO.  209 

sinonimo  sanscrito  hhaida-  {'skaida-,  m. )•  Del  riflesso  greco 
si  tocca  più  innanzi  (§  41,  1). 
'  3.  Sscr.  ]lhd  Hh-jd-ti,  tagliare,  part.  perf.  pass*( /t/ià-tó- e  Rhi-td-; 
dal  quale  esemplare  avremmo  preso  le  mosse,  se  ragioni  di  op- 
portunità non  ci  suggerivano  di  mandarne  innanzi  altri  due,  di 
più  facile  ricostruzione.  Qui  dunque  risaliremmo  a  'skd,  alla 
qual  forma  starà  il  SEC  lat.  di  sec-tor,  sec-dre,  così  come  tra 
di  loro  stanno,  per  entro  al  latino,  stev'  e  strd-  (ster-no,  strd-to-), 
o  per  entro  al  sanscrito:  par  e  prd,  empire  (v.  Vlnd.),  e  tanti 
altri  siraiglianti  *.  E  qui  spetterà  ancora  il  lat.  scio,  che  pri- 
mamente deve  aver  valso:  decidere,  decretare,  come  si  vede 
da  scitum  e  da  scisco,  indi:  riconoscere,  conoscere,  sapere;  e 
'decidere'  è  'tagliar  colla  volontà,  cól  giudizio'  (de  +  caedo;  cfr. 
p.  30,  in  n. ).  Così  sciunt  (veramente:  decidono)  risponderà  a 
capello  al  sscr.  Uhjdnti  Cskjantì,  recidono)*,  ma  scio,  per  la  sua 
particolare  costituzion  fonetica,  fu  naturalmente  attratto  nel- 
r  analogia  della  quarta,  e  quindi  seimus  (allato  a  capio  captmus), 
scl-tum  sci-sco  ecc.  **. 
4.  Ma  l'esemplare  più  importante  è  -Hha-,  vale  a  dir  la  figura  san- 
scrita dell'elemento  ascitizio  che  nel  greco  e  nel  latino  si  ri- 
percuote per  -axo-  -SCO'  (-(txs-  ecc.).  Già  avemmo  ad  incontrar 
questo  elemento  in  gd-liliha  ***'=>  pi-cy^t,  va!  (26,8.),  e  dovremo 
riparlarne  fra  non  molto  (§  41);  ma  qui  intanto,  per  misurare 
brevemente  la  sua  principale  attività  morfologica,  vorremo  an- 
cora considerare,  che  i  tipi  verbali  sanscriti:  ar-ìlha-  {ar-Jiha-ti 
r-Mhd-ti,  aggreditur),  ga-Mha-  {gd-RJiha-ti,  it,  venit),  ji*a-/^/ia- 


*  V.  Zeitschrift  s.  e,  XVI,  207. 

**  Quindi  starei  col  Curtius,  1.  e,  n.  45  h,  senza  però  poter  con 
lui  ripetere  che  alla  forma  sanscrita  manchi  il  s  (v.  §  40).  IIPott, 
all'incontro  {Etpm.forsch.,  112,734,  Wurzel-ivOrterb.,  1,60,459,704) 
ed  il  Benfey  (Kurze  sskr.-gramm.,  p.  28  in  n.  ;  e  altrove),  insistono, 
ma  infelicemente  di  certo,  sulla  combinazione  di  scio  col  sscr.  Ili,  col- 
ligere,  dichiarando  ciascuno  a  proprio  modo  la  sibilante  della  forma 
latina.  -        Cirtfa  il  riflesso  greco  di  questo  numero,  v.  §  41,  1,  in  n. 

***  Circa  la  ragione  dello  M,  che  qui  si  aggiunge  alla  nostra  aspi- 
rata, V.  il  §40. 

Ascoli  .  FohoI.  ìndo-it.-yr.  14 


210  §39.  sk  originario;-  Rh  sanscrito,  sk  europeo. 

ijà'JiJiha^ti ,  cóhihei) ,  non  vanno  al  di  là  dei  tempi  che  addi- 
mandano  speciali',  così  come  lo  -san  di  Yt-ywj-Txoj  (riconosco) 
più  non  si  vedrebbe  nell'aoristo  l'-yvci-v,  nò  quello  del  latino 
nosco  nel  perfetto  nó-vi. 
5.  Giova  finalmente  considerare  un  qualche  esempio  di  altro  lingue 
europee,  in  cui  ancora  si  contenga,  come  per  ulteriori  indagini 
ci  sarà  manifesto,  l'elemento  medesimo  del  quale  testò  si  è  di- 
scorso. Abbiamo  cosi  l'ant.  alto-ted.  vunsc,  desiderio,  vunsk-ian, 
desiderare,  allato  ai  sanscriti  vdhUh  vànJlha-ti,  optare,  desi- 
derare, vdhlihà,  desiderium,  optatio  (cfr.  van,  amare,  cupere);  — 
e  il  lituano  [jjesk-óti  (  =  *aÌ3k-),  paleo-bulgar.  isk-ati  {'aisk-, 
'j-eìsk-),  quaerere,  ant.  alto-ted.  eisc-dn,  petere,  allato  ai  san- 
scriti z^/i  f^/^/ia-ii  (*isk-),  quaerere,  petere,  optare,  ihRà,  desi- 
derium (cfr.  §  41,3,  n.**). 

§  40.  Le  analogie  discorse  nelle  Lezioni  precedenti ,  e  tutte  quante 
le  osservazioni,  cosi  d'ordine  generale,  come  dello  special  do- 
minio di  questo  singolo  riscontro  che  più  innanzi  verremo  ap- 
profondendo, ci  rendono  affatto  sicuri,  che  nella  risposta  euro- 
pea, cioè  nello  sk,  si  continui  ancora  incolume  la  combinazione 
del  periodo  originario;  ed  ora  c'incomberà  di  scoprir  la  via,  per 
la  quale  si  consumasse  questa  così  grave  alterazione  di  sk  ori- 
ginario in  Uh  sanscrito*.  È  fenomeno  di  decadenza  profonda, 
a  chiarire  il  quale  giova  imprima  ricorrere  alle  lingue  medie- 
vali dell'  India  sanscritica,  cioè  al  pali  ed  al  pracrito  **,  per  in- 
terrogarli sul  come  essi  rispondano  a  combinazioni  congeneri 
che  ancora  vigono  nell'antica  favella.  E  ritroveremo,  che  l'an- 
tica sibilante,  la  quale  immediatamente  preceda  a  consonante 
nasale  od  esplosiva,  si  converte  costantemente  in  h  e  viene 
insieme  a  posporsi  alla  consonante  che  imprima  a  lei  succe- 
deva; che  è  quanto  dire:  aversi  per  le  formule  sanscrite  -+" 


*  Si  vegga  il  secondo  Saggio  indiano  nel  secondo  volume  degli 
Studj  critici. 

**  Per  pracrito  senz'altro,  s'intenda  il  principal  dialetto  pracritico 
che  occorre  nei  drammi. 


§  40.   DEL   COME   sk   ORIGINARIO    PASSI   IN   kh   SANSCRITO.  211 

(sibilante  e  nasale)  e*+^  (sibilante  ed  esplosiva,  sempre  sorda), 
1-e  formule  palicke  e  pracrite  ^-f/i  ed  ^i-h;  dove  non  è  inutile 
l'avvertenza,  che,  nella  base  palica  o  pracrita,  non  si  può  più 
parlare  se  non  di  una  sola  sibilante,  che  è  la  dentale  (5).  Li- 
mitandoci per  ora  ad  esempj  pracriti,  vediamo  dunque  imprima, 
per  la  formula  sscr.  •^+*: 

1.  s.  iismz,  io  sono,         i).[a]mhi',         s.  grismd-,  estate,    ]).ghnha-', 

vi-smita-,  stìi^ito,       vi-mhida-;        visnu-,  Yìsum,  vinhu-. 

Indi  per  la  formula  sscr.  *+^  *  data  l'esplosiva  pura  e  a  com- 
binazione iniziale: 

2.  sscr.  skandha-,  spalla,   pr.  khandha-^-    sscr.  stimitd-,  umido, 

rigido,  ^v.thimida-',-   sscr.  scarpa-,  contatto,  pr.pTiasa-;-   sscr, 
dfs-ti-,  vista,  T^r.  ditthi-; 

e  a  combinazione  interna: 

3.  sscr.  maskara-y  bambù,  pr.  makhara--, 

àsti,  è,  atthi', 

hdsta,  mano,  hattha-; 

vi  +  stararti- ,  che  spande ,  vi  +  ttharanta-  ; 

pùspa-y  fiore,  puppha-', 

vdspd-,  vapore,  lagrima,  vappha-  **. 

Troviamo  quindi  nel  pracrito,  ove  si  tratti  di  combinazione  in- 
terna, aggiungersi  costantemente  all'aspirata  la  sua  pura  tenue. 
E  una  specie  di  raddoppiamento,  che  pure  ove  si  tratti  di  com- 
binazione iniziale  si  riproduce  sempre  entro  il  composto;  quindi 
p.  e.  sarira-pphasa-  =  sscr.  Qarira-sparga-  (cfr.  40, 2.),  contatto 
del  corpo,  e  veramente  era  un  composto  anche  il  testé  addotto 
vi-ttharanta-.  Il  quale  raddoppiamento  ci  apparirà  come  un  ri- 


*  Nel  §  41  in.  n,  si  avrà  la  confutazione  di  un  diverso  modo  pel 
quale  si  è  tentato  dichiarare  la  genesi  del  riflesso  pracritico  di  questa 
formula. 

**  Figura  pracritica,  assunta  a  far  parte  del  lessico  sanscrito,  è 
guph ,  torcere  (  intrecciare  ) ,  onde  gumpha ,  gumphana ,  V  intrecciar 
ghirlande,  e  guphitd-,  allato  al  vedico^w*pi7à-,  intrecciato. 


212  §  40.    DEL    COME    sk   ORIGINARIO    PASSI   IN    kh    SANSCRITO. 

piego  dell'ortografia  indiana,  richiesto  da  ciò,  che  il  prodotto 
pracritico  di  sk  st  ecc.,  cioè  k  +  h  t^h  ecc.,  non  si  scrisse  per 
le  due  diverse  lettere  che  rappresentano  i  due  suoni  onde  esso 
consta,  ma  bensì,  come  l'uso  rendeva  pressoché  inevitabile,  per 
l'unica  lettera  che  rappresenta  quell'affinìssima  comÌ3Ìnazione 
fonetica  che  ne  è  la  singola  aspirata  kh  ih  ecc.  Ora  kh  th  ecc. 
non  davano,  come  pur  la  ortoepia  voleva,  una  doppia  consonante, 
vale  a  dir  tal  composto  fonetico  che  {a.cesse  posizione;  e  quindi 
voluto  il  raddoppiamento  per  mezzo  della  rispettiva  tenue,  me- 
diante il  quale  si  acuisse  la  pronuncia  della  vocal  precedente  e 
restasse  ben  divulso  1'  elemento  esplosivo  dall'  aspirazione  che 
sussegue,  per  guisa  che  sicuramente  si  avesse  in  at-hi  (atthi), 
a  cagion  d'esempio,  un  trocheo  (-v^)  e  non  un  pirrichio  ("^)*. 
Nel  prodotto  pracritico  di  sm  sn  ecc. ,  cioè  m  +  A  n^h  ecc., 
il  raddoppiamento  non  interviene,  perchè  mh  nh  ecc.  son  dì 
necessità  rappresentati  da  due  diversi  caratteri  per  ciascuno, 
e  quindi  è  senz'  altro  pur  graficamente  manifesta  la  posizio- 
ne **.        Rimane  ancora  il  caso,  in  cui  l' esplosiva  sia  aspirata 


*  Anche  essendo  iniziale  staccato,  e  massime  succedendo  a  uscita 
vocale,  deve  primamente  esser  valso  per  due  consonanti  ogni  kh 
th  eoe.  ottenutosi  nel  ^racr.  da  sh  st  ecc.  (cfr.  Mh-  sscr.,  di  cui  si 
tocca  in  sulla  fine  di  questo  paragrafo).  Ma,  a  poco  a  poco,  simili 
gruppi  iniziali  si  ridussero  a  non  avere  diverso  valor  prosodico  da 
quello  di  una  semplice  aspirata.  Cosi,  per  un  esempio  iniziale  che 
spetta  alla  categoria  a  cui  tosto  arriviamo,  s'  ha  la  prova  metrica  di 
questa  riduzione  in  via  phulanti  (t=sscr.  iva  sphuranti,  come....  tre- 
molano), alla  fine  del  quarto  emistichio  d' un*  àrja  (è  esempio  di 
dialetto  mdgadhico,  ap.  Lassen,  append.  alle  Institut.  Unguae  pra- 
criticaCj  pag.  59;  ma  circa  tdhà  khalanà  *=>  sscr.  tasja  Ékhalanam,  il 
vacillare  dì  costui,  che  ricorre  nello  stesso  luogo,  cfr.  Stenzler, 
wrliìlhakatikà,  pag.  256).  E  vedi  ancora  il  Lassen,  nell'op.  cit.,  a 
pag.  282-3  e  397. 

**  Esempj  di  mh  che  fixccìa.  posizione:  mahuara  vimharidosi r^sscv. 
madhuhara  vismrtau  'si  (o  ape,  hai  obliato),  Cakunt.,  ed.  Boehtlingk, 
50, 10;  yim/«a-  =  sscr.  vismita-  (attonito),  i/rrt/j.-ì,  ed.  Bollensen, 
58,6  (cfr.  529). 


§  40.    DEL   COME   sk    ORIGINARIO    PASSI    IN    kk    SANSCRITO.  213 

nella  combinazione  sanscrita;  e  qui  il  pracrito  darà  figure  non 
diverse  da  quelle  che  vedevamo  per  la  formula  con  l'esplosiva 
pura,  perchè  lo  h,  che  proviene  dall'antico  s,  vi  si  imbatte  o 
fonde  con  quello,  onde  si  costituisce  il  secondo  elemento  dell'  an- 
tica aspirata.  Così  avremo: 

4.  sscr.  skhdlati,  egli  yeLCXÌla,  pariskhalant-,  che  vacilla  intorno; - 

pr.  hhaladi,  pari'kkhalanta-'\  sscr.  ava-sthdpajati,  egli  col- 
loca; -  pr.  ava-tthdbedi;  sscr.  dsthi-,  osso;- t^t.  atthi"-,  sscr. 
sphurdti,  coruscat,  vi-sphurati,  tremit;  -  pr.  phuradi,  vi-pphu- 
radi  *. 

Di  s  che  passi  in  h  troveremo  del  resto  a  suo  luogo  (Lez.  XIV) 
più  altri  casi  indiani;  ma  qui  giova  ancora  ricordare,  come  la 
trasposizione  [asmi  *ahmi  amhi),  e  anche  il  raddoppiamento 
dell'esplosiva  [asti  *ahti  atthi),  si  ripetano  negli  idiomi  pra- 
critici  anche  per  quelle  combinazioni  in  cui  lo  h  già  sia  proprio 
della  forma  sanscrita. 

5.  Sarà  quindi  normale  che  il  pracrito  risponda  per  mh  a  hm  san- 

scrito in  bamhana-  ^  brdhmana-  sscr.  bramino.  Così  il  pali,  alla 
sua  volta,  risponde  per  majham  al  sscr.  mahjam,  mihi  ;  il  quale 
invertimento  di  jh  per  antico  hj  si  riproduce  nello  ffr/h  pracr. 
per  hj  sscr.  (p.  e.  in  saggha-  «  sscr.  sahja-,  da  tollerarsi,  e  ap- 
punto ricorre  anche  un  pracrito  maggha,  di  cui  v.  al  §  61), 
poiché  vi  si  tratti  di  j  che  per  veezo  pracrito  si  f a  ^  (v.  V  Jnd.) 
e  quindi  forma  col  susseguente  h  una  lettera  sola,  cioè  l'aspi- 
rata ghy  che  ha  poi  bisogno  del  raddoppiamento  per  ristabilir 
la  posizione.  E  per  processo  affatto  analogo  l'antico  hv  diventa 
bùh  pracrito  in  gabbhara-  'gavhara-,  sscr.  gahvara-,  profondo, 
profondità,  nascondiglio  **. 

Che  se,  finalmente,  per  mancare  al  sscr.  la  formola  h  +  ^  {h  sus- 
seguito da  esplosiva),  non  possiamo  aver  sicuri  esempj  pracri- 
tici  di  metatesi  d'antico  h  in  combinazioni  affatto  parallele  a 


*  . . .  naanà  me  vippJiuradi,  [T] occhio  mi  tremola;  Cakunt.,  ed. 
Chézy,  97  (ed.  Boehtlingk,  63). 

**  V.  il  sec.  voi.  degli  Stadj  crii.  s.  gabbhara-,  gibbh[d],  bàbkana' 
('bdvhana  ,  brahmana-,  v.  §  64). 


214  §  40.    DEL   COME   Sk   ORIGINARIO   PASSI    IN    ìlh   SANSCRITa. 

quelle  in  cui  trattavasi  di  antico  s  {st  *ht  th;  ecc.),  l' analogia 
troverà  il  suo  compimento  nel  sanscrito  stesso,  cioè  nel  feno- 
meno metatetico  a  cui  va  incontro  il  secondo  elemento  dell'  a- 
spirata  sanscrita  per  la  legge  che  riduce  la  formola  etimologica 
media  asp.  +  t  alla  figura  ortoepica  media +  dh;  quindi  p.  e.  lab- 
dha-,  ottenuto,  da  lahh  +  ta\  dove  si  aggiunge,  a  rendere  proprio 
perfetta  l'analogia,  che  se  l'elemento  accessorio  incomincia  per 
th,  l'aspirazione  trasportata  si  confonde  con  l'altra  in  cui 
s^imbatte  (40,4;  cfr.  §  44  e  Metatesi). 

Ora,  l'istoria  documentata  e  riprovata  di  un  pracrito  amhi 
dair antico  asmiy  e  di  un  pracrito  thar  dall'antico  star,  viene 
a  sparger  piena  luce  sul  fenomeno  di  'kh  sanscrito  da  sh  ori- 
ginario, che  a  noi  qui  importava  di  chiarire.  Lo  sk  originaria 
poteva  cioè  facilmente  ridursi  a  sk  [qK]  indo-irano,  pel  frequente 
fenomeno  indo-irano  di  ^  in  i^  anche  dietro  a  continua ,  del  quale 
fu  a  suo  luogo  parlato  (§§14,15);  e  questa  fase  fonetica  è 
ancora  intatta  in  alcuni  assai  importanti  esemplari  zendi,  né 
manca  del  tutto  al  sanscrito  stesso.  Abbiamo  cosi  : 

6.  gliid  zendo,  rompere,  allato  a  Uhid  sanscrito,  SKID  europeo  (39, 2.)  ;- 
gMd  zendo,  ingannare,  allato  a  Hhad  sanscrito  {'ska-d,  39,  1.), 
coprire ,  nascondere ,  onde  Khdd-man-,  inganna,  coperchiella  ;  - 
e  per  lo  -SK  ascitizio  (39,  4.)  giova  qui  intanto  considerare  il 
verbo  zendo  gragk,  gocciolare,  grandinare,  che  è  manifestamente 
un  frequentativo,  ed  ha  allato,  come  si  conviene  *,  la  figura  con 
la  gutturale  nel  sostantivo  gragka,  grandine;  e  insieme  vedere, 
dal  sanscrito,  il  verbo  vragM,  vulnerare,  lacerare,  che  deve  an- 
ch'esso andar  munito  dell'aggiunzione  a  cui  alludiamo,  e  ri- 
viene ad  ogni  modo  a  uno  vrask  anteriore**,  il  quale  alla  sua 


*  Cfr.  p.  36,  38,  101,  107,  177.  , 

**  Allato  a  vra-gli  sta  il  vra-  del  sscr.  vra-na-,  ferita,  cicatrice, 
cui  risponderebbe  il  lat.  vul-n-us  (Benfey,  Griech.  ivurzellexik.,  1, 48)  ; 
e  il  rapporto  fra  "vrask  e  'vrak  (sscr.  vfka-,  offensivo,  lupo)  è  quello 
stesso  che  interviene  fra  'prask  (sscr.  prahh,  chiedere,  ricercare;  ger- 
man.  for-sk-)  e  'prak  (lat.prec-,  got  frah-)\  v.  la  Introduz.  alla  Mar" 
fol.y  a.  vv. 


§40.    DEL   COMK   sk    ORIGINARIO    PASSI     IN    ìih   SANSCRITO.  ^^15 

volta  sarebbe  intatto  nel  nome  vraska-  (Jùpa-vraskd-,  digros- 
satore del  palo  *). 

Ma  lo  s^  [gh]  indo-ìrano  doveva  tosto  o  tardi  subire,  nell'India, 
queir  alterazione  a  cui  man  mano  vi  si  vennero  assoggettando, 
come  testé  vedemmo,  tutti  i  complessi  congeneri;  anzi  esso  è 
stato,  per  la  sua  particolar  costituzione ,  il  primo  che  vi  an- 
dasse incontro;  e  quindi  abbiamo  la  proporzione  esatta: 
Khid  sscr.  (39, 2.) :  ^Hid  indo-irano  :  :  khandha  pr.  (40, 2.)  :  skandha  sscr.  ; 

la  quale,  se  avesse  bisogno  di  altre  conferme,  si  potrebbe  in 
ispecie  confortare  della  riduzione  pracrita  di  quelli  gU  che  si 
mantengono  oppur  surgono  nel  sanscrito,  ed  appunto  è  Jih,  p.  e. 
in  paJikhd  pracrito  ^er  pagkdt  sanscrito,  dietro,  di  poi  (§  57),  od 
in  tiriJiUhi  pracrito  pel  tiraghi  sanscrito,  di  traverso.  Il  raddop- 


*  Cfr.  Benfey,  Orimi  u.  occident,  I,  395;  Boehtlingk-Roth,  VI, 
180.  —  A  stare  alle  apparenze,  l'India  anzi  ci  offrirebbe  due  diversi 
modi  di  costante  e  integrale  continuazione  della  fase  indo-irana:  gii. 
V  ha  cioè  imprima  che  in  un  libro  vedico,  nel  kdthaka  (jagur-vaida 
nero,  secondo  una  particolare  scuola;  cfr.  la  pag.  221  in  n.),  s'abbia 
gRh  pel  sohto  -Mh-,  vale  a  dire  per  lo  ìih  con  quel  raddoppiamento 
normale  che  già  vedemmo  (39,4.5.)  e  di  cui  tosto  si  ritocca;  quindi 
p.  e.  gtìgKhati  •=  gaMhati ,  it,  ve.jit,  a-ghhinad,  scindebas  scindebat, 
(suparni)  gKìiandasi,  hymni,  metra.  Ora  il  Benfey  {Gottmger  gel. 
anzeig.j  1856,  p.  758,  Or.  u.  occ,  III,  194,  e  altrove)  si  è  venuto 
sempre  in  più  raffermando  nella  sentenza  che  questa  particolare  or- 
tografia ci  rappresenti  una  fase  isterica  più  antica,  e  che  da  g.ìih,  dove 
avremmo  aspirata  l'esplosiva  per  opera  della  sibilante,  si  venisse  poi, 
per  assimilazione,  a  Mih.  Ma  la  critica  mal  potrà  accettare  queste 
conclusioni,  che  a  noi  importa  di  qui  infirmare,  anche  perchè  ne  par- 
rebbe sturbata  l'istoria  che  dello  ìih  (ìiRìi)  sanscrito  e  pracrito  ve- 
niamo facendo.  Imprima  dunque  diciamo,  che  quanto  sarebbe  irra- 
gionevole l'escludere  l'ipotesi  di  qualche  gii  indo-irano  che  nell'India 
primamente  si  facesse  gRh,  e  altrettanto  ripugna  lo  ammettere  che 
vi  si  compisse  così  costantemente  questa  aspirazione.  Ripugna  in  se- 
condo luogo  il  concedere  alla  ortografia  del  kàtìiaka  questo  ampio 
privilegio  di  anzianità  etimologica,  non  trattandosi,  dall'una  parie. 


2Ì6,         i^  40.    DEL    COME    Sk    ORIGINARIO    PASSI    IN    Uh   SANSORITO. 

piamento  della  qual  forma  pracrita  è  affatto  normale,  come 
ormai  sappiamo  (39,  4.  5.),  e  corrisponde  al  raddoppiamento  che 
in  ortografia  sanscrita  è  a  buon  dritto  voluto  od  ammesso  per 
ogni  Uh  a  cui  segua  e  preceda  vocale.  Gli  è  sempre  che  con  ciò 
si  addimostra,  e  in  modo  ancor  più  compiuto  che  nel  pracrito 


che  l'idioma  di  esso  libro  si  distingua  nel  resto  per  speciali  suoi  ca- 
ratteri di  antichità  maggiore,  e  non  trovandosi,  dall'altra,  in  tutta 
la  rimanente  letteratura  sanscrita,  pur  un  solo  esemplare  di  questo 
f^/i.  Ma  l'obiezione  piìi  poderosa  vien  di  là  appunto  donde  a  prima 
vista  può  parere  che  venga  efficace  soccorso  alle  induzioni  del  Benfey. 
Poiché  v'  ha  ancora ,  che  il  grammatico  HaimaHandra  e'  insegna, 
aversi  nel  pracrito  maghadico:  -gli-  per  -Txh-  {-Mkh-)  sanscrito  (v.  We- 
ber, nei  Beitràge  s.  e,  II,  363);  il  quale  q^  si  crederebbe  a  primo 
tratto  proprio  tal  quale  lo  gli.  indo-irano  =  sk  originario ,  tanto  pid 
che  sì  tratta  d'  un  idioma  pracritico  che  non  fa  subire  agli  antichi 
sm  st  ecc.  quella  elaborazione  a  cui  nel  principal  pracrito  scenico  e 
nel  pali  essi  soggiaciono.  Senoncbè,  già  la  costante  differenza  tra  la 
figura  che  è  nel  kàthaka  {gJlh)  e  la  figura  maghadica  di  Haimak'andra 
{gH,)  basterebbe  a  destar  grandissimo  sospetto  intorno  alla  importanza 
etimologica  di  entrambe.  Al  che  si  aggiunge,  che  lo  gh  mughadico 
si  avrebbe  per  lo  /ih  del  pracrito  anche  dove  questo  non  risale  di 
certo  a  sk  originario  [vaghala-  «  pr.  vaJihala-  >=  sscr.  vatsala-;  l'e- 
sempio tirigRi  ^  T^r:  tirilihi  non  è  veramente  conclusivo,  perocché  la 
corrispondenza  sanscrita  non  ne  sia  già  tirjak  ma  bensì  tiragRi).  Così 
un  qualsiasi  -Rh-  (-RRh-)  pracrito  trova  nel  dialetto  gakdrieo,  e  non 
in  questo  soler,  oscillare  i  manuscritti  fra  -RRh  -Rh  -gRh  -gR  e  -gg;  p.  e.  : 
gaRRh-dmi  -gaRha  gagRh-ia gagR-ia gagg-a  (mrRRhakat.,  ed.  Stenzler, 
p.  132,303-4;  cfr.  §  39,4);  pa-RRhdd-emi  pa-gRàd-emi  =  sscr.  pra~ 
-Rkhàd-ajdmi  {mrRRh.,  132,  303;  cfr.  §  39,  1);  maRRha-  magRa- 
magga- >=>  ssQv.  matsja",  pesce  (mrRRh,,  10,241,  Cakunt.,  ed.  Chézy, 
111,  5.  12.  112,  3);  pekkh-dmi  [peRh-adi]  pegRh-a  pegR-dmi  [pegg-igà] 
-sscr.  pra-lks-,  mirare  (mrRRh.  132,  303;  21,  247;  35,  255).  Siamo 
quindi  condotti  a  conchiudere,  che  ben  lungi  dal  trattarsi  di  reliquie 
di  antichità  singolare,  tutti  questi  gRh  gR  gg  altro  affatto  non  ci  rap- 
presentino se  non  assibilamenti  provinciali  dello  -RRh-  del  sanscrito  o 
del  pracrito.  V.  ancora  il  sec.  voi.  degli  Studj  critici,  9.  Rh, 


§  40.    DEL  COME   Sk    ORIGINARIO    PASSI    IN    Uh    SANSCRITO.  217 

non  avvenga,  non  aversi  in  simil  prodotto  una  semplice  aspi- 
rata (M),  ma  bensì  due  distinte  consonanti  (^  +  /i),  a  cui  spetti 
legittimamente  anche  di  far  posizione.  Quindi  si  scriverà:  gà- 
Uhha  =  pàcjxs  (39, 4.),  jàsja  ^Uhdjd  (39, 1.),  la  cui  ombra;  e  così 
discorrendo  *. 


*  V.  Panini,  ed.  Boehtlingk,  pag.  387,  Benfey,  Volisi,  gr.,  §  17. 
Se  il  raddoppiamento  sì  può  tralasciare  tra  parola  e  parola,  dopo  vo- 
cale lunga,  ciò  dee  provenire  dalla  considerazione  metrica,  ch'esso 
in  questo  caso  sia  superfluo;  ma  veramente  avrebbe  pur  sempre  a 
starci,  come  è  voluto  nel  mezzo  della  parola  pur  dopo  dittongo,  p.  e. 
in  diliJihìka-,  elettivo,  e  anche  tra  voce  e  voce  dopo  le  particole  ma 
([juT])  ed  d.  I  manuscritti  sogliono  trascurarlo  (sogliono  cioè  dare, 
p.  e.,  gaJihati  e  non  ga'hlihati),  ma  l'effetto  prosodico  resta  natural- 
mente il  medesimo,  e  quindi  suol  dirsi  che  la  lettera  ^/i  faccia  po- 
sizione; cfr.  p.  e.  Bopp,  gr.  sscr.,  §  60,  e  Lassen,  ugW Indischey  hi- 
bliothek,  III,  50;  intorno  al  quale  particolare  metrico,  può  spiacere 
che  taccia  il  Benfey  nel  1.  e;  cfr.  Sdmav.,  JEinleit.,  xlvi.  Il  Lassen, 
alla  sua  volta,  dice  nelle  Institutiones  ling.  pracriticae,  pag.  208,  che 
Tih  non  faccia  posizione  nel  pracrito,  e  si  riferisce  a  una  sentenza 
del  Lenz.  Ma  questi  altro  non  dice  {Urvasia ,  fabula  Calidasi,  Be- 
rol.  1833,  p.  202)  senonchè:  littera  Uh  inter  duas  vocales  non  semper 
positionem  facit  (cfr.  Bollensen,  Urvagl,  p.  524),  accennando  a  due 
esempj  (mrMhak. ,  297,  4,  155,  8,  ed.  Cale),  i  quali  veramente  non  ci 
danno  kh  per  semplice  consonante  nell'interno  della  parola,  ma  bensì 
al  principio  di  parola  nell'interno  del  composto  {gìga-Jlheano-  ^  sscr. 
girsu-ìilihaidana- ,  taglio  del  capo;  gatt a-Rhid da- =  sscv.  sapta-lilihi- 
dra-,  dai-sette-fori ;  ed.  Stenzler,  pp.  157,  3,  79,  13;  neìVUrvagi,  ed. 
BoLLENS.,  avremo  -Hhh-,  che  è  quanto  dire  lih  che  faccia  posizione, 
^n  saììJihanda  59,  puMhia  72,  seMhd-  74;  ma  M.h  tenuto  per  conso- 
nante semplice  in  puJihimi  65),  e  provano  questo  solo,  che  i  dialetti 
pracriti  abbiano  fatto,  pure  in  questa  parte,  qualche  passo  di  più  su 
quella  via  per  la  quale  già  vedemmo  che  si  mettessero  in  ordine  ai 
prodotti  delle  altre  combinazioni  congeneri  (p.  212  nelle  n.),  e  sulla 
quale  il  sanscrito,  alla  sua  volta,  si  è  piti  che  mai  inoltrato  in  ordino 
a  quei  prodotti  di  cui  pivi  innanzi  si  discorre  (§  41,  p.  224;  §§  43, 
44).  -  Notevole  eziandio,  per  la  genesi  della  media  aspirata  pala- 
tina (cfr.  la  n.*  a  p.  208),  che  interna  tra  vocali  essa  non  ricorra 


218  §    41.    ALTRE    VICENDE    DELLO    sk   ORIGINAR,IO. 

§41.  Ma  tutto  ora  ci  spinge  a  proseguire  con  qualche  abondanza 
l'istoria  dello  sk  primitivo.  Nella  quale  indagine  avremo  a  veder 
vie  meglio,  quanto  sia  vana,  massime  allorché  si  tratti,  com'è 
nel  caso  nostro,  di  consonanti  abbinate,  l'espettazione  di  coloro, 
che  sperano  di  veder  trasfusa  tutta  la  grammatica  comparata 
in  un  quadro  sinottico  di  semplici  ed  esclusive  equazioni,  il  quale 
ci  renda  atti,  quasi  per  incanto,  a  risalir  con  facile  sapienza 
a  tutta  quella  gran  parte  delle  origini  che  pure  si  è  scoverta, 
e  ad  accompagnare  poi  le  forme  primigenie,  per  un  semplice 
meccanismo  di  armonie  alfabetiche,  attraverso  a  tutti  i  tempi 
e  a  tutte  le  contrade*.  Tutti  i  fenomeni  patologici  (§8),  nel- 
r  amplissima  sfera  dei  quali  ora  appunto  per  incidenza  entriamo, 
dovrebbero  ad  ogni  modo  andare  esclusi  dal  quadro  magico,  si 
per  la  propria  natura  di  essi,  e  si  perchè  la  loro  successione 
mal  coincide  con  quella  delle  fasi  generali  onde  si  costituisce 
la  serie  genealogica  delle  lingue.  Ma  se  dobbiamo  rassegnarci 
all'impossibilità  del  saper  facilmente,  che  è  del  resto  una  dif- 
ficoltà universale,  e  insieme  ancora  all'impossibilità  di  arrivar 
sempre,  nello  stato  attuale  della  cognizione,  a  un  saper  certo, 
ifoi  sentiremo  tuttavolta  ad  ogni  passo,  pur  movendo  pe'  sen- 
tieri più  scabri,  come  la  scienza  per  ogni  parte  maturi;  e  là 
dove  non  ha  guari  il  pensator  severo  s'impauriva  d'inestrica- 
bili nodi,  e  la  poesia  delle  combinazioni  fantastiche  avea  libero 
il  corso,  troveremo  problemi  risoluti,  o  posti  almeno  per  modo, 
che  sia  messo  strettissimo  assedio  intorno  all'ignoto. 

Mirando  principalmente  all'India,  gioverà  qui  scernere  e  se- 
guire due  diversi  filoni  etimologici,  che,  sulle  generali,  si  pos- 
sono brevemente  così  definire:  quello  in  cui  lo  sk  originario 
uscisse  ancora  intatto  dall'età  indo-irana,  e  quello  in  cui  fosse 


mai  semplice,  ma  sempre  si  abbia,  in  tale  congiuntura  : \j/^/i  (Benfey, 
1.  e.,  §  12,  2).  E  finalmente,  ritornando  ancora  a.  Kh,  è  ormai  quasi 
superflua  l' avvertenza,  che  data  per  un  qualche  esemplare  la  fase  'gJlh 
da  gk  (cfr.  la  nota  che  precede),  il  prodotto  di  essa  non  avrebbe  a 
differire  da  quello  del  semplice  gli  (40,  4.). 
*  Cfr.  Stucfj  critici,  II,  9  e  seg. 


§     11.    ALTRE    VICENDE   DELLO    sk   ORIGINARIO.  219 

ridotto,  come  testé  vedemmo,  a  sU  [f^]  indoirano.  Alla  com- 
binazione proto-indiana  con  la  gutturale,  iniziale  in  complessi 
verbali  o  radici  e  iniziale  o  mediana  nel  nome  *,  vediamo  rivenire 
non  poche  forme  del  sanscrito;  ma  come  l'indo-irano  sK  [p^]  sog- 
giacque a  vicende  specificamente  indiane,  così  accadde,  in  misura 
non  diversa,  pur  dello  sk.  Esso  dura  ancora  intatto  in  skand 
(10,  9.),  ed  in  shu,  che  è  tradotto  per  'coprire',  e  quindi  si  com- 
bina col  latino  ob-scù-.ru-s ,  coli' anglo-sassone  skù-a^  ombra, 
coir  antico  sassone  sceo,  cielo  coperto,  e  simili,  e  si  tocca  con 
l'indo-irano  sHad  [cìiad]  che  più  addietro  adducemmo  (39,  1.)  **. 
Per  sk  interno,  avemmo  vraska-  (40,  6.)  Ma  facile  alterazione 
indiana  di  sk  doveva  essere  skh,  di  cui  già  vedemmo  esempio 
(§  37);  ed  altra  vena  di  alterazioni  indiane  s'ebbe  per  un  ac- 
comodamento che  è  l'inverso  di  quello  che  tra  noi  occorre  p.  e. 
nel  caso  di  lasco  dall'antico  lacso  (laxus),  ed  è  altrove  da  noi 
considerato  con  la  debita  larghezza  (v.  sscr.  ks  =  *ks).  Quindi  skh 
e  ks***  sanscriti  per  sk  primitivo;  entrambe  le  quali  formole 


*  All'  uscita  del  nucleo  verbale,  per  quanto  si  può  vedere  (cfr.  40, 4. 5., 
e  più  innanzi  in  questo  stesso  §),  è  sempre  gii  indo-irano.  Gli  elenchi 
de'  radicali  sanscriti,  offerti  dai  grammatici  indigeni,  ben  ci  darebbero: 
kisk,  duskh,  nisk,  mask ,  vask ,  svask.  Ma  eccetto  duskh,  —  che  alla 
sua  volta  è  un  esemplare  illusorio,  denominativo  com'  è  di  dutkhd 
(dus-kha-,  dolore;  il  contrario  di  sukha-,  piacere),  —  son  tutti  radi- 
cali non  esemplati,  e  tutti  privi  eziandio  dì  ogni  conferma  eteroglossa. 
I  tre  seguenti:  mash  {mask  makk),  vask  (visk),  svask  {svask  svask 
svakk  sukk),  inventati  probabilmente  per  dar  la  radice  a  qualche 
forma  nominale  di  oscura  provenienza,  direbbero  ire,  che  è  una  specie 
di  traduzione  universale  dei  radicali  dubbj  o  immaginarj.  Restano  : 
nisk,  pesare,  che  si  conjuga  secondo  decima  classe,  e  proviene  mani- 
festamente dal  nome  niskd  (v.  Boethlingk-Roth,  s.  v.),  e  kisk  {hisk 
hikk),  uccidere,  che  è  di  decima  classe  e  quindi  di  apparenza  deno- 
minativa anch'esso. 

**  V,  Vlntroduz.  alla  Morfol.,  s.  vv. 

***  Dietro  a  k,  il  sanscrito  non  tollera,  nella  stessa  voce,  altra 
pronuncia  sibilante  dallo  s  infuori. 


220  §   41.    ALTRE   VICENDE    DELLO   sk   ORIGINARIO. 

avrebbero  per  lor  normale  continuatore  pracrito:  -kkh-,  kh-.  Ora 
al  lume  della  comparazione  si  trova,  che  anche  il  solo  kh  san- 
scrito continui  l'originario  sk.  Intorno  alla  esatta  istoria  del 
quale  fenomeno,  vedremo  tantosto  quel  di  problematico  che  possa 
rimanere;  e  intanto  facciam  di  rassodare  le  nostre  equazioni  per 
qualche  buon  esempio,  che  anche  ci  ricondurrà  all'Europa*. 

1,  Un  originario  skad  (skand),  coi  signiflcàti  di  ^rumpere,  dirumpere, 
disjicere',  è  intatto  nello  zendo  gkenda-  ('skanda-),  rottura,  ro- 
vina **,  che  ha  il  suo  riflesso  sanscrito  in  khandd-  (cfr.  §  43), 
rottura,  frammento,  pezzo,  parte;  allato  alle  quali  forme  acqui- 
sta valore  anche  il  sscr.  skhady  che  va  tra  le  radici  non  peranco 
esemplate,  ed  è  tradotto  anche  per  d&struer^^  scindere^  lacerare. 
Ma  lo  skad  originario  si  continua  eziandio  nel  sanscrito  lisad, 
che  dice:  mettere  in  pezzi,  trinciare,  e  quindi  anche:  mangiare, 
e  così,  oltreché  a  hhad  khàd-aja-ti  (v.  §  43),  mandare  in  pezzi, 
che  non  è  peranco  sicuramente  esemplato,  si  rannoda  a  khdd 
khdd-ati,  masticare,  mangiare,  sempre  di  lingua  sanscrita. 
L' Irania  ci  porge  alla  sua  volta,  allato  a  ska[n]d,  qualche 
forma  che  accenna  a  skid  ***  ;  e ,  ad  ogni  modo ,  legittima  con- 
tinuazione di  un  antico  skid  sarebbero  le  figure  sanscrite  sMzd, 
khid,  le  cui  significazioni  fondamentali  potremmo  rendere  per 
'abbattere,  strappare*  ****.  Questo  antico  skìdy  che  altro  non 


*  Il  Kuhn  ha  dedicato  particolare  attenzione  ai  fenomeni  di  cui  trat- 
tano questo  paragrafo  e  il  precedente,  nel  quinto  de'  suoi  articoli  sul- 
r  antico  S,  Zeitschrift  s.  e,  III,  321-31,  426-40.  Io  non  convengo  con 
esso  circa  la  genesi  flello  Kh  sanscrito  e  circa  i  fenomeni  pracritici  che 
vi  si  connettono,  come  ho  mostrato  nella  stessa  sua  Zeitschrift,  XVI, 
442  e  segg.  (cfr.  pag.  223-4,  in  n.,  e  Studj  critici,  II,  s.  ìih).  Ma  ciò 
non  toglie  che  io  riconosca  il  molto  merito  del  lavoro  del  Kuhn;  e  se 
presumo  dì  averlo  anche  in  altri  punti  oltrepassato,  com'è  facile  a 
chi  viene  dipoi,  do  prova  insieme  di  averne  appreso  non  poco. 

**  L'antico  skand  traluce  ancora  intiero  pur  dalle  forme  neo-per- 
siane: s[i]kan,  frangi!,  allato  a  sfijkas'tan  {^skad^tan),  frangere. 

***  V.  la  Fonol.  ir.,  s.  'skid. 

****  Cfr.  BoEHTLiNGK-RoTH,  II,  611-15,  e  la  n.  che  qui  susseguo. 
Il  significato  di  questo  verbo  sarebbe  nel  medio:  sentirsi  abbattuto;  o 


§    41.    ALTRE   VICENDE    DELLO    s/i    ORIGINARIO.  221 

sarebbe  se  non  skandskad  con  la  vocale  assottigliata  (v.  VJnd.), 
rasenta  lo  sìiid  {gUid,  scindere),  di  cui  già  toccammo  (39,2.); 
ma  sebbene  sien  tutte  figure  fontalmente  identiche,  vanno  tutta- 
volta  ben  separati,  anche  nella  genesi  loro,  pur  questi  due  verbi, 
poiché  risulta  che  simultaneamente  vivessero,  nel  periodo  indo- 
irano,  indipendenti  l'una  dall'altra,  eia  figura  colla  gutturale 
(p.  e.  shand-) ,  e  quella  con  la  palatina  (sRid;  cfr.  §  13,  10)*. 
Similmente  nell'Europa,  1  riflessi  dello  skand  (shad  skid)  indo- 
irano  si  toccano  con  quelli  dell' indo-i rano  shid.  A  skad  skand 
vanno  cioè  congiunti,  nel  greco,  (t>cs5-o!,vvu-iji.i ,  dissipo,  dispergo, 
ma  insieme  pure  il  verbo  mediale  axiS-va-ixat,  mi  spargo,  dalla 
cui  figura  radicale  affatto  non  si  distinguerebbe  il  riflesso  greco 
dello  sliid  indo-irano  (Rhid  sscr.,  SCID  lat.,  ecc.)  se  non  v'in- 
tervenisse l'aspirazione:  2XIA,  cr/t'Cw  (a/tS-jw,  v.  Vlnd.) ,  fetido, 
.  c/tS-ax-  (ayjBxl),  scheggia,  —  così  come  la  vedemmo  intervenire 
in  una  delle  propaggini  indiane  di  skad  (sscr.  shhad  )  **.      Altra 


il  part.  perf.  pass,  dice:  abbattuto,  stanco  (rotto,  cfr.  il  lat.  fatisco). 
Gli  autori  del  lessico  di  Pietroburgo  pongono  ^oppresso'  anziché  ^ab- 
battuto', e  quindi,  io  credo,  vennero  all'idea  di  àa.v  teoricamente  per 
valori  fondamentali  del  nostro  verbo:  premere,  comprimere  (stossen, 
drttcken;  niederdrticken).  Ma  poi  vengono  i  composti,  per  la  cui  tra- 
duzione debbono  usare  il  tedesco  -reissen,  strappare.  —  La  figura  con 
la  sibilante  (skhid)  ricorrerebbe  nella  taittirija-sàhitd  (Veda,  jagus 
nero,  v.  Studj  orient.  e  Un//.,  I,  79),  e  non  è  ortografia  intorno  alla 
quale  possano  surgere  di  quei  sospetti  che  vedemmo  legittimi  in  or- 
dine allo  gkh  del  kdthaka  (pag.  215,  in  n.),  poiché  skhid  è  singolo 
esemplare,  non  vedendosi  che  la  taittirija-sàhitd  differisca  dalla  so- 
lita figura  rispetto  a  khjà  (ava-khjat)  o  ad  altri.  -  Notevole  la  forma 
Ra-kJidd-a  (ki-hhdd-a)  che  si  adduce,  allato  a  ki-khaid-a,  come  perf. 
di  hhid.- 

*  Il  Kuhn,  1.  e,  p.  427,  non  potè  venire  a  simili  discernimenti  tra 
khid  e  khid.  Le  due  vene  si  distinguono  anche  ne' significati:  skad-, 
skid-,  rompere,  abbattere,  disperdere;  sìiid-,  fendere.  Per  me  è  so- 
pratutto norma  sicura:  che  la  palatina,  in  generale,  ò  sempre  comune 
a  sanscrito  ed  a  zendo,  è  sempre,  vale  a  dire,  pre-indiana. 

**  Si  aggiungerà  ad  un  tempo  l'aspirazione  greca,  sì  nel  riflesso 
di  skad-  e  sì  in  quello  di  sak-  ska-  (39,3.),  cioè  della  più  semplice 


222  §    41.    ALTRE   VICENDE   DELLO   sh   ORIGINARIO. 

coincidenza  di  aspirazione,  fra  indiano  e  greco,  avremo  nello  sk 
interno.  La  vece  zenda  che  vedevamo  in  gra-gR  gra-gka-  {-gJi  nel 
verbo,  gh  nel  nome;  41,  6.)  trova  cioè  il  suo  analogo  anche  nella 
vece  sanscrita  che  intercede  fra  il  verbo  mùr-Rh  mùr~Rha-ti 
(*mur-ska-ti),  irrigidire,  rimanere  sbalordito,  ecc.,  ed  il  nome 
mùr-khd'  ('mur-ska-),  balordo;  nel  quale  esempio  si  tratta  ve- 
ramente ancora  dello  ska  ascitizio  di  cui  già  parlammo  (39, 4. 5.), 
il  quale  perciò  a  buon  dritto  manca  nel  partic.  perf.  pass,  mùr-td-. 
Ora,  appunto  questo  sk  ascitizio  potrà  aspirare  pur  nella  Gre- 
cia la  sua  gutturale,  e  perdere  insieme  la  sibilante  (v.  y^^  sk) ', 
di  guisa  che  ipy-otxxi  (per  erskhomai) ,  vado,  vengo,  risponda  a 
capello  al  sscr.  ar-Rha-ti  (  *ar-ska-ti ) ,  aggreditur,  che  già  in- 
contrammo (39,  4.).  Allegheremo  finalmente  un  altro  lucido 
esempio  di  sk  iniziale,  continuato  per  kh  sanscrito,  e  sarà  khang 
khdng-ati  (*skag  *skang),  zoppicare,  al  quale  si  raccosta,  ol- 
treché l'antico  islandese  skakk-r,  zoppicante,  il  greco  ffxdci^to, 
zoppico,  per  'skag-jo  (  v.  K,^gj)-,  solo  mancando  la  riprova  di 
forme  greche  in  cui  si  rimanifesti  \\  g  *. 

La  figura  sanscrita  shh  {  =  sk)  ricorrendo  adunque  tuttora  ed 
essendo  confortata  d'ogni  analogia  (§  37),  potrebbe  parere  che 
il  sscr.  kh,  in  quanto  occorra  nella  medesima  funzione  etimo- 
logica, abbia  a  dichiararsi  da  skh  per  semplice  dileguo  del  s, 


figura  di  questa  famiglia  di  verbi  per  'fendere,  rompere',  se  qui  ve- 
ramente spettano  <rx_à(J(o  ('a/jx'ò-^oì)  e  (j^'^m.  Mala  serie  dei  significati 
che  ci  è  offerta  da  questi  verbi  greci  (fendere,  aprir  pungendo,  aprire' 
slogare  ecc.,  lasciar  andare,  calare,  trattenere;  cfr.  yót-^o)  e  -/aivoj), 
basterebbe  essa  sola  a  renderci  alquanto  esitanti.  Vedine  ancora  V  Ind. 
*  Manca  .cioè,  a  cagion  d'esempio,  un  fut.  ax.iloì  (skak-só)',  ma 
d'altra  parte  non  contrasta  il  futuro  axà^w,  che  si  trova  ne' lessici 
e  accennerebbe  a  'skady  poiché  è  voce  che  in  realtà  non  occorre.  — 
Il  parallelo  nordico  skakk-r  skak-r,  addotto  dal  Fick,  rasenta  vera- 
mente lo  skak-ttf  islandese  e  svezzese,  quassare;  ma  ugualmente  si 
tocca  lo  khang  sanscrito,  claudicare,  col  sanscrito  khag,  commovere, 
agitare;-  e  si  aggiungerebbe  il  riflesso,  altrettanto  normale,  della 
forma  priva  di  s,  nel  ted.  hanc-  hink-en,  zoppicare,  v.  p.  03  e  Dilegui 
(Kuhn;  il  quale  però  si  confonde  circa  il  ragguaglio  del  suono  ini- 
zialo di  hanc',  che  risulterebbe  esatto,  cioè:  h^'k). 


§    41.    ALTRE    VICENDR   DELLO    sk    ORIGINARIO.  223 

tanto  più  che  vediamo  trattarsi  di  combinazione  iniziale,  o  di 
combinazione  interna  in  cui  il  s  riesce  tra  consonanti,  che  son 
due  posture  in  cui  la  perdita  di  s  è  tutt' altro  che  insolita 
(v.  Dilegui).  Tuttavolta,  quando  si  consideri,  da  un  lato,  sulle 
generali ,  che  il  sistema  fonetico  del  sanscrito  è  affetto,  per  non 
poca  parte,  di  pracritismo,  e  dall'altro,  che  nel  caso  particolare 
delle  combinazioni  originarie  della  formola5  +  ^  (s  susseguito  da 
esplosiva)  abbiamo  nel  sanscrito  il  costante  fenomeno  pracritico 
dello  Uh  da  5^,  ed  altri  eserapj  in  cui  il  processo  pracritico  è 
affatto  manifesto  (cosi  guphità- =  guspità-,  p.  211),  è  giocoforza 
riconoscere,  che  la  dichiarazione  più  semplice  non  è  in  questo 
incontro  la  meglio  conforme  a  verità,  e  che,  almeno  per  un  certo 
numero  di  esemplari,  si  dovrà  ammettere,  anche  pel  sanscrito, 
quella  elaborazione  di  sk  o  skh  che  nel  pracrito  è  affatto  nor- 
male; quindi  kh  sscr.  cosi  per  sk  come  per  skh  anteriore,  e 
intesa  l'evoluzione  al  modo  che  più  addietro  descrivemmo  (40, 
2.  3.  4,);  al  che  ancora  si  aggiungerebbe  kh  sscr.  per  uno  ks 
anteriore  (che  può  essere,  come  vedemmo,  sk  originario),  fenomeno 
anch'  esso  regolare  nel  pracrito  *.  Un'obiezione  generale  parrebbe 


*  Una  prova  indiretta,  ma  assai  efl3cace,  per  la  genesi  pracritica 
del  sscr.  kh  o  del  sscr.  ph  rimpetto  a.  sk  o  sp  originario  (cfr.  §  58), 
si  ha  ancora  in  ciò,  che  non  esista  th  iniziale  sanscrito ,  vale  a  dir 
che  non  si  possa  discorrere  di  simil  processo  per  st  iniz.  originario. 
Questa  induzione  si  fonda  sopra  un  fatto,  che  per  sé  stesso  ha  molta 
importanza  in  ordine  a  tutti  i  fenomeni  de'  quali  trattiamo,  ed  è 
(cfr.  Lez.  XIV):  che  quando  nel  sanscrito  si  incontri,  fra  parola  e 
parola,  la  combinazione  etimologica  s  +  ^  o  s+p,  il  s  si  debba  ridurre 
a  visarga  ('  +  /£,  .°+p;  che  è  quanto  dire  h  +  k,  h+p),  cosi  ottenendosi 
il  primo  stadio  dell'  alterazione  pracritica  di  ogni  combinazione  della 
formola  s  +  -;  dove,  all'incontro,  se  si  formi  tra  parola  e  parola  la 
combinazione  etimologica  s  +  t,  essa  rimane  intatta;  quindi  p.  e.  indrat 
krnauti,  Indra  fa,  indrat  pibati,  Indra  beve,  ma  indras  targati,  Indra 
minaccia.  Ed  è  legittimo  che  la  piìi  resistente  delle  antiche  formolo 
sia  quella  in  cui  s  si  combina  con  la  esplosiva  ad  esso  omogenea.  — 
Non  mi  è  sempre  ben  chiaro,  se  il  Kuhn,  nel  luogo  di  sopra  citato, 
stia  pel  semplice  dileguo  di  s,  o  stia  pel  processo  pracritico.  Ad  ogni 


224  §   41.    ALTRE   VICENDE   DELLO    sk    ORIGINARIO. 

insorgere,  per  vero,  contro  ogni  dichiarazione  di  kh  sanscrito 
per  genesi  pracritica;  ed  è  il  non  vedersi  mai  il  raddoppiamento 
che  per  simiglianti  prodotti  pracritici,  e  quindi  anche  per  la  pa- 
latina sanscrita  kh,  vedevamo  normale.  Senonchè,  è  bensì  fatto 
singolare,  ma  pure  incontrovertibile,  che  il  sanscrito,  quando 
si  prescinda  dalla  palatina  Kh,  supera  di  gran  lunga  il  pracrito 
nel  ridurre  alla  semplice  esplosiva  aspirata  i  prodotti  alterativi 
dei  quali  si  ragiona  (v.  p.  e.  i  §§  43,  44).  Resterebbe  dunque  di 
scernere  i  casi  sanscriti  nei  quali  si  abbia  a  riconoscere  la  evo- 
luzione pracritica,  e  di  determinare,  per  ciascun  caso,  quale  dei 
tre  modi  di  essa  vi  sia  intervenuto.  Ma  qui  l'indagine  trova 
ancora,  per  molta  parte,  le  sue  colonne  d'Ercole  (cfr.  §  58), 


modo,  cade  qui  iu  acconcio  di  avvertire,  che  il  processo  pracritico 
si  aveva  a  dichiarare,  secondo  la  sua  sentenza  (nella  quale  non  so  se 
ancora  mantengasi)  per  ciò:  che  nel  pracrito  ogni  tenue  dietro  a  s 
finisse  per  aspirarsi,  ed  il  s,  alla  sua  volta,  esercitata  questa  funzione 
di  aspiratore,  vi  passasse  in  h,  e  si  assimilasse  alla  esplosiva  sus- 
seguente per  guisa  di  renderla  doppia.  Egli  quindi  voleva,  a  cagion 
d'esempio,  questa  serie:  st  sth  hth  -ttJi;  e  pel  caso  dello  Rh,  la  serie 
sR  sJih  hRh  -RRh.  Ma  si  deve  pur  dire,  che  l'ipotesi  kuhniana  si 
fondava  sopra  ipotesi  ripugnanti.  Poiché,  a  tacer  d'altro,  ripugna 
l'ammettere  aspirata  ogni  esplosiva  per  effetto  del  5  che  le  precede 
tanto  più  che  vediamo,  da  un  lato,  rimaner  pura  la  esplosiva  in 
que' dialetti  pracritici  in  cui  la  sibilante  si  regge  (quindi  p.  e.  nel 
Qàkàrico  :  hagta-  «  sscr.  hasta-,  mano,  pa-nagta-  =  sscr.  pra-nasta-, 
perduto,  sparito;  e  nel  màgadhico  secondo  Haimak'andra :  vnhaspadi- 
=  sscr.  vrhaspati-,  il  pianeta  Giove;  ecc.),  e,  dall'altro,  mancare  ogn| 
addentellato,  fra  sanscrito  e  pracrito,  per  la  supposta  aspirazione  nel 
caso  di  combinazione  ottenuta  fra  radice  e  suffisso  (as-ti  drs-ti  ecc.  ; 
il  doppio  suffisso  -is-tha-,  di  cui  è  parlato  ai  §§  43  e  49,  non  offrirebbe 
analogia  sufficiente);  ed  ò  ancora  affatto  arbitraria  l'immaginata  as- 
similazione di  ht  ecc.  in  tt  ecc.  All'incontro,  l' invertimento  da  noi  inse- 
gnato, e  la  ragione  che  del  raddoppiamento  noi  diamo,  hanno  positiva 
conferma  nei  fenomeni  a  cui  sottostanno,  e  nel  pracrito  e  nel  sanscrito, 
le  analoghe  combinazioni  che  furono  di  sopra  rassegnate  (41,  1.  5.  e 
sogg.),  e  affatto  escludono,  come  ognun  vede,  la  via  tentata  dal  Kuhn. 


§   41.    ALTRE   VICENDE  DELLO   sk  ORIOINARIO.  225 

e  non  dà  che  risultanze  affatto  parziali.  Cosi  per  khid  (41,  1.) 
l'ipotesi  del  mero  sk  in  kh  resterebbe  eliminata  dall' aversi  la 
serie  skhad  skhid  khid;  e  la  stretta  corrispondenza  dei  signi- 
ficati suggerirebbe  di  rappiccare  khàd  a  ksad  (41, 1.),  e  quindi 
di  vedervi  kh  pracritico  da  ks.  La  voce  zenda  non  può  darci 
alcun  lume  circa  le  evoluzioni  indiane  dello  sk  indo-irano;  e 
solo  ci  giova  a  sottrarre  qualche  kh  sanscrito  ad  ogni  sospetto 
di  genesi  pracritica.  Cosi  è  dello  kh  di  sàkhì-,  amico,  sakh-jà-, 
amicizia  (cfr.  il  lat.  soc-iu-s),  che  il  Fick  vorrebbe  ingegnosa- 
mente ricondurre  a  saski-  saskja-,  vedendovi  quella  forma  ra- 
dicale che  altrove  si  determina  in  sagk  sanscrito  (16,5.,  17,  6.), 
Seguire.  Ma  la  risposta  zenda,  che  è  hakhi  (  =  *sakhi),  esclude 
questa  dichiarazione,  poiché  non  si  può  ammettere  kh  zendo  per 
sk  originario,  e  siamo  veramente  ad  uno  sakhi-  indo-irano,  il 
quale  è  probabile  che  rivenga  al  semplice  '^sak  (onde  il  verbo 
indo-irano  sak  seguire),  con  uno  sviluppo  indo-irano  di  aspi- 
razione nella  formola  -  +  ^  +  ^  (esplosiva  tra  vocali),  che  ha  in- 
tanto le  sue  esatte  analogie  negli  indo-irani  ratha-  gapha-,  già 
in  un  precedente  incontro  da  noi  allegati  (p.  147). 

Un'  altra  dubitazione,  ma  del  tutto  vana,  ora  ci  condurrà  a 
quella  serie  di  continuatori  svariati  dello  sk  originario,  la  quale 
ha  per  base  lo  sk  [gh]  indo-irano.  Vedemmo  che  il  sanscrito 
possa  continuare  per  ks  uno  sk  originario.  Ora,  siccome  avviene 
che  lo  ks  sanscrito  si  riduca  alla  sua  volta,  per  un  certo  numero 
d'esempj,  a  Jih  (anziché  a  kh)  pracrito,  la  quale  alterazione 
pracritica  si  vede  anzi  alcuna  volta  per  entro  al  sanscrito  stesso, 
cosi  potè  surgere  il  dubbio  che  la  palatina  tenue  aspirata  del 
sanscrito  rimonti  di  regola  allo  sk  originario  per  l'intermedio 
di  ks;  il  qual  dubbio  parrebbe  sgominare  tutta  quanta  l'istoria 
che  dello  kh  sanscrito  noi  facemmo.  Ma  non  si  regge;  perché, 
dall' un  canto,  l'alterazione  di  ks  in  Rh  è  infrequente  pur  nel 
pracrito*,  e  quindi,  senz'altro,  ben  ripugnerebbe  di  ammettere. 


*  ìih  pracr.  per  ks  sscr.,  è  p.  e.  in  riHha-^  sscr.  rksci-,  orso  (indost. 
rlkh,  sindio  rikhu-y  raaratt.  rìsa);  e  Uh  di  sscr.  seriore  allato  a  ks 

Ascoli    Fonol.  indo-U.-gr.  15 


226  §   41.    ALTRE   VICENDE   DELLO   sk   ORieiNARIO. 

pe'più  antichi  periodi  della  favella  sanscrita,  non  solo  il  con- 
tinuo invertirsi  di  sk  in  ks,  ma  insieme  il  continuo  stiacciarsi 
di  questo,  al  modo  che  avviene  per  solo  un  limitato  numero  di 
esemplari  neir ultima  degenerazion  fonetica  di  età  seriori;  e 
"dall'altro  canto  noi  troviamo,  tacendo  della  presenza  e  degli 
avanzi  di  gli  nello  stesso  sanscrito,  che  in  tutti  quanti"  gli  esem- 
plari a  cui  la  comparazione  si  può  estendere,  Tlrania  attesti  la 
fase  dello  sK  [ffe]  là  dove  l'India  ha  un  antico  ^h;  locchè,  se  si 
badi  all'esatto  concordar  che  fanno  il  sanscrito  e  lo  zendo  nei 
limiti  entro  a  cui  si  compie  il  fenomeno  di  ^  da  ^  (§  15),  è  so- 
vrano argomento  per  conchiudere  che  qui  si  tratti  di  uno  sU  [qK\ 
che  risalga  al  periodo  indo-irano,  e  per  escludere  quindi  il  so- 
spetto di  un  processo  indiano  che  dia  la  formola  sk  ks  kh.  La 
fase  dello  sK  [gK]  già  a  suo  luogo  vedemmo  intatta  allato  allo 
Uh  del  sanscrito  (40,6.);  ed  ora  giova  che  impariamo  a  cono- 
scere una  semplificazione  zenda  di  questo  gk,  anche  perchè  sia 
pienamente  provato  che  la  voce  irana  di  continuo  affermi  uno 
sH  [gii]  per  lo  M  dell'indiano  antico. 

2.  Lo  gli  indo-irano  che  vedemmo  ancora  avvicendarsi  con  gk  in 
grag^  gragka-  (40,6.)*,  di  regola  si  riduce,  per  assorbimento 
della  esplosiva  palatina,  a  solo  g  zendo,  in  quell'elemento  asci- 
tizio la  cui  figura  originale  vedemmo  essere  -ska  { 39, 4. 5.).  Quindi 
avremo:  z.gaga-i-ti  (  v.  p.  109,  in  n.),  it,  venit,  =  sscr. gaMha-ti',- 
z.  perega-i-tè,  ìnterrogat,  °  sscr.  prRìlha-tai;  -  z.  iga-i-ti,  optat, 
=  sscr.  ikhha-ti;-  z.  -uga-i-ti,  lucet,  «  sscr.  uliUha-ti.  Un  esem-. 
pio  per  lo  stesso  assorbimento  in  gruppo  iniziale,  ci  è  offerto 
dal  neo-persiano  sàjah  (  gàja  ),  umbra,  =  sscr.  Khdjà  (  39, 1.)  **.    È 


sscr.,  è  in  khurikd  =  ksurikd,  coltello.  V.  Jihuri  nel  sec.  voi.  degli 
Studj  crit.,  e  ib.  la  n.  4  al  sec.  Saggio  indiano. 

*  La  presenza  di  -ska  nel  nome,  allato  a  -slia  nel  verbo,  che  piti 
non  ò  attestata  dall'India,  per  quanto  io  posso  vedere,  se  non  da 
-vraska  vragR  (40,  6.)  e  mùrkha  mùrlih  (41,  1.),  risulterebbe,  in 
proporzione,  assai  men  rara  nello  zendo;  v.  il  voi.  ultimam.  citato, 
s.  aragka-  e  peregka-. 

**  Che  si  tratti  di  palatina  assorbita  (  quindi  della  serie  sk  sk  [gkjg). 


§   41.    ALTRE    VICENDE   DELLO   sk   ORIGINARIO.  227 

fenomeno  assai  poco  da  questo  diverso,  il  ridursi  tra  noi  le  an- 
tiche sillabe  ske  ski,  pel  grado  intermedio  di  sce  sei,  a  se  si  del- 
l'odierna favella  italiana. 

Il  sanscrito  alla  sua  volta  ci  ha  ormai  mostrato  lo  gk  indo-irano 
in  due  diverse  figure:  la  intatta,  che  è  rara  (40,  6.;  cfr.  41,  4.), 
e  Uh  (§39).  Ma  allo  gU  intatto,  cioè  ad  età  anteriore  a  quella 
in  cui  esso  andò  travolto  nella  alterazione  specificamente  in- 
diana, risalgono  alcune  semplificazioni  sanscrite  di  cui  per  ul- 
timo ora  parliamo.  La  prima  di  esse  appien  s'incontra  con  la 
semplificazione  irana  che  testé  vedemmo. 

3.  Alludiamo  in  primo  luogo  a  prag-nd-,  domanda,  questione,,  allato 
a  praJih  {prJUihd-ti  pa-prdJlRha) ,  domandare,  al  qual  nome 
sanscrito  risponde  a  capello  l'equivalente  zendo  fras-na-  (fr 
z.  ^  pr  sscr.,  sn  z.  =  gn  sscr.,  e  cfr.  z.  frag-a-,  domanda).  Ma 
la  figura  prag  (^prafih;  civ.  pereg-a-i-ti  zendo,  41,  2.),  oltrechò 
ritornare  nel  nome  sscr.  pràg,  chiedente,  che  fanno  avvicendare 
con  prdRh  (p.  e.  nello  stromentale:  prdhh-d  e  prdg-d),  ci  sarà 


e  non  di  elisione  della  gutturale  intatta,  è  per  sé  manifesto,  e  rm- 
tiero  complesso  delle  corrispondenze  indiane  viene  alla  sua  volta  a 
raffermarlo  (  v.  ancora  41,  3.).  Si  aggiungono  altre  conferme  da  idiomi 
neo-irani,  come  intanto  si  vede  dal  Saggio  indiano  che  è  citato  nelle 
note  precedenti.  L'armonia  indo-irana  potrebbe  a  prima  vista  sem- 
brar turbata  dal  verbo  che  appare  presso  il  Justi  nella  forma  di  skd 
e  risponde  allo  Jihd,  tagliare,  del  sanscrito  (39,3.),  e  da  un  altro 
riscontro  al  quale  tantosto  arriviamo.  Ma  già  lo  s  in  entrambi  i  casi 
ci  direbbe,  non  trattarsi  di  forma  irana  che  affermi  la  fase  dello  .<;^ 
(cfr.  40,6.;  41,1.);  e  del  citato  verbo  altra  voce  veramente  non  oc- 
corre, tranne  vl-skjdtd,  dove  abbiamo  il  gruppo  skj,  che  è  una  com- 
binazione ortografica,  od  ortoepica,  la  quale  deve  stare  per  gUj  an- 
teriore, e  legittimamente  si  alterna  con  sj  o  s.  Per  lo  stesso  vl-skjdtd 
si  hanno  le  varianti  vlgjdtd  vlsjdtd  visjdtd.  Così  per  lo  sJiju  (gJìju) 
indo-irano,  che  stiamo  per  toccare  nel  testo,  avremo  dall' un  canto  le 
forme  paleo-irane  su  (zendo)  siju  (perso),  e  dall'altro  il  derivato  zendo 
skjao-thna.  Di  piìi  vediamo  nella  Fonol.  irana,  s.  skj  ski.  Cfr.  Justi, 
o.  e,  p.  309-10;  Spiegel,  Gramm.  d.  altbaktr.  spr.,  p.  35. 


228  §    41.    ALTRE   VICENDE    DELLO    sk    ORIGINARIO. 

ancora  attestata,  nella  stessa  conjugazione  sanscrita,  dalle  com- 
binazioni con  tenue  dentale,  nelle  quali  lo  f  =  'sk  (gR,  ìlh)  si 
tratterà  naturalmente  come  se  fosse  il  solito  g  indo-irano  (=  *fc), 
ned  è  altrimenti  nello  zendo;  quindi  le  forme  sanscrite:  jsrs-td- 
(zendo:  pars-ta-),  chiesto,  pras-tar-,  chieditore,  prds-tum,  do- 
mandare (cfr.  pag.  40  e  §  48).  Ora,  la  figura  sanscrita  prag- 
prg-  risale  manifestamente  a  'pragR-  (onde  pr alili) ,  come  Sj 
riproverebbe  anche  per  entro  al  sanscrito  stesso,  dandosi  vras- 
-tar-  vras-tum  per  correlativi  ài  pras-tar-  pras-tum,  dal  verbo 
vragìi ,  che  già  citammo  per  gR  rimasto  incolume  nell'  India 
(40,6.)*.  Un'altra  e  assai  poco  diversa  semplificazione  san- 
scrita di  sR  [gR],  la  quale  non  si  può  peranco  dire  dimostrata, 
ma  è  grandemente  probabile  (cfr.  Lez.  XIV),  sarebbe  lo  s  di 
la-s  Id-sja-ti  (Id-sa-ti),  aver  bramosia,  e  bhd-s  bhà-sa-tai,  dis- 
correre; col  primo  de' quali  s'incontra  il  latino  lascivo-,  e  col 
secondo  il  greco  ^dc-axto  (  e-cpa-axo-v  ) ,  dico  **. 


*  Cfr.  Panini,  8,  2,  36  (ed.  Boehtlingk,  p.  607).  Ma.  vragitvd  sta. 
solo  per  isvista  presso  il  Westergaard  (s.  vragR),  in  luogo  di  ura- 
gJiitvd.  Circa  vfk-na-,  cfr.  la  n.  a  pag.  105;  e  intorno  a  k-s  da  Rh  +  s 
V.  la  Lez.  XIV.-  Parallelo  all'usitato  prog-nd-  {praRh),  citano 
ancora  vig-na-  {viRh),  splendore.  -  Lo  Schleichbr,  Compendiuni^ 
sec.  ed.,  p.  169  (§  123),  mal  risaliva  T^ev  prag~nd-  ad  un  anteriore 
'prak-na-;  ned  era  bene  inspirato  nel  reputare  inorganico  il  s  di  prask 
(onde  praRh).  Lo  turbava  il  lat.  prec-or,  e  qualche  altro  parallelo 
europeo  che  va  con  esso.  Ma  si  ha  il  doppio  tipo  pra-ska  pra-ka, 
intorno  al  quale  si  vegga  per  ora  la  sec.  nota  al  §  40,  6.  Nò  il  lituano 
prasz-atc,  richiedo,  fa  prova  per  un  indo-irano  prag  =  'prak ,  poiché 
lo  sz  lituano  può  essere  il  continuatore  di  uno  sk  (oltre  che  di  uno  ks), 
anteriore.  E  ancora  si  confronti  la  nota  che  segue. 

**  Si  potrebbe  immaginare  la  serie  fonetica  -sk  '-ks-s;  ma  questa 
avrebbe  contro  di  sé  il  non  vedersi  alcun  documento  per  la  fase  di 
-sk  indo-irano  nel  verbo.  La  stessa  difficoltà  si  opporrebbe  all'infelice 
ipotesi  dell' Ebel,  Zeitschrift  s.  e,  XIV,  247:  'prask  praks-tum  pras- 
-tum,  contro  la  quale  protestano  inoltre:  prag-na-  prdg-d  vig-na- 
(V.  la  nota  che  precede)  e  le  analoghe  forme  dello  zendo.  -  Allato 
a  las  e  a  hhds  può  facilmente  venir  la  tentazione  di  porre  anche  is, 


§   41.    ALTRE   VICENDE   DELLO   sk   ORIGINARIO.  229 

Rimane  ancora  il  caso  di  semplificazione  per  dileguo  del  primo 
elemento  di  5^  [^Jl]  iniziale.  E,  in  generale,  come  già  conosciamo, 
fenomeno  tutt' altro  che  raro,  nelle  nostre  lingue,  questo  sfron- 
darsi della  formula  s  +  ^-  {s  susseguito  da  esplosiva  in  principio 
di  parola);  ma  possono  risalire  ad  età  rimotissime  anche  le  fi- 
gure spoglie  del  s,  e  del  resto  il  vanto  dell'antichità  maggiore 
non  è  poi  sempre  incontestato  alla  varietà  che  ne  è  provveduta. 
Ne  riparliamo  a  suo  luogo,  e  intanto  ora  cerchiamo  qualche 
lucido  esempio  per  K-  sanscrito  a  cui  stia  oppure  stesse  allato 
sk-  [gh-]  indo-irano: 

4.  Spetta  il  primo  posto  alla  serie  sanscrita:  hju  hjdv-a-tai,  muo- 
versi, dipartirsi,  uscire,  cadere  a  gocciole,  cadere,  Rjdu-tnd-, 
mossa,  impresa,  fatica,  gRjut  gRut  Jijut  gUjdu-t-a-ti  ecc.,  cadere 
a  gocciole,  stillare,  -gJijùt  -gMt,  stillante  {rgv.,  Ili,  21,  3.  4: 
staukà  ghrta-gìiùta: ,  goccio  stillanti-grasso;  tùbhjà  gliautanti 
staukàsa:,  a  te  stillano  goccio);  con  la  quale  va  paragonata  la 
serie  zenda:  su  sav-a-tè^  muovere  (perso:  a-s[i]jav-a-m,  io  mo- 
veva, andava),  sug  -su-ga-i-ti  (neìVOld  zand-pahlavi  glossary: 
sao-stt'i-ti),  andare,  dipartirsi,  skjao-thna-  (s.  Rjdu-tnd-),  azione, 
opera  *.  Lo  sk-  originario  sarebbe  ancora  intatto  nelle  risposte 
europee:  skev-jan  got.,  far  cammino,  sky-t-ati  paleo-bulg.,  andar 
attorno,  vagare  **;  e  qui  trattasi  manifestamente  di  uno  gli  in- 
do-irano che  vien  perdendo  la  sua  sibilante  nel  sanscrito  (cfr. 
madhu-gRùt  nel  sscr.  ved.,  e  madhu-Kjut-  nel  class.,  che  stilla 


che  si  alterna  nella  conjugazione  con  ìRh  {ìRRha-ti),  desiderare,  si  che 
entrambe  le  figure  si  riducano  in  etimologia  ad  una  sola.  Senonchè, 
si  ha  pur  nello  zendo  la  doppia  figura  is  ed  ig  {ig  >=  sscr.  mh),  e  si 
aggiunge  il  parallelo  indo-irano:  s.  us  e  z.  us  (da  vas)  allato  a  s.  uRh 
e  z.  ug,  splendere.  Di  piti  nella  Introduz.  alla  morfoL,  s.  vv. 

*  Circa  l'esatta  ragion  fonetica  della  serie  zenda,  si  vegga  la  nota 
a  pag.  227.  Citano  anche  un  sscr.  JlJiju  Jihjdv-a-tai,  andare,  non  però 
esemplato,  che  avrebbe  ad  essere  pari  a  ìiju  Rjav-a-tai\  in  quello  si 
avrebbe  gR  con  la  normale  elaborazione  pracritica,  in  questo  T  afe- 
resi  di  g. 

**  Cfr.  PoTT,   Warzel-icorterbuch,  I,  694. 


230  §   41.    ALTRE   VICENDE   DELLO   sk   ORIGINARIO. 

mele).  In  secondo  luogo  si  può  addurre  lo  ghand  sanscrito 
che  appare  nello  gJiand-ra-,  splendido,  di  alcuni  composti ,  come 
àgva-gliandra-  (vedico),  per  cavalli  splendido,  puru-gkandrd- 
(ved.),  molto-splendente,  e  nel  participio  dell'intensivo:  Kani- 
-gHad-at'  (ved.),  risplendente,  allato  allo  Hand,  pure  sanscrito, 
di  liand-rd-,  rilucente,  biondo,  luna,  Luno,  dove  il  latino  ri- 
sponderebbe per  eand-eo  (12,2.),  e  il  greco  sembra  risalire  a 
'skand  (v.  ^av^o-;)  *.  Avremmo  finalmente  il  seguente  gruppo 
di  vocaboli,  che  debbon  rivenire  a  variazioni  di  una  stessa 
radice:  sscr.  Mrman-,  pelle  (ma  qui  pur  l'equivalente  zendo 
Rar[e]man-  risponde  col  semplice  H  ) ,  lat.  cor-iu-^m  scor-tu-m, 
gr.  -/op-io-v  (*<7xop-  *<7Xop->  cfr.  41,  1.),  membrana  (peritoneo), 
secondina,  slavo  shova,  cortex,  pellis,  corium  **. 


*  Cfp.  Benfey,  Zeitschrift  s.  e,  VII,  126,  Orient  u.  occid.,  Il,  754, 
Sdma-veda  gloss.,  pp.  126,  305,  dove  anche  sì  citano  esempj  di  gkandra 
isolato,  i  quali  però  non  mi  vogliono  sembrare  conclusivi.  Di  gRandra 
in  principio  di  composto  sarebbe  troppo  scarso  indizio  lo  HavSpà[A>](;  da 
noi  citato  a  pag.  202  in  n.  Non  sapremmo  poi  dirci  persuasi  dello 
'gJiar  a  cui  lo  stesso  autore  vorrebbe  ricondurre  il  sscr.  ìiar,  muo- 
versi, versare  intorno  a  qualche  cosa,  fidandosi  dell'oscura  voce  sscr. 
dgharja^,  raro,  mirabile,  e  di  assai  dubbj  riflessi  europei  (ffxxt'pw  ecc., 
-cfr.  pag.  87),  comechè  il  Bollensen  prometta  di  venirgli  in  ajuto  con 
qualche  esempio  di  gkar  ch'egli  presume  di  ripristinare  per  /tar  nel 
testo  vedico  (Orient  u.  occid.,  II,  473  n.,  e  Giornale  della  società  orien- 
tale germanica,  XXII,  583).  E  di  certo  il  Benfey  passa  un  po'  il  segno 
quando  afferma  che  gR  si  riduca  con  molta  frequenza  a  h  sscr.  (sehr 
liaufig,  Zeitschrift  s.  e,  VITI,  81);  nò  si  può  bene  intendere  la  fiducia 
con  la  quale  il  chiaro  uomo  assevera,  non  aversi  e  lat.  rimpetto  a  /;, 
sscr.  se  non  dove  questo  sia  per  'gR,  sentenza,  del  resto,  che  anch' egli 
vuol  sicuramente  limitata  a  e  iniziale  (Zeitschr.  s.  e,  VII,  59,  cfr. 
Or.  u.  occ,  II,  754).  Comunque,  riraan  sempre,  come  già  a  suo  luogo 
fu  per  noi  indicato,  che  gli  esempj  sicuri ,  in  cui  schiettamente  si  ab- 
bia: k  origin.  «=  R  indo-irano  ■=  e  lat.  «  x  gr.,  sono  rari  assai  (cfr.  §  12» 
e  pp.  84,  86,  87). 

**  Qui  siamo  veramente  a  kar  skar,  tagliare,  scorticare,  v.  §  10, 3, 
e  Vlntrod.  alla  morfei.,  s.  vv.  Il  paleo-bulgar.  ha  anche  kora  (cor- 


§   41.   ALTRE   VICENDE  DELLO   sk   ORIGINAIIIO.  231 

E  COSÌ  si  chiuda  per  ora  la  nostra  indagine  intorno  alle  vi- 
cende dello  sk  originario,  le  risultanze  della  quale  non  sarà 
forse  inutile  di  vedere  riassunte  nel  quadro  che  segue. 

sk  originario. 


sk  indo-irano. 


Z.fM0,6;41,l.    s.sk,i0,6;  41  ;skh, 
41,l;A«,ib.;A^,ib. 


sii  indo-irano. 


z.gJl-,-QÌl,40,6;    s.  -gli,  gK-,  40, 6; 
-i?,41,2.  41,4;;?;ì,39;4() 

inf.;-p,42,3;[-/, 
ib.];  ^-,  41,4. 


germ.  sk,  39. 
I  Ut.  sA,  S3r,  39;  41,3  in  n.        j 

g.  ax,  39;  41,1;  lat.  se,  39. 

ai,  41, 1;  ital.  sco,  *sce  ié,  41,2. 

y,,  41, 1,4.  venez.      *sge  gè. 

rumeno   ste  *. 


tex)  allato  a  skora;  né  da  queste  voci  slave,  che  accennano  ad  a 
radio,  origin.,  sarà  da  dividere  il  lituano  skur-à,  pelle  (  Curtius,  p.  e., 
sec.  ed.,  p.  154:  sku-r-à,  p.  446:  skur-à).  Il  lat.  scor-tu-m  è  felice- 
mente aggiunto  dal  Curtius  ai  termini  che  il  Kuhn  ha  raccostato 
nella  Zeitschr.  s.  e,  IV,  14.  Cfr.  Pott,'  Wurzel-wórterb.,  IIj  152-3. 
*  È  normale:  ste  sti  runi.  per  sce  sci  lat.;  quindi  p.  e.  i  rum.  stiu, 
scio,  kresti  hreaste,  crescis  crescit  (cresci  cresce),  muske  muste,  mnsca. 
muscae,  ecc.  Si  tratterà  verara,ente,  per  limitarci  alla  combinazione 
coir  e,  di  ske,  'skje,  ste;  la  qual  ultima  alterazione  sì  dovrà  ascrivere 
a  influsso  slavo,  come  ben  vide  il  Diez,  Gramm.  d.  roman.  sprach., 
8.  -SC-,  poiché  il' prodotto  slavo  di  skj  è  st  (cfr.  Schleicher,  Formen- 
lehre  des  kirchenslavischen,  p.  154,  Miklosich,  Vergleichende  gramma- 
tik  der  slavisch.  sprach.,  I,  188,  202);  e  sarà  fenomeno  da  aggiungere 
a  quelli  che  ha  raccolto  il  Miklosich,  Z)ie  slavischen  elementeiM  rumu- 
nischen,  p.  11  e  seg.  La  sentenza  del  Diez  è  probabilmente  sfuggita 
anche  allo  Schuchardt,  il  quale  ha  avventurato  una  sua  ipotesi  circa 
il  fenomeno  di  cui  tócchianao  (Vòkalisnius  des  vulgàrlateins^  1\.165), 


232        §   42.    ORIGINE  E   FISIOLOGIA   DELLE  LINGUALI   SANSCRITE. 

§  42.  L'alfabeto  sanscrito  facendo  succedere  all'ordine  delle  pala- 
tine quello  delle  consonanti  linguali,  ora  ci  porta  ad  una  se- 
zione del  nostro  studio,  nella  quale  più  ancora  ci  sarà  d'uopo 
discorrere  di  fenomeni  peculiari  all'India  che  non  ci  accadesse 
nell'indagine  testé  compiuta  intorno  alla  tenue  aspirata  del- 
l'ordine palatino.  Ma  pur  qui  trattasi ,  dall'  un  canto,  di  vicende 
a  cui  vanno  incontro  elementi  ariani,  e  però  di  vicende  che  im- 
portano, oltreché  all'istoria  dell'individuo  sanscrito,  anche  alle 
ragioni  comparative  di  tutta  intiera  la  famiglia,  e  trattasi,  dal- 
l'altro, ditali  fenomeni,  la  considerazione  de' quali  ha  un'uti- 
lità che  oltrepassa  in  più.  direzioni  i  ristretti  confini  del  capitolo 
a  cui  arriviamo.  Laonde  non  vorremo  schivare  pur  la  scarsa 
fatica  di  qualche  rapido  cenno  etnografico  intorno  all'  India,  che 
torna  indispensabile  alla  lucida  intelligenza  del  nostro  discorso. 
La  letteratura,  l' istoria  e  V  etnologia  ci  mostrano  la  gente,  e 
quindi  la  favella  ariana,  diffondersi  per  la  penisola  gangetica 
nella  direzione  da  aquilone  ad  austro;  e  come  dell'inoltrarsi  de- 
gli antichi  EUeni  nella  direzione  da  oriente  ad  occaso  è  per 
avventura  l'indizio  più  chiaro  l'aver  questi  collocato  all'estremo 
loro  occidente  l' ultimo  confine  del  mondo  dei  vivi ,  cosi  la  pau^ 
rosa  regione  che  i  morti  frequentano  *  è  per  gli  Ariani  del- 
l'India  la  plaga  australe,  e  ad  austro  è  il  loro  Acheronte  e  la 
reggia  del  loro  Plutone  **.  Essi  imbattevansi  in  popolazioni  abo- 
rigene, cui  probabilmente  trovavano  tanto  più  spesse  quanto 
più  s'inoltravano  verso  mezzodì;  e  se  riuscirono,  nel  corso  de' 
secoli,  a  spargere  la  propria  civiltà  e  la  propria  favella  per 
tutta  quanta  la  immensa  penisola,  la  sovrapposizione  loro  non 
è  però  di  gran  lunga  bastata  ad  eclissare  in  ogni  parte  gli  strati 


*  ...  paraitdHaritdm  hhlma  digam  {ràmàjana,  ed.  Sohleg.,  II, 
LXIIl,  14). 

**  V.  Studj  orient.  e  linguist.,  I,  197-9.  Pei  Dravidi  (dràvida-), 
cioè  per  gli  aborigeni  dell'India  australe,  il  mezzodì  sarebbe  stato 
all'incontro  la  regione  della  libertà,  della  salvezza,  della  pace;  v. 
Caldwell,  a  comparative  grammar  of  the  dravidian  or  south-indian 
family  of  languages^  London,  1856,  pag.  72  in  n. 


§  42.    ORIGINE   E   FISIOLOGIA   DELLE   LINGUALI   SANSCRITE.         233 

anteriori.  La  famiglia  degl' idiomi  sanscritici  dell'India  cuopre 
bensi  l'intera  sezione  boreale,  che  è  l'Indostan,  e  si  protende 
eziandio  nella  australe,  che  è  il  Dekhan,  cosi  a  levante  come 
ad  occaso;  ma  nella  maggior  parte  di  questa  hanno  tuttora 
incontrastato  predominio  quelle  favelle  aborigene  onde  si  com- 
pone la  famiglia  che  addomandano  dràvidica,  e  son  precipua- 
mente: il  tamil,  il  telugu,  il  cannada  (canarese),  ed  il  mala- 
jdlam  *.  Ed  anche  rimontando  verso  il  nord,  rinveniamo  in 
contiguità  del  territorio  che  tuttora  è  dravidico,  e  sparse  in 
ispecie  qua  e  colà  pure  per  entro  al  territorio  sanscritico,  altre 
genti  o  tribù  di  razza  e  di  favella  non-ariana,  le  quali  non  fu- 
rono ancora  a  sufficienza  esplorate,  perchè  si  possa  fermamente 
dire  se  affinità  intercedano,  o  quali,  tra  di  esse  ed  i  Dravidi. 
Ora,  nelle  lingue  dravidiche,  che  sono  le  più  diffuse  ed  in- 
sieme le  meglio  note  fra  le  favelle  non-ariane  dell'India,  ricor- 
rono con  molta  frequenza  le  esplosive  linguali:  t,  d,  e  la  nasale 
corrispondente:  n,  alla  fisiologia  delle  quali  arriva  fra  poco  il 
nostro  discorso.  Il  sanscrito,  alla  sua  volta,  ci  offre  non  di  rado 
i  medesimi  suoni,  e  pur  le  esplosive  aspirate:  ih  e  dh,  in  voci 
od  in  elementi  che  son  di  patrimonio  ariano;  e  il  dominio  di  que- 
ste consonanti,  considerata  sempre  la  loro  presenza  in  voci  od 
elementi  di  ariana  favella,  si  viene  notevolmente  accrescendo 
negli  idiomi  sanscritici  dell'India  seriore  e  della  moderna.  Lo 
zendo,  all'incontro,  il  greco,  il  latino,  il  celtico,  il  gotico  e  il 
litu-slavo,  a  queste  linguali  dell'India  sanscritica  rispondono 
costantemente  per  mere  dentali;  né  mostrano,  ne'  loro  sistemi 
fonetici  0  ne'  loro  alfabeti,  una  distinta  serie  di  suoni  che  fac- 
cia riscontro  alle  esplosive  ed  alla  nasale  dell'  ordine  linguale 
dell'India**,  Quindi  la  conclusione,  ormai  antica,  che  queste 


*  Cfr.  Caldwell,  o.  c,  p.  4  e  segg.  Strano  che  anche  quest'au- 
tore, ib.  29,  metta  il  Colebrooke  fra  coloro  che  volevan  derivate  le 
lingue  dravidiche  dal  sanscrito.  V.  Studj  oricnt.  e  linguist.,  I,  264. 

**  Circa  le  linguali  nell'alano,  v.  intanto  Trumpp,  nel  Giornale 
della  società  orientale  germanica,  XXI,  26  e  segg.  ;  e  intorno  all'ele- 
mento linguale  nel  belucio:  Lassen,  nel  Giornale  per  la  conoscenza  del- 
l'oriente, IV,  423,  425,  e  i  Beitràge  s.  e,  III,  228. 


234         §   42.    ORIGINE    E    FISIOLOGIA   DELLE   LINGUALI    SANSCRITE. 

linguali  (o  cerebrali,  come  erroneamente  si  sono  pure  chia- 
mate*), si  abbiano  nel  sanscrito  per  influsso  degl'idiomi  abo- 
rigeni a  cui  esso  è  venuto  a  sovrapporsi;  la  quale  sentenza 
ora  però  apparirebbe,  da  ulteriori  studj,  per  più  di  un  verso 
minacciata.  Senonchè,  pur  confessando  che  ci  muoviamo  su 
d'  un  terreno  ancora  difficile,  noi  stimiamo  che  le  dubbiezze  si 
avranno  in  fine  a  dileguare,  sì  che  pure  in  questa  parte,  comò 
spesso  avviene,  la  prima  intuizione  del  sapere  si  mantenga  verace. 
Contro  la  sentenza  che  noi  difendiamo,  pare  imprima  che 
surga  una  difficoltà  di  ordine  etnografico.  Poiché,  attribuendo 
le  linguali  sanscrite  alla  reazione  del  substrato  aborigeno,  si 
suppone  che  agli  idiomi  eclissati  dalla  favella  ariana  fosser  co- 
muni le  linguali  dei  Dravidi;  e  questo  è,  si  può  obiettare,  tal 
supposto,  che  peranco  non  va  confortato  da  indizj  abbastanza 
sicuri,  stante  l'oscurità  in  cui  tuttora  si  ravvolgono  le  genti  e 
le  favelle  non  ariane  dell'  India  boreale  e  centrale  **.  Ma,  dall'  un 
canto,  nessun  etnografo  vorrà  pur  certo  negare  che  le  favelle 
dravidiche  debbano  un  giorno  avere  occupato  ben  più  ampio 
territorio  che  oggi  non  facciano;  e  dall'altro  (né  questo  é  tutto), 
l'alterazione  della  parola  ariana  nell'India  apparisce  prodotta, 
per  più  altri  capi,  da  tali  predisposizioni  etnologiche,  le  quali 
anch'esse  ci  fanno  arguire  che  fosse  dravidica  la  favella  a  lei 
soggiaciuta,  o  alla  dravidica  affine  ***.  Del  rimanente,  questa 


*  Il  termine  sanscrito:  mùrdhanja  (da  mùrdhan,  testa)  direbbe  :  testa- 
le. V.  ora  intorno  ad  esso:  Whitney,  Tdittirija-Pràtig.,  ad  II,  37. 

**  La  recente  opera  dell' Hunter:  A  comparative  dictionary  ofthe 
[non-aryan]  languages  of  India  and  High  Asia  (London,  1868),  della 
quale  non  vuoisi  negare  il  pregio,  non  basta  tuttavolta  dì  gran  lunga 
a  diradare  sufficientemente  questa  tenebra. 

***  Sì  consulti  Vindice  sotto  Pracrito  e  Dravidiche  [lingue']^  e  qui 
intanto  ci  sia  concesso  d'interrogare  la  favella  dravidica  intorno  a 
due  difficili  particolari,  l'uno  di  grammatica,  l'altro  di  lessico  san- 
scrito. -  Incominciamo  dal  grammaticale.  Piìi  addietro  vedemmo 
(pp.  40  e  100  in  n.),  che  s,  e  di  solito  anche  g,  e  pur  lo  g  Cz)  del 
tipo  marg  mrs-td,  abbiano  per  loro  sostituto,  in  determinate  posture: 


§   42.    ORIGINE   E   FISIOLOGIA   DELLE   LINGUALI   SANSCRITE.         235 

obiezione  etnografica  non  si  vede  sostenuta  pur  quel  tanto  che 


t  o  d.  Si  aggiunge  il  fenomeno  di  linguale  per  h,  come  in  puspa-lih-, 
ape  [lecca-fìori],  che  darebbe  al  nominativo:  puspa-lit  (-liei;  del  tipo 
in  cui  parrebbe  aversi  insieme  una  metatesi  d'aspirazione,  p.  e.  -dhrut 
o  -dhrud  nomin.  di  -druh-,  infesto,  come  se  si  trattasse  di  'druzh, 
V.  Vlnd.  s.  V.  e  s.  zh),  fenomeno  al  quale  già  alludemmo  (p.  176) 
come  ad  una  vicenda  che  concorre  a  provarci,  per  una   fase   ante- 
riore, quella  pronuncia  di  h  che  noi  rappresentiamo  per  z.  Abbiamo, 
vale  a  dire,  la  sostituzione  di  esplosiva  linguale  per  le  quattro  fri- 
cative affini:  ff  s  z  z.  Ora,  come  si  dichiarerà  questa  sostituzione? 
Non  c'è  manifestamente  alcuna  ragione  etimologica  per  questa  lin- 
guale che  venga  a  far  le  veci  di  k  (g),  g  (z),  gh  (h)  originario  o  s 
ìndo-irano;  e  col  dire  che  a  s  si  sostituisca  la  corrispondente  esplo- 
siva, e  g  z  z   si  pieghino  alla  analogia  di  /,  ben  si  descrive  il  fe- 
nomeno, ma  non  se  ne  dà  punto  ragione.  La  qual  ragione,  che  non 
vedo  pur  cercata  da  alcuno,  si  potrà  all'  incontro  avere  nel  modo  in 
cui  il  tamilo  risponde  allo  s  del  sanscrito.  Il  tamilo,  lingua  dravidica 
siccom'è,  va  pressoché  sprovveduto  di  sibilanti;  e  nelle  parole  che 
questo  precipuo  membro  della  famiglia  australe  piglia  a  prestanza 
dal  sanscrito,  s  suole  ridursi  a  d  (fricativa  dentale  sonora),  e  s  a.  d 
o  -tt-.  Così  :  tam.  kimburuda-  «=  sscr.  Mmpurusa-,  nome  dì  certe  crea- 
ture mitologiche  ;  tam.  mdnida-  =  sscr.  mdnum,  uomo  ;  tam.  iridi-  ■= 
sscr.  rsi-,  un  Risei;  tam.  idaba- '=  sscr.  rsabha-,  toro  (prence);  tam. 
vittunu-  =  sscr.  visnu-,  Visnu  ;  tam.  kiruttina-,  kittina-  ^  sscr.  krsna-, 
Crisna  (cfr.  Ariel,  nelJournal  asiatique,  genn.  1847,  pp.  16,20;  Cald- 
WELL,  o.  e,  pp.  110,  123,139;  Yinson,  nella  Revue  de  linguistique, 
III,  82-3,302).  Nella  sostituzione  ài  d  t  a.  s  ecc.  che  il  sanscrito  ci 
mostra,  si  potrebbe  quindi  vedere  un  altro  effetto  di  quella  causa  gene- 
rale dì  cui  piti  innanzi  nel  testo  sì  tocca,  cioè  della  favella  aborigena 
che  in  determinate  congiunture  soppianti  con  suono  suo  proprio  un 
suono  avversato  della  lingua  a  cui  soggiace.  -     Veniamo  ora  al  par- 
ticolare  lessigrafico.    La  voce   sanscrita    che    in   figura    classica   è 
lauka-  (luogo,  libero  spazio,  spazio  mondiale,  mondo),  figura  conva- 
lidata dal  riflesso  lituano  :  laùka-s,  campo,  l'aperta  campagna,  è  nel 
Rigveda,  quasi  esclusivamente:  idaukd-.  Intorno  a  questa  forma  si 
è  ormai  studiato  di  molto  (vedine:  Rig-Veda-Sanhita,  The  sacred 
hymns  ofthe  brahmans  transl.  and  explain.  hy  Max  Mùller,  I,  lxxi-v; 


236         §    42.    ORIGINE    E   FISIOLOGIA    DELLE    LINGUALI    SANSCRITE. 

si  potrebbe*;  laddove  qualche  breccia  hanno  pur  potuto  fare 


BoEHTLiNGK-RoTH,  s.  lauka):,  ma  due  cose  mi  pajono  sfuggite  all'at- 
tenzione dei  chiari  uomini  che  hanno  ad  essa  rivolto  il  loro  acume. 
La  prima  è,  che  il  l  iniziale  si  può  dire  a  dirittura  estraneo  all'i- 
dioma del  Rigveda;  poiché,  se  togliamo  i  seguenti  eserapj:  laksmi  lau- 
pàgd  laugd  dpa  +  ni  +  lajantam  làja  lihugà  à-labh-  anv-à-labh^  i  quali 
non  ricorrono  se  non  nel  decimo  mandala,  che  è  il  meno  antico,  e 
ancora  Iduman  che  ha  il  suo  correttivo  nel  piti  usato  rduman,  e  l'i- 
solato ni  alipsata,  che  a  rigore  non  va  tra  gli  esempj  di  l  iniziale 
ed  è  corretto  da  rip,  vera  forma  rigvedica  del  rispettivo  radicale, 
noi  saremmo  veramente  ridotti,  se  io  ho  bene  spogliato  il  Lessico  di 
Pietroburgo,  all'  incerto  laudha  e  ai  due  isolati  sostantivi  làngala  e 
lahsd,  che  pajono  essere  due  ajra^  \zy6[t.z^x  (v.  ancora  la  Lez.  XIII,  e 
cfr.  il  lessico  del  Benfey  al  Samaveda,  che  non  dà  alcun  esemplare 
per  l  iniziale).  La  seconda  è,  che  Vulauka-  del  Rigveda  coincide  colla 
normale  alterazione  tamila  del  sanscrito  lauka  {loka),  che  è  uluga-fm], 
ulàgu,  il  tamilo  classico  non  tollerando  l  iniziale,  e  prefiggendovi  co- 
stantemente un  u  (Caldwell,  1.  e,  56,  108,  Vinson,  1.  e,  302;  cfr. 
GuNDERT,  nel  Giornale  della  società  orient.  germ.,  XXIII,  524-5).  Ora, 
piuttosto  che  accumulare  ipotesi  per  rinvenire,  a  dispetto  della  forma 
del  sscr.  classico  e  della  lituana,  una  ragione  etimologica  dell' m-  del 
rigvedico  ulauka-,  non  vorremo  noi  credere  che  ulauka  fosse  forma  vol- 
gare per  lauka,  forma,  cioè,  che  aveva  ceduto  alla  riazione  di  una 
favella  aborigena,  e  tanto  più  facilmente  vi  aveva  ceduto,  quanto  piU 
stava  isolato  nel  dialetto  del  Rigveda  questo  vocabolo  con  l  iniziale? 
Che  se  vogliam  sùbito  confortarci  con  un  esempio  analogo,  vale  a  dire 
con  un  altro  caso  di  alterazione  vedica,  il  quale  sappia  di  dravidismo 
e  rimanga  estraneo  al  sanscrito  classico,  ricordiamoci  di  pad-  per  pad- 
(piede;  cfr.  §  46)  in  padbhis,  pad-mga-  (e  pad-gròhi-).  -  Le  voci 
o  radici  dravidiche  assunte  a  far  parte  del  lessico  sanscrito  vanno 
naturalmente  considerate  anch'esse  nella  questione  intorno  alla  qua- 
lità degli  idiomi  che  al  sanscrito  son  soggiaciuti  (v.  intanto  Caldwell, 
1.  e,  p.  439  e  segg.);  ma  chi  si  pone  a  rintracciarle,  deve  certamente 
usare  di  una  critica  piti  ferma  che  non  sia  quella  del  Gundert  testò 
citato,  il  quale  vuol  p.  e.  assoggettare  ad  etimologia  dravidica  il  san- 
scrito putra-,  figlio,  dimenticando,  fra  l'altre,  lo  zendo  puthra-. 
*  Pure  il  Caldwell,  il  quale  contesta,  non  però  con  molta  energia, 


§    42.    ORIGINE   E    FISIOLOGIA    DELLE   LINGUALI    SANSCRITE.         '2'.il 

alcune  obiezioni  od  affermazioni  di  ordine  diverso,  alle  quali  ci 
conviene  ora  passare  *.  Si  è  dunque  primamente  contestato, 
sulle  generali,  che  mai  un  popolo  si  faccia  ad  assumere  elementi 
fonetici  della  lingua  d'un  altro;  si  è  inoltre  voluto  attenuare 
la  differenza  che  corre  tra  suono  dentale  e  suono  linguale;  e, 
messo  innanzi  il  fatto  incontrovertibile,  che  il  passar  delle  den- 
tali originarie  in  linguali  sanscrite  avvien  precipuamente  entro 
a'  confini  di  determinate  combinazioni  fonetiche,  si  è  voluto  so- 
stenere che  molti  fenomeni  congeneri  occorrano  pur  nelle  lingue 
ariane  dell'Europa,  insieme  però  concedendosi  che  la  linguale 
fosse  estranea  al  primitivo  sistema  fonetico  degli  Arj,  e  che  solo 
l'orecchio  degli  Arj  dell'India,  al  pari  di  quello  dei  Dravidi, 
abbia  saputo  ben  discernere  tra  suono  dentale  e  suono  linguale. 
Ma  quanto  già  dicano,  per  sé  sole,  queste  due  concessioni 
insieme  combinate,  può  ognuno  vedere,  E  quale  si  è  poi  in  realtà 
la  pronuncia  delle  consonanti  linguali,  che  tutti  concordemente 
pongono  affatto  la  stessa  negli  idiomi  ariani  dell'India  e  nei 
dravidici?  Le  più  antiche  indicazioni  convengono  a  capello  con 
ripetute  indicazioni  moderne,  si  che  non  possa  rimanere,  per 
questa  parte,  alcuna  ragionevole  dubbiezza.  Dicono,  dall'  un 
canto,  quasi  tutti  i  Pràtigàkhja  (le  grammatiche  dei  Vedi),  che 
le  linguali  si  ottengono  colla  punta  della  lingua  ravvolta  al- 
l'indietro  ^'^;  e  i  missionarj  italiani,  dall'altro,  ai  quali,  per  la 


che  siavi  identità  fra  l'elemento  dravidico  e  quell'elemento  aborigeno 
che  ha  avuto  parte  nella  formazione  dei  vernacoli  pracritici,  e  solo 
ammette  che  vadano  congiunti  tra  di  loro  per  una  certa  affinità  ge- 
nerale, crede  tuttavolta  che  il  sanscrito  abbia  mutuato  le  linguali  dalla 
favella  dei  Dravidi,  della  quale  stima  che  un  giorno  fosse  estesa  per 
tutta  l'India.  V. Top. cit.,  a pp. 23, 37-44, 69-72, 76 n.,  111-13, 117,438-9. 

*  Alludo  principalmente  allo  scritto  del  dott.  Giorgio  Bììhler,  On 
the  origin  of  the  sanskrit  linguals  (Madras  literary  journal,   1864) 
che  però  ho  la  sfortuna  di  non  conoscere  se  non  dall'articolo  che  gli 
ha  dedicato  l'Or.  u.  occid..  Ili,  379-83.  Cfr.  Max  Mìiller,  nella  sua 
gramm.  sanscr.  (traduz.  ted.),  §  22,  5. 

**  Concordano  cioè  in  questa  descrizione  i  pràtigàkhja  del  jar/us 


238         §    42.   ORIGINE    E    FISIOLOGIA    DELLE   LINGUALI   SANSCRITE. 

ragione  della  natfa  favella,  ogni  fisiologo  concederà  di  leggieri 
una  particolar  competenza  nello  stabilire  la  diversità  che  in- 
terceda fra  le  pure  dentali  ed  altri  suoni  che  possano  entrare 
in  paragone  con  esse,  cosi  per  esempio  descrivono  la  tenue  lin- 
guale degli  Indiani:  «  aliter,  quam  per  t,  haec  a  nobis  latinis 
explicàri  nequit,  nec  describi  potest;  quamvis  longe  sit  diversa, 
ejusque  pronunciationem  assequi  necessarium  sit.  profertur  lin- 
gua pauUulum  inversa,  et  palatura  leniter  percutiente,  quo  blese 
pronunciatur  »;  oppure:  «  huius  litterae  sonus,  sicuti  et  trium 
sequentium  [ih,  d,  dh),  idem  prorsus  est;  est  autem  Europeis 
admodum  difficilis,  ac  pronuntiatur  inversa  omnino  retrorsum 
lingua,  adeo  ut  interiorem  palati  summitatem  attingat  »;  dove 
del  t  dentale,  cosi  indostano  come  dravidico,  all'  incontro  direb- 
bero: «  a  nostro  t  non  differt  »,  oppure:  «  ut  t  latinorum  *  ». 
Ed  ormai  ci  soccorre  eziandio  la  riprova  del  fisiologo;  poiché 
il  Briicke  affermi,  nella  sua  analisi  della  media  aspirata  lin- 
guale indostana,  che  l'elemento  esplosivo  ne  sia  quel  d  o  t,  \\ 
quale  si  ottiene  colla  punta  della  lingua  ricurva  all'  in  su  e 
aderente  alla  più  alta  parte  della  volta  palatale  **.  Ora,  la  dif- 


bianco,  del  jagus  nero,  e  dell'  atharva.  Quello  del  rg-v.  non  ha  una 
descrizione  generale;  ma  della  media  dice  (I,  11;  ed.  Regnier,  Jour- 
nal asiatique,  février-mars  1856,  p.  170,  178,215),  che  si  formi,  se- 
condo y àìiàrja  Vaidamitra,  alla  radice  della  lingua  ed  al  palato; 
la  quale  osservazione  coinciderebbe  con  quella  del  fisiologo  Brììcke 
{Grundzùge  der  physiologie  ecc.,  p.  36,  2),  che  la  punta  della  lin- 
gua atteggiandosi  nel  modo  che  è  richiesto  per  la  produzione  di  que- 
sti suoni,  la  parte  inferiore  della  lingua  medesima  si  fa  convessa  in 
avanti  e  tocca  in  parte  il  palato. 

*  Alphabet.  brammhanicum  (v.  pag.  108  in  n.),  p.  29;  Alphabet. 
grand.-malab.  (v.  p.  207  in  n.),  pag.  82-3.  E  cosi  Guglielmo  Jones 
(1.  e.  a  p.  206  in  n.):  This  class  is  pronounced  with  an  inflexion  of 
the  tongue  towards  the  roof  of  the  mouth,  which  gives  an  obtuso 
sound  to  the  consonant. 

**  Cfr.  Sitzungsberichte  der  philos.-Mstor.  ci.  der  kais.  [wien.] 
akademie  der  icissenschaft.,  XXXI,  224  (dove  buth-tha  sta  per  isbà- 


§    42.    ORIGINE   E   FISIOLOGIA   DELLE   LINGUALI    SANSCRITE.         239 

ferenza  tra  linguali  e  dentali,  che  ha  nell'istoria  della  lingua 
conferma  amplissima  (§  46),  vorrà  essa,  di  punto  in  bianco,  so- 
pra qualche  vaga  indicazione,  essere  ridotta  a  proporzioni  tanto 
esigue,  da  dirsi  poco  men  che  impercettibile  *,  e  vorremo  noi 


glie  in  luogo  di  bud-tha)  e  Grundziige  ecc.,  p.  36.  E  la  distanza  fra 
linguali  e  dentali  non  scema  già,  ma  anzi  si  accresce,  se  le  dentali 
indiane  veramente  si  formano,  come  il  Briicke  nel  primo  de'  luoghi 
citati  asserisce,  a  quel  modo  di  cui  toccammo  a  p.  161.  La  identità 
fisica  fra  dentali  dravidiche  e  dentali  sanscrite  è  anche  espressamente 
affermata  dal  Caldwell,  1.  e,  p.  107;  e  per  la  special  qualità  di  den- 
tali, a  cui  testò  alludevamo,  starebbe  il  fatto,  che  il  tamil  e  il  ma- 
lajalam  ci  dieno,  in  luogo  di  fZ,  la  fricativa  dentale  d. 

*  V.  i  luoghi  citati  alla  n.  *  di  pag.  237.  Il  Bììhler  avverte,  che 
gì'  Indù  sostengano,  proferir  gli  Inglesi  con  pronuncia  linguale  le  loro 
(proprie)  dentali,  e  che  nell'India  si  trascrive:  government  e  director 
(cfr.  landra,  Londra,  nel  less.  di  Pietrob.).  Soggiunge,  che  il  tamilo 
arriva  al  punto  di  trascrivere  solitamente  gl'inglesi  t  d  per  t  d, 
quando  nella  parola  occorra  un  r,  oppure  ad  essi  preceda  una  sibi- 
lante 0^,0  finalmente  la  dentale  sia  aggruppata  con  altre  conso- 
nanti; e  così  anche  trascriva  per  d  il  d  iniziale  cui  sussegua  i.  Circa 
la  prima  affermazione,  basta,  e'  mi  sembra,  ammettere  che  le  dentali 
indiane  non  rispondano  proprio  a  capello  alle  inglesi  {cfr.  la  nota  che 
precede)  e  ricordare  che  la  prevalenza  della  pronuncia  linguale  si  fa 
nell'India  sempre  maggiore,  per  renderci  capaci  della  sentenza  e  della 
trascrizione  degl'Indù,  senza  che  perciò  si  turbi  il  nostro  parere  circa 
la  vera  entità  delle  linguali  indiane.  E  passando  all'altro  punto,  se 
i  Tamili  non  trascrivono  le  dentali  inglesi  colle  loro  linguali  altro 
che  quando  occorrano  gl'incontri  dei  quali  toccherebbe  il  dott.  Biih- 
ler,  se,  vale  a  dire,  essi  non  fanno  linguali  le  dentali  inglesi  altro 
che  pressappoco  nelle  congiunture  medesime  in  cui  si  fa  linguale  in- 
diana là  dentale  del  patrimonio  originario,  ciò  manifestamente  viene 
a  dire,  dall' un  canto,  che  la  dentale  inglese  rimane  in  molti  casi 
dentale  tamila,  e,  dall'altro,  che  il  tamilo  renda  per  linguale  la  dentale 
inglese,  non  perchè  in  questa  egli  senta  una  linguale,  ma  sì  perchè  a 
linguale  egli  la  riduce.  Dagli  assalti  del  tedesco  G.  Buhler  difende  del 
resto  la  peculiarità  delle  linguali  indiane  un  altro  tedesco,  Bììhler 
anch'esso  (M.  Buhler)  e  anch'esso  venuto  nell'Indie,  il  quale,  a  prò- 


240         §    42.    ORIGINE   E    FISIOLOGIA   DELLE   LINGUALI    SANSCRITE. 

confondere  queste  linguali  specificamente  indiane,  con  certe  fasi 
fonetiche  immaginarie,  le  quali  si  vogliono  stabilire  per  anelli  in- 
termedj  di  evoluzioni  che  si  son  compiute  altrove  e  non  istanno 
in  alcuna  connessione  istorica  con  le  evoluzioni  indiane  a  cui  mira 
il  nostro  discorso  (cfr.  §§  46,  SI)?  Noi  di  certo  noi  sapremmo;  né 
vale  a  sm^uoverci  quant' altro  resta  ai  contraddittori.  Poiché,  ma- 
nifestamente, punto  qui  non  si  tratta  di  elementi  fonetici  che  un 
popolo  abbia  assunto  dalla  lingua  di  un  altro;  ma  si  di  tali  suoni, 
i  quali,  proprj  essendo  degli  aborigeni,  cioè,  pur  nel  nostro  caso, 
proprj  essendo  del  più  numeroso  degli  elementi  onde  viene  a  com- 
porsì  il  nuovo  individuo  nazionale,  soppiantano  per  avversione 
naturale,  massime  in  date  congiunture,  altri  suoni  più  o  men  vi- 
cinamente ad  essi  consimili  della  lingua  che  con  la  miglior  civiltà 
si  sovrappone  (§§  43-46),  si  che  questa  traccia  della  lingua  che 
soccombe  si  faccia  per  noi  via  via  più  chiara,  man  mano  che  i  mo- 
numenti letterarj,  o  la  parola  parlata,  piuttosto  che  l'appartato 
linguaggio  del  popolo  assimilatore,  ci  offrano  lo  schietto  portato 
della  fusion  delle  due  genti,  h'ù  della  Gallia  propria  e  della  ci- 
salpina, per  Vu  lungo  de' Romani,  é  tra' più  facili  esempj  analo- 
ghi, e  non  il  meno  calzante. 

Ma  più  di  tutto  può  far  meraviglia  il  vedersi  addott£|«^in  fa- 
vore della  generazione  spontanea  delle  linguali  sanscrite,  la 
presenza  di  s  in  altre  favelle  della  famiglia.  Imperocché  bene  è 
vero  che  la  grammatica  sanscrita  colloca  lo  s  tra  le  linguali 
(p.  17),  ed  è  eziandio,  almeno  per  certe  congiunture,  manifesto, 
che  l'antica  pronuncia  indiana  di  quest'elemento  dovesse  cor- 
rispondere alla  postura  alfabetica  a  cui  alludiamo  (§§  43,  44). 


posito  delle  due  trascrizioni  dì  uno  stesso  nome  di  luogo  indiano: 
Kaultray  t=  Kateri ,  ci  dice  (Giornale  della  società  orientale  germa- 
nica, III,  109),  essere  »  t  d  li  peculiari  suoni  indiani,  nei  quali  spunta 
a  un  di  -presso  un  leggero  l  inglese  » .  Si  vegga  ancora,  pure  per  altre 
trascrizioni  di  varia  età,  il  §  46.  Intanto,  per  trascrizione  indiana 
di  suoni  inglesi ,  si  aggiunga  il  notevole  lata  ■=  Lord,  Benkey,  Gior- 
nale testò  citato,  VII,  411-12. 


ERRATA. 

Pag-.    25,  1.    5:  summa^  1.  samma. 

96,  1.    8:  descritta,  1.  descritto. 
•'     122,  1.    4:  Èrebo.,  1.  Èrebo*. 
"     125,  I.  11:  gd-Ma^  1.  gd-Mha. 

"     169,  1.    4:  originarie  sanscrite,  1.  originarie  e  sanscrite. 
-     173,  1.  31:  aspiranti,  1.  spiranti. 
•>     192,  I.  32:  vtcpet,  1.  v|<pst. 
"     202,  1.  18:  verso  alla,  1.  verso  la. 

»     211.  L'ultimo  esempio  che  è  sotto  al  num.  2,  si  porti  ultimo 
sotto  il  num.  3. 


iP^ 


ANNUNZIO. 

La  sottoscritta  Libreria  Editrice  annunzia  di  avetre 
stato  il  diritto  della  versione  tedesca  delle  Lezioni^ii 
logia  com'parata  del  sanscrito,  del  greco  e  del  latin 
nella  Regia  Academia  scientifico-letteraria  di  MiU 
Gr.  L  Ascoli. 

Halle,  3  marzo  1870. 

Libreria  dell'Orfanotrofio  i 
dlung  des  Waisenhanses 


TIPOGRAFIA   DI   GIUSEPPE   BERNARDONI,   MILANO. 


BINDIKG  .         ■    MAR  2  0 


PA  Ascoli,   Graziadio  Isaia 

583  Lezioni  di  fonologia 

A73  comparata  del  sanscrito 


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